In questi giorni il Papa ha incontrato quattro realtà fuori dagli schemi. Senza pronunciare parole epocali, ma semplicemente vivendo la missione

di Giorgio Bernardelli
14 Settembre 2024
Per gentile concessione di
http://www.vinonuovo.it

Si è appena concluso il quarantacinquesimo viaggio apostolico internazionale di papa Francesco. Un viaggio parecchio atipico. E non tanto per la sua durata, per i chilometri percorsi e i fusi orari attraversati o per la retorica un po’ facile sul Papa anziano ma instancabile (sarà poi davvero così?).

A rendere unico questo viaggio è stata piuttosto un’altra cosa: la scelta di andare in quattro Paesi tra loro completamente diversi e ciascuno (a modo suo) fuori dagli schemi. Sono state due settimane che dovrebbero averci fatto capire quanto il mondo (e l’Asia in particolare) si prestino ben poco alle nostre generalizzazioni.

Francesco è partito dall’Indonesia, il più popoloso Paese musulmano al mondo (che non sta in Medio Oriente, anche se praticamente nessuno di noi se lo ricorda…). Qui il tema è stato evidentemente l’incontro tra i cristiani e i musulmani, con un nuovo passo nel cammino della Dichiarazione sulla Fraternità umana firmata ad Abu Dhabi nel 2019, oggi incarnata anche fisicamente dal “tunnel dell’amicizia” che unisce tra loro la moschea e la cattedrale di Giacarta. Il Papa, poi, si è spostato in Papua Nuova Guinea, Paese dell’Oceania, con i suoi popoli e le sue culture antichissime; ma anche paradiso naturale oggi sempre più minacciato dalla sete di materie prime dell’economia globale, che in questo arcipelago qualcuno vorrebbe addirittura andare a prendere sui fondali del mare.

A Timor Est, piccolo Stato indipendente da poco più di vent’anni e dopo una guerra tra le più sanguinose della seconda metà del Novecento (e combattuta proprio contro l’esercito indonesiano, tanto per ricordarci che la fraternità non è mai facile …), Francesco ci ha portato dentro una di quelle “enclave” dove i cattolici in Asia non sono affatto “la piccola minoranza”. A Dili sono addirittura il 98% della popolazione. Ma anche a loro Francesco ha parlato di “evangelizzazione”, perché anche qui il Vangelo deve ancora tradursi in risposte concrete a mille problemi, primo fra tutti quello della povertà. Infine Singapore, il crocevia del Sud-est asiatico, la metropoli “zona franca” dove Oriente e Occidente – al di là delle divisioni politiche – si incontrano per fare affari. E proprio qui, un po’ a sorpresa, il Papa delle periferie e delle parole più dure sulla globalizzazione non è rimasto insensibile al fascino dei suoi moderni grattacieli. L’ha osservata come una sorta di Babele all’incontrario, dove mettere insieme genti di etnie, culture e religioni diverse può riuscire nel “miracolo” di creare ricchezza e sviluppo.

Alla fine di tutto questo, che cosa resta? In queste città lontane Francesco non ha detto parole che passeranno alla storia. Come accade spesso in questa fase del pontificato, ha ripetuto tante cose già dette altrove. Ma ciò che conta davvero è il gesto: andare a migliaia di chilometri di distanza non per affermare una strategia geopolitica o per dettare una linea; semplicemente essere lì: vedere, ascoltare, camminare insieme. Fino a spingersi persino a Vanimo, periferia di un Paese ignorato da tutti, come la Papua Nuova Guinea. A Vanimo Francesco è andato principalmente per trascorrere qualche ora con un gruppo di amici missionari argentini, portando loro Bibbie, rosari e anche qualche strumento musicale.

C’è troppa mitologia intorno ai viaggi del Papa. L’idea sbagliata che il successore di Pietro passi e scavi un solco nelle terre che attraversa. Dovremmo averlo capito, ormai: non è così. È terribilmente lungo l’elenco dei Paesi che anche dopo queste visite hanno ricominciato a farsi la guerra, ad eseguire condanne a morte, a calpestare i diritti degli ultimi… Se dovessimo giudicare i viaggi del Papa con questo metro, dovremmo concludere che a prevalere sono i fallimenti.

Ma per fortuna il loro significato vero è un altro: sono viaggi che ci parlano della missione della Chiesa, dell’invito di Gesù ad annunciare il Vangelo al mondo intero, dentro alle sue luci e contraddizioni. E allora la domanda diventa: che spazio siamo disposti a fare noi a questi fratelli e sorelle che il Papa, anche solo attraverso qualche immagine suggestiva, ci ha fatto incontrare? Quanto ci starà a cuore adesso, dopo che Francesco e il “circo” che lo accompagna sono ripartiti, il cammino di queste comunità?

Il mondo è grande e ha mille volti ancora da scoprire e portare nel cuore. Fossero servite anche solo a ricordarci questo, queste due settimane di Francesco in Asia e Oceania sarebbero state un dono quanto mai prezioso.