AMATI E CONSACRATI DA DIO
PER PORTARE IL SUO NOME ALLE NAZIONI – RV 2; 20
P. Carmelo Casile

II Parte
3. Consacrazioni specifiche e particolari
All’interno della vita d’Israele, popolo di consacrati, vi sono consacrazioni particolari specifiche, per cui non è possibile farsi un concetto univoco della realtà della consacrazione. È significativo il caso di Mosè che, accusato in nome di una pretesa pari consacrazione universale, di voler monopolizzare l’idea di santità, viene difeso da Dio stesso (cf Nm 16, 3.19-35).
Infatti, nell’esperienza religiosa d’Israele, troviamo consacrazioni specifiche e quindi diverse le une dalle altre, che si riferiscono a luoghi, oggetti e persone.
Si tratta di distinti livelli di consacrazione e in un certo senso concentrici, che partono dalla consacrazione fondante e vanno oltre, assumendo nella relazione con Dio “qualcosa di proprio” senza essere in opposizione né in concorrenza con le altre. Così, mentre c’è la Terra Santa, la Città Santa, il Tempio e il Sancta Santorum, riguardo alle persone c’è il Popolo consacrato, i primogeniti, i leviti, Mosè, i re, i profeti…
Riguardo elle persone1, il passaggio da un livello all’altro avviene attraverso un complesso sistema di “ascesa” per mezzo di un susseguirsi di separazioni che, partendo dal popolo, raggiungono una determinata persona. Così all’interno della chiamata dei popoli della terra alla salvezza, il popolo d’Israele è separato, però, malgrado l’elezione, non possiede la santità necessaria per accostarsi a Dio (cf Es 19, 12 e 33, 3 con Lv 19, 2); così all’interno del popolo eletto, la tribù di Levi è separata dalle altre per il servizio liturgico; all’interno della tribù di Levi, la famiglia di Aronne è separata per i riti sacrificali e costituisce quindi propriamente una casta ‘sacerdotale’ di tipo ereditario; all’interno di questa famiglia, uno veniva scelto per essere il ‘Sommo Sacerdote’, al quale spettava l’atto più elevato del culto, l’incontro con Dio.
Il Sacerdote, a sua volta, per il fatto di essere stato eletto, non era ancora in grado di passare interamente, lui stesso, nel mondo divino; per accedere al luogo sacro e offrire il ‘sacrificio’, doveva compiere una serie di riti per distanziarsi dal mondo umano ed accedere a quello divino: allontanamento dallo spazio profano, bagno e unzione rituali. La mediazione si considera riuscita se vengono osservate scrupolosamente tutte le regole di purità, non ultima quella relativa alla vittima sacrificale, che rappresenta il Sacerdote stesso, il quale è, a sua volta, rappresentante dell’intero popolo.
È questo il retroterra indispensabile per capire il concetto, così centrale nell’A.T. della santità di Dio, a cui si accede per mezzo della consacrazione: essendo Dio santo, per entrare in relazione con lui bisogna diventare santo, passare cioè dal livello profano dell’esistenza ordinaria al livello sacro della realtà divina.
Una consacrazione diversa da quella legata alla vita dei Leviti, la troviamo in quella dei profeti, i quali sono considerati “consacrati” senza appartenere all’ambito levitico. Ma c’è anche quella legata al nazireato, che impegnava per tutta la vita (Sansone: Gdc 13, 5-7.14; 16, 17; Samuele: 1Sam 1, 11) o solo per un certo periodo (Nm 6, 1-21). Questa forma si trova anche nel NT per Giovanni il Battista (Lc 1, 15) e, come voto temporaneo, per Paolo (At 18, 18) e alcuni giudeo-cristiani (At 21, 23-26).
3.1 Consacrazione e unzione sacra
Il termine consacrazione al quale corrispondono i termini “santo, unto, messia, cristo, cristiano”, è nato dall’uso biblico dell’unzione sacra. Dalla comprensione di quest’uso riusciamo a scoprire il senso delle consacrazioni particolari nel seno d’Israele e della consacrazione e missione di Gesù e dei suoi discepoli fino a noi.
In effetti, nell’A.T. si ungevano oggetti e persone.
Punto di partenza è la santità. Questo termine suggerisce l’idea della trascendenza totale e della assoluta perfezione morale. È questa la condizione speciale ed esclusiva di Dio, alla quale l’uomo accede per mezzo della consacrazione.
Nell’esperienza religiosa di Israele, in senso cultuale, consacrato o santo era ogni creatura sottratta coscientemente all’uso profano e riservata a Dio. Questa consacrazione o santità era un mezzo per promuovere e proteggere la santità interna, della quale doveva essere un simbolo. Erano oggetto di tale consacrazione cose e persone.
Unzione di oggetti
Per ordine di Jahvè, Mosé preparò il primo olio sacro. Dopo avergli indicato gli ingredienti da usare, gli ordinò: “Ne farai l’olio per la unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere” (Es 30, 22-25).
Con questo olio sacro furono unti vari oggetti che così divennero santissimi e chiunque li toccasse rimaneva santificato (Es 30, 26-29; Lv 8, 11).
L’usanza di ungere oggetti per motivi di culto era già conosciuta dai Patriarchi (cf Gen 28, 16-22; 31, 13; 35, 14-15).
Unzione di persone
L’unzione con olio sacro non era limitata agli oggetti, ma era riservata anche in rapporto a certe categorie di persone, che dovevano svolgere un compito particolare in seno al Popolo di Dio. Erano unti i Sacerdoti, i Re e i Profeti.
Le persone che ricevevano l’unzione cominciavano ad essere chiamate “unti” per antonomasia: in ebraico Mashah, Messia, in greco Cristo.
Questo titolo di Messia può significare due cose:
• Consacrazione a Jahvè, in virtù dell’unzione;
• “Eletto da Jahvè” per essere unto Re; per compiere una missione in vista della realizzazione del piano di Dio riguardo al suo popolo ed alla umanità intera.
Con una unzione di olio profumato Mosè consacrò Sacerdote Aronne ed i suoi figli: Es 29, 1-9; 30, 30; 40, 15; Lv 8. Nel contesto di quest’unzione riservata esclusivamente (Nm 17, 5; 18, 7) ad Aronne, della tribù di Levi, e ai suoi discendenti maschi, gli altri membri della tribù vengono riservati come “proprietà” di Dio (Nm 3, 6-13) per servire nel culto come ausiliari dei Sacerdoti.
L’unzione del Re occupava un posto unico tra i riti di consacrazione ed era applicata da un uomo di Dio, Sacerdote o Profeta:
- – Saul e Davide furono consacrati da Samuele: 1Sam 10, 1; 16, 13;
- – Ieu da un Profeta mandato da Eliseo: 2Re 9, 6;
- – Salomone ricevette l’unzione dal Sacerdote Sadoc: 1Re 1, 39;
- – Ioas fu consacrato dal Sommo Sacerdote Ioiada: 2Re 11, 12; ecc. …
Dalla seconda accezione deriva un senso più ampio e metaforico del termine “ungere”, che diventa sinonimo di “eleggere” in vista di una missione da compiere, soprattutto se questa elezione esige il dono dello Spirito, senza necessariamente includere l’unzione materiale.
È il caso di Ciro (Is 45, 1) e dei Profeti.
In effetti, i Profeti non erano unti con olio. L’unzione dei Profeti designa metaforicamente la loro investitura: Elia riceve l’ordine di ungere Eliseo (1Re 19, 16), ma nel momento di chiamare Eliseo, il Tisbita non fa altro che gettare su di lui il suo mantello e così comunicargli il suo spirito (1Re 19, 16.19; 2Re 2, 9-15). Ancora vediamo che per spiegare la sua missione profetica, l’autore di Isaia 61 scrive: “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri… ” (Is 61, 1).
Tuttavia, nell’A.T., a partire da Saul, l’unzione designa il Re teocratico: 1Sam 12, 14-15; 16, 16; 24, 7; Sl 2, 2; 20, 7; 89, 39; ecc. ….
3.2 Significato dell’unzione regale
Il Re israelita, elevato alla sua dignità attraverso l’unzione con l’olio sacro, era di fatto chiamato “il consacrato del Signore” (1Sam 24, 7.11) o “il suo Messia” (1Sam 2, 10). Lo stesso Jahvè parla del “mio consacrato” (1Sam 2, 35). La funzione del Re è di mantenere Israele fedele alla sua consacrazione mediante la fedeltà all’Alleanza.
Il significato di questo rito consisteva nel sigillare con un segno esterno il fatto che questo uomo era stato eletto da Dio per divenire suo strumento nel governo del popolo. Questa unzione instaurava una relazione speciale tra l’unto e la divinità e lo rivestiva di autorità divina. Il Re israelita, per tanto, stava in intima relazione con Jahvè.
Per mezzo dell’unzione e degli altri riti di investitura il Re era trasformato in un altro uomo (1Sam 10, 6) e rivestito con la santità ed inviolabilità di Dio stesso: 1Sam 24, 1-7; 26, 9.11; 2Sam 14.
Il Re è un rappresentante del Dio di Israele, un Angelo di Jahvè (2Sam 14, 17). Egli diventa partecipe dello Spirito di Jahvè, come si vede, per esempio, nel caso di Davide: “Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione… e lo Spirito del Signore si posò su Davide da quel momento” (1Sam 16, 13).
Il rito dell’unzione che consacra il Re, esprime che questi è sigillato indelebilmente dallo Spirito, che gli conferisce una maestà sacra (1Sam 10, 1-16; 16, 13), rendendolo partecipe dello stesso Spirito di Dio.
Da questa connessione tra l’olio e lo Spirito è originato il simbolismo dell’olio dei Sacramenti: i santi oli comunicano al cristiano la Grazia multiforme dello Spirito Santo, che ha fatto di Gesù l’Unto o Consacrato per eccellenza ed il Figlio di Dio.
L’olio dell’unzione regale merita, in sommo grado, la designazione di olio della gioia. Quando è versato sul capo del Re, diviene una immagine della Grazia di Dio che scende e si sparge su di lui (Sl 133, 2), dandogli una vita ed una forza nuova per realizzare ciò che sta oltre le sue possibilità umane. In fatti, il Re è destinato a stare sulla soglia tra la volontà di Dio e la volontà degli uomini, ed è chiamato a portare il Popolo di Dio a compiere la volontà divina.
In somma, la regalità umana del Re di Israele è solo una partecipazione a quella di Jahvè, che è il fondamento di tutta la sapienza governativa.
Il fatto che la regalità del principe è radicata nella regalità del vero Dio, aumenta il prestigio del Re di Giuda e, nello stesso tempo, lo unisce strettamente a Dio. Questo si verifica soprattutto nel grande Re Davide, e “per causa di Davide” nei suoi discendenti in questo mondo “per sempre”: Sl 18, 51; 45, 7; 132, 1.
La consacrazione regale esprime l’essenza di ogni consacrazione particolare. A partire da essa, “essere consacrato” o “consacrarsi” significa prima di tutto che un membro del popolo di Dio, eletto da Dio stesso, si converte in sua proprietà totale ed esclusiva in virtù di un nuovo titolo, che consiste in una più intima ed intensa comunicazione divina in vista di una missione da compiere.
Per questo le persone consacrate sono “riservate” a Dio e alla realizzazione del suo piano di salvezza.
Per una comprensione più approfondita del significato dell’unzione regale, c’è da tener presente che nell’ambito biblico il Re è il capo del popolo di Dio, a cui compete il ruolo primordiale di mediatore tra Dio e gli uomini. Perciò anche se non riceve il titolo di Sacerdote e non è membro della classe sacerdotale, appare come un patrono dell’istituzione sacerdotale e l’intero culto sacerdotale dipende da lui. A volte però esercita funzioni cultuali (2Sam 6, 17; 1Re 8, 14.52ss). Inoltre il Salmo 110, 4 gli attribuisce il titolo di Sacerdote comparandolo a Melchisedek. Tutto ciò ci permette di parlare di un sacerdozio regale.
C’è da notare ancora che in Israele, come nell’antichità greca e pagana, il Re, in quanto capo della nazione, era chiamato Pastore (1Re 22, 17; Ger 23, 1-6; Ez 34, 1-10).
La metafora del Pastore che conduce il suo gregge esprime due aspetti dell’autorità esercitata dagli uomini: il pastore è nello stesso tempo un condottiero e un compagno nel viaggio della vita. È un uomo forte capace di difendere il suo gregge contro le fiere (1Sam 17, 34-37); ed è anche attento verso le sue pecore, conoscendo il loro stato (Prov 27, 23), adattandosi alla loro situazione (Gn 33, 13), portandole sulle sue braccia (Is 40, 11), accarezzando questa o quella “come una figlia” (2Sam 12, 3).
I Pastori d’Israele si mostrarono infedeli alla loro missione. Allora Dio tenterà di provvederlo di Pastori “secondo il suo cuore” (Ger 3, 15; 23, 4), ed Ezechiele annuncia che ci sarà un solo Pastore, novello David, con Jahvè per Dio (Ez 34, 23ss). Tuttavia, dopo l’esilio, i pastori della comunità non corrispondono alle aspettative divine. In questo contesto Zaccaria annuncia un Pastore “Trafitto” (12, 10), la cui morte è portatrice di salvezza (13, 1-6). Questo Pastore si identifica con il “Servo di Jahvè”, che come muto agnello deve giustificare con il suo sacrificio le pecore disperse (Is 53, 6s.11ss).
3.3 Significato dell’unzione sacerdotale
Nel contesto della vita che si svolge nel tempio, risalta la funzione del sacerdozio, costituito precisamente per sostenere e promuovere la fedeltà all’Alleanza, la reciprocità tra Dio e il popolo.
È una funzione caratterizzata da una molteplicità di compiti, che comprende quello di pronunciare oracoli, insegnare, offrire sacrifici, controllare la purità legale, benedire e custodire il tempio.
Tuttavia questa varietà di compiti è subordinata al compito essenziale dei sacerdoti che è quello della mediazione, cioè fare da ponte tra il mondo profano del popolo e quello sacro della divinità.
Questa mediazione è esercitata in sommo grado per mezzo della funzione sacrificale (cf Dt 33, 10 e, soprattutto, Lv 1 7): il compito di offrire sacrifici, in origine esercitato da ogni capo famiglia, viene riservato a poco a poco alla classe sacerdotale e con la centralizzazione del culto ad opera di Giosia (622 a.C.) arriva ad acquistare un ruolo determinante nella spiritualità ebraica.
In virtù della funzione sacrificale, il Sacerdote assume le preghiere, le offerte e i sacrifici del popolo (mediazione ascendente), li presenta al cospetto di Dio nel luogo sacro (realizzazione della mediazione) e trasmette i benefici che Dio, accettata la mediazione del Sacerdote, concede al popolo (mediazione discendente).
Il Sacerdote offre sacrifici per togliere gli ostacoli di fronte alla reciprocità che il popolo ha rotto con le sue mancanze, giacché ogni peccato è considerato come uno spazio rifiutato alla presenza di Dio nella vita del popolo. Quando il popolo prende coscienza di ciò, si presenta dal Sacerdote, il quale agisce come mediatore e colma il vuoto che si era creato.
Così anche il Sacerdote si situa sulla soglia della volontà di Dio e la volontà degli uomini, per proclamare la volontà di Dio, occuparsi delle cose Dio, annunciare il decreto di Dio e applicare la decisione di Dio.
Questa funzione di mediazione ha come base la consacrazione. Il ministero che è affidato a Sacerdoti e leviti suppone una separazione dagli altri (Dt 10, 8; 18, 5), che consiste in una forma di esistenza differente da quella del resto del popolo. Questa situazione di separazione fa sì che Sacerdoti e leviti siano “eredità” (proprietà) di Dio ed essi a sua volta ratifichino questa messa in disparte con gioia piena e si impegnino a prendere Dio come loro unica “eredità” (Dt 18, 1; Nm 18, 20; Sl 16, 5s).
3.4 L’Unto passa ad essere il Redentore promesso
I Salmi parlano in continuazione del “Messia” (= l’Unto), riferendosi certamente anche ai discendenti storici della dinastia davidica: Sl 2, 2; 18, 51; 20, 7; 28, 8; 84, 10; 89, 39.52; 132, 10.17.
Ma nella misura in cui questa regalità andava decadendo, sorse la figura di un Re ideale, sovrumano, e gli stessi testi dei Salmi andarono guadagnando una nuova interpretazione.
È soprattutto questo Messia che è presentato come un altro Jahvè, perché Egli è il “Dio potente”, il “padre per sempre”, il “Principe della pace”, annunciato da Isaia (9, 5).
Di fatti, all’epoca di Gesù, il termine Messia-Cristo era impiegato per designare il discendente di Davide promesso e sperato, il Messia per eccellenza: Gv 1, 41; 4, 25.29; Lc 9, 20; Mt 22, 42; 26, 63.
E la tradizione cristiana, che si esprime nella liturgia di Natale, dando questi titoli a Gesù, mostra che Egli è il Messia atteso, il vero Emanuele.
In conclusione, dall’orizzonte della vocazione di tutti i popoli alla salvezza, dal primitivo piano della consacrazione-missione di Israele, ci sono nel seno dello stesso Israele persone che vengono chiamate e separate per mezzo del dono di una consacrazione particolare, che consiste in una più intensa iniziazione al Mistero di Dio in vista di un servizio da prestare alla comunità e all’umanità intera: alla comunità, perché si mantenga fedele all’Alleanza ed alla missione ricevuta; all’umanità intera, perché si renda disponibile all’ascolto del messaggio di salvezza mediante la diaconia d’Israele. Queste persone divengono, in modo particolare, punti significativi di riferimento, nel cammino d’Israele come popolo consacrato a Dio.
Così dalla consacrazione-missione di un popolo, nascono nel seno di questo stesso popolo le consacrazioni-missioni particolari in prospettiva comunitaria ed universale.
4. La consacrazione missionaria
alla luce della dinamica dell’incontro con Dio – RV 20; 46
La consacrazione come evento nella storia di un credente passa attraverso il suo cuore, luogo dell’incontro con Dio. Il cuore, infatti, è terra dell’uomo dove egli si agita, desidera e cerca Dio, ed è simultaneamente terra di Dio, che in essa si manifesta con il suo stile di Dio-Amore, Padre di tutte le genti. L’agitazione dell’uomo provoca l’intervento di Dio e l’intervento di Dio stimola l’instabilità e la precarietà dell’uomo nel suo desiderio di Dio, introducendolo nella profondità del suo Mistero.
In questa ottica, la consacrazione è una questione di cuore, una relazione di grazia e di dono di sé da parte di Dio, a cui corrisponde una relazione di rendimento di grazie e di libero dono di sé da parte dell’uomo; è un evento divino-umano, che è essenzialmente comunione d’amore con Dio che genera missione nel quotidiano della vita. Per questo, secondo il versante da cui la consideriamo, possiamo dire che “siamo consacrati da Dio” e che “ci consacriamo a Dio”.
A – Consacrati da Dio
La consacrazione è frutto dell’iniziativa divina (cf RV 20a). Per tanto, “essere consacrato” vuol dire, prima di tutto, che un membro del Popolo di Dio, eletto da Lui stesso, diviene proprietà totale ed esclusiva di Dio per un titolo nuovo, che consiste in una più intima comunicazione divina in vista d’una missione da compiere (cf RV 46).
Questo significa che i consacrati sono “persone riservate” da Dio e a Dio per il suo piano di salvezza e, nello stesso tempo, Dio diviene la loro unica “eredità”. Qui sta l’elemento comune di tutte le persone consacrate dell’A.T. (= Sacerdoti, Re e Profeti), che dà la fisionomia alla figura del Messia promesso, il Consacrato per eccellenza, e che attraverso di Lui continua nel N.T. e nella Chiesa fino ad oggi.
La consacrazione particolare è quella che ha come oggetto una persona eletta da Dio e che è profondamente legata all’esperienza di un Dio personale, amico intimo della stessa persona chiamata. Essa si svolge, per tanto, nel segno della gratuità di Dio che si dona e della risposta libera e riconoscente del consacrato (cf RV 20).
In questo rapporto d’appartenenza reciproca, Dio presenta all’eletto una missione soprannaturale da compiere, della quale va prendendo coscienza gradualmente, con chiarezza sempre maggiore, e che lo mette in atteggiamento di totale disponibilità: “Eccomi, manda me!”. Relazione a Dio e ai fratelli, amati da Dio, costituiscono i due elementi inseparabili dell’esistenza consacrata: non l’uno o l’altro, ma l’uno come fondamento dell’altro.
Per tanto, l’essenza della consacrazione consiste in una partecipazione più personale e intima del credente nel Mistero di Dio, che opera in lui una trasformazione simile ad una nuova creazione. Questa trasformazione raggiunge l’intimo dell’essere della persona, che rimane segnata con il sigillo di Dio. È questo il senso del cambiamento del nome e del nome nuovo, imposto da Dio al consacrato.
Vivere da consacrato “vuol dire sentirsi scelto dal Padre, vuol dire che la propria storia personale va molto al di là della contingenza ed è molto più che un susseguirsi di episodi legati al caso. “La mia vita è molto più che mia proprietà”, ha un significato e un valore da cui dipendono la vita, la gioia, il futuro di molti. Attraverso la consacrazione, la vita di una persona viene deprivatizzata, viene lanciata al di là del recinto del proprio giardino. È l’attuarsi di una storia guidata da Qualcuno che vuole offrire salvezza a delle persone concrete e per mezzo di esse al mondo. Così Dio trasforma la vita di una persona in una incarnazione della sua volontà di salvezza e di provvidenza per quella gente con la quale la vita è condivisa”2.
Secondo la nostra RV, la consacrazione come vita centrata nell’incontro con Dio (RV 46) per l’evangelizzazione come ragione della propria vita (RV 20; 56), come disponibilità per quei servizi richiesti per l’annuncio del Regno di Dio e per la crescita della comunità ecclesiale, costituisce il fondamento della comunità missionaria comboniana (RV 10; 23) e sta alla base della convivenza fraterna di Sacerdoti e Fratelli (RV 10-11). Uniti da questo elemento comune della consacrazione per il servizio missionario (RV 10.1), Sacerdoti e Fratelli arricchiscono la comunità attraverso la varietà e complementarietà dei servizi (RV 11; 11.1-2).
B – “Consacrarsi” a Dio
Dal versante umano, la consacrazione si vive come ricerca intensa di Dio, come proposito di incentrare la propria esistenza in Dio, di “consacrarsi” a Dio.
La peculiarità di questo proposito consiste nell’avere grande sensibilità per Dio e le sue cose. Ci sono persone così, cioè dotate di una grande sensibilità per tutto ciò che si riferisce a Dio, che non possono vivere senza di Lui. Si tratta di un “carisma” che, se viene coltivato, sbocca nella “pietà” e quindi nella “consacrazione”, cioè in una vita in cui Dio ha il primato assoluto.
Il consacrato è riconosciuto allora come “uomo di Dio”, dedicato esclusivamente a Lui, in una costante attenzione e tensione amorosa verso il suo Dio, fino al punto di apparire un solitario, a livello sociologico e anche psicologico. Cerca e vive una solitudine “volontaria”, in cui esperimenta una profonda intimità con Dio, che si riversa poi sugli uomini, spingendolo alla fraternità universale. Non si consacra per mestiere o a ore, ma per dedizione totale di sé a Dio e ai fratelli. Chi vive la totale consegna di sé a Dio, diventa albero per gli altri e molti uccelli verranno a fare il nido presso di lui e si riposeranno nel loro viaggio. Così l’uomo di Dio è l’uomo per gli altri, il fratello e servo di tutti, segno e testimone davanti a tutti: “ che Dio È. Sì. È reale, È vivo, È personale, È infinitamente buono; anzi, non solo è buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, nostro creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che quello sforzo di fissare il Lui lo sguardo ed il cuore, che diciamo contemplazione, diventa l’atto che ancor oggi può e deve gerarchizzare l’immensa piramide dell’attività umana”3.
Per Comboni alla base della vita del missionario c’è la consacrazione, vissuta come “una vita di spirito e di fede” che si traduce in “un forte sentimento di Dio ed un interesse vivo alla sua gloria ed al bene delle anime”. Essa consente al missionario della Nigrizia di lavorare “unicamente per il suo Dio, per le anime più abbandonate della terra, per l’eternità, mosso dalla pura vista del suo Dio” (S 2698; 2702).
Nella vita di consacrazione missionaria per Comboni Dio è tutto, la sua gloria è la salvezza dei più abbandonati4. Perciò, la vita missionaria richiede un operare “sulla sua parola (di Dio) e su quella dei suoi Rappresentanti, come docile strumento della sua volontà” (S 2702).
La RV ci rimanda a questa visione di Comboni nel numero 46, dove mette come fondamento della vita missionaria l’esperienza di Dio, per cui il missionario comboniano “focalizza la sua intera esistenza nell’incontro con Dio e forma con i suoi fratelli una comunità orante” (RV 46).
5. Consacrazione – Comunione – Missione
VC 41 51; => PV 31-32; 16-18; 59
La consacrazione presenta Dio come salvatore dell’umanità e autore di un Popolo a Lui consacrato, che sia segno e strumento di questa salvezza. Perché questo Popolo raggiunga il suo fine, Dio lo arricchisce di persone consacrate per un titolo nuovo e speciale d’appartenenza a Lui e alla stessa comunità d’Israele. Così la consacrazione particolare approfondisce la comunione di destino e di missione con tutto il Popolo di Dio e con la sua missione nel mondo.
Questo stile dell’agire di Dio ci rivela la solidarietà che intercorre tra gli esseri umani. Nessuno può pretendere di essere l’uomo, ma solamente tutti insieme, di tutti i tempi, lo siamo. È il mistero della dimensione corporativa e inclusiva delle elezioni di Dio: di Abramo, di Israele, di Maria, di Gesù…, fino a noi5.
Constatiamo, così, che l’avventura di Dio con l’uomo comincia da Dio solo, cioè è puro dono, totale gratuità. Per questo motivo non ci può essere missione se prima Dio non prende, non fa suo e non abilita con una specifica consacrazione colui che vuole mandare per una specifica missione.
Oggi c’è la tendenza a presentare la vocazione missionaria come una risposta ai bisogni del mondo. Certamente è una dimensione irrinunciabile della vocazione che troviamo già nella Sacra Scrittura. Ma la Scrittura enfatizza pure chiaramente che l’incontro con un mondo povero e infelice, che non può salvarsi da solo ed ha bisogno di essere salvato, è assolutamente insufficiente per trasformare l’uomo in portatore della salvezza di Dio; è efficace, quando questa visione è già una visione soprannaturale, perché illuminata dalla fede e dal contatto abituale dell’uomo con Dio, che dirige lo svolgersi della storia. Dio non dice a Mosè: “Pensa alla miseria di questo popolo”, ma: “Io ho visto la miseria del mio popolo” (Es 3, 7). Ecco lo specifico della vocazione e della missione soprannaturale. Perciò non c’è vocazione e non si può parlare di autentica missione, se non viene da parte di Dio un ordine: “ed ora vá; sono io che ti mando” (Es 3, 10). Il tipo di servizio che Dio chiede sarà legato alla vocazione specifica che a ciascuno rivolge; ma rimane evidente che l’autenticità, anzi la possibilità stessa di questo servizio, dipende dal fatto che il chiamato, messosi ormai incondizionatamente nelle mani di Dio, si lascia da lui incondizionatamente usare6.
Affermare questo nesso intrinseco tra consacrazione e missione, non è emarginare l’attività missionaria, ma fondarla. Infatti, ciò che definisce la nostra particolare identità e determina la nostra missione è la nostra particolare appartenenza a Dio, che sfocia nel servizio specifico che compiamo.
Si può concludere, per tanto, che il concetto autentico di missione implica inevitabilmente la consacrazione, come il concetto autentico di consacrazione implica inevitabilmente la missione; consacrazione e missione si richiamano a vicenda e sono inseparabili: non esiste consacrazione senza missione, come non esiste missione senza consacrazione; sono due facce della stessa realtà, così che quando si sottolinea espressamente l’una è sempre supposta l’altra.
“La consacrazione è la libera iniziativa con cui Dio va incontro all’uomo per santificarlo, unirlo a sé e affidargli un incarico a favore dei suoi simili. Non esiste consacrazione che non sia ordinata ad una missione; ed è esercitando che si vive e si attualizza la consacrazione”7.
Inoltre, consacrazione e missione nascono sempre nel seno del Popolo di Dio in funzione della sua missione. La consacrazione, infatti, è dono di Dio al credente, che Dio stesso ha eletto per sé e che destina ad una opera specifica nella realizzazione del suo disegno di salvezza. Essa, per tanto, instaura una relazione nuova non solamente con Dio ma anche con il Popolo a Lui consacrato e con il mondo in continua evoluzione, e sottopone il consacrato a continue verifiche dei suoi atteggiamenti personali a partire dalle esigenze della comunità dell’Alleanza e del mondo (cf RV 16 e Preambolo RV).
Dio, per tanto, al consacrare l’eletto, non lo fissa su interessi individuali, ma lo apre ad una prospettiva comunitaria e missionaria. Dio “consacra” persone per realizzare il suo piano di salvezza. Così la consacrazione, pur essendo un fatto personale, nello stesso tempo è intrinsecamente unita alla finalità che Dio ha stabilito nella creazione e nella redenzione dell’umanità.
Ogni vocazione ha un compito universale e sarà compresa pienamente nella rivelazione finale del Regno di Dio. La consacrazione è legata al piano di Dio e inserisce il consacrato nel grandioso e discreto movimento che, a cominciare dalla creazione fino alla Parusia, realizza il piano divino di riunire tutte le cose sotto il potere di Cristo.
Per tanto, non ha senso concepire la consacrazione in senso intimista o individualista: non c’è autentica consacrazione fuori del contesto universale dell’elezione del Popolo di Dio, fuori della comunione e partecipazione nella sua storia e nella sua missione.
Per evitare questo scoglio, è necessario mantener viva la coscienza circa il fatto che il dono della consacrazione si inserisce nel dinamismo relazionale della persona. La struttura della persona, per sua natura aperta all’incontro con gli altri, si arricchisce e si espande integrando la dimensione comunitaria e missionaria della consacrazione. Chi non mette impegno per realizzare questa integrazione, finisce per negare la propria natura di essere umano creato da Dio come essere sociale. “Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all’uomo, l’uomo cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio coi fratelli”. (GS 25a; cf RV 36; 36.1).
Per tanto, se il consacrato rimane chiuso nelle sue preoccupazioni individuali e personali, anche se sono apostoliche, dimostra che ancora non è riuscito a captare o si è lasciato sfuggire il messaggio e il dinamismo universalista e comunitario che sono insiti nell’intimo di ogni vocazione umana e divina.
L’orizzonte comunitario e universalista inerente alla consacrazione non promuove soltanto il bene e la felicità altrui, ma promuove anche la realizzazione della stessa persona consacrata, che viene spinta a integrarsi progressivamente, a partire dalla sua comunità, in vocazioni che ampliano sempre più gli orizzonti personali e la cerchia comunitaria (cf RV 84; 60; 66; 66.2; 68 ecc.).
Il missionario, accogliendo coscientemente il dono della consacrazione, vive la donazione di sé agli altri come suo impegno fondamentale, che gli dà senso di pienezza di vita e gioia nel darsi, e lo trasforma in strumento di comunione tra le Chiese, le culture e i popoli.
La vita comunitaria dei consacrati sorge in quest’orizzonte e si presenta umilmente e semplicemente come un segno del Regno di Dio che viene.
PER LA REVISIONE DI VITA:
- Che senso ha per te in questo momento della tua vita il fatto che sei una persona consacrata a Dio per l’annuncio del Vangelo ai non-cristiani? Come definiresti con parole tue l’essenza della vita missionaria consacrata? Come percepisci e vivi il dinamismo di reciprocità consacrazione-missione (RV 20-22; 58)? Ti porta all’unità di vita? Ti crea difficoltà, conflitto?
– Consideri la consacrazione come elemento costitutivo della tua vocazione a seguire Gesù per annunciarlo? La coltivi con tutte le tue forze nella preghiera? Ti senti nelle mani di Dio, aperto al dono ricevuto? Ti senti testimone della fede e della fiducia in Dio? Esprimi la tua consacrazione nell’adorazione, nella lode della grandezza di Dio? - Consideri la consacrazione soprattutto sotto l’aspetto istituzionale in funzione di una più efficiente attività missionaria?
– Che significato ha per noi missionari comboniani la Vita Consacrata? Che relazione c’è tra Ministero Missionario e Vita Consacrata? Ti capita di pensare che la tua vita consacrata è come una specie di gabbia che ti imprigiona, come un peso che ti impedisce di camminare?
– Come vedi percepito questo rapporto a livello comunitario, di Istituto?
– Ti accorgi dell’esistenza di veri/e testimoni del carisma comboniano, nel nostro tempo, anche se non appariscenti, e cerchi di seguirne l’esempio, o preferisci solo criticare “quello che non va” (nella comunità, nell’Istituto, nella Chiesa…)? Preghi per quelle persone o situazioni che ti sembrano da “risanare”?
– La missione che sgorga dal Cuore di Cristo e abbraccia il mistero della Croce è forse inconciliabile con le esigenze di giustizia, liberazione, promozione dei diritti umani…? o con la tua realizzazione personale?
– L’aspirazione alla santità è una pretesa “troppo alta” o di altri tempi? - Come vivi la relazione consacrazione-comunione-missione nella vita quotidiana? La nostra vita consacrata è vita condivisa, vita comunitaria. Dai volentieri la mano ai confratelli? Sei capace di condividere con essi il cammino della preghiera, il cammino dell’amore concreto, il cammino della programmazione, delle opere, dei compiti? Comboni ha pensato i suoi missionari come un “piccolo Cenacolo di Apostoli”, che avessero quindi un cuor solo ed un’anima sola. Ti impegni ad accettare questa eredità di Comboni e a trasformarla in principio e base della tua vita missionaria?
- L’attività missionaria ha fondamento ed è credibile al margine del dinamismo consacrazione vita comunitaria?
– Quali sono le motivazioni biblico-teologiche che stanno alla base del dinamismo consacrazione – vita comunitaria – attività missionaria?
1 Cf VV. AA., CRISTO SOMMO SACERDOTE DEI BENI FUTURI, Ed. Esperienze – Fossano, pp. 32-33.
2 F. Pierli – M. T. Ratti, o. c., p. 49.
3 Paolo VI in Documenti del Concilio Vat. II, Sessione IX: Omelia del 7 dicembre 1965
4 J. M. Lozano, Vostro per sempre, p. 431
5 De Gasperis – Carfagna, o. c., p. 37.
6 Arnaldo Pigna, “La vita consacrata”. Nodi Teologici e Soluzioni, Edizioni OCD 1996, p. 144.
7 Agostino Favale, Il ministero presbiterale, LAS – ROMA 1989, p. 249.