Lectio divina
XXII – XXXIV settimane del Tempo Ordinario
Spunti per la Lectio divina quotidiana
Lectio divina sul vangelo di LUCA
Una introduzione alla lettura spirituale (cap. 17-24)
Marconi Nazzareno (4)
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Verso Gerusalemme: 17,10-19
“Gesù saliva verso Gerusalemme”: questo ritornello scandisce la sezione centrale del vangelo di Luca, ad un punto tale che ha finito per darle il nome; la si chiama infatti di solito “salita a Gerusalemme” (cfr 9,51.53.57; 10,1; 13,22.33; 17,11; 18,35). Una salita che è d’altra parte più teologica che geografica, tutta volta al momento finale, “la salita” di Gesù verso il cielo, una salita che attraverso l’elevazione della croce porterà Gesù fino alla gloria alla destra del Padre.
All’interno di questo schema più generale si situa l’episodio dei 10 lebbrosi sanati; questi si fermano a distanza, come prescriveva loro la legge ebraica, e da lontano rivolgono a Gesù una supplica piena di fede: “Gesù maestro, abbia pietà di noi”.
É piuttosto raro nel vangelo l’uso del nome Gesù in una invocazione rivolta al Cristo, alle tre volte che Luca trova già in Marco, ne aggiunge personalmente due: i 10 lebbrosi ed il buon ladrone. Vi ha visto senza dubbio una analogia: nello stesso contesto della morte di Gesù: Gesù già in croce o Gesù che sale verso Gerusalemme, il calvario, la croce; nello stesso contesto di peccato, infatti per la mentalità ebraica la lebbra era la conseguenza di uno stato di peccato del lebbroso; questi personaggi interpellano Gesù chiamandolo per nome, per ottenere da lui una liberazione materiale, ed in tutti e due i casi riescono ad ottenere molto di più: la salvezza. Questa salvezza è ottenuta tramite l’invocazione del nome di Gesù come fanno notare gli orientali che fondano su questi passi la loro tradizione sulla preghiera nel nome di Gesù.
“Abbi pietà di noi”, questa invocazione traduce una espressione ebraica tipica di Luca che designa la grazia e la tenerezza di Dio. Si tratta quindi di un appello rivolto direttamente all’amore misericordioso di Dio.
La fede di questi lebbrosi si rivela straordinaria: Gesù non li guarisce, si limita a dire loro di andare a farsi vedere dai sacerdoti, cioè di andare dai sacerdoti a far constatare l’avvenuta guarigione, quando in realtà loro non sono ancora guariti. Essi vanno, mostrando così la loro fede, e meritando così lungo il cammino la guarigione; si tratta di una fede ben rara a trovarsi.
La fede del decimo lebbroso però, sorpassa quella di tutti gli altri, almeno nella presentazione che ne dà Luca. Egli infatti riconosce in Gesù molto più che un semplice uomo: si prostra con il volto a terra, un gesto che il Nuovo testamento riserva soltanto a Dio, e “gli rende grazie” con un verbo che nel greco del NT ha sempre e solo Dio per oggetto. Si tratta in pratica di dire che Gesù per lui è Dio.
Cerchiamo di andare oltre; normalmente tendiamo a leggere questo testo nel senso che gli altri nove, ingrati, non erano tornati a ringraziare. Però Luca non dice nulla di questo, mentre lascia intendere che essi obbedendo scrupolosamente al messaggio di Gesù sono andati a mostrarsi ai sacerdoti. Se quest’ultimo torna indietro non può essere a motivo del fatto che ha compreso che il vero sacerdote a cui mostrarsi è Gesù? Non è una teoria assurda. Anche se la lettera agli Ebrei è il solo scritto del nuovo testamento a presentare con chiarezza la figura di Gesù come quella del nuovo Sommo Sacerdote, è innegabile che Luca vi faccia almeno delle allusioni.
Con grande abilità narrativa Luca attende prima di svelare l’identità dell’uomo, quasi nel timore che pregiudizi razziali o religiosi impedissero di ammirarlo nel modo giusto. Solo quando il lettore ha riconosciuto la grandezza della sua fede egli dichiara: “ed era un samaritano”, anzi fa dire a Gesù: “Non è tornato indietro che questo straniero”, sottolineando così in quel personaggio il simbolo di tutti coloro che pur essendo estranei al popolo dell’alleanza, vengono tuttavia da Gesù. Con questo si guadagna la salvezza: “la tua fede ti ha salvato”.
La fede degli altri nove aveva valso loro la guarigione dalla lebbra, la fede del decimo, una fede che si pone sul piano del riconoscimento della divinità di Gesù, vale al suo possessore la salvezza. Dopo la guarigione dal male c’è ancora una guarigione ben più importante di cui abbiamo bisogno, e questa salvezza è offerta a tutti, non solo agli ebrei.
Nel vangelo di Luca gli episodi si susseguono apparentemente senza ordine logico. In realtà c ‘è un legame profondo: il nostro racconto è centrato sulla fede che ottiene la salvezza; ed è logicamente preceduto da due piccoli episodi che lo illuminano. “Aumenta la nostra fede” chiedono gli apostoli (17,5-6), e Gesù risponde che anche una fede piccolissima può fare meraviglie, come diviene evidente nel racconto dei lebbrosi.
Quello che si ottiene per fede, continua logicamente Luca, non può essere oggetto di vanto, non e mai qualcosa che ci è dovuto, una ricompensa, un salario, ma si tratta sempre di una grazia (17,7-10), come mostra chiaramente il nostro episodio.
Subito dopo si passa alla domanda dei farisei sulla venuta del Regno di Dio; la risposta che ricevono: “il regno di Dio non viene in modo eccezionale, è in mezzo a voi”, mostra che questo regno è dove si trova Gesù, quando lo riconosciamo, il regno di Dio è là, e siamo invitati ad entrarvi attraverso questa fede.
La settimana di passione
Con il racconto dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme inizia la settimana centrale della vita di Cristo, che anche la liturgia ricorda rivivendola in 7 giorni di riflessione e di preghiera. I quattro evangelisti, che spesso si differenziano nel modo e nell’ordine con cui raccontano i fatti della vita di Gesù, diventano da questo punto in poi quasi perfettamente paralleli. L’importanza dei fatti narrati si manifesta anche in questa stabilità dei testi.
Questo fatto è evidenziato anche dalla nostra esperienza di lettori: infatti i racconti pasquali dei vangeli ci appaiono familiari e lo svolgersi delle azioni facilmente prevedibile.
Questo svolgimento è chiaramente spiegabile dalla lunga storia di questi racconti della passione, nati in collegamento con le celebrazioni liturgiche delle prime comunità si sono stabilizzati molto prima della stesura definitiva dei vangeli, che li hanno accolti al loro interno con un grande rispetto della forma già assunta dalla tradizione.
Questo rispetto non ha però impedito ad ogni evangelista di segnare in modo personale, attraverso piccole aggiunte o sottolineature di tono i racconti, per portare avanti i temi fondamentali della propria riflessione su Gesù e sul suo mistero. In queste narrazioni Luca segue globalmente il piano di Marco, ma con una libertà notevole nel compiere piccoli spostamenti o aggiunte. Ad esempio: il pianto su Gerusalemme 19,41-44; la descrizione fatta da Gesù della fine di Gerusalemme 21,24; l’invito alla vigilanza alla fine del discorso escatologico 21,34-38; il pranzo pasquale 22,15-18; la preghiera di Gesù per Pietro 22,31-32; le consegne di Gesù ai discepoli 22,35-38.
Una delle particolarità di Luca è il posto importante che dà a Gerusalemme ed al tempio. Soltanto lui annuncia in modo chiaro la caduta di Gerusalemme, distinguendola con chiarezza dalla fine dei tempi. Il tempio, centro della vita giudaica, diventa per lui il punto culmine del compimento e della fine dell’antico testamento; il seme da cui spunterà la chiesa. Anche Gesù vi parla a lungo, mostrandosi padrone di quel luogo che Dio, nonostante le proteste (20,16), ha tolto alle antiche autorità.
Gesù che entra in Gerusalemme come un re (può essere interessante confrontare Lc 19,29-40 et lRe 1,28-40) viene accostato alla figura di Salomone, il costruttore del primo tempio. Così il banchetto a cui Gesù invita i suoi discepoli è presentato nei termini di un banchetto regale (22,24-30). E più tardi questa immagine di regalità viene rafforzata dal contrasto, proprio di Luca, tra un re da operetta come Erode e la maestà silenziosa del Cristo (23,6-12).
Questo tema della maestà traspare nella stima del popolo di Gerusa1emme, che in Luca non risalta come il principale protagonista della condanna di Gesù, ma come una massa facilmente manovrata dai capi (23,13); si tratta in realtà soprattutto dell’opera del Demonio che troverà un facile collaboratore in Giuda, ed approfitterà del timore e dello sconforto degli altri apostoli.
Il commovente discorso di addio, che Gesù pronuncia dopo la cena, segna l’unicità di questa “ora delle tenebre”, quando i discepoli dovranno armarsi di fede per evitare di soccombere (22,35-38). A differenza degli altri evangelisti Luca lascerà sotto un velo di misericordioso silenzio l’abbandono di Gesù attuato anche dai discepoli (cfr Mt 26,56 e Mc 14,50).
L’Ultima cena
Il racconto dell’istituzione dell’eucarestia in Luca è il più lungo tra i sinottici e mostra anche significative differenze.
A differenza di Mt e Mc nel suo testo Luca non presenta i discepoli che invitano Gesù a preparare per la pasqua, ma al contrario mostra il tutto diretto da Gesù, che prende l’iniziativa e manda Pietro e Giovanni, due dei suoi più stretti collaboratori. Abbiamo quindi una descrizione che da una parte ci mostra la decisione dei nemici di Gesù di organizzare la sua esecuzione; dall’altra ci mostra l’impegno di Gesù nel costruire un quadro che doni un significato nuovo a questo avvenimento: ciò che vivrà non sarà un’esecuzione capitale, ma una pasqua.
Per rafforzare questa idea Luca segna in modo forte ed esteso il rapporto tra l’ultima cena e la pasqua dell’antica alleanza. Perciò articola il racconto in due parti parallele: si mangia l’agnello e si beve dal vino della prima coppa, poi si mangia il pane e si beve da una seconda coppa. Si tratta della fine di un rito antico ormai compiuto e dell’instaurazione di un nuovo rito che ne è il compimento: la pasqua d’ora in poi dovrà compiersi nel regno di Dio che Gesù viene ad inaugurare.
Questo regno che è già presente a partire dal momento in cui Gesù si manifesta in mezzo agli uomini, deve d’altra parte ancora venire, perché non sarà pienamente realizzato che alla fine dei tempi. Tra la pasqua Giudaica ed il banchetto del Regno, l’eucarestia costituisce, nel tempo che viviamo, il compimento della prima e l’annuncio del secondo.
Nei due altri sinottici le parole sul calice: “sangue dell’alleanza”, ricollegano il gesto di Gesù al rito compiuto da Mosè sul Sinai, quando unì, aspergendoli dello stesso sangue, l’altare e la comunità del popolo (Es 24,6-8). Luca a somiglianza di Paolo parla invece di “nuova alleanza” collegandosi così all’oracolo di Geremia 31,31-34. Con la morte di Gesù è questa nuova alleanza promessa dai profeti che entra in vigore.
Marco inoltre parla del sangue “sparso per molti”, e Matteo aggiunge a questa formula “in remissione dei peccati”. Facendo così, cercano di sottolineare il valore universale della salvezza portata dal Cristo. Luca che sostituisce la frase con “sparso per voi”, avrebbe forse l’intenzione di dire che la morte di Cristo ha un valore limitato alla salvezza dei partecipanti all’ultima cena? Non sembra proprio. Quella che appare come la spiegazione migliore e’ che Luca abbia cercato di stabilire un parallelismo con la formula che accompagna l’offerta del pane: “questo e’ il mio corpo offerto per voi”. Offerto per voi, versato per voi; Luca è il solo a sottolineare con insistenza il dono che Gesù fa di sè nello stesso gesto dell’eucarestia.
Il verbo greco usato, un participio presente, ha il senso di un gesto iniziato e che continua. Nella nostra liturgia, con l’uso di queste formule lucane, evochiamo il carattere sacrificale dell’eucarestia ed il suo legame con la morte in croce di Gesù.
Dopo l’offerta del pane, Luca inserisce, come Paolo la formula “fate questo in memoria di me”; ma non la ripete nè amplifica come in (lCor 11,26). Con questa indicazione infatti si preoccupa soltanto di agganciarci ancora alla tradizione giudaica sulla Pasqua, quando durante il pasto bisogna “fare memoria” dell’atto con cui Dio ha liberato il suo popolo (Cfr Es 12,14; 13,9 Dt 16,3), e questo memoriale viene spiegato dicendo che ognuno deve considerarsi come se fosse uscito lui stesso dall’Egitto.
Se la morte e resurrezione di Cristo sono per noi la Nuova Pasqua, il vero passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla tristezza alla gioia, dalle tenebre alla luce, come dice il rituale giudaico della pasqua, l’eucarestia, come memoriale di ciò, è il momento in cui accogliamo il dono di Dio,e dove ce ne appropriamo totalmente.
La presenza di questo testo nel vangelo di Luca ci ricollega con certezza alle celebrazioni liturgiche dei primi cristiani. Gli evangelisti infatti non si sono limitati ad una cronaca dei fatti della vita di Gesù, ma li hanno riletti alla luce della vita della fede, per fornire ai fedeli i mezzi per vivere oggi la comunione con il Cristo risorto.
Fino dalla descrizione dell’agonia di Gesù, il racconto della passione fatto da Luca presenta delle caratteristiche peculiari. Marcato da una profonda delicatezza e rispetto nei confronti del Signore, questo racconto evita alcuni dettagli particolarmente odiosi: Giuda non abbraccia Gesù, si accosta soltanto per farlo; Gesù non viene flagellato… Nella sua presentazione Luca mostra la passione non come vista dall’esterno, nella testimonianza di uno spettatore impassibile, ma come rivissuta dall’interno, assieme a Gesù. Il sangue della passione infatti sgorga dall’interno, dal cuore del Cristo. Luca soltanto parla di “sudore di sangue”. E non si tratta di fare speculazioni mediche sulla possibilità o meno di questo fenomeno; quello che Luca cerca di passare attraverso questa descrizione è la coscienza chiara che il luogo ove si svolge realmente il dramma della passione è il cuore stesso di Gesù, il suo intimo.
Il racconto dell’agonia diviene in Luca il racconto della lotta decisiva contro il potere delle tenebre; contro Satana, che lo aveva lasciato dopo le tentazioni, per tornare al tempo fissato (4,13), Satana che è appena entrato nel cuore di Giuda (22,31) e che sta tentando di conquistare l’anima di Pietro. Qui Gesù riceve il conforto di un angelo, come era accaduto ad Elia in una situazione molto simile (1Re 19,5): dopo questo conforto ricevuto da Dio, il nuovo Elia può gettarsi in quest’ “ora delle tenebre”, per ottenere anche lui, al termine della prova, la visione di Dio nella sua Resurrezione.
Da questa lotta tremenda Gesù esce vincitore, ormai rasserenato, non si ripiega su sè, stesso di fronte alla sofferenza, ma la vive con la più alta disponibilità agli altri: accoglie con delicatezza Giuda, guarisce l’orecchio del servo, volge lo sguardo su Pietro che lo sta rinnegando, consola le donne che fanno lamenti su di Lui, prega per i suoi carnefici, promette il paradiso al buon ladrone. Soprattutto nel vangelo di Luca Gesù risalta quindi come il martire che con la sua pazienza si mostra più forte del male.
Il racconto dell’agonia, che presentando la conquista da parte di Gesù di questa situazione d’animo, diviene il punto iniziale e la fonte del senso della passione; e’ inquadrata da una duplice esortazione a “vegliare”, non solo rivolta ai discepoli, ma a tutti coloro che leggendo il vangelo sono invitati ad entrare nella passione assieme a Gesù.
Gesù è il martire sofferente, nel vangelo di Luca, e per questo è necessario che la sua sofferenza sia subito chiarita come sofferenza dell’innocente. Questa innocenza è proclamata da tutti lungo lo svolgersi del racconto: Pilato la ripete per tre volte 23,4.14.22; Gesù la ricorda alle donne, Lui e’ il legno verde che non merita di essere bruciato; il popolo sotto la croce, è in Luca più curioso che ostile, e non si associa agli scherni ed alle bestemmie dei capi; il ladrone annuncia che Gesù non ha fatto nulla di male; il centurione proclama la Sua innocenza; ed il popolo abbandona il calvario battendosi il petto.
A questo tema dell’innocenza si collega il centro della lettura che Luca fa della passione: L’innocente condannato è il figlio di Dio. Durante il processo di fronte al Sinedrio, il sommo sacerdote in Marco e Matteo chiede a Gesù: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio?”. In questo contesto l’espressione Figlio di Dio, diventa un sinonimo, un modo diverso di designare il Cristo-Messia. Luca ha invece raddoppiato questa domanda, facendo sì che la riflessione si sviluppasse in due momenti, come fa anche altrove (cfr l’annunciazione). “Sei tu il Cristo?” chiede il Sommo Sacerdote. Gesù, come in Mc e Mt, risponde in modo ambiguo, presentandosi cene “il Figlio dell’uomo che sta per sedersi alla destra della potenza di Dio”. Il lettore riconosce in questo una risposta sufficiente ed esaustiva: Gesù porta a compimento le speranze preannunciate e promesse dalle Scritture.
Luca però non si accontenta di questa risposta, Gesù infatti porta a compimento le scritture in un modo talmente meraviglioso da apparire inimmaginabile: il Sommo Sacerdote infatti riprende, “Sei dunque il Figlio di Dio?”, e Gesù risponde chiaramente di Si. Questa espressione ora, nel nuovo contesto lucano, non può avere un significato diverso da quello forte che doniamo noi oggi all’affermazione di fede: Gesù è Figlio di Dio; ed è proprio per questa dichiarazione che Gesù viene condannato a morte.
Un altro interessante tema, che Luca affronta nella sua presentazione personale della passione è quello della regalità di Cristo. Nel vangelo di Giovanni Gesù dice a Pilato di non essere un re come i re che stanno sulla terra, nel vangelo di Luca Gesù mostra questo nella scena che lo pone a confronto con Erode, riportata soltanto da Luca. Matteo tratta il tema del confronto tra i due re all’interno del vangelo dell’infanzia, quando Gesù ed un altro Erede sono drammaticamente messi a confronto: due re per un unico regno, almeno nella presentazione che ne fanno i Magi.
Luca pone il confronto al cuore della passione, come un intermezzo nel confronto Gesù-Pilato, che ha la funzione di dare anche il senso a quell’episodio; in lui Gesù tace, mostrando così con chiarezza di non essere un re terreno, venuto per dominare, ma che è soltanto venuto per servire 22,24-30.
Sulla croce Gesù parlerà, e dirà in quel diverso contesto la stessa cosa, infatti la parola che Gesù rivolge al ladrone prende senso dal contesto in cui Luca la pone, accanto cioè agli scherni dei soldati e dei capi che come burla annunciano però la verità della regalità del Cristo. Con il suo discorso al buon ladrone, proprio di Luca, Gesù mostra infatti in quale modo concepisca la propria regalità. “Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno” (cioè come re), aveva detto il buon ladrone. Come i dieci lebbrosi (17,13) si era rivolto a Gesù chiamandolo con questo nome, esprimendo con ciò la confidenza di una relazione personale. Da buon giudeo considera la venuta della salvezza come intimamente legata all’inizio del Regno del re Messia. Gesù risponde ricordando che la salvezza è già Oggi disponibile, perché già oggi il suo regno viene instaurato, egli non è un re terreno, preoccupato della propria salvezza, ma è re per poter salvare coloro che credono in lui.
LA PASQUA DEL SIGNORE
I vangeli, scritti circa 50 anni dopo la resurrezione, non si preoccupano di farne un resoconto dettagliato, nella chiara coscienza di trovarsi di fronte ad un mistero, ma piuttosto di mostrarne il significato per i credenti e di dare loro concrete indicazioni per viverlo.
Ogni evangelista fa questo in modo molto personale distinguendosi nella forma, ma non nel contenuto di fede, dalle testimonianze degli altri.
Nella sua presentazione Luca si preoccupa di mantenere tutto all’interno di una chiara unità temporale: tutto avviene nel primo giorno della settimana, che per i Cristiani è diventato la domenica, il “giorno del Signore”. Abbiamo già notato come Luca possieda una capacità artistica notevole nel comporre le narrazioni e sembra in questo seguire le regole dell’arte letteraria classica, condensando in un’unità di luogo tempo ed azione, il messaggio conclusivo ed assieme centrale del suo Vangelo.
Sono quattro episodi profondamente concatenati: la scoperta della tomba vuota, l’incontro con i discepoli di Emmaus, la riunione di questi con la prima comunità cristiana e l’ascensione Dalla resurrezione all’ascensione tutto avviene in un solo giorno, tutto è centrato in un unico luogo: Gerusalemme, tutto sviluppa l’unica azione di un progressivo riconoscimento di Gesù da parte dei suoi.
L’unità di azione si sviluppa nella progressiva presa di coscienza della presenza del risorto; quando questa fede pasquale è saldamente stabilita tra i discepoli, l’ascensione viene a sancire l’inizio definitivo del tempo della Chiesa, come tempo della presenza gloriosa, non più tangibile del Cristo. Rispetto al vangelo di Matteo, che sottolinea la presenza del Risorto nella chiesa, nel messaggio finale, Luca pone maggiormente in risalto, l’aspetto di “assenza”, di questa presenza del Cristo, rispetto ai tempi precedenti la pasqua.
Questa unità si sottolinea anche geograficamente, in Luca non ci si allontana da Gerusalemme, non si parla di apparizioni in Galilea, e la strada di Emmaus non allontana i discepoli in modo significativo: in serata tornano di corsa in città. Gerusalemme è stata per tutto l’antico testamento la città della rivelazione, della manifestazione di Dio ad Israele, e per Luca, attento a mostrare la continuità del piano di Dio nella storia, questa sottolineatura geografica diviene rilevante. Tutta l’opera d ‘altra parte si articola su questo centro geografico a cui tende e da cui parte 1 ‘annuncio del vangelo.
Nella città il centro degli avvenimenti è costituito dalla prima comunità cristiana: gli undici ed i discepoli raggruppati attorno a Simone, che costituisce visibilmente la “Pietra” su cui si appoggia la fede di tutti. Le donne vengono da loro per raccontare la scoperta della tomba vuota; i discepoli di Emmaus fanno il resoconto del loro incontro con il risorto; Gesù appare in mezzo a loro, promettendo il suo dello Spirito perché possano portare la loro testimonianza da quel luogo fino agli estremi confini della terra.
In questo “luogo unico” risuonano le parole che costituiranno la base della catechesi cristiana, illuminando tutta la vita di Gesù alla luce del mistero della pasqua. Luca, che vive l’esperienza dei Cristiani della diaspora, ormai di fatto dispersi nei vari luoghi della terra, guarda a questa prima comunità di Gerusalemme come al punto di unità, su cui si appoggia l’unità della fede di comunità pur geograficamente divise.
L’unità di tempo, centrata sul Giorno domenicale, è una costruzione volontaria di cui Luca è cosciente: nel libro degli Atti dirà infatti che Gesù è apparso per 40 giorni. Il fine di questa concentrazione di tutte le apparizioni e della stessa Ascensione in un’unica giornata risulta con chiarezza nella volontà di Luca di presentare ai Cristiani una giornata Tipo. Si tratta della Domenica tipo, per tutti cristiani che in questo giorno festeggiano la resurrezione del Signore, il vangelo ci invita a rifare l’esperienza pasquale che comprende tutti gli elementi di queste narrazioni: la fede nel fatto (il sepolcro vuoto); il confronto con la testimonianza delle Scritture e l’eucarestia come esperienza di incontro con il Risorto sempre disponibile per la chiesa di tutti i tempi ed i luoghi (i discepoli di Emmaus); l’esperienza della presenza attiva del Risorto nella Chiesa riunita assieme a Pietro e fondata sulla sua fede (le apparizioni); l’impegno della vita della chiesa come testimonianza che continua la missione terrena del Cristo (l’ascensione).
Il vangelo di Luca si chiude quindi con un appello chiaro ad ogni lettore cristiano perché la sua vita sia profondamente permeata dalla fede pasquale, ed animata dall’azione dello Spirito.