Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”
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Parte IV
Una pesca abbondante
La conversione dei legami
Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci […] Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò (Gv 21,8.11)
109. Le reti gettate sulla parola del Risorto hanno consentito una pesca abbondante. Tutti collaborano nel trascinare la rete, Pietro ha un ruolo particolare. Nel Vangelo la pesca è un’azione svolta insieme: ognuno ha un compito preciso, diverso ma coordinato con quello degli altri. Così è la Chiesa sinodale, fatta di legami che uniscono nella comunione e di spazi per la varietà di ogni popolo e di ogni cultura. In un tempo in cui cambia l’esperienza dei luoghi in cui la Chiesa è radicata e pellegrina, occorre coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono, sostenuti dal ministero dei Vescovi in comunione tra loro e con il Vescovo di Roma.
Radicati e pellegrini
110. L’annuncio del Vangelo, risvegliando la fede nei cuori degli uomini e delle donne, porta alla fondazione di una Chiesa in un luogo particolare. La Chiesa non può essere compresa senza il radicamento in un territorio concreto, in uno spazio e in un tempo dove si forma un’esperienza condivisa di incontro con Dio che salva. La dimensione locale della Chiesa preserva la ricca diversità delle espressioni di fede radicate in specifici contesti culturali e storici e la comunione delle Chiese manifesta la comunione dei Fedeli all’interno dell’unica Chiesa. La conversione sinodale invita in questo modo ogni persona ad allargare lo spazio del proprio cuore, il primo “luogo” in cui risuonano tutte le nostre relazioni, radicate nel rapporto personale di ciascuno con Cristo Gesù e la Sua Chiesa. È questa la sorgente e la condizione per ogni riforma in chiave sinodale dei legami di appartenenza e dei luoghi ecclesiali. L’azione pastorale non può limitarsi a curare le relazioni fra persone che si sentono già tra loro in sintonia, ma deve favorire l’incontro con ogni uomo e ogni donna.
111. L’esperienza del radicamento deve fare i conti con profondi cambiamenti socioculturali che stanno modificando la percezione dei luoghi. Il concetto di luogo non può più essere inteso in termini puramente geografici e spaziali, ma evoca nel nostro tempo l’appartenenza a una rete di relazioni e a una cultura le cui radici territoriali sono più dinamiche e flessibili che mai. L’urbanizzazione è uno dei principali fattori di questo cambiamento: oggi, per la prima volta nella storia dell’umanità, la maggior parte della popolazione mondiale vive in contesti urbani. Le grandi città sono spesso agglomerati umani senza storia e senza identità in cui le persone vivono come isole. I tradizionali legami territoriali cambiano significato, rendendo i confini di Parrocchie e Diocesi meno definiti. La Chiesa è chiamata a vivere in questi contesti, ricostruendo la vita comunitaria, donando un volto a realtà anonime e intrecciando relazioni fraterne. A tal fine, oltre a valorizzare le strutture che si rivelano ancora idonee, è necessaria una creatività missionaria che esplori nuove forme di pastorale e individui percorsi concreti di cura. Resta comunque vero che le realtà rurali, alcune delle quali sono vere periferie esistenziali, non vanno trascurate e richiedono un’attenzione pastorale specifica, così come i luoghi dell’emarginazione e dell’esclusione.
112. I nostri tempi sono caratterizzati anche dall’aumento della mobilità umana, motivato da varie ragioni. Rifugiati e migranti spesso formano comunità dinamiche, anche nelle loro pratiche religiose, rendendo multiculturale il luogo in cui si stabiliscono. Alcuni tra loro mantengono stretti legami con i Paesi d’origine, soprattutto grazie ai media digitali, e sperimentano una difficoltà a tessere legami nel nuovo Paese; altri rimangono senza radici. Anche gli abitanti dei luoghi d’immigrazione sono messi in discussione dall’accoglienza di chi arriva. Tutti sperimentano l’impatto provocato dall’incontro con la diversità di provenienza geografica, culturale e linguistica e sono chiamati a costruire comunità interculturali. Non va trascurato l’impatto dei fenomeni migratori sulla vita delle Chiese. Emblematica è in questo senso la situazione di alcune Chiese cattoliche orientali, per il crescente numero di Fedeli in diaspora; si richiedono nuovi approcci perché siano mantenuti i legami con la propria Chiesa d’origine, e se ne creino di nuovi, nel rispetto delle diverse radici spirituali e culturali.
113. Anche la diffusione della cultura digitale, particolarmente evidente tra i giovani, sta cambiando profondamente la percezione dello spazio e del tempo, influenzando le attività quotidiane, le comunicazioni e le relazioni interpersonali, inclusa la fede. Le possibilità che la rete offre riconfigurano relazioni, legami e frontiere. Sebbene oggi si sia più connessi che mai, spesso si sperimenta solitudine ed emarginazione. I social media, inoltre, possono essere utilizzati da portatori di interessi economici e politici che, manipolando le persone, divulgano ideologie e generano polarizzazioni aggressive. Questa realtà ci trova impreparati e richiede la scelta di dedicare risorse perché l’ambiente digitale sia un luogo profetico di missione e di annuncio. Le Chiese locali incoraggino, sostengano e accompagnino coloro che sono impegnati nella missione nell’ambiente digitale. Anche le comunità e i gruppi digitali cristiani, in particolare di giovani, sono chiamati a riflettere sul modo in cui creano legami di appartenenza, promuovono l’incontro e il dialogo, offrono formazione tra pari, sviluppando una modalità sinodale di essere Chiesa. La rete, costituita da connessioni, offre nuove opportunità per vivere meglio la dimensione sinodale della Chiesa.
114. Questi sviluppi sociali e culturali chiedono alla Chiesa di ripensare il significato della sua dimensione “locale” e di mettere in discussione le sue forme organizzative, al fine di servire meglio la sua missione. Pur riconoscendo il valore del radicamento in contesti geografici e culturali concreti, è indispensabile comprendere il “luogo” come la realtà storica in cui l’esperienza umana prende forma. È lì, nella trama delle relazioni che vi si instaurano, che la Chiesa è chiamata a esprimere la propria sacramentalità (cfr. LG 1) e a svolgere la propria missione.
115. Il rapporto tra luogo e spazio suggerisce anche una riflessione sulla Chiesa come “casa”. Quando non è intesa come spazio chiuso, inaccessibile, da difendere a tutti i costi, l’immagine della casa evoca possibilità di accoglienza, di ospitalità e inclusione. Il creato stesso è casa comune, nella quale i membri dell’unica famiglia umana vivono con tutte le altre creature. Il nostro impegno, sorretto dallo Spirito, è far sì che la Chiesa sia percepita come casa accogliente, sacramento di incontro e di salvezza, scuola di comunione per tutti i figli e le figlie di Dio. La Chiesa è anche Popolo di Dio in cammino con Cristo, al cui interno ognuno è chiamato a essere pellegrino di speranza. Ne sono segno la pratica tradizionale dei pellegrinaggi. La pietà popolare è uno dei luoghi di una Chiesa sinodale missionaria.
116. La Chiesa locale, intesa come Diocesi o Eparchia, è l’ambito fondamentale in cui la comunione in Cristo dei Battezzati si manifesta nel modo più pieno. In essa la comunità è radunata nella celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal Vescovo. Ogni Chiesa locale è articolata al suo interno e, allo stesso tempo, è in relazione con le altre Chiese locali.
117. Una delle principali articolazioni della Chiesa locale che la storia ci consegna è la Parrocchia. La comunità parrocchiale, che si incontra nella celebrazione dell’Eucaristia, è luogo privilegiato di relazioni, accoglienza, discernimento e missione. I cambiamenti nella concezione e nel modo di vivere il rapporto con il territorio chiedono di ricomprenderne la configurazione. Ciò che la caratterizza è essere una proposta di comunità su base non elettiva. Vi si radunano persone di diversa generazione, professione, provenienza geografica, classe sociale e condizione di vita. Per rispondere alle nuove esigenze della missione è chiamata ad aprirsi a forme inedite di azione pastorale che tengano conto della mobilità delle persone e del “territorio esistenziale” in cui si sviluppa la loro vita. Promuovendo in modo particolare l’Iniziazione Cristiana e offrendo accompagnamento e formazione, sarà capace di sostenere le persone nelle diverse fasi della vita e nel compimento della loro missione nel mondo. Apparirà così più chiaramente che la Parrocchia non è centrata su sé stessa, ma orientata alla missione e chiamata a sostenere l’impegno di tante persone che in modi diversi vivono e testimoniano la loro fede nella professione e nell’attività sociale, culturale, politica. In molte regioni del mondo le piccole comunità cristiane o comunità ecclesiali di base sono il terreno su cui possono fiorire intense relazioni di prossimità e reciprocità, offrendo l’occasione di vivere concretamente la sinodalità.
118. Riconosciamo agli Istituti di Vita Consacrata, alle Società di Vita Apostolica, così come ad Associazioni, Movimenti e nuove Comunità, la capacità di radicarsi nel territorio e al tempo stesso di collegare luoghi e ambiti diversi, anche a livello nazionale o internazionale. Spesso è la loro azione, assieme a quella di tante singole persone e gruppi informali, a portare il Vangelo nei luoghi più diversi: ospedali, carceri, case per anziani, centri di accoglienza per migranti, minori, emarginati e vittime della violenza; luoghi educativi e di formazione, scuole e università, in cui si incontrano giovani e famiglie; luoghi della cultura, della politica e dello sviluppo umano integrale dove si immaginano e si costruiscono nuove forme di vivere insieme. Guardiamo con gratitudine anche i monasteri, luoghi di convocazione e di discernimento, profezia di un “oltre”, che riguarda tutta la Chiesa e ne orienta il cammino. È responsabilità specifica del Vescovo diocesano o eparchiale animare questa molteplicità e curare i legami di unità. Istituti e aggregazioni sono chiamati ad agire in sinergia con la Chiesa locale, partecipando al dinamismo della sinodalità.
119. Anche la valorizzazione dei luoghi “intermedi” tra Chiesa locale e Chiesa universale – come la Provincia ecclesiastica e i raggruppamenti di Chiese a base nazionale o continentale – può favorire una più significativa presenza della Chiesa nei luoghi del nostro tempo. L’accresciuta mobilità e le odierne interconnessioni rendono fluidi i confini tra le Chiese e spesso chiedono di pensare e agire all’interno di un «vasto territorio socio-culturale», in cui, esclusa ogni forma di «falso particolarismo», la vita cristiana sia «commisurata al genio e all’indole di ciascuna cultura» (AG 22).
Scambio di doni
120. Camminare insieme nei diversi luoghi come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri, così come nello scambio di doni tra le Chiese, è segno efficace della presenza dell’amore e della misericordia di Dio in Cristo che accompagna, sostiene e orienta nel soffio dello Spirito Santo il cammino dell’umanità verso il Regno. Lo scambio di doni coinvolge tutte le dimensioni della vita della Chiesa. Costituita in Cristo come il Popolo di Dio da tutti i popoli della terra e articolata dinamicamente nella comunione delle Chiese locali, dei loro raggruppamenti, delle Chiese sui iuris in seno alla Chiesa una e cattolica, essa vive la sua missione favorendo ed accogliendo «tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida e le eleva» (LG 13). L’esortazione dell’apostolo Pietro – «da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi metta a servizio degli altri il dono che ha ricevuto» (1Pt 4,10) – si può senz’altro applicare a ciascuna Chiesa locale. Un esempio paradigmatico e ispiratore di questo scambio di doni, che chiede oggi di essere vissuto e rivisitato con particolare cura a causa delle mutate e pressanti circostanze storiche, è quello tra le Chiese di tradizione latina e le Chiese orientali cattoliche. Un significativo orizzonte di novità e di speranza in cui si possono realizzare forme di scambio dei doni, di ricerca del bene comune e di impegno coordinato su questioni sociali di rilevanza globale è quello che va profilandosi, ad esempio, in grandi ambiti geografici sovranazionali e interculturali come l’Amazzonia, il bacino del fiume Congo, il Mar Mediterraneo.
121. La Chiesa, a livello locale e nella sua unità cattolica, si propone come una rete di relazioni attraverso cui circola ed è promossa la profezia della cultura dell’incontro, della giustizia sociale, dell’inclusione dei gruppi marginali, della fraternità tra i popoli, della cura della casa comune. L’esercizio concreto di questa profezia chiede che i beni di ogni Chiesa siano condivisi in spirito di solidarietà, senza paternalismo e assistenzialismo, nel rispetto delle diverse identità e nella promozione di una sana reciprocità, con l’impegno – dove necessario – a curare le ferite della memoria e a intraprendere cammini di riconciliazione. Lo scambio di doni e la condivisione delle risorse tra Chiese locali di diverse regioni favoriscono l’unità della Chiesa, creando legami tra le comunità cristiane coinvolte. Occorre mettere a fuoco le condizioni da garantire perché i Presbiteri che vengono in aiuto alle Chiese povere di clero non siano solo un rimedio funzionale, ma una risorsa per la crescita della Chiesa che li invia e di quella che li riceve. Analogamente occorre operare perché gli aiuti economici non degenerino in assistenzialismo, ma promuovano solidarietà evangelica e siano gestiti in modo trasparente e affidabile.
122. Lo scambio dei doni ha un significato cruciale anche nel cammino verso la piena e visibile unità tra tutte le Chiese e Comunioni cristiane e, del resto, rappresenta un segno efficace di quell’unità, nella fede e nell’amore di Cristo, che promuove la credibilità e l’incidenza della missione cristiana (cfr. Gv 17,21). San Giovanni Paolo II ha applicato questa espressione al dialogo ecumenico: «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (UUS 28). È stato nell’impegno a incarnare l’unico Vangelo nella diversità dei contesti culturali, delle circostanze storiche e delle sfide sociali che le diverse tradizioni cristiane, in ascolto della Parola di Dio e della voce dello Spirito Santo, hanno generato nel corso dei secoli frutti copiosi di santità, di carità, di spiritualità, di teologia, di solidarietà a livello sociale e culturale. È venuto il momento di fare tesoro di queste preziose ricchezze: con generosità, con sincerità, senza pregiudizi, con gratitudine al Signore, con apertura reciproca, facendone dono gli uni agli altri senza presumere che siano nostra esclusiva proprietà. Anche l’esempio dei santi e testimoni della fede di altre Chiese e Comunioni cristiane è un dono che possiamo ricevere, inserendo la loro memoria nel nostro calendario liturgico, in particolare per i martiri.
123. Nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sottoscritto da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, si dichiara la volontà di «adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio». Non si tratta di un’aspirazione velleitaria o di un aspetto opzionale nel cammino del Popolo di Dio nell’oggi della storia. Su questa strada una Chiesa sinodale s’impegna a camminare, nei diversi luoghi in cui vive, con i credenti di altre religioni e con le persone di altre convinzioni, condividendo gratuitamente la gioia del Vangelo e accogliendo con gratitudine i loro rispettivi doni: per costruire insieme, da fratelli e sorelle tutti, in spirito di mutuo scambio e aiuto (cfr. GS 40), la giustizia, la fraternità, la pace e il dialogo interreligioso. In alcune regioni, piccole comunità di vicinato, in cui le persone si incontrano a prescindere dall’appartenenza religiosa, offrono un ambiente propizio per un triplice dialogo: della vita, dell’azione e della preghiera.
Legami per l’unità: Conferenze episcopali e Assemblee ecclesiali
124. L’orizzonte della comunione nello scambio dei doni è il criterio ispiratore delle relazioni tra le Chiese. Esso coniuga l’attenzione ai legami che formano l’unità di tutta la Chiesa con il riconoscimento e l’apprezzamento delle particolarità legate al contesto in cui vive ogni Chiesa locale, con la sua storia e la sua tradizione. L’adozione di uno stile sinodale permette alle Chiese di muoversi con ritmi diversi. Le differenze di ritmo possono essere valorizzate come espressione di una legittima diversità e come opportunità di scambio di doni e di arricchimento reciproco. Questo orizzonte comune richiede di discernere, identificare e promuovere strutture e pratiche concrete per essere una Chiesa sinodale in missione.
125. Le Conferenze Episcopali esprimono e realizzano la collegialità dei Vescovi per favorire la comunione tra le Chiese e rispondere in modo più efficace ai bisogni della vita pastorale. Sono uno strumento fondamentale per creare legami, condividere esperienze e buone pratiche tra le Chiese, adattare la vita cristiana e l’espressione della fede alle diverse culture. Hanno anche un ruolo importante nello sviluppo della sinodalità, con il coinvolgimento dell’intero Popolo di Dio. Sulla base di quanto emerso durante il processo sinodale, si propone:
a) di raccogliere i frutti della riflessione sullo statuto teologico e giuridico delle Conferenze episcopali;
b) di precisare l’ambito della competenza dottrinale e disciplinare delle Conferenze Episcopali. Senza compromettere l’autorità del Vescovo nella Chiesa a lui affidata né mettere a rischio l’unità e la cattolicità della Chiesa, l’esercizio collegiale di tale competenza può favorire l’insegnamento autentico dell’unica fede in un modo adeguato e inculturato nei diversi contesti, individuando le opportune espressioni liturgiche, catechetiche, disciplinari, pastorali, teologiche e spirituali (cfr. AG 22);
c) di procedere a una valutazione dell’esperienza del reale funzionamento delle Conferenze episcopali, dei rapporti tra gli episcopati e con la Santa Sede, per individuare le riforme concrete da attuare. Le visite ad limina Apostolorum potranno essere un’occasione propizia per tale valutazione;
d) di fare in modo che tutte le Diocesi siano parte di una Provincia ecclesiastica e di una Conferenza episcopale (cfr. CD 40);
e) di specificare il vincolo ecclesiale che le decisioni prese da una Conferenza episcopale generano, rispetto alla propria Diocesi, per ciascun Vescovo che ha partecipato a quelle stesse decisioni;
126. Nel processo sinodale le sette Assemblee ecclesiali continentali, svoltesi a inizio 2023, hanno rappresentato una novità rilevante e sono un’eredità da valorizzare come modo efficace di attuare l’insegnamento conciliare sul valore «di ogni grande territorio socio-culturale» nella ricerca di «una più profonda sistemazione di tutto l’ambito della vita cristiana» (AG 22). Occorrerà chiarirne meglio lo statuto teologico e canonico, così come quello dei raggruppamenti continentali di Conferenze Episcopali, per poterne mettere a frutto le potenzialità per l’ulteriore sviluppo di una Chiesa sinodale. Compete in particolare ai Presidenti dei raggruppamenti continentali di Conferenze episcopale incoraggiare e sostenere la prosecuzione di questa esperienza.
127. Nelle Assemblee ecclesiali (regionali, nazionali, continentali) i membri, che esprimono e rappresentano la varietà del Popolo di Dio (Vescovi compresi), partecipano al discernimento che permetterà ai Vescovi, collegialmente, di assumere le decisioni alle quali sono tenuti in forza del ministero loro affidato. Questa esperienza mostra come la sinodalità permette di articolare concretamente il coinvolgimento di tutti (il santo Popolo di Dio) e il ministero di alcuni (il collegio dei Vescovi) nel processo delle decisioni relative alla missione della Chiesa. Si propone che il discernimento possa includere, in forme adeguate alla diversità dei contesti, spazi di ascolto e di dialogo con gli altri cristiani, i rappresentanti di altre religioni, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni della società civile e la società nel suo complesso.
128. A causa di particolari situazioni sociali e politiche, alcune Conferenze episcopali hanno difficoltà nel partecipare ad Assemblee continentali o organismi ecclesiali sovra-nazionali. Sarà cura della Santa Sede aiutarle queste Conferenze episcopali, promuovendo il dialogo e la reciproca fiducia con gli Stati, perché sia data loro la possibilità di entrare in relazione con altre Conferenze episcopali, nella prospettiva dello scambio dei doni.
129. Per realizzare una «salutare “decentralizzazione”» (EG 16) e un’efficace inculturazione della fede, è necessario non solo riconoscere il ruolo delle Conferenze episcopali, ma anche rivalutare l’istituzione dei Concili particolari, sia provinciali che plenari, la cui celebrazione periodica è stata un obbligo per gran parte della storia della Chiesa e che sono previsti dal diritto vigente nell’ordinamento latino (cfr. CIC can. 439-446). Essi dovrebbero essere convocati periodicamente. La procedura per il riconoscimento delle conclusioni dei Concili particolari da parte della Santa Sede (recognitio) dovrebbe essere riformata, per incoraggiare la loro tempestiva pubblicazione, indicando termini temporali precisi o, nel caso di questioni puramente pastorali o disciplinari (non riguardanti direttamente questioni di fede, morale o disciplina sacramentale), introducendo una presunzione giuridica, equivalente al consenso tacito.
Il servizio del Vescovo di Roma
130. Il processo sinodale ha aiutato a rivisitare alla luce della sinodalità anche i modi di esercizio del ministero del Vescovo di Roma. La sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le dimensioni comunitaria (“tutti”), collegiale (“alcuni”) e personale (“uno”) delle singole Chiese e dell’intera Chiesa. In questa prospettiva, il ministero petrino del Papa risulta insito nella dinamica sinodale, così come l’aspetto comunitario, che include tutto il Popolo di Dio, e la dimensione collegiale del ministero episcopale (cfr. CTI, n. 64).
131. Possiamo perciò comprendere la portata dell’affermazione conciliare secondo cui «nella comunione ecclesiale esistono legittimamente le Chiese particolari, che godono di tradizioni proprie, salvo restando il primato della cattedra di Pietro che presiede alla comunione universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma anzi ne sia al servizio» (LG 13). Il Vescovo di Roma, principio e fondamento di unità della Chiesa (cfr. LG 23), è il garante della sinodalità: a lui spetta convocare la Chiesa in Sinodo, presiederlo e confermarne i risultati. Come successore di Pietro, ha un ruolo unico nel salvaguardare il deposito della fede e della morale, assicurando che i processi sinodali siano fecondi per l’unità e la testimonianza. Insieme al Vescovo di Roma, il Collegio episcopale ha un ruolo insostituibile nel pascere la Chiesa tutta (cfr. LG 22-23) e nel promuovere la sinodalità in tutte le Chiese locali.
132. In quanto garante dell’unità nella diversità, il Vescovo di Roma assicura la salvaguardia dell’identità delle Chiese Orientali Cattoliche, nel rispetto delle loro secolari tradizioni teologiche, canoniche, liturgiche, spirituali e pastorali. Queste Chiese sono dotate di proprie strutture sinodali deliberative: Sinodo dei vescovi della Chiesa patriarcale e arcivescovile maggiore (cfr. CCEO c. 102.ss., 152), Concilio provinciale (cfr. CCEO can. 137), Consiglio dei Gerarchi (cfr. CCEO cc. 155, § 1, 164 ss.), e, infine, Assemblee dei Gerarchi di diverse Chiese sui iuris (cfr. CCEO can. 322). In quanto Chiese sui iuris in piena comunione con il Vescovo di Roma, esse conservano la loro identità orientale e la loro autonomia. Nel quadro della sinodalità, è opportuno rivisitare insieme la storia per sanare le ferite del passato e approfondire i modi in cui vivere la comunione, che comportino anche un adattamento nelle relazioni tra le Chiese Orientali Cattoliche e la Curia Romana. Le relazioni tra Chiesa Latina e Chiese Orientali Cattoliche devono essere caratterizzate da uno scambio di doni, dalla collaborazione e dall’arricchimento reciproco.
133. Per incrementare tali relazioni, l’Assemblea sinodale propone di istituire un Consiglio dei Patriarchi, Arcivescovi Maggiori e Metropoliti delle Chiese Orientali Cattoliche presieduto dal Papa, che sia espressione di sinodalità e strumento per promuovere la comunione e la condivisione del patrimonio liturgico, teologico, canonico e spirituale. L’esodo di molti Fedeli orientali in regioni di rito latino rischia di compromettere la loro identità. Per affrontare questa situazione, andranno elaborati strumenti e norme volti a rafforzare al massimo la collaborazione tra Chiesa latina e Chiese Orientali Cattoliche. L’Assemblea sinodale raccomanda il dialogo sincero e la fraterna collaborazione tra Vescovi latini e orientali, per assicurare una miglior assistenza pastorale per i Fedeli orientali sprovvisti di Presbiteri di rito proprio e per garantire, con la giusta autonomia, il coinvolgimento dei Vescovi orientali nelle Conferenze episcopali. Propone infine al Santo Padre di convocare un Sinodo Speciale per promuovere il consolidamento e la rifioritura delle Chiese Orientali Cattoliche.
134. La riflessione in merito all’esercizio del ministero petrino in chiave sinodale va condotta nella prospettiva della «salutare “decentralizzazione”» (EG 16), sollecitata da Papa Francesco e richiesta da molte Conferenze Episcopali. Nella formulazione che ne dà la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, essa comporta «di lasciare alla competenza dei Pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del “loro proprio compito di maestri” e di Pastori le questioni che conoscono bene e che non toccano l’unità di dottrina, di disciplina e di comunione della Chiesa, sempre agendo con quella corresponsabilità che è frutto ed espressione di quello specifico mysterium communionis che è la Chiesa» (PE II, 2). Per procedere in questa direzione, si potrebbe individuare attraverso uno studio teologico e canonico quali materie debbano essere riservate al Papa (reservatio papalis) e quali possano essere restituite ai Vescovi nelle loro Chiese o raggruppamenti di Chiese, nella linea del recente Motu Proprio Competentias quasdam decernere (15 febbraio 2022). Esso infatti assegna «alcune competenze, circa disposizioni codiciali volte a garantire l’unità della disciplina della Chiesa tutta, alla potestà esecutiva delle Chiese e delle istituzioni ecclesiali locali» sulla base della «dinamica ecclesiale della comunione» (proemio). Anche l’elaborazione della normativa canonica da parte di chi ne ha il compito e l’autorità nella Chiesa, dovrebbe avere stile sinodale e maturare come frutto di un discernimento ecclesiale.
135. La Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium ha configurato in senso sinodale e missionario il servizio della Curia Romana, insistendo sul fatto che essa «non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno» (PE I.8). La sua attuazione dovrà promuovere una maggiore collaborazione tra i Dicasteri e favorire l’ascolto delle Chiese locali. Prima di pubblicare documenti normativi importanti, i Dicasteri sono esortati ad avviare una consultazione delle Conferenze episcopali e degli organismi corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche. Nella logica della trasparenza e del rendiconto, delineata precedentemente, potrebbero eventualmente essere previste forme di valutazione periodica dell’operato della Curia. Tale valutazione, in prospettiva sinodale missionaria, potrebbe riguardare anche i Rappresentanti pontifici. Le visite ad limina Apostolorum sono il momento più alto delle relazioni dei Pastori delle Chiese locali con il Vescovo di Roma e con i suoi più stretti collaboratori nella Curia Romana. Molti Vescovi desiderano che si riveda la forma in cui si realizzano, in modo da renderle sempre di più occasioni di scambio aperto e ascolto reciproco. È importante per il bene della Chiesa favorire la mutua conoscenza e i legami di comunione tra i membri del Collegio dei Cardinali, tenuto conto anche della loro diversità di provenienza e di cultura. La sinodalità deve ispirare la loro collaborazione al ministero petrino e il loro discernimento collegiale nei Concistori ordinari e straordinari.
136. Tra i luoghi per praticare la sinodalità e la collegialità a livello della Chiesa tutta spicca certamente il Sinodo dei Vescovi, che la Costituzione Apostolica Episcopalis communio ha trasformato da evento puntuale a processo ecclesiale. Istituito da San Paolo VI come un’assemblea di Vescovi convocata per partecipare, mediante il consiglio, alla sollecitudine del Romano Pontefice per tutta la Chiesa, è ora, nella forma di un processo per fasi, espressione e strumento della relazione costitutiva tra l’intero Popolo di Dio, il Collegio dei Vescovi e il Papa. L’intero Popolo santo di Dio, i Vescovi a cui sono affidate le sue singole porzioni e il Vescovo di Roma partecipano infatti a pieno titolo al processo sinodale, ciascuno secondo la propria funzione. Questa partecipazione è resa manifesta dall’Assemblea sinodale riunita intorno al Papa, che, nella sua composizione, mostra la cattolicità della Chiesa. In particolare, come ha spiegato Papa Francesco, la composizione di questa XVI Assemblea Generale Ordinaria è «più che un fatto contingente. Essa esprime una modalità di esercizio del ministero episcopale coerente con la Tradizione viva delle Chiese e con l’insegnamento del Concilio Vaticano II» (Intervento alla Prima Congregazione Generale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 2 ottobre 2024). Il Sinodo dei Vescovi, conservando la sua natura episcopale, ha visto e potrà vedere anche in futuro nella partecipazione di altri membri del Popolo di Dio «la forma che è chiamato ad assumere l’esercizio dell’autorità episcopale in una Chiesa consapevole di essere costitutivamente relazionale e per questo sinodale» (ibid.) per la missione. Nell’approfondimento dell’identità del Sinodo dei Vescovi, è essenziale che nel processo sinodale e nelle Assemblee appaia e si realizzi concretamente l’articolazione tra il coinvolgimento di tutti (il santo Popolo di Dio), il ministero di alcuni (il Collegio dei Vescovi) e la presidenza di uno (il successore di Pietro).
137. Tra i frutti più significativi del Sinodo 2021-2024 vi è l’intensità dello slancio ecumenico. La necessità di trovare «una forma di esercizio del Primato che […] si apra a una situazione nuova» (UUS 95) è una sfida fondamentale sia per una Chiesa sinodale missionaria che per l’unità dei cristiani. Il Sinodo si rallegra della recente pubblicazione del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica “Ut unum sint”, che offre spunti per un ulteriore approfondimento. Il documento mostra che la promozione dell’unità dei cristiani è un aspetto essenziale del ministero del Vescovo di Roma e che il cammino ecumenico ne ha favorito una comprensione più approfondita. Le proposte concrete che esso contiene circa una rilettura o un commento ufficiale delle definizioni dogmatiche del Concilio Vaticano I sul primato, una più chiara distinzione tra le diverse responsabilità del Papa, la promozione della sinodalità e la ricerca di un modello di unità basato su un’ecclesiologia di comunione, offrono prospettive promettenti per il cammino ecumenico. L’Assemblea sinodale auspica che questo documento serva da base per ulteriori riflessioni con gli altri cristiani, «evidentemente insieme», sull’esercizio del ministero di unità del Vescovo di Roma come «un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri» (UUS 95).
138. La ricchezza rappresentata dalla partecipazione dei Delegati fraterni, provenienti da altre Chiese e Comunioni cristiane, all’Assemblea sinodale ci invita a prestare più attenzione alle pratiche sinodali dei nostri partner ecumenici, sia in Oriente che in Occidente. Il dialogo ecumenico è fondamentale per sviluppare la comprensione della sinodalità e dell’unità della Chiesa. Esso ci spinge a immaginare pratiche sinodali ecumeniche, fino a forme di consultazione e discernimento su questioni di interesse condiviso e urgente, come potrebbe essere la celebrazione di un Sinodo ecumenico sull’evangelizzazione. Ci invita anche a rendere conto reciprocamente di ciò che siamo, di ciò che facciamo e di ciò che insegniamo. Alla radice di questa possibilità vi è il fatto che siamo uniti nell’unico Battesimo, da cui scaturiscono l’identità del Popolo di Dio e il dinamismo di comunione, partecipazione e missione.
139. Nel 2025, anno giubilare, ricorre anche l’anniversario del primo Concilio Ecumenico, in cui il Simbolo della fede che unisce tutti i Cristiani è stato formulato in modo sinodale. La preparazione e la commemorazione congiunta del 1700° anniversario del Concilio di Nicea dovrebbe essere un’occasione per approfondire e confessare insieme la fede cristologica e per mettere in pratica forme di sinodalità tra i cristiani di tutte le tradizioni. Sarà anche l’occasione per avviare iniziative audaci per una data comune della Pasqua, in modo da poter celebrare nello stesso giorno la risurrezione del Signore, come provvidenzialmente avverrà proprio nel 2025 e dare così una maggior forza missionaria all’annuncio di Colui che è la vita e la salvezza del mondo intero.