Paragrafi estratti da “Storia d’Israele dalle origini al periodo romano
Luca Mazzinghi – Edizioni Dehoniane Bologna 2008

PREFAZIONE

Nel leggere la Bibbia ci troviamo continuamente di fronte a nomi di località o di personaggi spesso ignoti, a narrazioni di eventi la cui portata storica ci sfugge, cosa che rende il testo biblico oscuro e non di rado incomprensibile. D’altra parte, si è spesso portati a identificare in modo molto semplicistico il racconto biblico con i dati della storia reale; più chiaramente, a leggere la Bibbia con superficialità, dando per scontato che ogni racconto che essa narra deve essere senz’altro vero: quando però si scopre che questa corrispondenza non sempre è possibile, anzi, che esiste spesso uno scarto tra ciò che la Bibbia racconta e ciò che è realmente avvenuto, il lettore prova un’impressione di grande sconcerto.

Il concilio Vaticano II ci ha insegnato che la verità della Bibbia è prima di tutto di ordine salvifico, ciò che Dio ha voluto fosse scritto «per la nostra salvezza» (Dei Verbum, n. 11). Ci troviamo perciò di fronte a una «storia sacra» che rilegge, interpreta, attualizza i dati storici reali in vista del messaggio che i diversi autori biblici intendono dare, quel messaggio che, per il credente, è parola di Dio. Una «storia» perciò che non è sempre identica a quella che studiamo sui libri e che, anzi, spesso è molto diversa.

Affrontare lo studio della storia di Israele è quindi necessario come strumento indispensabile, non tanto per dimostrare che «la Bibbia aveva ragione» (per parafrasare il titolo di un noto libro) e neppure che essa aveva torto, quanto per comprendere meglio ciò che vuole realmente comunicarci. Fin dall’inizio del nostro studio deve essere chiaro che i racconti biblici non sono stati scritti prima di tutto per «informare» il lettore (o, meglio, l’ascoltatore – visto che la Bibbia si ascoltava prima che leggerla), ma per «formarlo», per educarlo all’accoglienza della parola di Dio.

(L’ultima parte della prefazione è stata omessa).

IL PROBLEMA DEL METODO

Ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. (Lc 1,3-4)

Nell’affrontare l’argomento «storia di Israele» il lettore della Bibbia rischia di sentirsi subito a disagio: egli ha spesso in mente infatti non la «storia» ma le «storie» che la Bibbia racconta, dalla creazione ai patriarchi, dal re David ai profeti, fino alle «storie» su Gesù; si tratta di episodi che spesso si collocano su uno sfondo molto nebuloso, tanto che a volte si è tentati di pensare che si tratti quasi di favole.

D’altra parte, lo stesso lettore è spesso digiuno di storia e, pensando alla storicità della Bibbia, lo fa in termini banali: questo episodio, che essa ci narra, è avvenuto realmente, sì o no? E se la risposta è «no», oppure «forse», tutta la Bibbia rischia per lui di essere messa in questione.

In questo brevissimo capitolo non sarà affrontato il problema della verità della Bibbia – verità che, sia detto per inciso, non è principalmente di ordine storico (cioè la Bibbia è vera perché narra fatti realmente accaduti), ma di ordine salvifico (la Bibbia è vera perché tutto ciò che è in essa è vero relativamente alla nostra salvezza, vedi quanto si legge al già ricordato n. 11 della Dei Verbum). Ci limiteremo qui ad indicare un metodo che ci permetta poi di presentare, in modo speriamo adeguato, i tratti fondamentali della storia di Israele.

* * *

Nel 1932 apparve in Italia la Storia di Israele dell’abate Ricciotti (ed. SEI Torino), nota ben presto anche fuori dai confini nazionali: in quest’opera l’autore si limitava a parafrasare con sapienza il testo biblico, arricchendolo, là dove possibile, di materiali, testi e documenti provenienti dal Vicino Oriente antico, dando così la rassicurante impressione che la storia di Israele si identificasse di fatto con quella narrata nella Bibbia. Questa tendenza a considerare i testi biblici come fondamentalmente storici e a confermarli con l’uso massiccio di prove archeologiche è tipica della cosiddetta «scuola americana», sviluppatasi nell’immediato dopoguerra sulla scia degli studi dell’archeologo W.F. Albright; la Storia di Israele di J. Bright, pubblicata per la prima volta nel 1959, ne è forse l’esempio migliore. Posizioni simili sono ben note al grande pubblico attraverso testi come il libro di W. Keller, apparso in prima edizione nel 1955 con il titolo tedesco Und die Bibel Hat doch Recht, noto in italiano come La Bibbia aveva ragione, ancora oggi molto diffuso.

Negli ultimi anni sono venute sviluppandosi posizioni molto meno ottimistiche, come quelle diffuse in alcuni libri recenti (G. Garbini, M. Liverani, I. Finkelstein – N.A. Silberman), che minano le fondamenta, ritenute così sicure, delle scuole precedenti. Così scrive ad esempio G. Garbini: «I racconti che si trovano nella Bibbia ebraica tutto sono meno che storici, ed è pertanto ozioso cercare in essa una “idea storica”…».[1] L’orientalista italiano M. Liverani e l’archeologo israeliano I. Finkelstein parlano apertamente, a proposito della storicità di molti testi biblici, di «invenzione» e di «prodotto geniale dell’immaginazione umana». Anche il più moderato J.A. Soggin, autore dell’importante Storia di Israele pubblicata in prima edizione nel 1984, pur non condividendo in pieno le posizioni estreme di Garbini, afferma, a proposito dei patriarchi, che, pur non intendendo «negare aprioristicamente la possibilità che singole tradizioni siano antiche e possano essere ricondotte a epoche prossime agli avvenimenti e alle persone narrate»,[2] quello che manca allo stato attuale delle ricerche è la possibilità di una qualunque verifica. Più drasticamente, lo stesso Soggin può affermare che «quello che sappiamo sulle origini del popolo: patriarchi, esodo, conquista, appare del tutto leggendario e il poco che riusciamo a stabilire contraddice piuttosto che confermare i testi biblici».[3] È invece possibile, nota Soggin, accertare quello che Israele confessava della propria fede molti secoli dopo i fatti narrati.

Da un estremo all’altro, dunque; oggi non è più possibile scrivere una storia di Israele rileggendo semplicemente la Bibbia: per tentare di uscire da questo vicolo cieco sottolineiamo adesso tre punti importanti da tenere sempre ben presenti.

I. L’uso delle fonti extrabibliche

Per «fonti extrabibliche» si intendono tutti i documenti scritti (papiri, tavolette, iscrizioni…) provenienti da fonti estranee alla Bibbia e relativi in qualche modo alla storia di Israele.

A partire dal IX-VIlI secolo a.C. cominciamo ad avere fonti di questo genere che ci informano su alcuni aspetti della storia di Israele. Il grande problema per lo storico biblico è che, prima di tali date, si parla di Israele solo in due testi: la stele del faraone Merneptah, che risale al XIII secolo a.C., e la stele di Mesha, re di Moab, del IX secolo a.C.

È facile concludere che, se non avessimo il testo della Bibbia, conosceremmo ben poco di Israele, almeno fino all’epoca monarchica. D’altra parte, quel che conosciamo dai testi biblici non è verificabile tramite altre fonti. La domanda che può venire spontanea, a questo punto, è: perché allora non fidarsi semplicemente di ciò che la Bibbia dice?

Il secondo aspetto che adesso consideriamo – i dati dell’archeologia – ci offre una prima risposta.

II. I dati dell’archeologia

A lato delle fonti scritte, l’archeologia è anch’essa di grande importanza per la storia di Israele: essa ci permette di ricostruire, e quindi di comprendere meglio l’ambiente nel quale la Bibbia nasce e di cui essa parla. Non sempre i dati archeologici sono di facile interpretazione e spesso non è agevole distinguere l’opinione dell’archeologo dai dati da lui riportati.

Talvolta poi l’archeologia non dà i risultati sperati: il caso più noto e più clamoroso è senz’altro quello di Gerico, le cui mura, allo stato attuale delle ricerche, non possono essere affatto quelle crollate al suono delle trombe di Giosuè. Un tale risultato può apparire quasi scandaloso a chi è abituato a una lettura superficiale della Bibbia, ma in realtà è un aiuto per comprenderla meglio. Molte altre volte i risultati dell’archeologia contraddicono o non appoggiano il testo biblico: questo ci fa comprendere che le cose sono più complesse di quanto si pensi.

III. Storia e reinterpretazione della storia nella Bibbia

La Bibbia non è un libro piovuto dal cielo, scritto da un solo autore in un’epoca ben precisa: ogni libro della Bibbia ha una sua – spesso complessa! – storia di composizione, che può essere durata anche secoli. Ciò può sembrare ovvio, ma non va mai dimenticato: se è vero infatti che le parti più antiche del Pentateuco possono risalire, nella loro forma scritta, non più in là dell’VIII secolo a.C, ebbene, vi è una distanza di parecchi secoli con i fatti narrati. Secondo la cronologia più tradizionale, ad esempio, i patriarchi si collocavano nel XVIII-XVII secolo a.C., appunto almeno nove/dieci secoli prima della stesura dei primi testi scritti che ne parlano. L’esempio classico è il testo di Gen 12,6, dove si ricorda che i cananei abitavano «allora» il paese, ma che evidentemente non ci abitavano più quando, molti secoli dopo i fatti narrati, il testo fu scritto. Questa distanza tra i fatti narrati e i fatti avvenuti rende spesso del tutto impossibile una vera ricostruzione storica degli avvenimenti. A ciò si aggiunga che l’autore biblico rilegge tali avvenimenti alla luce delle condizioni sociali, politiche, religiose del suo tempo; inoltre, egli è interessato al messaggio teologico in essi contenuto, appunto alla «parola di Dio» che quel fatto rappresenta. Siamo dunque di fronte a testi che si occupano di storia, ma si tratta di storia interpretata, e non ci deve dunque meravigliare il fatto che l’interpretazione spesso non corrisponda alla realtà dei fatti.

IV. Quando far iniziare una storia di Israele?

Un’ultima questione: quando fare iniziare una storia di Israele? Anche un lettore alle prime armi dovrebbe ormai sapere che l’inizio della storia biblica, il racconto della creazione contenuto in Gen 1-11, non è «storia» in senso proprio. Sembrerebbe dunque opportuno iniziare con la tappa successiva, quella dei patriarchi, come alcuni degli storici di Israele hanno fatto nel passato.

In realtà, già su questo punto c’è una grande diversità di opinioni: alcuni iniziano la storia di Israele piuttosto con l’esodo, altri invece con l’unione delle dodici tribù e l’ingresso in Canaan, altri ancora con il periodo dei giudici, altri con la monarchia davidica. Quest’ultima posizione, che risale agli studi di B. Stade, alla fine dell’Ottocento, è difesa nella prima edizione della Storia di Israele di Soggin: «è infatti da allora che Israele comincia ad esistere come entità non soltanto etnica […] ma anche politica, in quanto si costituisce come Stato».[4] Alcune recenti storie di Israele rifiutano esplicitamente ogni tentativo di ricostruire la fase precedente la monarchia: così l’importante storia di Miller e Hayes conclude il capitolo dedicato alle origini di Israele affermando che «si declina ogni tentativo di ricostruire la storia più antica di Israele»; la trattazione inizia con il periodo immediatamente precedente la monarchia.[5] Nell’ultima edizione della sua Storia di Israele, Soggin situa invece i regni di David e di Salomone nella parte intitolata «Tradizioni sulla preistoria del popolo». Per Soggin, in effetti, l’impero di David e Salomone «presenta più problemi di quanti ne potremo mai risolvere. Le fonti che riferiscono su di esso sono tutte di origine tarda e riflettono quindi problematiche di epoche posteriori di molti secoli, quando il popolo, ormai ridotto al solo Giuda, stava passando per esperienze molto spiacevoli».[6]

* * *

Tutto ciò basta a far capire come le origini di Israele siano realmente il punto più difficile e il più discusso della storia di Israele. Come già si è accennato, il grande problema che lo storico deve affrontare è la pressoché totale mancanza di fonti extrabibliche e di dati per il periodo precedente la monarchia: l’unica fonte a nostra disposizione è spesso poco più che la Bibbia stessa, e talvolta neppure quella! Il nostro punto di partenza sarà dunque una breve panoramica su questo spinoso problema delle origini di Israele, tenendo sempre presente che dobbiamo confrontarci con testi biblici ai quali non possiamo chiedere una risposta di ordine puramente storico. Gli autori biblici sono senz’altro mossi anche da un interesse storico e talora persino ideologico, ma il loro obiettivo primario è anzitutto teologico: ci troviamo di fronte a una «storia sacra», per cui la storia di Israele non può coincidere con una semplice parafrasi dei testi biblici arricchita con dati storico-archeologici. Gli autori antichi, del resto, non riescono a concepire una «storia» in senso moderno, ove la presentazione dei fatti sia il più possibile sganciata dall’elemento religioso. Per la Bibbia, inoltre, a partire dall’opera dei profeti (più o meno intorno al- l’VIII secolo a.C.) un ulteriore problema è cercare di comprendere il senso dell’agire del Dio di Israele all’interno della storia.

Ciascuno di questi elementi dovrà essere tenuto sempre presente se si vuole in qualche modo arrivare a ricostruire un quadro soddisfacente della storia di Israele: in tal modo il lettore della Bibbia potrà collocare ciò che legge su uno sfondo non astratto ma concreto: la storia di un popolo, Israele.


NOTE (Non tutte le note sono state riportate)

[1] G. Garbini, Storia e ideologia nell’Israele antico, Paideia, Brescia 1986,248.

[2] Si veda J.A. Soggin, Storia di Israele, Paideia, Brescia 22002,86.

[3] J.A. Soggin, «La storiografia israelitica più antica», in La storiografia nella Bibbia. Atti della XXVIII Settimana Biblica, Bologna 1986,26 (un’interessante raccolta di saggi relativi a questo tipo di problemi).

[4] J.A. Soggin, Storia di Israele, prima edizione Brescia 1984, 54.

[5] Cf. J.M. Miller – J.H. Hayes, A History of Ancient Israel and Judah, London 1986,79.

[6] Soggin, Storia di Israele, 56.