“Credi tu questo?”
(Giovanni 11, 26)
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
18-25 gennaio

LIBRETTO GUIDA DELLA SETTIMANA
INDICE
- 03 Presentazione
- 10 · Introduzione Teologico-Pastorale
- 16 · La preparazione del materiale per la settimana di prehiera 2025
- 19 · Testo Biblico
- 21 · Celebrazione ecumenica della parola di Dio
- 36 · Commento per gli otto giorni
- 63 · Appendice I / Presentazione della Comunità Monastica di Bose
- 67 · Appendice II / Preghiera universale
- 84 · Appendice III / Canti per l’unità dei cristiani
- 92 · Appendice IV / Date importanti nella storia della preghiera per l’unità
- 96 · Appendice V / Temi della settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani: 1968-2025
- 103 · Suggerimenti per l’organizzazione della settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani
PRESENTAZIONE
“Credi tu questo?”
(Giovanni 11, 26)
1. “Credi tu questo?”: questa domanda di Gesù è il fondamento della fede cristiana. È una domanda che percorre tutto il corso della storia e che ci interpella profondamente sul piano personale ed ecclesiale. Il brano scelto ci commuove perché ci richiama l’evento centrale della nostra fede: Gesù è risorto, è la risurrezione e la vita, la morte non ha l’ultima parola, ma è sommersa dalla risurrezione di Cristo.
Siamo nella parte del Vangelo di Giovanni chiamata “vangelo dei segni”: segni che rivelano tratti fondamentali del mistero di Cristo, segni che preludono al “Segno” perfetto e definitivo, all’evento della “gloria”, cioè il mistero pasquale, il dono totale che Cristo fa di sé al Padre e agli uomini, evento di salvezza e di rivelazione, dono dello Spirito ed espressione di un amore senza misura.
Nel contesto del capitolo 11 contrassegnato dall’attesa di quell’“ora”, risuonano le parole del dialogo tra Marta e il Signore: da una parte, la delusione, la fragilità e il dolore di Marta, che con Lazzaro sa di aver perso tutto ciò che aveva: “se tu eri qui, mio fratello non moriva!”. Dall’altra parte Gesù, il Signore della vita che davanti a lei afferma: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; anzi chi vive e crede in me non morirà mai” (Gv 11, 25-26). Un’affermazione potente che non è solo un messaggio comunicativo, ma è performativo, è dabar. Parola di Dio efficace che realizza ciò che dice: non un messaggio ma un evento di risurrezione che spezza ogni delusione e dolore e che interpella personalmente e profondamente Marta e ognuno di noi: “Credi tu questo?”.
Sì, Marta lo aveva capito bene, il Padre nulla avrebbe negato a Gesù, ed era certa che ci sarebbe stata una risurrezione di tutti coloro che avevano creduto nel Maestro. Ed è singolare che proprio a una donna il Signore si riveli come la risurrezione e la vita, così come a una donna samaritana si è rivelato come Messia, e così come le donne saranno sotto la croce fino alla fine, e saranno donne le prime testimoni della risurrezione.
2. “Credi tu questo?”: sì, significa credere nella persona di Cristo e nel suo Spirito sia nella storia e nella vita personale di ognuno di noi, sia come chiese cristiane. In questo presente tempo in cui lo scetticismo verso i principi e le verità evangeliche sembra farla da padrone, i cristiani sono chiamati a credere e soprattutto vivere la fede in Gesù credendo alla sua Parola, credendo a ciò che può sembrare impossibile, perché il nostro Dio è l’Iddio dell’impossibile. La risurrezione è un vero e proprio ritorno alla vita, è un miracolo di Dio che si accetta per fede, estraneo al pensiero del nostro tempo ma è un miracolo e un dono. E la risurrezione di Cristo è garanzia della risurrezione dei credenti e della realtà della communio sanctorum, aprendo nuove prospettive sul piano personale e comunitario, sul piano escatologico e sul piano esistenziale ed ecclesiale.
3. “Credi tu questo?”: anche nel cammino ecumenico si tratta di credere in Cristo nostra speranza, che nella sua Carne ha abbattuto il muro della divisione e ha fatto di due popoli una cosa sola (cfr. Ef 2, 14-15). Si tratta quindi di immergere in lui e nel suo Spirito il nostro cammino che porta i segni delle fragilità e degli interrogativi del presente. Crediamo che l’ecumenismo non sia soltanto un lavoro diplomatico, incontro al vertice o l’intesa pratica in uno spirito di collaborazione per le diverse iniziative, ma sia innanzitutto incontro personale con Cristo, guardarlo negli occhi e credere in lui e nella sua forza trasformante. Alle volte siamo presi dalla tentazione di accomodarci sui risultati raggiunti o dalla delusione per il fatto che dopo i documenti congiunti di particolare rilievo sul piano storico e teologico non si sia già arrivati all’unità auspicata.
Pensiamo a Paolo VI e Athenagoras che già 60 anni fa, il 7 dicembre 1965, auspicavano di celebrare mangiando dall’unico pane e bevendo dall’unico calice. Sembrava una cosa imminente. Importanti risultati sono stati raggiunti con il B.E.M., con il Documento congiunto sulla giustificazione, e sulla commemorazione congiunta dei 500 anni della Riforma, ma poi nel difficile momento storico degli anni ‘20 di questo secolo, caratterizzati dalla drammatica esperienza della pandemia e della guerra in Ucraina e in Medio oriente, sembra di trovarsi in un tempo sospeso dove tutto è congelato e immobile. E qui, quando ci sembra di poter dire con Marta “Signore, se tu eri qui, mio fratello non moriva!”, Cristo dice ancora una volta in questo momento storico: “Io sono la risurrezione e la vita (…) Credi tu questo?”.
Dunque, si tratta di credere nella risurrezione anche per quanto riguarda il cammino ecumenico. Sì, credere nella persona di Cristo. È lui che ha trasformato ogni immobilismo, ogni rigidità ogni tentazione, ogni difficoltà in luce, ogni morte in vita. Anche per il cammino ecumenico che noi come corpus christianorum effettuiamo. È lui che è entrato nelle nostre divisioni e le trasforma in perdono, misericordia, rinnovato amore reciproco, in una visione di unità poliedrica dell’unica Chiesa di Cristo (cfr. Evangelii Gaudium 236). Sentiamo a livello personale e come delegati delle nostre chiese l’interrogativo che ci interpella in coscienza profondamente. Credi tu questo? Credi in un mondo trasformato dall’amore e dalla luce di Cristo, vita e risurrezione, anche quando sembrano addensarsi le tenebre? Facciamo nostra la preghiera di Bonhoeffer a Flossenburg: “Al cominciar del giorno, Dio ti chiamo (…) c’è buio in me, in te invece c’è luce. Sono solo ma tu non mi abbandoni, non capisco le tue vie, ma tu sai quale è la strada, Padre del cielo siano lode e grazia a te!”.
4. “Credi tu questo?”: significa credere che non può essere svuotata la croce di Cristo. Ed è qui che possiamo ricordare quanto dissero Giovani Paolo II e Bartolomeo nel 1994: “Carissimi, abbiamo questo compito comune, dobbiamo dire insieme fra Oriente e Occidente: Ne evacuetur Crux! (cfr. 1Cor 1,17). Non sia svuotata la Croce di Cristo, perché se si svuota la Croce di Cristo, l’uomo non ha più radici, non ha più prospettive: è distrutto! Questo è il grido alla fine del secolo ventesimo. È il grido di Roma, il grido di Costantinopoli, il grido di Mosca. È il grido di tutta la cristianità”.
5. “Credi tu questo?”: significa credere nello Spirito di Cristo che ci guida alla verità tutta intera. Noi cristiani delle diverse chiese delle Marche crediamo che lo stesso Spirito che ha contraddistinto i primi cristiani a Nicea ci ha radunati insieme e ci sta facendo fare insieme un cammino di fraternità e di profonda accoglienza. Non lo potevamo nemmeno immaginare, quando nel 2011 ci siamo trovati a Loreto solo con una bozza di progetto ma come rappresentanti di diverse chiese per proclamare l’unica vera Chiesa in Cristo con sensibilità diverse. È stato molto bello studiare insieme uno statuto per poter testimoniare insieme nella nostra regione la nostra esperienza cristiana. Il fatto di trovarci a Loreto non è stato qualcosa di divisivo, anche se inizialmente poteva esserci qualche timore. Anzi, continuiamo ogni anno a trovarci proprio a Loreto come cristiani che nella loro diversità si radunano insieme in preghiera alla vigilia di Pentecoste effettuando una veglia ecumenica per chiedere il dono dello Spirito ed affidargli il cammino ecumenico. Questa esperienza che facciamo insieme da tre anni ci corrobora, ci unisce, ci fa avanzare nel cammino di conversione personale e comunitario come chiese.
6. Il Concilio di Nicea che ricordiamo nell’anniversario dei 1700 anni della sua convocazione, è di profonda attualità anche oggi, perché ci offre l’immagine di un Dio che in se stesso è comunione, è dialogo, è amore: la Trinità come modello di unità nella diversità, proclamando il Figlio come consustanziale al Padre si mette in evidenza non solo che il Figlio è Dio come è Dio il Padre, Dio vero da Dio vero, ma come l’amore costituisca lo specifico della Trinità, dove ogni Persona ha la sua specifica identità nella piena unità e nella totale donazione alle altre. Il Concilio di Nicea ci mostra la Trinità come modello dell’unica Chiesa di Cristo e ci ricorda che il cammino ecumenico si alimenta nell’amore reciproco che costituisce l’essere di Dio.
7. Il ricordo del Concilio di Nicea ci porta a pensare ad Atanasio, Padre della Chiesa, difensore della fede trinitaria espressa a Nicea contro l’arianesimo. Atanasio conosce il dramma delle divisioni della Chiesa antica, conosce le false accuse, l’esilio e la persecuzione, ma nella sua fedeltà a Cristo, nel credere fermamente in lui, che è la risurrezione e la vita riesce a intuire nel mistero di Cristo il disegno di Dio sull’uomo: in Cristo, Dio si è fatto Uomo perché l’uomo possa divenire Dio. Sì, Egli riesce a mostrarci la divinizzazione dell’uomo come centro dell’antropologia cristiana e della vita della chiesa, O admirabile commercium, o meraviglioso scambio tra la nostra povertà e la sua grandezza, che riecheggia tra gli antichi padri e che indica ancora nel cammino delle chiese di oggi la certezza che la nostra povertà è stata assunta e trasformata da Cristo.
Ancora oggi ci viene chiesto: credi tu questo? E ancora oggi possiamo dire che crediamo fermamente in Cristo e nell’azione del suo Spirito, e crediamo che la divinizzazione dell’uomo in comunione con gli altri nella reciprocità dell’amore e dunque nella koinonia, possa costituire il centro della ecclesiologia cristiana e la meta del cammino ecumenico: tutti uno in Cristo, risurrezione e vita. Che il Signore ci aiuti a proseguire in questo cammino!
Il Consiglio delle Chiese Cristiane delle Marche.
Sono membri del Consiglio delle Chiese Cristiane delle Marche: Chiesa Cattolico-Romana, Chiesa Ortodossa del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Romania, Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, Chiesa Battista delle Marche e Chiesa Evangelica Valdese.
INTRODUZIONE TEOLOGICO-PASTORALE
“Credi tu questo?”
(Giovanni 11, 26)
Le preghiere e le riflessioni per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del 2025 sono state redatte dai fratelli e dalle sorelle della Comunità Monastica di Bose, nel nord Italia. Quest’anno ricorre l’anniversario dei 1700 anni del primo Concilio ecumenico dei cristiani che si tenne a Nicea, vicino Costantinopoli, nel 325 d.C.; questa commemorazione offre un’opportunità unica per riflettere e celebrare la nostra comune fede di cristiani, quale fu espressa nel Credo formulato durante quel Concilio, una fede ancora oggi viva e feconda. La Settimana di preghiera del 2025 ci invita ad attingere a questa eredità condivisa e ad entrare più profondamente nella fede che ci unisce come cristiani.
Il Concilio di Nicea
Convocato dall’imperatore Costantino, il Concilio di Nicea fu celebrato – secondo la tradizione – da 318 Padri, per lo più provenienti dall’oriente. La Chiesa, che stava emergendo proprio allora dalla clandestinità e dalla persecuzione, cominciava a sperimentare quanto fosse difficile condividere la medesima fede nei diversi contesti culturali e politici dell’epoca. Accordarsi sul testo del Credo significò definire i fondamenti essenziali comuni su cui costruire comunità locali che si riconoscessero come chiese sorelle, ciascuna nel rispetto delle diversità delle altre.
Nei decenni precedenti erano sorte divergenze tra i cristiani, talvolta degenerate in gravi conflitti e dispute riguardanti svariate questioni quali: la natura di Cristo in relazione al Padre; l’accordo su un’unica data per celebrare la Pasqua e il suo rapporto con la Pasqua ebraica; l’opposizione a opinioni teologiche considerate eretiche; la riammissione dei credenti che avevano abiurato la fede durante le persecuzioni perpetrate negli anni precedenti.
Il testo del Credo approvato utilizzava la prima persona plurale: “Noi crediamo…”, formula che sottolineava un’appartenenza comune. Il Credo era costituito da tre parti, dedicate ciascuna ad una delle tre Persone della Trinità, cui seguiva una conclusione in cui venivano condannate le affermazioni considerate eretiche. Il testo di questo Credo fu rivisto e ampliato durante il Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., in cui furono eliminate le condanne. Si raggiunse così quella formulazione della professione di fede che le chiese cristiane oggi riconoscono come “Credo niceno-costantinopolitano”, spesso indicato semplicemente come “Credo niceno”.
Dal 325 al 2025
Nonostante il Concilio di Nicea abbia stabilito il modo in cui calcolare la data della Pasqua, successive divergenze di interpretazione hanno fatto sì che spesso oriente e occidente abbiano individuato diverse date per la celebrazione pasquale. Nell’attesa che la data della celebrazione pasquale torni nuovamente a coincidere ogni anno, in questo anniversario del 2025 – per una felice coincidenza – questa solennità sarà celebrata nella stessa data sia dalle chiese di oriente che da quelle di occidente.
Il significato degli eventi salvifici che tutti i cristiani celebreranno la domenica di Pasqua, 20 aprile 2025, non è mutato con il passare di questi diciassette secoli. La Settimana di preghiera per l’unità rappresenta la possibilità per i cristiani di analizzare e ravvivare questa eredità e di riappropriarsene in modi consoni alla cultura contemporanea, nelle sue varie articolazioni, oggi ancor più complesse rispetto a quelle del mondo cristiano ai tempi del Concilio di Nicea. Vivere insieme la fede apostolica non significa riaprire le controversie teologiche di allora, protrattesi nei secoli, quanto piuttosto rileggere, in atteggiamento di preghiera, i fondamenti scritturistici e le esperienze ecclesiali che hanno condotto alla celebrazione del Concilio e ne hanno motivato le decisioni.
Il testo biblico per la Settimana di preghiera
Il testo biblico di riferimento per la Settimana – tratto dal Vangelo Giovanni, 11, 17-27 – è stato scelto proprio in quest’ottica, e il tema precipuo “Credi tu questo?” (v. 26), prende spunto dal dialogo tra Gesù e Marta, durante la visita di Gesù alla casa di Marta e Maria a Betania, dopo la morte del loro fratello Lazzaro, come narrato dall’evangelista Giovanni.
All’inizio del capitolo viene detto che Gesù amava Marta, Maria e Lazzaro (v. 5) e, informato che Lazzaro era gravemente malato, rassicura che la sua malattia “non porterà alla morte”, ma che “servirà a manifestare la gloriosa potenza di Dio e quella di suo Figlio” (v. 4); Gesù rimane in quel luogo per altri due giorni. Quando Gesù arriva a Betania, nonostante fosse stato avvertito del rischio di essere ucciso (v. 8), Lazzaro “era nella tomba da quattro giorni” (v. 17): le parole di Marta a Gesù esprimono rammarico per il suo arrivo tardivo, e forse contengono anche una nota di rimprovero: “Signore, se tu eri qui, mio fratello non moriva!” (v. 21). Ma sono seguite immediatamente da una professione di fede nella sua potenza salvifica: “E anche ora so che Dio ascolterà tutto quello che tu gli domandi” (v. 22). Quando Gesù la rassicura che suo fratello risorgerà (v. 23), lei risponde proclamando la sua fede religiosa: “Sì, lo so; nell’ultimo giorno risorgerà anche lui” (v. 24). Gesù la conduce oltre, dichiarando il suo potere sulla vita e sulla morte e rivelando la sua identità di Messia: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; anzi chi vive e crede in me non morirà mai” (vv. 25-26). Dopo questa sorprendente affermazione, Gesù pone a Marta una domanda molto diretta e profondamente personale: “Credi tu questo?” (v. 26).
Come Marta, i primi cristiani non potevano rimanere indifferenti o passivi di fronte a queste parole di Gesù che toccavano e scrutavano il loro cuore. Cercarono, quindi, fervidamente, di dare una risposta comprensibile alla domanda di Gesù: “Credi tu questo?”. Analogamente, i Padri di Nicea si sforzarono di trovare le parole giuste per esprimere il Mistero dell’Incarnazione e della Passione, Morte e Risurrezione del loro Signore nella sua interezza. Nell’attesa del suo ritorno, i cristiani di tutto il mondo sono chiamati a testimoniare insieme questa fede nella risurrezione, che per loro è fonte di speranza e di gioia, da condividere con tutti i popoli.
Materiale per ogni giorno della Settimana di preghiera
Per ciascuno degli Otto giorni vengono forniti testi per la preghiera personale o comunitaria che comprendono due brani della Scrittura e un Salmo. I temi di ogni giorno, invece, ripropongono alla riflessione, personale e comunitaria, affermazioni-chiave del Credo niceno.
Giorno 1: Noi crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente…
Giorno 2: … Creatore del cielo e della terra
Giorno 3: Noi crediamo in un solo Signore, Gesù Cristo (…) che si è fatto Uomo Giorno 4: Fu crocifisso (…). Morì e fu sepolto (…). Il terzo giorno è risuscitato
Giorno 5: Crediamo nello Spirito Santo, che (…) dà la vita
Giorno 6: Crediamo la Chiesa
Giorno 7: Professiamo un solo battesimo
Giorno 8: Aspettiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà
Si è scelto di sostituire agli usuali Commenti alle letture scritturistiche di ciascun giorno delle brevi letture patristiche provenienti da diverse aree geografiche e tradizioni ecclesiali (greca, siriaca, armena e latina), con l’intento di offrire uno spaccato della riflessione cristiana del primo millennio, che aiuti a collocare le definizioni del Concilio di Nicea, sia nei contesti che le hanno generate, sia in quelli che ne sono stati influenzati. Le preghiere di intercessione e quelle per la meditazione di ogni giorno invitano a rendere attuale e operante – con sentimenti di gioia e gratitudine – il contenuto della fede condivisa e celebrata nei secoli in tutta l’ecumene.
TESTO BIBLICO
Giovanni 11, 17-27
Betània era un villaggio distante circa tre chilometri da Gerusalemme: quando vi giunse Gesù, Lazzaro era nella tomba da quattro giorni. Molta gente era andata a trovare Maria e Marta per confortarle dopo la morte del fratello. Quando Marta sentì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece rimase in casa. Marta disse a Gesù: “Signore, se tu eri qui, mio fratello non moriva! E anche ora so che Dio ascolterà tutto quello che tu gli domandi”. Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. Marta rispose: “Sì, lo so; nell’ultimo giorno risorgerà anche lui”. Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; anzi chi vive e crede in me non morirà mai. Credi tu questo?”. Marta gli disse: “Signore, sì! Io credo che tu sei il Messia, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”