Dice un monaco cisterciense del XII secolo, forse uno degli immediati successori di san Bernardo nella carica di abate di Clairvaux:
Quando l’uomo abituato al bene pecca in modo grave, dapprima la cosa gli sembra così insopportabile che gli pare di scender vivo all’inferno. Ma con il passare del tempo la cosa non gli sembra più insopportabile, e tuttavia gli pare pesante; e fra l’insopportabile e il pesante, non è piccolo il mutamento di livello. Un poco ancora e la giudica lieve; colpito ripetutamente, non avverte più le ferite e non bada più alle sferzate. […] In un breve lasso di tempo, poi, non solo non sente, ma addirittura prova piacere, gli diventa dolce ciò che gli era amaro e quel che era aspro si fa gradevole. Quindi, è condotto alla consuetudine: così non solo ne prova piacere, ma lo prova ripetutamente e non può più contenersi. Alla fine non può davvero esserne più strappato, perché la consuetudine si trasforma in natura, e ciò che prima era impossibile fare, ormai è impossibile contenere. È così che si scende, anzi, si cade, da Gerusalemme a Gerico: in questo modo si procede verso l’allontanamento da Dio e verso l’indurimento del cuore. A questo punto il peccatore puzza, è di quattro giorni [come il corpo corrotto di Lazzaro].
♦ Anonimo pseudo-bernardiano del XII secolo, La coscienza, 4, in: La sapienza del cuore. La coscienza al cuore della vita spirituale in alcuni testi monastici del XII secolo, a cura di R. Larini, Edizioni Qiqajon-Comunità di Bose 1997, pp. 136-37.
Per gentile concessione di
https://monachesimoduepuntozero.com