La vita sempre connessa ci ha colti impreparati. I bambini sono diventati animali da salotto e oggi sono sull’orlo del baratro

Personalmente nutro un forte scetticismo sul fatto che sia l’assenza di dialogo e di ascolto in famiglia a provocare la deriva distruttiva delle giovani generazioni. In linea di massima la mia generazione non ha avuto nessun tipo di dialogo con i propri genitori, per non parlare di quella dei nonni in cui l’intimità del tu con i propri padri e madri non era sempre prevista. Il genitore amico, confidente, capace di dissolvere ogni nebbia e di allontanare ogni pericolo, è una realtà storicamente molto recente. Negli ultimi anni ho assistito a lunghe e dettagliate spiegazioni impartite a bambini di tre o quattro anni, in un’età cioè in cui il cervello non è assolutamente in grado di capire i ragionamenti. Nei primi anni di vita, i piccoli hanno bisogno soprattutto di sì e di no semplici e chiari, perché ogni cucciolo di mammifero deve avere la certezza che chi l’ha messo al mondo sia anche in grado di gestire quella che gli appare come una minacciosa complessità, la vita che gli sta intorno.
Bambini «da salotto»
Così, quando ho iniziato a leggere La generazione ansiosa di Jonathan Haidt (Rizzoli) ho provato un senso di sollievo. Finalmente un libro che, invece di disperdersi in fumose interpretazioni psicologiche e sociali, affronta con chiarezza le radici del male, suggerendo delle azioni concrete per tentare di invertire la rotta. Secondo l’autore americano, uno degli psicologi più conosciuti del mondo, tutto è iniziato negli anni Ottanta, quando i bambini hanno perduto la possibilità di giocare liberamente con i propri coetanei lontano dagli sguardi dei grandi, imparando così i primi rudimenti della socialità. Questa sottrazione degli spazi aperti e di una vita lontana dal controllo asfissiante degli adulti ha danneggiato in primis i maschi che, per natura, hanno bisogno di arrampicarsi, di mettersi alla prova e di affrontare rischi capaci di porli davanti ai loro limiti. Il bambino che una volta viveva con le ginocchia eternamente sbucciate, ora esce di casa bardato di para-gomiti, para-ginocchi e casco anche se deve fare un minuscolo giretto in bici nel giardino di casa. Jonathan Haidt definisce questa fase Safetysm: cioè quella necessità di un’ossessiva supervisione da parte degli adulti verso i loro figli nel costante timore che possa accadere loro qualcosa di spiacevole. Trasformando il bambino in animale da salotto, iperprotetto e iperintrattenuto, gli adulti non fanno altro che privarlo di una importante fase evolutiva della natura umana. Il male è fuori e, tra le quattro mura, non può succedere nulla. L’inarrestabile tsunami degli smartphone e della vita sempre connessa che si è abbattuto sulle nostre vite nei primi anni di questo secolo ci ha colti del tutto impreparati, ma che questo impatto si sarebbe potuto rivelare devastante, almeno agli occhi delle persone più attente, è stato da subito evidente.
Dittatura degli algoritmi
È ormai chiaro a tutti che abbandonare i bambini e gli adolescenti alla dittatura degli algoritmi vuol dire spingerli verso un baratro di disagio mentale da cui sarà sempre più difficile tirarli fuori. Il libro di Haidt non si perde in giri di parole e, pur documentando con dati statistici inconfutabili il livello di degrado psichico e la situazione di disagio che ne consegue, offre soprattutto delle illuminanti proposte concrete che tutte le persone di buonsenso dovrebbero prendere in considerazione. Bisognerebbe riportare l’infanzia sulla terra e, per farlo, bisogna iniziare ad agire, non limitarsi a denunciare, augurandosi che qualcosa miracolosamente cambi per intervento celeste. Dobbiamo cambiare noi, e rapidamente. Dato che si tratta di una forma di resistenza a una vera e propria dittatura mondiale, bisognerebbe trovare altri combattenti che abbiano il coraggio di lottare per l’integrità mentale dei nostri figli e che non si facciano impaurire dallo spauracchio del progresso come unico bene. Se in una classe, ad esempio, c’è un altro genitore che non desidera cedere, perché non unire le forze e magari, presto, se ne unirà un terzo e, quando saranno quattro, forse anche l’insegnante prenderà coraggio. Certo bisogna combattere, bisogna affrontare momenti di disagio, di scontro, di impopolarità, ma vedere i propri figli spegnersi risucchiati dalla AI non vale forse lo sforzo?
Da dove cominciare
Combattere non è mai confortevole. In ogni bambino, in ogni bambina sonnecchia un appassionato esploratore delle realtà, un essere pieno di curiosità e di domande. Da dove cominciare, dunque? Da piccole cose, apparentemente fuori tempo. Vicino a Orvieto, una coppia di naturalisti, Marco Priori e Alce Centioni, organizza da anni una serie di Campi Natura dedicati ai bambini dai nove anni in su in cui naturalmente l’uso del cellulare è vietato — ne hanno tratto anche un libro che consiglio vivamente: Le 60 avventure da vivere nella natura (Battello a Vapore) —. In queste settimane i bambini, che arrivano terrorizzati, incapaci di allacciarsi le scarpe e vestirsi da soli, imparano a tornare nella realtà del loro corpo seguendo le tracce degli animali, orientandosi con le stelle, apprendendo a costruire strumenti utili per la sopravvivenza o semplicemente a modulare una canzone soffiando su un filo d’erba. Quando i genitori tornano a prenderli, li trovano trasformati. Sicuri di sé, allegri, con gli occhi luminosi e pieni di voglia di raccontare le loro avventure. Finalmente sono tornati bambini e hanno potuto impadronirsi nuovamente dei loro cinque sensi: sotto la cappa plumbea della tecnologia, la natura umana è sempre pronta a risorgere. Quando trascorro le mie vacanze in campeggio, la cosa che più mi commuove e che mi dà una grande speranza per il futuro è vedere i bambini rinascere, scatenandosi nei giochi di sempre: nascondino, guardie e ladri, gare di tutti i tipi accompagnate dalle grida di terrore degli agguati e quelle di gioia delle liberazioni, e soprattutto da tanta allegria e da tante risate. Non si tratta più dunque di formulare ennesime e allarmate analisi, che lasciano il tempo che trovano, ma di rimboccarsi le maniche e creare spazi e luoghi in cui i bambini — e anche gli adulti — possano recuperare i loro cinque sensi. Sono profondamente convinta che la riconquista dei sensi ci porterà anche alla riconquista dell’umano.
26 settembre 2024 ( modifica il 27 settembre 2024)