– I Parte –

1. Alle sorgenti della vita consacrata missionaria

1.1 La consacrazione–missione del popolo di Dio come evento nella Storia della Salvezza

La Vita Consacrata è una scelta storica di Dio, un’iniziativa dell’amore che Egli, creatore e Padre, ha per il genere umano: un dono quindi che viene dall’Alto e che può essere capito e accolto soltanto con la luce e la forza che vengono dall’Alto (cf S 2742). Per questo, la nostra Regola di Vita ci ricorda che, «l’esistenza del missionario è parte di una storia di salvezza in via di realizzazione (RV 47.2).

Nello svolgimento della Storia della Salvezza, la Vita Consacrata è un evento che nasce perché Dio volge l’occhio della sua misericordia sul mondo bisognoso di essere salvato. L’amore eterno che mosse Dio a creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, apre davanti al genere umano la via della riconciliazione con Lui. Per intervenire nella storia degli uomini e costruire questa Storia di Salvezza, Dio si serve del metodo dell’incontro, fondato nella benevolenza e nell’amore misericordioso che nutre per ogni essere umano1. Dio comincia dall’incontro con diversi personaggi (Noè, i Patriarchi, Mosè, ecc.); quest’incontro poi sfocia e diviene paradigmatico nella costituzione del popolo di Israele, chiamato a essere ambasciatore di Dio presso l’umanità. Così un gruppo umano irrilevante, in virtù del suo particolare rapporto con Dio, viene introdotto nel Mistero della salvezza, che la Sapienza divina vuole realizzare nel tempo a favore di tutti i popoli; per mezzo della storia particolare d’Israele, Dio si apre il cammino nel mondo per farsi “vicino” di ogni uomo e donna e riunire tutti i popoli in un’unica famiglia.

Nella misura in cui Dio rivela a Israele il suo Nome di Jahvè-Signore, il suo amore si intensifica ed assume tonalità sempre nuove, fino ad arrivare al vertice nella persona di Gesù di Nazaret: “nato da donna” (Gal 4, 4) in uno spazio e in un tempo determinati (segnato quindi dal particolare), con una missione globale per tutti gli ambiti e per tutti gli istanti della storia.

La consacrazione nasce da questa attività salvifica di Dio nella storia, mediante la quale sceglie persone concrete e un determinato popolo e si coinvolge con la storia degli eletti, cioè li consacra, per farli strumenti della salvezza che vuole offrire a tutta l’umanità. Questo gesto di elezione non è dettato dalla virtù o dalle qualità delle persone ma è totalmente gratuito. Agendo in questo modo, Dio dimostra a tutti che la Gloria divina consiste nel mettere la sua potenza a servizio dell’amore che nutre verso l’intera umanità, a cominciare dai più abbandonati, scommettendo sulla fragilità umana dei suoi “consacrati”.

All’origine di ogni consacrazione, per tanto, c’è l’azione salvifica di Dio che chiama, offre al chiamato la sua presenza salvifica e trasformante e lo riserva per una missione in favore dell’umanità. Questo è il senso profondo della consacrazione che emerge nel percorso della Storia della Salvezza attraverso l’Antico e il Nuovo Testamento.

1.2 Al principio era la consacrazione

Secondo i primi capitoli della Genesi (1-3 => Ef 1, 3-14) l’uomo fu creato da Dio “consacrato”, cioè, in modo tale da essere sempre orientato a Lui con tutto il suo essere e così vivere in comunione d’amore e d’amicizia con il suo Creatore. Per questo, “è iscritto nel fondamento della nostra anima che veniamo da Dio e che solo in lui possiamo trovare la nostra patria definitiva. La nostalgia di Dio è il compasso innato della nostra vita che ci orienta verso di lui per insegnarci ad ascoltarlo, a guardarlo e a confidarvi”2.

La consacrazione, per tanto, fa parte della natura dell’uomo, costituisce la sua condizione originaria e la sua beatitudine. Essa è… Dio stesso, che si realizza come amore nelle creature umane, fatte a sua immagine e somiglianza; ed è anche l’uomo che, vivendo il suo orientamento verso Dio, è in armonia con la natura, in pace con gli altri uomini e in unità con se stesso. È strutturata come una relazione di alleanza, in cui è fondamentale la reciprocità del dono di sé: Dio è dono per l’uomo e l’uomo è chiamato ad essere dono per Dio.

La consacrazione originaria dell’uomo può essere compresa e approfondita, partendo dal “carattere verginale-sponsale dell’essere umano”3. Infatti:

“La verginità dice in qualche modo la natura dell’essere umano, il suo carattere verginale, perché egli viene da Dio ed è orientato verso di lui; e vergine, nella sua essenza, significa proprio questo riferimento immediato (=senza mediazioni), inevitabile, iscritto profondamente nella natura, della creatura con il creatore: la verginità è l’espressione dell’origine dell’uomo, creato da Dio, e dunque anche della sua destinazione finale, che è Dio stesso. La prima ed ultima sponsalità dell’uomo è con Dio. Ogni uomo, allora, è vergine ed è chiamato a esserlo, secondo la specificità della sua vocazione, e la verginità in ogni caso, non può essere ridotta a pura caratteristica di uno stato vocazionale, poiché dice invece un aspetto fondamentale della persona umana. […] Dire che una persona è vergine ed è chiamata ad essere tale significa dire che nel cuore dell’essere umano c’è uno spazio che soltanto l’amore di Dio può riempire, o c’è una solitudine insopprimibile che nessuna creatura potrà violare e pretendere di riempire; vuol dire indicare la dignità e nobiltà di ogni uomo e di ogni donna, perché il suo cuore che è fatto “da” Dio e dunque “per” Dio, possiede una grandezza che gli viene direttamente da colui che l’ha fatto”.

La consacrazione originaria dell’essere umano, per tanto, lo rimanda continuamente alle sue radici divine e lo proietta a cercare la sua piena realizzazione nel dono totale di sé a Dio in comunione e solidarietà con tutti gli altri uomini e donne.

Cadendo nel peccato, l’uomo si è allontanato da questo orientamento verso Dio. L’effetto più devastante fu la dualità che da allora in poi cominciò a sperimentare in sé. Vivendo riferito a se stesso, l’uomo venne a trovarsi in una contraddizione radicale con l’Amore “fontale” da cui proviene e con quell’amore universale per il quale era stato creato.

Ma Dio non rinuncia al suo disegno d’una umanità “consacrata” nel suo amore e concepisce un progetto per ri-consacrarla, in cui si serve di persone che Lui stesso elegge e “consacra”.

1.3 La consacrazione per la missione nella Storia della Salvezza

Ha inizio così la Storia della Salvezza, scandita dalla “consacrazione” come “riserva” di persone con una missione da compiere per radunare insieme i figli di Dio che si erano dispersi. È una consacrazione che è “benedizione” anzitutto per l’eletto, ma che è sempre un compito affinché la benedizione di Dio possa raggiungere tutta la terra, superando le barriere del peccato; mai è un premio esclusivamente personale, anzi a volte diviene “privilegio” di morire per gli altri.

1.4 Due Cuori perfettamente consacrati e autenticamente vergini:
il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria

Al vertice di questa storia di “vite consacrate”, vengono creati da Dio due Cuori, perfettamente consacrati e autenticamente vergini, Cuori tipo nell’opera divina di ri-consacrazione del mondo: il Cuore di Cristo, Immagine del Padre e in cui il Padre ripone tutta la sua compiacenza; “Volto umano” dell’Amore trinitario, amore puro, pieno, comunione perfetta; Cuore vergine-povero-obbediente, santificatore e redentore dell’umanità, in cui rifulge la sua donazione incondizionata al Padre, l’universalità del suo amore per il mondo e il suo coinvolgimento nel dolore e nella povertà degli uomini; ed il Cuore di Maria, Cuore Immacolato fin dalla Concezione della Madre sempre Vergine di Cristo Gesù, associata al Figlio nell’opera della Redenzione e da Lui costituita Madre dell’umanità intera; Cuore di Maria di Nazaret, donna che cammina nel silenzio e nell’ascolto, docile nelle mani del Padre e alla voce dello Spirito, esempio di perfetto amore e modello di consacrazione totale alla persona e all’opera del Figlio suo.

Sono i due Cuori che hanno modellato il beato Daniele Comboni nella sua vita di “consacrato” per la rigenerazione o ri-consacrazione dell’Africa.

2. L’elezione e la consacrazione d’Israele

La consacrazione come “riserva-missione” ha la sua origine nella elezione e consacrazione d’Israele, il cui compimento si effettua nel Popolo della Nuova Alleanza.

Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati (cf 1Tim 2, 4; RV 57).

Questo piano di salvezza comincia da Dio, e da Dio solo; per realizzarlo, egli “chiama” e “consacra”.

Prima di tutto chiama le Nazioni: tutti i popoli sono chiamati a entrare ed essere partecipi della salvezza (Ez 18, 23.32; 33, 11; Sap 1, 13; 11, 23 12, 1), affinché coloro che lo cercano lo possano trovare e così tutti i suoi figli, ovunque dispersi, si ricongiungano a Lui, Creatore e Redentore dell’umanità.

Per realizzare questo disegno, Dio chiama ed elegge Israele, che diviene un popolo consacrato al Signore, il Popolo dell’Alleanza. Così, per iniziativa divina, Israele è una Nazione, un popolo “santo” fin dall’alba della sua storia: Es 19, 5-6; 22, 30; Dt 4, 20; 7, 6-8; 14, 2.21; 26, 19; 28, 9; Is 62, 12; Ger 2, 3, ecc. …

Così nella vicenda biblica i protagonisti sono il Signore Dio, le nazioni e Israele; Dio, tutta l’umanità e Israele quale sacramento e primizia dell’Alleanza salvifica intesa fin dal principio e finalmente proposta da Dio a tutti gli uomini e a tutte le donne della storia (cf Is 19, 16-25)4.

Per questo, nella Legge e nei Profeti risuona continuamente la chiamata rivolta a Israele come invito all’ascolto, per mantenersi fedele: – “Ascolta, Israele”, è il primo comandamento che regola la vita consacrata di Israele: Dt 4, 1; Is 41, 8; Ger 2, 4; Sl 81, 9; Sap 18, 8.

Il primo passo nella formazione di questo popolo è la “chiamata” di Abramo: la sua avventura di fede segna l’inizio d’Israele come popolo consacrato a Dio e abbraccia la totalità delle nazioni. Per la sua docilità alla voce del Signore, Abramo è entrato come collaboratore nel disegno divino: Dio l’ha costituito principio del suo Popolo e nello stesso tempo depositario delle sue promesse di benedizione per tutti i popoli: Gen 12, 1-3. Di fatto da Abramo nascerà Isacco, da Isacco Giacobbe, dai figli di Giacobbe avranno origine le dodici tribù d’Israele; e dal popolo d’Israele, dalla tribù di Giuda e dalla famiglia di Davide, nascerà Gesù e in Lui sono benedetti tutti i popoli della terra.

Al centro dell’avventura missionaria di Abramo c’è l’“alleanza”, che Dio stabilisce con lui e con la sua discendenza; sigillando quest’alleanza con un sacrificio (Gn 15, 7-21) e con la circoncisione (Gn 17), Dio sottolinea il fatto che Abramo e i suoi discendenti saranno davanti a Lui in una situazione o relazione particolare: da questo momento in poi Dio sarà il “Dio di Abramo”, un Dio vicino, amico, legato ad Abramo di generazione in generazione in virtù della promessa fattagli, impegnato nell’avventura umana a fianco degli uomini e donne di tutti i tempi.

A questo punto emerge il significato e la peculiarità della “consacrazione” d’Israele: nella sua esperienza religiosa, non arriva a Dio attraverso ragionamenti astratti, ma entrando in un rapporto d’amore con Lui, che tocca e impregna tutta la vita dell’essere umano.

Una tappa decisiva nel cammino d’Israele come popolo consacrato è costituita dalla stipulazione dell’Alleanza al Sinai (Es 19, 3-6).

Nella traversata del deserto, Israele gode della più intima esperienza con Dio al punto che la sua storia si arresta per fondersi con la storia di Dio (Dt 9 11). Sul Sinai, infatti, Dio lo elegge gratuitamente a essere fra tutti i popoli della terra il privilegiato popolo di Jahvè, un regno di sacerdoti, una nazione santa. Esso resterà isolato e non annoverato fra i popoli della terra (Num 23, 9), perché  dice il Signore  “Io non ho conosciuto che voi tra tutte le stirpi della terra”.

Da questo momento viene consacrato a una nuova esistenza, a una esclusiva missione di salvezza fra le Genti.5

La storia della vita consacrata d’Israele, cominciata con Abramo e professata formalmente sul Sinai dopo l’esperienza della schiavitù in Egitto, anche se per le sue infedeltà viene ridotto ad un “resto”, termina con l’ultima pagina dell’Apocalisse, dopo aver raggiunto il suo culmine e compimento nella persona di Gesù. È quell’avventura che viene chiamata storia della salvezza: la storia particolare di salvezza di tutte le nazioni, mediante la diaconia d’Israele. Una storia, che costituisce la risposta di Dio alla situazione di inquinamento prodotta dal peccato, che dilaga in tutta l’umanità e che consiste nella progressiva e totale confusione dell’ordine morale, che ridonda nell’intera creazione.

Per tanto, la vera svolta salvifica per gli esseri umani comincia da Dio che è l’unico che può salvare e che, nella sua misteriosa sapienza, adotta la strategia della radicale sproporzione tra i mezzi e il fine che si propone. La risposta che Dio offre ad una situazione di degradazione che investe tutta l’umanità, è affidata a un uomo solo, straniero e pellegrino; prosegue con la storia di un gruppo di nomadi pellegrini verso la patria che è “una terra di pellegrinaggio”, “una terra dove si è forestieri”6 e raggiunge il culmine quando un uomo solo viene crocifisso sul Calvario fuori delle mura di Gerusalemme e consegna il suo spirito a Dio. È attraverso la precarietà che la salvezza divina raggiungerà tutti gli uomini e tutta la terra.7

È attraverso il mistero della solitudine volontaria, del cuore incorrotto, appartenente in maniera assoluta a Dio, che parte la riscossa della pace e della riconciliazione, della comunione e della solidarietà universale.8

Così Israele comincia a vivere come Popolo di Dio in mezzo alle nazioni pagane con una missione specifica e universale: quella di essere testimone di un Dio che allaccia un’alleanza con gli uomini e di compiere la riunione di tutti i popoli, guidati dalla luce del Signore: Is 2, 2-5; 66, 18-24.

L’elezione e la consacrazione a Dio sono, per tanto, l’ultimo fondamento dell’essere d’Israele come popolo santo (Es 19, 6). In quanto nazione consacrata a Dio, il Popolo eletto, diviene il suo primogenito (Es 4, 22s), porzione del Signore (Dt 32, 8-9), la sua proprietà fra tutti i popoli (Es 19, 5), la sua piantagione preferita (Is 5, 7), il popolo da Lui scelto (Is 41, 8-9) che viene introdotto nell’intimità dell’amicizia divina ed è investito d’una missione in favore di tutta l’umanità. Il vero significato della storia di Israele è che questo popolo si realizzi come amico e cooperatore di Dio (Is 41, 8-9; Is 49, 1-6).

Israele appare, per tanto, come un popolo che vive la tensione tra l’elezione esclusiva e il destino universale, tra la forza che l’attira verso il centro di se stesso come nazione santa e la forza che l’apre al mondo. La ragione di questa tensione sta nel fatto che la grazia dell’elezione richiede la promozione a una costante vita di fraternità e solidarietà, che si esprime nella rinnovazione dell’Alleanza (Es 24) ed una adeguata educazione per la missione da compiere (Is 49). Questa tensione è l’atteggiamento che caratterizza il Magnificat della Vergine Maria: lo sguardo verso se stessa (alla luce di Dio) diventa sguardo verso la storia (“tutte le generazioni”).

In vista della sua consacrazione-missione, Israele ha ricevuto un insieme di beni soprannaturali, di privilegi divini: Rom 9, 4-5: l’adozione a figli (Es 4, 22); la gloria di Dio (Es 24, 16), che dimora in mezzo al popolo (Es 25, 8); le alleanze con Abramo (Gen 15, 1), Giacobbe-Israele (Gen 32, 29), Mosè (Es 24, 7-8); il culto reso al solo vero Dio; la Legge, espressione della sua volontà; le promesse messianiche (2Sam 7, 1) e l’appartenenza alla stirpe di Cristo.

Questi beni sono come talenti affidati al Popolo eletto affinché diventi:

  Il popolo testimone di Dio: gradualmente Dio elegge per sé questo popolo, lo consacra come nazione santa (Es 19, 16), assemblea di Dio (Ne 13, 1), affinché sia un popolo santo, consacrato a Dio, messo per gloria, rinomanza e splendore sopra tutte le nazioni (Dt 26, 19), per testimoniare così che Dio è l’unico Dio, il solo Santo: Is 43, 10-13; 55, 4; Lv 11, 44-45; 19, 1-2; 20, 7.26; 21, 8; 22, 32-33; Dt 22 25; Pr 11, 1; 16,11; 20, 10.23; Ez 36, 16-36; Am 2, 6-15; 8, 4-8; Mi 6, 10-11; ecc.

  Il popolo della speranza messianica: la vita d’Israele è un’esperienza religiosa, che aspira alla sua espressione definitiva ed universale (Is 49, 6; 52, 10) nella pienezza dei tempi. La religione dell’Antico Testamento conteneva soltanto l’ombra della realtà che si trova nel Signore Gesù (Col 2, 17; Gal 3, 23; Eb 9, 23; 10, 1). Nella persona di Gesù, Dio ci parla senza parole e senza figure (Gv 16, 25-29).

  A servizio dell’umanità: l’umanità è chiamata a fissare lo sguardo verso il popolo testimone e ad ascoltare il messaggio del popolo messianico, destinato a diventare benedizione per tutte le famiglie della terra: Gn 12, 1-3; Is 45, 20-24; 60.

2.1 La consacrazione d’Israele come sequela

Un punto costante di riferimento nel cammino d’Israele come popolo consacrato è la sequela: il popolo è chiamato a seguire Dio.

Il paradigma di questa sequela è l’esperienza del deserto.

In fatti, quando i figli d’Israele, si trovano nella terra della schiavitù, Dio appare a Mosè, per affidargli l’incarico della liberazione del suo popolo (Es 2 3). Dio vuole che questa liberazione si realizzi proprio attraverso la via della steppa, dove il popolo ebraico deve assicurare la propria sussistenza soltanto con il ricorso a Lui. Dio stesso fa strada al suo popolo, e nella vastità del deserto non rimane altra speranza e salvezza all’infuori di seguire Dio, che dà sempre il segno di cominciare la marcia o di fermarsi attraverso la nube o la colonna di fuoco, in cui è nascosto Dio stesso (Es 13, 21-22; 40, 36-38).

La mancata obbedienza a questo segno provoca difficoltà nella marcia del popolo; ogni volta che il popolo farà appello alle proprie forze, si vedrà travolto e decimato dal furore e dalla potenza devastatrice del deserto (Es 13, 17 40, 38), perché è precisamente nella sequela, nell’abbandono, nella fiducia, nella donazione totale a Dio che Israele si realizza come il privilegiato popolo di Jahvè, un regno di sacerdoti, una nazione santa. All’infuori di questa comunione con Dio c’è il vuoto del fallimento.

2.2 La consacrazione d’Israele e il Tempio

Un altro punto di riferimento nel cammino d’Israele come popolo appartenente e seguace dell’unico Dio, è la stessa terra d’Israele, che è appunto una Terra Santa, in cui si distinguono “luoghi santi”, tra cui emerge il Tempio.

Infatti, ad un certo momento della storia d’Israele, è costruito e s’impone il Tempio (cf 1Re 5 9).

“Al centro del mondo si trova la Terra d’Israele e, al centro d’Israele, si trova Gerusalemme; il centro di Gerusalemme è la Dimora del Dio vivente, il Tempio. E il centro del Tempio è il “Santo dei Santi”. L’ombelico dell’universo dove l’uomo trova la vera vita, la montagna designata da Dio ad Abramo come il luogo dell’amore donato, dove fu legato Isacco. Luogo scelto dall’eternità per la redenzione: è il monte Moria dove Dio apparve e fece luce.

La tradizione ebraica vede in esso il punto esatto su cui Salomone, il re della sapienza, fece costruire il primo Tempio (verso il 970 a.C.), circa nove secoli dopo che Abramo accettò di offrire a Dio l’unico figlio del suo amore.

Il Tempio è “quel luogo”, “hammaqom”, in cui risiede e si manifesta agli uomini la presenza di Dio. Dalla dimora del suo santo Nome, il Santissimo ascolta ed esaudisce la preghiera, bagna di pioggia la terra, perdona i peccati, concede la vittoria sul nemico, dispensa la sua misericordia anche agli stranieri venuti a causa della grandezza del suo Nome, perché tutti i popoli della terra riconoscano il suo Nome e lo temano, come fa il suo popolo, Israele, e sappiano che il Tempio porta il suo nome (2Cr 6, 32-33). “Il mio Tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (Is 56, 7)”9.

È il luogo dove l’uomo esce dalla sua profanità e s’incontra direttamente con Dio, e Dio, quasi superando le barriere della sua trascendenza, si mette a disposizione dell’uomo. Il popolo, per mezzo dei suoi pellegrinaggi e delle grandi feste, tutte centrate sul Tempio, esce dalla sua vita normale, s’incontra con Dio, viene purificato, offre i suoi sacrifici per il peccato e per tutto ciò che può aver indebolito l’Alleanza; in virtù di questo contatto con Dio, si rinnova e ritorna alla sua vita quotidiana, con la ferma volontà di essere “se stesso”, cioè il Popolo di Dio nel quotidianità della vita davanti alle Nazioni.

Un elemento importante, unito al Tempio, è l’aspetto di novità, che caratterizza l’incontro con Dio. Infatti, quando il popolo si presenta davanti a Dio nel Tempio, si rinnova. Ma questo rinnovamento non si limita al semplice mettersi in ordine, togliendo gli ostacoli del peccato, ma comporta “qualcosa di nuovo”, che è “quel qualcosa di più”, che il popolo riesce a captare riguardo al Mistero di Dio e che lo lancia verso nuove prospettive, esigenze, conoscenze, cammini e mete. Dio si comunica, e l’Infinito non può essere accolto in una sola volta dal cuore umano, che è finito, ma con capacità di continua espansione. Per questo, Dio, offrendo e chiedendo sempre più, spinge i cuori umani a penetrare sempre più nel suo Mistero.

Riflessione per la revisione di vita:
lo stupore in Maria madre di Gesù

La consacrazione, come evento nella Storia della Salvezza, raggiunge il suo apice nella persona di Gesù di Nazaret, “nato da donna” (Gal 4, 4), cioè dalla Vergine Maria.

Questa “donna”, tipo della Chiesa nel suo cammino verso la perfezione del Regno e figura della Chiesa in preghiera, conferisce alla vita consacrata una valenza mariana. Per questo, nel vivere la consacrazione il comboniano riconosce Maria come modello, si affida con fiducia a lei e impara ad ascoltare la Parola di Dio come lei (cf RV 25; 47.3).

Per approfondire la valenza mariana della nostra consacrazione, ci può essere di aiuto una riflessione di Sr. Filippa Castronovo, religiosa paolina.

In questa riflessione ci viene offerta un visione della consacrazione come spazio esistenziale che Maria offre a Dio solo e che si sviluppa in sinergia con la capacità di “stupore di Maria” di fronte all’azione di Dio in Lei.

«Mi affascina soffermarmi intorno alla figura di Maria sentendola madre e sorella nel mio cammino di fede, che considero pellegrinaggio fatto di stupore e ammirazione di Dio, che fa cose grandi. Maria, la piena di grazia, è persona di molto stupore, di poche parole e di grandissimo ascolto. Luca, fin dal primo racconto, quello dell’annunciazione, presenta Maria turbata poi stupita, e quindi pronta a camminare nell’imprevedibile novità di Dio. Luca precisa: “Maria a quelle parole, rimase turbata” (Lc 1,29). Dopo aver superato il turbamento, dinanzi all’inatteso saluto dell’Angelo ed al fatto che questi le comunica non solo di divenire madre, ma di divenire madre di un Messia che è unicamente figlio di Dio, si autodefinisce la ‘schiava del Signore’ e decide gioiosamente di mettersi nelle sue mani, con una espressione che significa: “La mia vita è nelle tue mani, o Signore. E tale sia!” (Lc 1,38). Ma è dovuta passare dal turbamento allo stupore della fede. Il termine greco ‘turbarsi’ indica il turbamento vissuto delle donne al sepolcro (cf Mc 16, 5-6). Esse si sono, d’improvviso, trovate dinanzi a una novità che sconvolgeva i loro piani, le loro convinzioni, le loro emozioni. Il ‘turbamento’ rivela la percezione che la vita sta per prendere una piega totalmente nuova, come se venisse scossa da un terremoto che fa sobbalzare la terra. Quando, però, il turbamento si traduce in stupore, allora, ci si innalza fino a Dio. Nella Bibbia lo stupore è la condizione necessaria per ascoltare Dio e per aprirsi al suo mistero d’amore. Lo stupore non è, quindi, una reazione di poco conto, è via alla fede come pellegrinaggio gioioso. Il discepolo è uno che si lascia stupire da Dio, si pone in cammino nella sua via, confortato dalla sua Parola e dalla sua presenza.

Maria, che si è posta nelle mani di Dio, si mette in cammino e va da Elisabetta che la saluta in modo insolito: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno”. Anche Elisabetta è attraversata da grande stupore: “A che debbo che la madre del mio Signore venga fino a me?”. “Beata colei che ha creduto” (Lc 1,42-45). Vede in Maria la credente che si affida a Dio e parte, come Abramo, e come prega il salmista: “Beato chi trovando in te la sua forza decide nel suo cuore il santo viaggio” (Sal 83). Maria sa di essere beata (felice) perché Dio l’ha colmata della sua benedizione. Risponde ad Elisabetta lodando Dio, che l’ha benedetta. La lode ricevuta, dalla bocca di Elisabetta, rimbalza verso il Signore, che non finisce di stupire. Maria parla ad Elisabetta parlando del suo Dio, parlando, con cuore aperto, e pieno di entusiasmo, al suo Dio: “Magnificat”!

Il cantico di Maria (Lc 1,46-55) rievoca i grandi temi biblici, che mostrano Dio capace di fare cose nuove, di rendere possibile l’impossibile, di cambiare le sorti della storia, e come diremmo oggi, di far cadere i muri di Berlino. Maria ha capito che lei è una semplice creatura, ma Dio, che è intervento nella sua vita, è il vero grande! In lei ha fatto grandi cose. Se le ha fatte per lei, le compie anche per tutto il popolo d’Israele. Così come ha agito con fedeltà nel passato sta operando nel presente e opererà con la stessa fedeltà nel futuro. Un altro momento di gioia e stupore di Maria è, senza dubbio, la nascita di Gesù. Anche in questo evento, Maria è donna dello stupore che le favorisce il ‘conservare’ (= radicare nel cuore) la Parola. Il bambino annunciato, come figlio di Dio, nasce in una umiltà che non può non stupire.

È possibile tutto questo! Così il figlio di Dio!

Nella linea di un crescente stupore, Luca presenta la nascita di Gesù con una serie di personaggi, posti in questo ordine: l’imperatore, il governatore, Giuseppe, Maria e il bambino. Maria, certamente, comprende che l’ultimo personaggio, il bambino, il più umile ed indifeso, è il vero grande. Ella, silenziosamente, lo avvolge in fasce. Non è questo un particolare insignificante. Secondo Sap 7, 4-5 richiama il re Salomone, che era stato avvolto in fasce. L’umile bambino di Betlemme, è il vero principe della pace. Maria lo aveva capito!

Ed ancora, intorno a questo bambino ci sono i pastori che, socialmente ultimi, accolgono l’annuncio e, pieni di gioia, vanno a trovare il bambino. Ci sono anche “tutti quelli che udirono”. Infine, c’è Maria. Di questi tre gruppi la figura centrale è Maria. Non solo perché è la madre ma perché, avvolta dallo stupore, osserva e non parla. È l’unica che, con stupore, interroga gli avvenimenti, apparentemente strani, per ascoltarli e viverli come parola di Dio, senza perderne alcuno. Luca sottolinea che tutti quelli che udirono si meravigliarono. Quale l’effetto della loro meraviglia? Essa viene sopraffatta dal quotidiano. Di tutti questi non sappiamo più nulla. I pastori lodano Dio. Quale l’effetto di questa lode? Anche di essi non sappiamo più nulla. Maria, invece, “Conservava queste cose meditandole nel cuore”. Li conserva e medita perché, pur non comprendendo subito tutto, si lascia stupire! Negli avvenimenti che confrontava l’uno con l’altro continuava, infatti, ad ascoltare la parola di Dio e a dichiararsi la sua serva o la schiava nelle mani del suo padrone. L’espressione che chiude il racconto della nascita di Gesù chiude anche il racconto del ritrovamento al Tempio e dei racconti dell’infanzia. Gesù a Maria e a Giuseppe, stupiti nel vederlo ragionare con i dottori delle legge, risponde: “Perché cercarmi? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,48-52). Maria, avrà capito poco della risposta di Gesù, ma non ha permesso che l’incomprensione del momento amareggiasse il suo cuore. Al contrario, ha vissuto lo stupore che apre il cuore agli orizzonti di Dio che cura le miopie umane. Grazie a questo stupore, Maria continua a compiere il suo pellegrinaggio di fede, fin sotto la croce di Gesù, pronta a riceverci tutti nel suo cuore come figli.

Maria, madre di Gesù e madre nostra, ha vissuto la certezza di essere “nelle mani di Dio”. Questa certezza si chiama gioia, anzi è la gioia! È possibile viverla se, come Maria, ci si pone dinanzi a Dio con animo aperto e senza pregiudizio. È possibile se, come Maria, impariamo a ricercare il come rispondere a Dio e non tanto a domandare a Dio il perché delle sue decisioni e azioni. Il perché sgorgadalla pretesa di volere un Dio a nostro servizio e crea malessere e immobilità, il come nasce dallo stupore che pone nel cammino di Dio che fa splendere di luce anche la notte.

***

  • Che posto ha nella tua vita, oggi, che viviamo in un mondo fatto di tante parole, il valore dell’ascolto e del silenzio che suscita stupore e gioia di vivere, trasformandosi in sorgente di vera comunicazione con Dio, se stessi e gli altri?: RV 46-47; 92.4
  • Sei consapevole che una cosa è parlare di Dio, e un’altra cosa è Dio stesso, cioè navigare nel mare infinito di Dio-Amore, Padre di tutte le genti?: RV 20; 46; 81
  • Ascoltando Paolo che insiste: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù», cresce in te il desiderio di conoscere sempre più da vicino il Cuore di Gesù, di scoprire e di partecipare sempre più intensamente nella vita intima di Lui?: RV 3. 2 .

1 Fidel González Fernández, I movimenti. Dalla Chiesa degli apostoli ad oggi, Ed. Rizzoli 2000, p. 13-15.

2 Franz Jalic, Desiderio di Dio, Ed. Ancora 2000, p. 257.

3 Questa descrizione viene fatta dal P. Amedeo Cencini in una sua “Riflessione in margine al Congresso Vocazionale Nordamericano” (Montreal 18-21 Aprile 2002), dove riassume il suo pensiero sviluppato nel libro Un Dio da amare. La vocazione per tutti alla verginità, Milano 2002, pp. 11-16.

4 F. Rossi de Gasperis – A. Carfagna, Prendi il libro e mangia! 2.Dai Giudici alla fine del Regno, EDB, p. 24.

5 Pia Compagnoni, Terra Santa, Milano 1972, p. 102.

6 Cf Gen 17, 8; 28, 4; 36, 7; 37, 1; Es 6, 4; Ez 20, 38.

7 Francesco Rossi de Gasperis – Antonella Carfagna, Prendi il libro e mangia! 1. Dalla creazione alla terra Promessa, EDB 1997, p. 37.

8 F. Pierli – M. T. Ratti, o.c., p. 94-95.

9 Da: Sulle orme di Gesù-1, Ed. audiovisivi, Paoline, p. 16.