Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”
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Parte III
«Gettate la rete»
La conversione dei processi
Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. (Gv 21, 5-6)
79. La pesca non ha dato frutto ed è ormai ora di rientrare a riva. Ma risuona una Voce, autorevole, che invita a fare qualcosa che i discepoli da soli non avrebbero fatto, che indica una possibilità che i loro occhi e la loro mente non riuscivano a intuire: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». Nel corso del processo sinodale, abbiamo cercato di ascoltare questa Voce e di accogliere quello che ci diceva. Nella preghiera e nel dialogo fraterno, abbiamo riconosciuto che il discernimento ecclesiale, la cura dei processi decisionali e l’impegno a rendere conto del proprio operato e a valutare l’esito delle decisioni assunte sono pratiche con le quali rispondiamo alla Parola che ci indica le vie della missione.
80. Queste tre pratiche sono strettamente intrecciate. I processi decisionali hanno bisogno del discernimento ecclesiale, che richiede l’ascolto in un clima di fiducia, che trasparenza e rendiconto sostengono. La fiducia deve essere reciproca: coloro che prendono le decisioni hanno bisogno di potersi fidare e ascoltare il Popolo di Dio, che a sua volta ha bisogno di potersi fidare di chi esercita l’autorità. Questa visione integrale evidenzia che ciascuna di queste pratiche dipende dalle altre e le sostiene, a servizio della capacità della Chiesa di svolgere la propria missione. Impegnarsi in processi decisionali imperniati sul discernimento ecclesiale e assumere una cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione richiede una adeguata formazione non solo tecnica, ma capace di esplorarne i fondamenti teologici, biblici e spirituali. Tutti i Battezzati hanno bisogno di questa formazione alla testimonianza, alla missione, alla santità e al servizio, che mette in risalto la corresponsabilità. Assume forme particolari per coloro che svolgono incarichi di responsabilità o a servizio del discernimento ecclesiale.
Il discernimento ecclesiale per la missione
81. Per promuovere relazioni capaci di sostenere e orientare la missione della Chiesa, è esigenza prioritaria esercitare la sapienza evangelica che ha permesso alla comunità apostolica di Gerusalemme di sigillare il risultato del primo evento sinodale con le parole: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28). È il discernimento che, in quanto esercitato dal Popolo di Dio in vista della missione, possiamo qualificare come “ecclesiale”. Lo Spirito che il Padre ha mandato nel nome di Gesù e che insegna ogni cosa (cfr. Gv 14,26), guida in ogni tempo i credenti «a tutta la verità» (Gv 16,13). Per la Sua presenza e la Sua azione continua, la «Tradizione, che viene dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa» (DV 8). Invocando la Sua luce, il Popolo di Dio, partecipe della funzione profetica di Cristo (cfr. LG 12), «cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS 11). Tale discernimento si avvale di tutti i doni di saggezza che il Signore distribuisce nella Chiesa e si radica nel sensus fidei comunicato dallo Spirito a tutti i Battezzati. In questo spirito si deve ricomprendere e riorientare la vita della Chiesa sinodale missionaria.
82. Il discernimento ecclesiale non è una tecnica organizzativa, ma una pratica spirituale da vivere nella fede. Esso richiede libertà interiore, umiltà, preghiera, fiducia reciproca, apertura alla novità e abbandono alla volontà di Dio. Non è mai l’affermazione di un punto di vista personale o di gruppo, né si risolve nella semplice somma di pareri individuali; ciascuno, parlando secondo coscienza, si apre all’ascolto di ciò che altri in coscienza condividono, così da cercare insieme di riconoscere «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7). Prevedendo l’apporto di tutte le persone coinvolte, il discernimento ecclesiale è allo stesso tempo condizione ed espressione privilegiata della sinodalità, in cui si vivono insieme comunione, missione e partecipazione. Il discernimento è tanto più ricco, quanto più tutti sono ascoltati. Per questo è fondamentale promuovere un’ampia partecipazione ai processi di discernimento, con una particolare cura per il coinvolgimento di coloro che si trovano ai margini della comunità cristiana e della società.
83. L’ascolto della Parola di Dio è il punto di partenza e il criterio di ogni discernimento ecclesiale. Le Sacre Scritture, infatti, attestano che Dio ha parlato al Suo Popolo, fino a darci in Gesù la pienezza di tutta la Rivelazione (cfr. DV 2), e indicano i luoghi in cui possiamo ascoltare la sua voce. Dio comunica con noi anzitutto nella liturgia, perché è Cristo stesso che parla «quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura» (SC 7). Dio parla attraverso la Tradizione vivente della Chiesa, il suo magistero, la meditazione personale e comunitaria delle Scritture e le pratiche della pietà popolare. Dio continua a manifestarsi attraverso il grido dei poveri e gli eventi della storia dell’umanità. Ancora, Dio comunica con il Suo Popolo attraverso gli elementi della creazione, la cui stessa esistenza rimanda all’azione del Creatore e che è riempita dalla presenza dello Spirito che dà la vita. Infine, Dio parla anche nella coscienza personale di ciascuno, che è «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (GS 16). Il discernimento ecclesiale esige la continua cura e formazione delle coscienze e la maturazione del sensus fidei, così da non trascurare nessuno dei luoghi in cui Dio parla e viene incontro al suo Popolo.
84. I passaggi del discernimento ecclesiale possono articolarsi in diversi modi, a seconda dei luoghi e delle tradizioni. Anche sulla base dell’esperienza sinodale, è possibile identificare alcuni elementi chiave che non dovrebbero mancare:
a) la presentazione chiara dell’oggetto del discernimento e la messa a disposizione di informazioni e strumenti adeguati per la sua comprensione;
b) un tempo conveniente per prepararsi con la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la riflessione sul tema;
c) una disposizione interiore di libertà rispetto ai propri interessi, personali e di gruppi, e l’impegno per la ricerca del bene comune;
d) un ascolto attento e rispettoso della parola di ciascuno;
e) la ricerca di un consenso il più ampio possibile, che emergerà attraverso ciò che più “fa ardere i cuori” (cfr. Lc 24,32), senza nascondere i conflitti e senza cercare compromessi al ribasso;
f) la formulazione da parte di chi guida il processo del consenso raggiunto e la sua presentazione a tutti i partecipanti, perché manifestino se vi si riconoscono o meno.
Sulla base del discernimento, maturerà la decisione opportuna che impegna l’adesione di tutti, anche quando il proprio parere non è stato accolto, e un tempo di recezione nella comunità, che potrà portare a successive verifiche e valutazioni.
85. Il discernimento si svolge sempre all’interno di un contesto concreto, di cui occorre conoscere il meglio possibile le complessità e le peculiarità. Perché il discernimento sia effettivamente “ecclesiale” occorre avvalersi dei mezzi necessari, fra i quali un’adeguata esegesi dei testi biblici, tale da aiutare a interpretarli e a comprenderli evitando approcci parziali o fondamentalistici; una conoscenza dei Padri della Chiesa, della Tradizione e degli insegnamenti magisteriali, secondo il loro diverso grado di autorità; gli apporti delle diverse discipline teologiche; i contributi delle scienze umane, storiche, sociali e amministrative, senza le quali non è possibile conoscere seriamente il contesto nel quale e in vista del quale avviene il discernimento.
86. Nella Chiesa esiste una grande varietà di approcci al discernimento e di metodologie consolidate. Questa varietà è una ricchezza: con gli opportuni adattamenti ai diversi contesti, la pluralità di approcci può rivelarsi feconda. In vista della comune missione, è importante che entrino in un dialogo cordiale, senza disperdere le specificità di ciascuno e senza arroccamenti identitari. Nelle Chiese locali, a partire dalle piccole comunità ecclesiali e dalle Parrocchie, è fondamentale offrire opportunità di formazione che diffondano e alimentino una cultura del discernimento ecclesiale per la missione, in particolare tra quanti ricoprono ruoli di responsabilità. Altrettanto importante è curare la formazione di figure di accompagnatori o facilitatori, il cui apporto si rivela assai spesso cruciale nello svolgimento dei processi di discernimento.
L’articolazione dei processi decisionali
87. Nella Chiesa sinodale «tutta la comunità, nella libera e ricca diversità dei suoi membri, è convocata per pregare, ascoltare, analizzare, dialogare, discernere e consigliare nel prendere le decisioni» (CTI, n. 68) per la missione. Favorire la più ampia partecipazione possibile di tutto il Popolo di Dio ai processi decisionali è la via più efficace per promuovere una Chiesa sinodale. Se è vero, infatti, che la sinodalità definisce il modus vivendi et operandi che qualifica la Chiesa, essa indica al tempo stesso una pratica essenziale nel compimento della sua missione: discernere, raggiungere il consenso, decidere attraverso l’esercizio delle diverse strutture e istituzioni di sinodalità.
88. La comunità dei discepoli convocata e inviata dal Signore non è un soggetto uniforme e amorfo. È il Suo Corpo dalle molte e diverse membra, soggetto storico comunitario in cui accade come «germe e inizio» il Regno di Dio a servizio del suo avvento in tutta la famiglia umana (cfr. LG 5). Già i Padri della Chiesa riflettono sulla natura comunionale della missione del Popolo di Dio attraverso un triplice nihil sine: «niente senza il Vescovo» (S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Trallesi, 2.2), «niente senza il consiglio dei Presbiteri, niente senza il consenso del Popolo» (S. Cipriano di Cartagine, Lettera 14.4) . Dove s’infrange questa logica del nihil sine si oscura l’identità della Chiesa e se ne inibisce la missione.
89. Si colloca in tale quadro di riferimento ecclesiologico l’impegno a promuovere la partecipazione sulla base di una corresponsabilità differenziata. Ogni membro della comunità va rispettato, valorizzando le sue capacità e i suoi doni in vista della decisione condivisa. Sono necessarie forme di mediazione istituzionale più o meno articolate in rapporto all’ampiezza della comunità. Il diritto vigente già prevede organismi di partecipazione a diversi livelli, di cui il documento si occuperà più avanti.
90. Per favorirne il funzionamento, pare opportuna una riflessione sull’articolazione dei processi decisionali. Quest’ultima d’abitudine prevede una fase di elaborazione o istruzione «attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione» (CTI, n. 69), che informa e sostiene la successiva presa di decisione, che spetta all’autorità competente. Fra le due fasi non vi è competizione o contrasto, ma con la loro articolazione concorrono a che le decisioni prese siano frutto dell’obbedienza da parte di tutti a ciò che Dio vuole per la Sua Chiesa. Occorre per questo promuovere procedure che rendano effettiva la reciprocità tra l’assemblea e chi la presiede, in un clima di apertura allo Spirito e vicendevole fiducia, alla ricerca di un consenso possibilmente unanime. Il processo deve anche prevedere la fase dell’attuazione della decisione e quella della sua valutazione, in cui le funzioni dei soggetti coinvolti tornano ad articolarsi con nuove modalità.
91. Vi sono casi in cui già il diritto vigente prescrive che, prima di prendere una decisione, l’autorità è obbligata a procedere a una consultazione. L’autorità pastorale ha il dovere di ascoltare coloro che partecipano alla consultazione e, di conseguenza, non può più agire come se non li avesse ascoltati. Non si discosterà, pertanto, dal frutto della consultazione, quando è concorde, senza una ragione che risulti prevalente e che va opportunamente espressa (cfr. CIC, can. 127, § 2, 2°; CCEO can. 934, § 2, 3°). Come in ogni comunità che vive secondo giustizia, nella Chiesa l’esercizio dell’autorità non consiste nell’imposizione di una volontà arbitraria. Nei vari modi in cui viene esercitata, è sempre a servizio della comunione e dell’accoglienza della verità di Cristo, nella quale e verso la quale lo Spirito Santo ci guida nei diversi tempi e contesti (cfr. Gv 14,16).
92. In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del Vescovo, del Collegio Episcopale e del Vescovo di Roma è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo a servizio dell’unità e del rispetto della legittima diversità (cfr. LG 13). Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione, non può essere ignorato. Risulta dunque inadeguata una contrapposizione tra consultazione e deliberazione: nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio. Per questa ragione la formula ricorrente nel Codice di diritto canonico, che parla di voto “solamente consultivo” (tantum consultivum), deve essere riesaminata per eliminare possibili ambiguità. Appare quindi opportuna una revisione della normativa canonica in chiave sinodale, che chiarisca tanto la distinzione quanto l’articolazione tra consultivo e deliberativo e illumini le responsabilità di coloro che nelle diverse funzioni prendono parte ai processi decisionali.
93. La cura per l’ordinato svolgimento e una chiara assunzione della responsabilità dei partecipanti sono fattori cruciali per la fecondità dei processi decisionali nelle modalità qui prospettate:
a) spetta in particolare all’autorità: definire con chiarezza l’oggetto della consultazione e della deliberazione, nonché il soggetto a cui compete l’assunzione della decisione; identificare coloro che devono essere consultati, anche in ragione di competenze specifiche o del coinvolgimento nella questione; fare in modo che tutti i partecipanti abbiano effettivo accesso alle informazioni rilevanti, in modo da poter formulare il proprio parere a ragion veduta;
b) coloro che esprimono il proprio parere in una consultazione, singolarmente o come membri di un organo collegiale, si assumono la responsabilità di: offrire un parere sincero e onesto, in scienza e coscienza; rispettare la confidenzialità delle informazioni ricevute; offrire una formulazione chiara del proprio avviso, identificandone i punti principali, in modo che l’autorità, qualora dovesse decidere in modo difforme dal parere ricevuto, possa spiegare come ne ha tenuto conto nella sua deliberazione;
c) una volta che l’autorità competente ha formulato la decisione, avendo rispettato il processo di consultazione e chiaramente espresso le motivazioni della stessa, tutti, in ragione del vincolo di comunione che unisce i Battezzati, sono tenuti a rispettarla e metterla in atto, anche quando non corrisponde al proprio punto di vista, fatto salvo il dovere di partecipare con onestà anche alla fase della valutazione. Resta sempre possibile fare appello all’autorità superiore, nei modi stabiliti dal diritto.
94. Una corretta e risoluta attuazione sinodale dei processi decisionali contribuirà al progresso del Popolo di Dio in una prospettiva partecipativa, in particolare attraverso le mediazioni istituzionali previste dal diritto canonico, in particolare gli organismi di partecipazione. Senza cambiamenti concreti a breve termine, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo allontanerà quei membri del Popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza. Spetta alle Chiese locali trovare modalità appropriate per dare attuazione a questi cambiamenti.
Trasparenza, rendiconto, valutazione
95. La presa di decisione non conclude il processo decisionale. Esso va accompagnato e seguito da pratiche di rendiconto e valutazione, in uno spirito di trasparenza ispirata da criteri evangelici. Rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla tradizione più antica, risalente alla Chiesa apostolica. Ce ne offre un esempio il cap. 11 degli Atti degli Apostoli: quando Pietro rientra a Gerusalemme dopo aver battezzato Cornelio, un pagano, «i fedeli circoncisi lo rimproveravano dicendo: “Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!”» (At 11,2-3). Pietro risponde con un racconto che rende conto delle ragioni del suo operato.
96. In particolare, per quanto riguarda la trasparenza, è emersa la necessità di illuminarne il significato collegandola a una serie di termini come verità, lealtà, chiarezza, onestà, integrità, coerenza, rifiuto dell’opacità, dell’ipocrisia e dell’ambiguità, assenza di secondi fini. Sono stati richiamati la beatitudine evangelica dei puri di cuore (cfr. Mt 5,8), il comando di essere «semplici come le colombe» (Mt 10,16), e le parole dell’apostolo Paolo: «abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio» (2Cor 4,2). Si fa dunque riferimento a un atteggiamento di fondo, radicato nella Scrittura, piuttosto che a una serie di procedure o requisiti di tipo amministrativo o gestionale. La trasparenza, nel suo corretto senso evangelico, non compromette il rispetto della riservatezza e della confidenzialità, la tutela delle persone, della loro dignità e dei loro diritti anche nei confronti di pretese indebite dell’autorità civile. Tutto questo però non potrà mai giustificare pratiche contrarie al Vangelo o diventare un pretesto per aggirare o insabbiare azioni di contrasto al male. In ogni caso, per quanto riguarda il segreto confessionale «il sigillo sacramentale è indispensabile e nessun potere umano ha giurisdizione, né può rivendicarla su di esso» (Francesco, Discorso ai Partecipanti al XXX Corso sul Foro Interno organizzato dalle Penitenzieria Apostolica, 29 marzo 2019).
97. L’atteggiamento della trasparenza, nel senso appena indicato, costituisce un presidio di quella fiducia e credibilità di cui una Chiesa sinodale, attenta alle relazioni, non può fare a meno. Quando la fiducia viene violata, a patirne le conseguenze sono le persone più deboli e vulnerabili. Dove la Chiesa gode di fiducia, pratiche di trasparenza, rendiconto e valutazione contribuiscono a consolidarla, e sono un elemento ancora più critico dove la credibilità della Chiesa deve essere ricostruita. Questo è particolarmente importante nella tutela dei minori e delle persone vulnerabili (safeguarding).
98. In ogni caso, queste pratiche contribuiscono ad assicurare la fedeltà della Chiesa alla propria missione. La loro mancanza è una delle conseguenze del clericalismo e allo stesso tempo lo alimenta. Esso si fonda sull’assunto implicito che coloro che hanno autorità nella Chiesa non debbano rendere conto delle loro azioni e delle loro decisioni, come se fossero isolati o al di sopra del resto del Popolo di Dio. Non si deve fare appello a trasparenza e rendiconto solo quando si tratta di abusi sessuali, finanziari e di altro genere. Essa riguarda anche lo stile di vita dei Pastori, i piani pastorali, i metodi di evangelizzazione e le modalità con cui la Chiesa rispetta la dignità della persona umana, ad esempio per quanto riguarda le condizioni di lavoro all’interno delle sue istituzioni.
99. Se la Chiesa sinodale vuole essere accogliente, il rendiconto deve diventare pratica consueta a tutti i livelli. Tuttavia, chi ricopre ruoli di autorità ha una responsabilità maggiore a riguardo ed è chiamato a renderne conto a Dio e al Suo Popolo. Se nel corso dei secoli si è conservata la pratica del rendere conto ai superiori, va recuperata la dimensione del rendiconto che l’autorità è chiamata a dare alla comunità. Le istituzioni e le procedure consolidate nell’esperienza della vita consacrata (come i capitoli, le visite canoniche, ecc.), possono essere una fonte di ispirazione a questo riguardo.
100. Ugualmente appaiono necessarie strutture e forme di valutazione regolare del modo in cui sono esercitate le responsabilità ministeriali di ogni genere. La valutazione non costituisce un giudizio sulle persone: essa permette piuttosto di mettere in luce gli aspetti positivi e le aree di possibile miglioramento dell’agire di chi ha responsabilità ministeriali e aiuta la Chiesa a imparare dall’esperienza, a ricalibrare i piani di azione e a rimanere attenta alla voce dello Spirito Santo, focalizzando l’attenzione sui risultati delle decisioni in rapporto alla missione.
101. Oltre a osservare quanto già previsto dalle norme canoniche in materia di criteri e meccanismi di controllo, compete alle Chiese locali, e soprattutto ai loro raggruppamenti, costruire in modo sinodale forme e procedure efficaci di rendiconto e valutazione, appropriate alla varietà dei contesti, a partire dal quadro normativo civile, dalle legittime attese della società e dalle effettive disponibilità di competenze in materia. In questo lavoro occorre privilegiare metodologie di valutazione partecipativa, valorizzare le competenze di quanti, in particolare Laici, hanno maggiori dimestichezze con i processi di rendiconto e valutazione e operare un discernimento delle buone pratiche già presenti nella società civile locale, adattandole ai contesti ecclesiali. Il modo in cui a livello locale sono attuati i processi di rendiconto e valutazione rientrino nell’ambito della relazione presentata in occasione delle visite ad limina.
102. In particolare, in forme appropriate ai diversi contesti, pare necessario garantire quanto meno:
a) un effettivo funzionamento dei Consigli degli affari economici;
b) il coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio, in particolare dei membri più competenti, nella pianificazione pastorale ed economica;
c) la predisposizione e la pubblicazione (appropriata al contesto locale e con effettiva accessibilità) di un rendiconto economico annuale, per quanto possibile certificato da revisori esterni, che renda trasparente la gestione dei beni e delle risorse finanziarie della Chiesa e delle sue istituzioni;
d) la predisposizione e la pubblicazione di un rendiconto annuale sullo svolgimento della missione, che comprenda anche una illustrazione delle iniziative intraprese in materia di safeguarding (tutela dei minori e delle persone vulnerabili) e di promozione dell’accesso di persone laiche a posizioni di autorità e della loro partecipazione ai processi decisionali, specificando la proporzione in rapporto al genere;
e) procedure di valutazione periodica dello svolgimento di tutti i ministeri e incarichi all’interno della Chiesa.
Abbiamo bisogno di renderci conto che non si tratta di un impegno burocratico fine a sé stesso, ma di uno sforzo comunicativo che si rivela un potente mezzo educativo in vista del cambiamento della cultura, oltre a permettere di dare maggiore visibilità a molte iniziative di valore che fanno capo alla Chiesa e alle sue istituzioni, che restano troppo spesso nascoste.
Sinodalità e organismi di partecipazione
103. La partecipazione dei Battezzati ai processi decisionali, così come le pratiche di rendiconto e valutazione si svolgono attraverso mediazioni istituzionali, innanzi tutto gli organismi di partecipazione che a livello di Chiesa locale il diritto canonico già prevede. Nella Chiesa latina si tratta di: Sinodo diocesano (cfr. CIC, can. 466), Consiglio presbiterale (cfr. CIC, can. 500, § 2), Consiglio pastorale diocesano (cfr. CIC, can. 514, § 1), Consiglio pastorale parrocchiale ((cfr. CIC, can. 536), Consiglio diocesano e parrocchiale per gli affari economico (cfr. CIC, cann. 493 e 537). Nelle Chiese orientali cattoliche si tratta di: Assemblea eparchiale (cfr. CCEO, can. 235 ss.), Consiglio eparchiale per gli affari economici (cfr. CCEO, can. 262 ss.), Consiglio presbiterale (CCEO can. 264), Consiglio pastorale eparchiale (CCEO can. 272. ss.), Consigli parrocchiali (cfr. CCEO can. 295). I componenti ne fanno parte sulla base del proprio ruolo ecclesiale secondo le loro responsabilità differenziate a vario titolo (carismi, ministeri, esperienza o competenza, ecc.). Ognuno di questi organismi partecipa al discernimento necessario per l’annuncio inculturato del Vangelo, la missione della comunità nel proprio ambiente e la testimonianza dei Battezzati che la compongono. Concorre inoltre ai processi decisionali nelle forme stabilite e costituisce un ambito per la rendicontazione e la valutazione, dovendo a sua volta valutare e rendere conto del proprio operato. Gli organismi di partecipazione costituiscono uno degli ambiti più promettenti su cui agire per una rapida attuazione degli orientamenti sinodali, che conduca a cambiamenti percepibili in modo rapido.
104. Una Chiesa sinodale si basa sull’esistenza, sull’efficienza e sulla vitalità effettiva, e non solo nominale, di questi organismi di partecipazione, nonché sul loro funzionamento in conformità alle disposizioni canoniche o alle legittime consuetudini e sul rispetto degli statuti e dei regolamenti che li disciplinano. Per questa ragione siano resi obbligatori, come richiesto in tutte le tappe del processo sinodale, e possano svolgere pienamente il loro ruolo, non in modo puramente formale, in forma appropriata ai diversi contesti locali.
105. Inoltre risulta opportuno intervenire sul funzionamento di questi organismi, a partire dall’adozione di una metodologia di lavoro sinodale. La conversazione nello Spirito, con opportuni adattamenti, può costituire un punto di riferimento. Particolare attenzione va prestata alle modalità di designazione dei membri. Quando non è prevista l’elezione, si attui una consultazione sinodale che esprima il più possibile la realtà della comunità o della Chiesa locale e l’autorità proceda alla nomina sulla base dei suoi esiti, rispettando l’articolazione tra consultazione e deliberazione sopra descritta. Occorre anche prevedere che i componenti dei Consigli pastorali diocesani e parrocchiali abbiano la facoltà di proporre temi da inserire all’ordine del giorno, in analogia con quanto accade per i componenti del Consiglio presbiterale.
106. Uguale attenzione richiede la composizione degli organismi di partecipazione, in modo da favorire un maggiore coinvolgimento delle donne, dei giovani e di coloro che vivono in condizioni di povertà o emarginazione. Inoltre, è fondamentale che in questi organismi siedano Battezzati impegnati nella testimonianza della fede nelle ordinarie realtà della vita e nelle dinamiche sociali, con una riconosciuta disposizione apostolica e missionaria, non solo persone impegnate nell’organizzazione della vita e dei servizi interni alla comunità. In questo modo il discernimento ecclesiale beneficerà di una maggiore apertura, capacità di analisi della realtà e pluralità di prospettive. Sulla base delle necessità dei diversi contesti, potrà essere opportuno prevedere la partecipazione di rappresentati di altre Chiese e Comunioni cristiane, in analogia a quanto accade nell’Assemblea sinodale, o dei rappresentanti di altre religioni presenti sul territorio. Le Chiese locali e i loro raggruppamenti possono più facilmente indicare alcuni criteri per la composizione degli organismi di partecipazione appropriati a ciascun contesto.
107. L’Assemblea ha prestato particolare attenzione alle esperienze di riforma e buone pratiche già in atto, come la creazione di reti di Consigli pastorali a livello di comunità di base, Parrocchie e zone, fino al Consiglio pastorale diocesano. Come modello di consultazione e ascolto, si propone inoltre lo svolgimento con una certa regolarità di assemblee ecclesiali a tutti i livelli, cercando di non limitare la consultazione all’interno della Chiesa Cattolica, ma aprendosi all’ascolto del contributo di altre Chiese e Comunioni cristiane e rimanendo attenti alle religioni sul territorio.
108. L’Assemblea propone che il Sinodo diocesano e l’Assemblea eparchiale siano maggiormente valorizzati come organo per la regolare consultazione da parte del Vescovo della porzione del Popolo di Dio che gli è affidata, come luogo di ascolto, di preghiera, di discernimento, in particolare quando si tratta di scelte rilevanti per la vita e la missione di una Chiesa locale. Il Sinodo diocesano può anche costituire un ambito di esercizio di rendiconto e valutazione: ad esso il Vescovo presenta un resoconto dell’attività pastorale nei diversi settori, dell’attuazione del piano pastorale, della recezione dei processi sinodali della Chiesa intera, delle iniziative in materia di safeguarding, oltre che dell’amministrazione delle finanze e dei beni temporali. Si richiede perciò il rafforzamento delle disposizioni canoniche in materia, in modo da riflettere meglio il carattere sinodale missionario di ogni Chiesa locale, prevedendo che i Sinodi diocesani e le Assemblee eparchiali si riuniscano con cadenza regolare non eccessivamente rarefatta.