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18.09.2024

Quando si fece prossima la passione di Gesù, Giovanni ci racconta che egli disse: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,23-24). Il Sinodo sulla sinodalità, processo triennale di ascolto e dialogo che raggiungerà il suo apice a Roma il prossimo ottobre, sarà fruttuoso solo se si rivelerà anche un tempo in cui morire un po’. Dopo la conclusione della prima assemblea del Sinodo, lo scorso ottobre, si alzarono proteste secondo cui non era stato realizzato granché. Dopo tutto il gran clamore, il documento finale, la Relazione di Sintesi, dichiarava che la questione delle donne diacono doveva essere “studiata” – per la terza volta! Il documento pareva anche arretrare rispetto al documento preparatorio sull’apertura alle persone Lgbt. La parola non vi è neppure menzionata. Molti considerarono tutto ciò come un fallimento. Il Sinodo aveva anticipato questo fraintendimento.

Quando i semi cadono nel terreno, non sembra accadere molto. Essi germinano tranquillamente fino alla primavera. Papa Francesco ha insistito più e più volte che il Sinodo non è un organo parlamentare, radunato per prendere decisioni rapide. Protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo. Ogni cambiamento è profondo, organico e a malapena percettibile. È il modo di agire di Dio. Quando Gesù morì sulla croce e fu risuscitato la domenica di Pasqua, il mondo sembrava andare avanti come al solito. L’Impero pareva immutato. Ma il Regno era arrivato. Vedo lo Spirito all’opera nel Sinodo in almeno tre modi, e ognuno di questi ci invita a una sorta di morte affinché possiamo vivere. Il primo modo si verifica apprendendo a condividere nell’amicizia divina. Può apparire strano dire che il primo passo del cammino sinodale, che sia a Roma o in una parrocchia locale, consista nell’essere aperti ad amicizie nuove e inaspettate. Ma il Regno di Dio ha fatto irruzione nel mondo duemila anni fa quando Gesù iniziò a offrire la sua amicizia a ogni tipo di peccatore, anche il più emarginato o balordo. Gesù mangiò e bevve con le prostitute, con gli esattori delle tasse, corrotti e disprezzati. Questa era condivisione nella vita di Dio, che Tommaso d’Aquino riteneva essere l’eterna e uguale amicizia di Padre, Figlio e Santo Spirito.

Durante la prima sessione del Sinodo, lo Spirito Santo operò tramite l’incontro con gli altri. Caddero barriere e nacquero amicizie. Tempi addietro ho partecipato a tre Sinodi. Essi erano caratterizzati da ciò che definisco l’“ecclesiologia dei cappelli”: al centro stava un cappello bianco; poi un paio di cerchie di cappelli rossi; quindi molti cappelli color porpora; e alle estremità quelli senza cappello, come me. Ai tempi, ognuno di noi fu chiamato a pronunciare un discorso di otto minuti preparato a casa e poi dovemmo andarcene. Complessivamente, piuttosto noioso. Ma questa volta eravamo tutti seduti attorno a tavoli rotondi. Cardinali e vescovi sedevano accanto a giovani, donne dall’America Latina, religiosi e religiose. La persona più giovane aveva 19 anni e veniva dal Wyoming. Tutti i membri del Sinodo erano coinvolti in “conversazioni nello spirito”. A tutte le persone al tavolo veniva chiesto di parlare per quattro minuti. Nessuno poteva interrompere. Poi, dopo un breve momento di silenzio, un giro di reazioni e, infine, una valutazione su dove si concordava, si discordava o si sarebbe potuti convergere. Ogni tavolo aveva un facilitatore, spesso una donna, che fermava chiunque – cardinali inclusi – parlasse troppo a lungo. Un arcivescovo del Vaticano mi disse: «Guardi quei cardinali romani. Sono costretti ad ascoltare i battezzati in rispettoso silenzio. Non saranno mai più come prima».