
Papa Francesco: «Mi alzo alle 4 perché sono vecchio. Ho chiesto di liberare San Suu Kyi»
Il Papa dopo il viaggio fra Asia e Oceania: «Quando la preghiera è noiosa dico il rosario»
Anticipiamo alcuni stralci delle conversazioni che papa Francesco ha avuto in privato con i confratelli gesuiti di Indonesia, Timor Est e Singapore durante il suo viaggio recente tra Asia e Oceania. Il testo integrale, raccolto e trascritto da padre Antonio Spadaro, sarà pubblicato da «Civiltà Cattolica».
A quasi 88 anni, nel viaggio più lungo del suo pontificato, papa Francesco parla anche di sé e spiega tra l’altro che cerca di non perdere mai il senso dell’umorismo perché «il senso dello humor è salute». Come quando racconta di aver chiesto «a una vecchietta dagli occhi bellissimi», alla fine di un’udienza, di pregare per lui ma a favore, non contro: «La signora mi ha guardato e ha indicato il Vaticano e ha detto: “Contro di lei pregano lì dentro!”».
Santo Padre, come affrontare le questioni più importanti nella Chiesa di oggi?
«Lo Spirito porta a fare “chiasso”, non a lasciare tutto fermo: questo è il modo di affrontare le questioni importanti. E ricordate che i gesuiti devono stare nei posti più difficili, dove è meno facile agire. È il nostro modo di “andare oltre” per la maggior gloria di Dio».
Mi chiedo come faccia a pregare durante le sue giornate così piene di impegni…
«Ne ho bisogno, sai? Mi alzo presto, perché sono vecchio. Dopo il riposo, che mi fa bene, mi alzo verso le 4, poi alle 5 comincio la preghiera: dico il breviario e parlo al Signore. Se la preghiera è un po’, diciamo così, “noiosa”, allora dico il rosario. Poi vado al Palazzo per le udienze. Poi pranzo e mi riposo un po’. A volte davanti al Signore faccio una preghiera silenziosa. Prego, celebro l’Eucaristia, certo. La sera faccio ancora un po’ di preghiera. È molto importante per la preghiera fare la lettura spirituale: dobbiamo far crescere la nostra spiritualità con buone letture. Prego così, semplicemente… È semplice, sai? Alcune volte mi addormento nella preghiera. E questo, quando capita, non è un problema: per me è un segnale che sto bene con il Signore! Mi riposo pregando. Non lasciare mai la preghiera!».
Parlo dal Myanmar. Da tre anni stiamo vivendo una situazione difficile. Che cosa ci consiglia di fare?
«Sono stato in Myanmar e lì ho parlato con la signora Aung San Suu Kyi, che era primo ministro e che adesso è in carcere. Poi sono andato a far visita al Bangladesh, e lì ho incontrato i Rohingya che sono stati cacciati via. (…) In Myanmar oggi non si può stare in silenzio: bisogna fare qualcosa! Il futuro del tuo Paese deve essere la pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, sul rispetto di un ordine democratico che consenta a ciascuno di dare il suo contributo al bene comune. Io ho chiesto la liberazione della signora Aung San Suu Kyi e ho ricevuto il figlio a Roma. Ho offerto il Vaticano per accoglierla nel nostro territorio».
Cosa spera con il motto della sua visita a Timor Est, «che la vostra fede diventi la vostra cultura»?
«La fede deve essere inculturata. Una fede che non crea cultura è una fede proselitista. Non dobbiamo dimenticare quello che ha detto Benedetto XVI: il Vangelo non si diffonde facendo proselitismo ma inculturando. L’evangelizzazione della cultura e l’inculturazione della fede devono andare di pari passo»
Quali sono le aree chiave che i gesuiti dovrebbero privilegiare?
«La sfida della Chiesa è sempre quella di non allontanarsi dal popolo di Dio. Dobbiamo fuggire dalle ideologie ecclesiali. Questa è la sfida che vi lascio».
Nei suoi 11 anni come primo Papa gesuita, quali sono state le decisioni più importanti e le sfide più difficili?
«Quello che si potrebbe definire un programma di pontificato è nell’Evangelii gaudium. Lo trovate lì. Voglio ricordarvi una cosa che riguarda la predicazione. Per me è molto importante trovare predicatori che siano vicini alla gente e a Dio. Mi piacciono i sacerdoti che predicano per 8 minuti e dicono tutto. E poi la misericordia: perdonate sempre! Se uno chiede perdono, voi perdonatelo. Confesso che in 53 anni di sacerdozio non ho mai rifiutato un’assoluzione. Anche se era incompleta (…). Dio capisce tutto. Non trasformiamo il confessionale in un consultorio psichiatrico, in un tribunale».
Qual è la croce più grande che lei porta come gesuita diventato Papa?
«Essere Papa è una croce come lo è la tua. Ognuno ha la sua croce. Il Signore ti accompagna, ti consola, ti dà forza. (…) Forse esagero, ma fare il Papa non è più difficile né molto differente rispetto a fare il prete, la suora, il vescovo. In un libro del giornalista Gerard O’Connell ho letto che, quando sono stato eletto, un cardinale ha detto a un altro di me: “Questo sarà un disastro!”. Il Signore dirà se sarò stato un disastro!».
24 settembre 2024
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