CARLO MARIA MARTINI
Effatà, apriti (1990)
LETTERA PER IL PROGRAMMA PASTORALE
«COMUNICARE»

[18] Accingendomi a scrivere questa seconda parte della Lettera risento quel disagio che mi prende ogni volta che devo invitare altri a contemplare qualcosa del mistero di Dio. Il mistero è là, nuovo e sigillato, come il roveto ardente. Eppure le parole che noi usiamo ci sembrano trite, un po’ sempre le stesse, e chi legge dice: “Ma si tratta delle solite cose!”. E intanto il roveto ardente è là e nessuno si avvicina sul serio né si lascia bruciare da esso.

Ora qui il roveto ardente è addirittura il mistero della Trinità. Non c’è infatti vera comunicazione interumana se non a partire da quella realtà da cui, in cui e per cui l’uomo e la donna sono stati creati, cioè il mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, la loro comunione d’amore, il loro dialogo incessante. Dio crea l’uomo a immagine e somiglianza di sé. Ogni creatura umana porta in sé l’impronta della Trinità che l’ha creata. Tale impronta si manifesta anche nella capacità e nel bisogno di mettersi in relazione con altri comunicando.

Tutto ciò appare già fin dalle prime pagine della Bibbia: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gen 1, 26); “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18); “Il Signore Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” (Gen 3, 8). Con questi accenni discreti si parla della misteriosa affinità che unisce l’uomo a Dio a differenza di tutte le altre creature, della reciprocità e dialogicità tra uomo e donna e in genere tra l’uomo e il suo prossimo, del dialogo che Dio volentieri instaura con la sua creatura prediletta. Tutte le pagine della Scrittura approfondiscono le vicende, le crisi, la ricostituzione di questo dialogo.

1. IL DONO: LA PENTECOSTE E L’ALLEANZA

Un’icona fondamentale: la Pentecoste (Atti 2,1-47)

[19] Siamo quindi invitati ad ascoltare il vangelo della comunicazione. Dio è comunione e comunicazione: si comunica a noi e ci abilita a entrare in comunicazione gli uni con gli altri, risanando i nostri blocchi comunicativi.

Potremmo esprimere questo grande tema sinfonico con molti motivi e richiamarlo con molte icone e simboli. Accennerò solo ad alcuni di essi, perché il lettore sia invogliato a cercare nella Bibbia e a trovare ciò che interiormente lo nutre. Non c’è niente che risani tanto il cuore come la contemplazione del comunicarsi divino nelle sue diverse forme

Il racconto della discesa dello Spirito santo sugli Apostoli e della conseguente loro capacità di esprimersi e di farsi capire in tutte le lingue, superando la confusione di Babele (At 2, 1-47), è una delle icone più efficaci del dono del comunicare che Dio elargisce al suo popolo.

Il brano degli Atti si compone di tre parti. Nella prima (2, 1-3) vengono descritti alcuni segni di una teofania, cioè di un intervento divino: “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo”, “…apparvero loro lingue come di fuoco”. Questi segni richiamano quelli della grande teofania del Sinai (cf Es 19,16-19), dove il popolo ricevette la legge e l’alleanza. Ma qui il fuoco assume la figura di lingue, simbolo del comunicare umano.

Nella seconda parte (2, 3-12) si descrive il miracolo delle lingue, sia nell’esperienza dei discepoli (“cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”) sia in quclla degli ascoltatori (“com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?”).

Nella terza parte (2, 14-47) Pietro spiega che cosa è avvenuto: si tratta del dono dello Spirito santo, inviato da Gesù Cristo che è stato crocifisso e che è risorto. Vengono anche ricordati gli effetti “contagiosi” di questo dono; da esso ha origine la prima comunità cristiana: “quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (2, 41).

Il dono dello Spirito santo a Pentecoste suscita dunque una straordinaria capacità comunicativa, riapre i canali di comunicazione interrotti a Babele e ristabilisce la possibilità di un rapporto facile e autentico tra gli uomini nel nome di Gesù Cristo. Esso suscita la Chiesa come segno e strumento della comunione degli uomini con Dio e dell’unità del genere umano.

L’alleanza, evento del comunicare di Dio con l’uomo (Es 19,1-7)

[20] Abbiamo detto sopra che alcuni segni del racconto della Pentecoste (rombo, vento, fuoco) richiamano la pagina dell’Esodo in cui viene descritta l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Ora l’alleanza è il fondamentale evento comunicativo tra Dio e l’uomo. Nell’Esodo essa è introdotta così: “Ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 4-5).

Numerose sono nella Bibbia le formulazioni affini a questa: “Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa d’Israele…: porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31, 33); “Il mio diletto è per me e io per lui” (Ct 2,16; cf 6, 3).

Con diverse formule si esprime una realtà fondamentale: Dio vuole entrare in comunione con il suo popolo, vuole comunicare con lui in uno spirito di reciprocità e dì mutua appartenenza. Promette ed esige fedeltà. Tutte le pagine della Scrittura risuonano di questa volontà divina: Dio vuole donare, donarsi.

L’iniziativa è sempre di Dio, il quale offre, per puro amore e in perfetta gratuità, liberazione, sicurezza, certezza per il futuro: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli – ma perché il Signore vi ama. Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele” (Dt 7, 7-9).

Alla radice della comunicazione sta dunque la gratuità. L’evento comunicativo che regge tutta la storia è un evento gratuito e libero: Dio decide di comunicarsi all’uomo entrando con lui in alleanza. A tale iniziativa libera e gratuita del Dio vivente è chiesta una risposta libera e grata: la risposta della fede.

La comunicazione di Dio, che si attua nell’alleanza, suscita un popolo: esso è il frutto di tale azione divina. Di quì appare che i raggruppamenti umani avvolti da questa onda comunicativa di Dio (famiglia, comunità, popolo, comunità dei popoli) sono luoghi del comunicare umano primordiale e sono garantiti e sostenuti dalla grazia del mistero di Dio, che li muove a essere canali di comunicazione autentica fra esseri umani.

Letture incrociate

[21] A questo punto vorrei suggerire un utile esercizio per continuare la riflessione sul tema dell’alleanza come tema fondamentale in cui appare la natura comunicativa dell’agire divino nella storia. Si possono riprendere i quattro brani biblici che abbiamo fin qui richiamato a proposito del comunicare (la confusione delle lingue a Babele, Gen 11, 1-9, sopra n. 1; la guarigione del sordomuto, Mc 7, 31-37, sopra n. 2; la Pentecoste, At 2, 1-47, n. 19; e l’alleanza presso il Sinai, Es 19, 1-7, n. 20) leggendoli come in sinossi, notando le analogie e le differenze.

Mi limito a sottolineare tre analogie.
La prima riguarda l’impeto della diffusione comunicativa che deriva dalla guarigione di Gesù nel vangelo di Marco e dall’effusione dello Spirito nel testo degli Atti: la parola si diffonde, corre gioiosa, supera gli ostacoli, raggiunge i cuori. In parallelo la comunicazione di Dio con il suo popolo appare nel libro dell’Esodo all’inizio suscitatrice di timore, ma poi, si rivela, nel seguito del racconto, come il nodo che terrà insieme per secoli tutta la vicenda del popolo. All’opposto aleggia nel racconto di Babele la tristezza di non capirsi, la vergogna di un’impresa non riuscita, l’incapacità dei popoli a convivere insieme.

La seconda analogia si riferisce al frutto sociale e collettivo del dono divino: dalla confusione di Babele (cf Gen 11) emerge un popolo chiamato a vivere una profonda unità (cf Es 19). Questa unità sarà poi comunicata a tutti gli altri popoli che si ricollegheranno all’iniziativa divina dell’alleanza (cf At 2).

La terza si riferisce agli attori di queste scene bibliche come di molte altre affini. Dio Padre, che all’inizio ha sanzionato con un castigo la ribellione dell’uomo (cf Gen 11), prende l’iniziativa di tornare a comunicare con lui (cf Es 19). Tale iniziativa si compie in maniera svelata e piena in Gesù Cristo Figlio di Dio che con amore tocca e risana l’uomo incapace di parlare e di udire (cf Mc 7). Essa ha il suo culmine nel dono dello Spirito santo che porta a compimento l’opera del Padre e del Figlio (cf At 2). La comunicazione divina è dunque “trinitaria”. Approfondiremo in seguito questo punto.

Tale lettura con la ricerca delle analogie può essere ampliata a tanti brani dell’Antico e del Nuovo Testamento che parlano dell’alleanza e svelano la volontà di Dio di comunicare con l’uomo.

Il rifiuto del dono

[22] Il dono della comunicazione può essere rifiutato. Il primo passo verso il rifiuto è la diffidenza, la paura che l’altro non comunichi davvero in gratuità, ma abbia qualche interesse nascosto. Il primo peccato nel giardino dell’Eden ha questa caratteristica. “E’ vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?” (Gen 3, 1). Questa frase del tentatore, nella sua paradossalità (come è possibile che Dio abbia proibito ogni frutto?), ha un sottinteso maligno: ci deve pur essere una ragione di convenienza personale per cui Dio vi ha proibito almeno uno dei frutti… forse il suo agire non è poi così disinteressato come sembra.

Alla base del rifiuto della comunicazione stanno tanti motivi, ma uno dei determinanti è certamente quello della mancanza di fiducia nella gratuità e sincerità dell’atto comunicativo.

Una elaborazione più complessa di questa diffidenza è presentata nella prima pagina del libro di Giobbe. Il satana (qui ancora inteso non come nome proprio, ma nella sua etimologia di “avversario”, “accusatore”, fa cadere un sospetto sulla fedeltà di Giobbe: nella sua apparente irreprensibilità egli è mosso dal proprio interesse, e come lui ogni altro essere umano (cf Gb 1, 9-11) e quindi non c’è posto tra gli uomini per la vera gratuità e, di conseguenza, per rapporti comunicativi autentici. La scommessa viene accettata e Giobbe passa attraverso molte prove che lo scuotono interiormente ma nelle quali non perde la fiducia sostanziale in Dio, con cui egli continua a comunicare pur nella esasperazione del suo dolore. La scommessa è dunque perduta dal satana. Egli non è riuscito a provare che l’uomo comunica con Dio solo per interesse proprio. Anche nell’uomo dunque c’è vera gratuità; la capacità comunicativa dell’uomo, messa in lui da Dio stesso, è stata passata al vaglio e si è dimostrata autentica.

Ma la tentazione continua in ogni giorno della storia. Il Nuovo Testamento chiamerà il tentatore anche diavolo cioè “il divisore”. Egli tende a dividere l’uomo da Dio, l’uomo dall’uomo, gruppi da gruppi, insinuando il sospetto che l’altro cerca il proprio interesse e vuole farmi fuori. Non esiste comunicazione autentica – ripete la voce maligna -, bisogna arrangiarsi per sopravvivere difendendosi da tutti. La comunicazione è viziata da un sospetto di fondo: l’altro cerca in realtà se stesso, quindi mi può ingannare, spesso di fatto mi inganna.

Questa tentazione di sfiducia pervade ogni rapporto umano e lo mina alla radice. Il comunicare è perennemente insidiato da domande come queste: “Mi vorrà davvero bene? merita davvero il mio amore? posso mai fidarmi di qualcuno al mondo, al di fuori di pochi intimi? e se Dio stesso mi ingannasse o mi abbandonasse alla mia solitudine e al mio silenzio? ” .

Di simili timori e tentazioni “diaboliche” è piena la terra. Per questo tanti sono spiritualmente sordi e muti, come il malato del vangelo (cf Mc 7, 31-37) e nascono tante diffidenze, gelosie, sospetti. Si troncano le amicizie, si separano le famiglie, si rompono i contratti, si violano i patti sacri tra le nazioni. Tutto ciò grida verso un risanamento, una riabilitazione dei rapporti. Bisogna che ci sia Qualcuno, del cui amore non possiamo dubitare, che compia un gesto di amore irrefutabile: è Gesù sulla croce. Occorre che tutti i rapporti umani siano invasi da quella gratuità che sopravviene in abbondanza dall’alto, dal mistero dell’amore gratuito di Dio, dal mistero della morte di Gesù per noi per puro amore e senza alcun interesse proprio, dal dono dello Spirito santo.

La nostalgia del comunicare

[23] Potremmo concludere questa prima riflessione sul dono del comunicare riassumendo i dati fin qui emersi.

L’uomo è fatto per comunicare e per amare: Dio lo ha fatto così. Di qui si spiega anche l’immensa nostalgia che ciascuno di noi ha per poter comunicare a fondo e autenticamente. Non c’è nessuna persona umana che sfugga a questo intimo desiderio. Esso penetra in tutte le nostre relazioni, rimane anche là dove tutto il resto sembra depravato e corrotto. Anche negli abissi della più cupa disperazione e disgusto di sé affiora, come una stella alpina sull’abisso, la voglia comunque di comunicare davvero con qualcuno, di trovare una persona che in qualche modo ci capisca e ci accetti. Questo stigma che portiamo dentro per sempre è un riflesso di colui che ci ha fatti e insieme testimonia delle storture che noi abbiamo imposto a questo desiderio e a questo diritto sano e sacrosanto. I fallimenti del comunicare umano hanno alla radice la distorsione di un impulso che è nel fondo di noi stessi.

Come raddrizzare e purificare questa passione profonda e vera che ci portiamo dentro? come esprimerla in modo autentico? E’ Dio stesso che ci viene incontro: egli è comunicazione, è capace di risanare i nostri fallimenti comunicativi e dì riempirci della grazia di un flusso relazionale sano e costruttivo.

2. ALL’ORIGINE DEL DONO: LA TRINITÀ

Una rappresentazione insuperabile del comunicarsi di Dio

[24] Dico anzitutto con una immagine ciò che poi tenterò di spiegare con parole. Vi invito a contemplare (è annessa a questa Lettera) una rappresentazione della Trinità che ha il suo capolavoro nell’opera del Masaccio in S. Maria Novella di Firenze. E’ chiamata la “Trinitas in Cruce”, la “Trinità nella Croce” o anche il “Trono delle grazie” ed è molto comune nel mondo occidentale.

Guardate anzitutto il Padre al centro della figura in alto. Egli regge con le sue braccia il legno della croce, da cui pende Gesù. Il Padre è lì nell’atto di offrire il suo Figlio, di comunicarlo a noi in un gesto di amore infinito. “Dio non ha risparmiato suo Figlio ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8, 32). “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui” (1 Gv 4, 9). Il Padre è colui che prende l’iniziativa del dono, è la pura gratuità, la sorgività pura del comunicare.

Volgete poi lo sguardo contemplativo al Figlio. Nel suo essere inchiodato alla croce egli, nello stesso tempo, si abbandona e si offre al Padre, si consegna agli uomini che tanto ama, anche ai suoi uccisori.

Al centro si vede la colomba, figura dello Spirito santo. Esso sta tra il Padre e il Figlio come segno di comunione tra i due e come frutto del dono che Gesù fa della sua vita. Lo Spirito “apre” la Trinità al mondo, al tempo stesso in cui unisce il mondo al Figlio e in lui al Padre.

Tutto questo donarsi di Dio è per l’umanità rappresentata ai piedi della croce da Maria e dal discepolo prediletto.

La scena rappresenta l’atto supremo della comunicazione divina. Ogni persona della Trinità divina si dona all’altra e da questa comunicazione di amore scaturisce un dono straordinario e misericordioso per l’umanità, chiamata a sua volta a entrare in questa circolazione di amore. Questa scena è una scena di morte: il Crocifisso è l’uomo rifiutato, di cui l’umanità non ha voluto accettare il messaggio. Ma ora tutto spira vita, comunicazione, speranza. E’ il mistero pasquale, morte per amore, vita dalla morte. Tutto è letto infatti nella luce della risurrezione. La comunicazione tra Dio e l’uomo e degli uomini tra loro viene restaurata e rilanciata secondo dimensioni e potenzialità divine.

Il mistero pasquale, vertice della comunicazione di Dio agli uomini

[25] Cerco ora di ridire, in forma espositiva, quanto abbiamo contemplato nell’immagine della “Trinitas in Cruce”. Dio rivela se stesso e il suo intimo mistero nel modo stesso del suo comunicarsi agli uomini.

Il suo comunicare con noi è il suo comunicarsi, farsi conoscere nel suo mistero più profondo che noi esprimiamo con il nome di Trinità. Il comunicarsi divino nella storia culmina, infatti, nella incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazaret e nella sua morte in croce e risurrezione. Ora se noi contempliamo questo mistero vi scorgiamo anche la manifestazione di ciò che Dio è in sé.

Nell’incarnazione e nel mistero pasquale noi veniamo, infatti, a conoscere quel Figlio che S. Ignazio di Antiochia chiama “Verbo procedente dal silenzio”. Egli è colui nel quale il Padre (che è come il Silenzio, il mistero nascosto che sta all’origine del comunicare) si esprime e si fa conoscere. Gesù in tutta la sua vita non ha voluto fare altro che rivelare il Padre: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini” (Gv 17, 6). Gesù come Verbo procedente dal Padre si comunica agli uomini e alle donne di tutti i secoli fino ad oggi inviando lo Spirito. Lo Spirito può essere chiamato “l’Incontro”: incontro di Parola e di Silenzio, di Dio Trinità con gli uomini. Per lui avviene in ciascuno di noi il misterioso incontro con l’amore che il Padre ha per noi fin dal silenzio eterno e che ci manifesta, nel tempo, in suo Figlio.

Tutto il mistero creativo e redentivo è dunque un grande atto del comunicare divino, che ci manifesta un Dio unico in Tre persone che possono anche essere designate come il Silenzio fecondo da cui nasce la Parola mediante la quale si realizza l’Incontro: e tutto ciò si avvera in pienezza nella Croce. Per questo un teologo contemporaneo (J. Moltmann) ha scritto: “Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce”. E io aggiungo: se vogliamo imparare a comunicare, dobbiamo contemplare la Croce, lasciarci folgorare dal Figlio crocifisso.

Dio è in sé comunicazione

[26] La vita intima di Dio, per quanto possiamo conoscerla su questa terra, ci appare un continuo profondo inesauribile comunicare tra le Persone divine. Il Padre “dice” il Figlio, e dicendolo lo genera e gli comunica tutto ciò che è e ciò che ha. Il Figlio chiama il Padre e gli si dona in totalità con perfetta obbedienza. Lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, ne è il legame vivente, frutto perfetto e personale del dialogo di amore tra il Padre e il Figlio.

Tutte queste cose noi possiamo appena intuirle e balbettarle. In particolare alcune parole di Gesù ci aiutano a entrare in una tale visione.

Molte di esse riguardano il rapporto tra il Padre e il Figlio: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27); “Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa” (Gv 5, 19-20); “Io vivo per il Padre” (Gv 6, 57); “Colui che mi ha mandato è sempre con me” (Gv 8, 29); “Il Padre conosce me e io conosco il Padre” (Gv 10, 14); “Il Padre è in me e io nel Padre” (Gv 10, 38); “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30); “Padre… sempre mi dai ascolto” (Gv 11, 4142); “Io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare… Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me” (Gv 12, 50); “Chi ha visto me ha visto il Padre… non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv 14, 9-10).

Altre parole introducono lo Spirito santo in questa comunione di amore: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità” (Gv 14,16-17); “Il Consolatore, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14, 26); “Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza” (Gv 15, 26).

Dalle parole evangeliche traspare quel senso di profonda comunione e scambio che vige nel mistero di Dio e che è alla radice di tutto il nostro comunicare umano. Nella comunione trinitaria il dialogo tra le persone divine è incessante. Possiamo dire che nella Trinità le tre persone divine sono tanto più persone in quanto formano un’unica comunione e tanto più sono una comunione in quanto sono persone. Così ciascuno di noi realizza tanto più pienamente se stesso quanto più vive la propria identità in dialogo e dono con e per gli altri.

Dio, che è comunicazione, comunica

[27] Il comunicare interno al mistero delle Persone divine si allarga a quella creatura privilegiata che è l’uomo. Ogni uomo e donna di questo mondo sono chiamati a far parte di questo misterioso flusso comunicativo. Riportiamo qualche altra parola di Gesù in questo senso: “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (cioè la partecipazione alla stessa vita divina); io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 40); “Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, cosl anche colui che mangia di me vivrà per me” (Gv 6, 57); “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15); “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17, 23).

Queste parole ci introducono a considerare più da vicino come Dio ha comunicato con l’uomo in maniera piena, abbondante e significativa, cioè nella storia di salvezza e in special modo nella persona di Gesù.

Una storia di comunicazione

[28] A partire dalla prima pagina del primo libro della Bibbia, tutto è storia del comunicare divino alla umanità: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio 1O creò, maschio e femmina li creò” (Gen 1, 26). La somiglianza con Dio permette il dialogo con lui, mentre la creazione di uomo e donna pone dall’inizio ogni persona umana in situazione dialogica con i propri simili.

Il dialogo di Dio con l’umanità inizia da allora e prosegue per tutta la Scrittura. Esso ha i suoi momenti di crisi e di rottura, sia nel dialogo tra uomo e Dio, a partire dal “peccato originale” (cf Gen 3), sia nel dialogo tra persone umane (a partire dall’uccisione di Abele: cf Gen 4), sia nel dialogo tra i popoli e le culture (cf sopra n. 1 a proposito della torre di Babele di Gen 11). Ma ha pure parallelamente le sue continue riprese, suscitate dall’instancabile amore comunicativo di Dio. Abbiamo ricordato sopra due momenti fondamentali di queste riprese: l’alleanza presso il Sinai (cf n. 20 e Es 19) e la Pentecoste (cf n. 19 e At 2).

La Bibbia intera può essere dunque letta come la storia del dialogo tra Dio e gli uomini e degli uomini tra loro, nel continuo sforzo di intendersi o nei fallimenti comunicativi che regolarmente si verificano e nel loro superamento.

Tra tutte le pagine della Scrittura emergono, anche sotto questo punto di vista, le pagine dei vangeli. Vorrei con alcune brevi indicazioni aiutare a rileggere in questa luce i fatti e le parole di Gesù.

La comunicazione nella vita di Gesù

[29] Do alcuni criteri generali di lettura distinguendo cinque tipi di brani evangelici in cui emerge il tema della comunicazione.

a. Miracoli in cui Gesù ristabilisce una comunicazione bloccata o interrotta. Molto efficace al proposito è il racconto della guarigione dell’indemoniato geraseno che “da molto tempo non portava vestiti né abitava in casa” (Lc 8, 27), “aveva la dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato anche con catene… continuamente notte e giorno tra i sepolcri e sui monti gridava e si percuoteva con pietre” (Mc 5, 3.5). Questo essere asociale e chiuso nella sua follia è mutato dalla potenza del Signore in un uomo che sta tranquillamente seduto presso di lui “vestito e sano di mente” (Mc 5,15), che lo prega “di permettergli di stare con lui” (Mc 5, 18).

Tra gli altri racconti simili abbiamo già ricordato quello della guarigione del sordomuto (Mc 7, 31-37) che abbiamo posto all’inizio come simbolo di questa Lettera (cf n. 2). Si possono anche considerare il racconto del demonio muto (cf Lc 11, 14), il cieco di Betsaida (Mc 2, 22-25), e”.

b. Parole di Gesù che smascherano i tranelli della comunicazione interpersonale e le ipocrisie e i blocchi comunicativi nei rapporti tra gruppi. Gesù disillude sin dall’inizio chi si attende da lui ciò che egli non ha intenzione di fare: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?” (Lc 12,14).

A chi gli chiede di seguirlo ostentando una totale disponibilità (“Maestro, ti seguirò dovunque andrai”: Mt 8, 19) Gesù risponde: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 20).

Molti rapporti interpersonali risultano imprecisi e fragili perché non si è fatta chiarezza sulle intenzioni reali che ciascuno ha e sulle conseguenze che esse comportano. Per questo Gesù insiste nel precisare le esigenze della sequela: “Siccome molta gente andava da lui, egli si voltò e disse: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me non può essere mio discepolo”” (Lc 14, 26-27). Per questa chiarezza di linguaggio Gesù non teme di perdere anche dei seguaci: il ricco che voleva “avere la vita eterna” (Mc 10, 17) se ne andò afflitto quando Gesù gli spiegò che doveva lasciare tutto. Perfino agli Apostoli, in un momento difficile, Gesù dice: “Forse anche voi volete andarvene?” (Gv 6, 67).

Terribili sono i rimproveri di Gesù a coloro il cui linguaggio non è schietto e le cui intenzioni sono storte, o che non fanno lo sforzo dovuto per capire a fondo la situazione: “Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto del cielo e della terra, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12, 56); “Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?” (Mc 8, 17-18); “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti… guai a voi, guide cieche…” (Mt 23 13ss.); “Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto” (Lc 12, 1-2).

c. Parole e gesti con cui Gesù promuove e incoraggia la comunicazione, l’amicizia, lo stare insieme in fraternità. Tutto il suo insegnamento è dato a partire da una comunione di persone che egli chiama a “stare con lui” (Mc 3, 14) e che egli tratta come amici (“A voi miei amici, dico…”: Lc 12, 4; “Vi ho chiamati amici”: Gv 15, 15). Vi sono nei vangeli pagine mirabili in cui appare la capacità di Gesù di instaurare un dialogo (per es. con Nicodemo: Gv 3, 1-14; con la Samaritana: Gv 4, 1-30) e il calore della sua comprensione e della sua amicizia (per es. in casa di Simone il lebbroso di fronte alla donna peccatrice: Lc 7, 36-50; in casa di Marta e Maria: Lc 10, 38-42; con Lazzaro: Gv 1 1).

d. Parole e gesti di Gesù con cui egli esprime da una parte la sua relazione unica con il Padre e insieme il suo voler stare con gli uomini. Dopo una giornata di incontri con la gente, in particolare con i malati “al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e pregava “(Mc 1, 35). “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici” (Lc 6, 12-13).

e. Infine si possono considerare tutti i modi che Gesù usa per comunicare in maniera verbale e non verbale. La povertà della nascita a Betlemme, la presenza silenziosa a Nazaret per trent’anni, il suo stare a tavola anche con i peccatori, il suo intrattenersi a lungo con i malati, il suo pianto su Gerusalemme e su Lazzaro, sono tutti modi esemplari di comunicazione non verbale. Le parabole e similitudini, le interpellazioni, le invettive, gli interrogativi con cui scuote i suoi e la gente, sono tutti modi efficacissimi di comunicazione verbale che possono essere analizzati con frutto anche mediante gli strumenti della analisi strutturale e della “nuova retorica”.

3. RIFLETTENDO SUL DONO

Alcune costanti dell’autocomunicazione divina

[30] Vi invito a questo punto a fare quattro riflessioni: considerare anzitutto alcune costanti della comunicazione divina così come essa ci si presenta nella storia della salvezza, dedurne quindi indicazioni per le caratteristiche di un’autentica comunicazione umana, riflettere sull’ampiezza dei destinatari della comunicazione divina e infine sui rischi della comunicazione.

Potremmo esprimere le costanti nelle seguenti tesi.

1. La comunicazione divina è preparata nel silenzio e nel segreto di Dio. E’ “rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni” (Rm 16, 25), “mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo” (Ef 3, 9).

2. La comunicazione divina all’uomo è progressiva, cumulativa e storica. Non si verifica cioè in un solo istante, ma comprende diversi tempi e vicende che vanno capiti e letti nel loro insieme. Essi si collocano nella scena di questo mondo e la modificano. La comunicazione di Dio all’umanità si attua con eventi e parole che si rimandano e si spiegano a vicenda. Nel suo insieme tale rivelazione si chiama “storia della salvezza” ed è descritta nella Bibbia. La Bibbia è quindi il libro dell’autocomunicazione di Dio ed è sommamente prezioso per coglierne e comprenderne i diversi momenti e le caratteristiche.

3. L’autocomunicazione divina nella storia si attua in una dialettica di manifestazione e di nascondimento. Non è un procedere “di gloria in gloria”, in un crescendo di luce senza ombre. E’ piuttosto un susseguirsi di eventi di cui alcuni sono luminosi e altri enigmatici. Solo la pazienza della decifrazione di tale serie cumulativa di parole e fatti ci permette di cogliere il mistero vivente che vuole si comunicarsi pienamente, ma solo a chi lo accetta e lo cerca. Se Dio si comunicasse unicamente come luce, ci annienterebbe. Dio si rivela nella penombra per coloro che liberamente accettano le prime vestigia della sua presenza, disponendosi ad accoglierlo.

Questo mi pare anche il motivo fondamentale per cui Gesù parlava in parabole. L’eccesso di comunicazione annienta l’altro e lo annulla. Ogni comunicazione è graduale, prudente, rispettosa dell’altro.

4. L’autocomunicazione divina non ha sulla terra la sua pienezza (anche se ha nel mistero pasquale il suo culmine). Occorre dunque distinguere la comunicazione in via dalla comunicazione in patria. Solo nella vita eterna conosceremo come siamo conosciuti (cf 1 Cor 13, 12) e “vedremo Dio come egli è” (1 Gv 3, 2). Sulla terra il comunicare divino ha valore anticipatorio su ciò che ci sarà dato, è una promessa di ciò che verrà. Ne deriva l’incompiutezza di ogni comunicare storico. Quando tendiamo, anche nell’incontro con Dio, a una comunicazione perfetta e senza ombre, vogliamo anticipare qualcosa che non è di questa terra ma è proprio della pienezza definitiva del Regno.

Tale incompiutezza va tenuta presente a maggior ragione in ogni comunicare umano. Non potremo mai su questa terra conoscere l’altro così come egli è. Vi sarà sempre un “segreto”, una riserva misteriosa, una soglia che non è possibile né utile varcare.

5. L’autocomunicazione divina è personale. Dio comunica non altro da sé, ma se stesso, con indicibile amore, e tutto quanto comunica al di fuori di sé non è che segno o simbolo della volontà di comunicare se stesso come dono supremo.

Nello stesso tempo la comunicazione divina è interpersonale, fa appelIo all’altro, all’uomo che la riceve, affinché si metta in stato di attenzione, di accoglienza, di ascolto. Senza reciprocità non si ha comunicazione. Il Dio vivente fa appello all’uomo vivente suscita la fede e la speranza.

6. La comunicazione divina assume tutti i modi della comunicazione interpersonale: è informativa, appellativa e insieme autocomunicativa. Comunicando informa su contenuti e dottrine che rinviano alla verità personale del Dio vivente. Fa appello all’uomo chiamandolo, promettendo, minacciando, esortando. E’ autocomunicativa, perché ciò che alla fine Dio vuole comunicare è la sua persona.

Possiamo cogliere questi tre momenti della comunicazione divina (e in fondo di ogni comunicazione) nelle tre diverse persone con cui un verbo viene coniugato. Alla terza persona (“è”) si esprime la verità di un contenuto, di una informazione. Alla seconda persona sia all’indicativo che all’imperativo (“tu sei – sii”) si esprimono gli appelli, le esortazioni, le indicazioni precettive. Alla prima persona (“io sono”) colui che parla si comunica f;no alla manifestazione di sé e del suo mistero. Ricordiamo che la più alta parola dell’Antico Testamento con cui Dio si designa è, appunto, “Io Sono” (Es 3, 14).

Comunicazioni a due sensi tra Dio e l’uomo

[31] Ritengo opportuno approfondire un momento la tesi n. 5 del titolo precedente, dove ho detto che la comunicazione divina è non solo personale ma anche interpersonale.

Il comunicare di Dio con l’uomo, radice e immagine perfetta di ogni comunicare nel mondo, non è a senso unico (parola di Dio – ascolto dell’uomo). Esso suscita un circuito di risposta che è proprio di ogni comunicare autentico: parola-ascolto-risposta.

Dio richiede dall’uomo anzitutto l’ascolto e l’accoglienza fiduciosa della sua Parola: la fede. E’ la prima risposta che l’uomo dà con tutto se stesso a Dio che parla, ricevendo il suo messaggio e accogliendolo come principio e norma per la sua esistenza.

La fede suscita poi nel credente una serie di risposte di valore che toccano diversi aspetti del comunicare umano: riconoscenza, lode, ammirazione, adorazione, offerta di sé, fiducia, affidamento, domanda fiduciosa. Nasce di qui la multiforme e indescrivibilmente ricca attività della preghiera.

La preghiera è dialogo, non monologo: già nel suo primo sorgere nasce dalla fede (o almeno dal desiderio e dalla intuizione di fede? e si configura quindi come risposta. In seguito, si nutre costantemente della parola di Dio nella liturgia, nell’ascolto della parola della Chiesa, nella lettura personale della Bibbia, nel discernimento delle ispirazioni dello Spirito santo. C’è dunque un ritmo ininterrotto di parola divina e risposta umana, che dispone a recepire nuove parole e risposte di Dio. Il dialogo tra il credente e il suo Dio, tra ogni battezzato e il Padre, il Figlio e lo Spirito santo costituisce la trama di tutta la giornata. Chi prega così può ripetere le parole di Gesù: a Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo” (Gv 8, 29); “Io non sono solo perché il Padre è con me” (G2) 16, 32).

Alcune costanti della comunicazione tra gli uomini

[32] Le costanti della comunicazione divina ci permettono di considerare ora alcune caratteristiche della comunicazione interumana che possiamo derivare dalla contemplazione del modo con cui Dio si rivela.

1. Ogni comunicazione autentica nasce dal silenzio. Infatti ogni parlare umano è dire qualcosa a qualcuno: qualcosa che deve anzitutto nascere dentro. Nascere dentro suppone un autoidentificarsi, un autocomprendersi, un cogliere la propria interiore ricchezza. Molte forme di loquela non sono vera comunicazione, perché nascondono un vuoto interiore: sono chiacchiera, sfogo superficiale, esibizionismo… Ogni vera comunicazione esige spazi di silenzio e di raccoglimento. Non è necessaria la moltitudine delle parole per comunicare davvero. Poche parole sincere nate da un distacco contemplativo valgono più di molte parole accumulate senza riflessione.

2. La comunicazione ha bisogno di tempo. Non si può comunicare tutto d’un colpo, in fretta e senza grazia. Se Dio ha diffuso una comunicazione tanto importante ed essenziale come quella dell’alleanza nell’arco di un lungo tempo storico, vuol dire che anche la comunicazione ha bisogno di tempi e momenti, è un fatto cumulativo, richiede attenzione all’insieme. A questo riguardo noi manchiamo spesso per disattenzione, fretta, superficialità. Occorre saper cogliere i momenti giusti senza bruciare le tappe.

3. Non bisogna spaventarsi dei momenti di ombra. Luci e ombre sono vicende normali del fatto comunicativo. Chi nel rapporto interpersonale vuole solo e sempre luce, chiarezza, certezza assoluta, dà segno di voler dominare piuttosto che comunicare, cade nella gelosia e si aliena l’altro, anche se in apparenza lo conquista. Dobbiamo accettare la “croce” della comunicazione se vogliamo giungere a quella trasparenza che è possibile in questa vita.

4. La trasparenza comunicativa raggiungibile quaggiù non è mai assoluta. Il volerla forzare oltre il giusto, oltre la soglia di quello che è il segreto, forse neppure accessibile del tutto a chi lo possiede, fa scadere nella banalità. Mi domando se alcune volte anche nei gruppi religiosi non si pratichi una comunicazione di se che non rispetta il segreto di ciascuno. La Chiesa ha istituito la confessione privata proprio per questo. Non tutto ciò che è personale e privato può essere comunicato ad altri in pubblico; la conoscenza di tutto quanto è nel fratello o nella sorella non sempre aiuta l’amicizia e l’amore. Pudore, riserbo, rispetto sono garanti dell’amicizia vera.

5. La comunicazione coinvolge sempre in qualche modo la persona che comunica. Pur se molti rapporti comunicativi non raggiungono la profondità di una comunicazione in cui chi parla dice qualcosa di sé, implicitamente però ogni comunicare coinvolge la persona che parla, almeno al livello più semplice della verità delle informazioni che sono trasmesse e dell’autenticità dei sentimenti che sono espressi. Dunque, in qualche modo, chi parla dice sempre qualcosa di se, esprimendo la sua onestà di fondo (o disonestà) e la sua apertura (o chiusura) agli altri e al mondo.

6. I tre modi che sopra abbiamo ricordato (informazione, appello, autocomunicazione) sono continuamente in atto nei nostri discorsi, in modi più o meno espliciti. L’abitudine ad ascoltare bene gli altri (prima ancora di pensare cosa dobbiamo dire noi) ci renderà sensibili a molte di queste sfumature mirabili del comunicare tra persone e ci aiuterà anche a cogliere dove stanno i blocchi comunicativi e come si possono superare.

7. Dobbiamo ricordare ciò a cui sopra abbiamo dedicato un apposito paragrafo, cioè la reciprocità. Non c’è autentico comunicare se non c’è l’intenzione di suscitare una risposta. D’altra parte questa intenzione, per essere seria, deve partire dall’attenzione a ciò che l’altro sente, vive o desidera. Molte volte la risposta è svagata o sfocata perché la comunicazione iniziale, di avvìo, è stata formulata al di fuori dell’orizzonte e degli interessi di chi ascolta. Questa è una delle ragioni del dialogo difficile, per esempio, tra figli e genitori di una certa età, quando chi parla non fa la fatica di mettersi nel contesto e negli interessi di colui al quale vuole parlare. E’ anche una delle cause dell’insuccesso di certe iniziative di catechesi per gli adulti.

Si può collegare qui il tema vasto e importante del dialogo, a partire da quello più semplice fino al dialogo di fede. Richiamo l’importanza di documenti della Chiesa che ne trattano espressamente: l’Enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam (1964), nella sua terza parte è tutta dedicata al dialogo che, secondo quattro cerchi concentrici, coinvolge tutta l’umanità; l’Esortazione postsinodale di Giovanni Paolo II Riconciliazione e Penitenza (1984), con la descrizione del dialogo che “per la Chiesa è, in certo senso, un mezzo e soprattutto un modo di svolgere la sua azione nel mondo contemporaneo” (n. 25).

I destinatari della comunicazione divina e il mistero della evangelizzazione

[33] Destinatari della comunicazione divina sono tutti gli uomini, ogni uomo e donna che viene in questo mondo, e tutto l’uomo nella pienezza della sua umanità, della sua storia e della sua cultura. Tale passione comunicativa universale di Dio in Gesù Cristo nello Spirito santo è l’evangelizzazione, cioè l’annunzio della buona notizia di Dio che si comunica, il mistero stesso di Dio amore reso vicino e presente a ogni uomo e donna in qualunque parte della terra. La Chiesa, e ogni persona che si sente amata da Dio, è dunque spinta a evangelizzare a partire dal fuoco divino.

“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” dice Gesù (Mt 10, 8). In queste parole sta il segreto dell’evangelizzazione che è comunicazione dell’Evangelo secondo lo stile dell’Evangelo: la gratuità, la gioia del dono divino ricevuto per puro amore. Solo chi ha provato tale gioia la può comunicare: ma a tutti è dato di provarla. Non esistono preclusioni per questa “esperienza religiosa” che non richiede nessuna particolare predisposizione (come forse avviene per alcuni dei fenomeni che comunemente vanno sotto il titolo di “esperienze religiose”). Basta essere uomini e donne e accettare di essere amati così come il Padre ce ne ha dato testimonianza storica incontrovertibile nella croce di Gesù.

Chi ha accettato di lasciarsi amare in tale maniera, trova che non c’è altra “notizia” da comunicare e far conoscere più valida e bella di questa. Naturalmente tenendo conto delle leggi comunicative sopra ricordate, tra cui quella della progressione e del rispetto della libertà altrui e dei suoi tempi.

L’evangelizzazione è qualcosa di misterioso e di un po’ inafferrabile, come la comunicazione autentica che non si lascia del tutto programmare e possedere. E’ un mistero che ha le stesse caratteristiche luminose e velate del mistero di Dio.

I rischi del comunicare

[34] Come rovescio della medaglia di quanto finora si è detto, può essere utile considerare brevemente a quali rischi è esposto il comunicare umano e cristiano. Ci servirà per fare un buon esame di coscienza su tanti fallimenti comunicativi sia nel rapporto interpersonale o di gruppo, sia nello stesso sforzo di essere evangelizzatori.

Esprimo sinteticamente tre rischi del comunicare: la dissociazione, la non reciprocità, l’impazienza.

a. Intendo per dissociazione l’incapacità a vivere l’unità dell’atto del comunicare di cui è modello la realtà trinitaria, che è insieme Silenzio, Parola e Incontro. Se il comunicare è soltanto parola, scade nel verbalismo o nel concettualismo. Se è solo silenzio, cade nel mutismo, nella paura a investire in atti comunicativi, nella timidezza e nel ritrarsi orgoglioso e scontroso, oppure dà luogo ad ambiguità comunicativa per troppo risparmio di parole. Se è o pretende di essere solo incontro, scade nell’esteriorità e nella strumentalizzazione dell’altro.

b. La non reciprocità è pretesa di comunicare a senso unico: “Io so che cosa voglio dire, pretendo di sapere già che cosa l’altro vuole, decido io che cosa mi deve rispondere”. Chi pensa così (e non sono pochi a vivere questo modo di comunicare) considera nella comunicazione solo il movimento di andata, perché quello che dovrebbe essere il ritorno libero e imprevedibile è già stato anticipato come se tutto dipendesse solo dal punto di partenza. Spesso tale atteggiamento è motivato da una certa paura ad affrontare l’altro, per cui si precondiziona la sua risposta temendo che sia diversa da quanto noi ci aspettiamo. Quanti intoppi comunicativi, quanti malintesi nascono da un simile comportamento, soprattutto quando esso viene usato da chi ha qualche autorità! Si vizia così in radice una risposta libera e intelligente.

c. Ma forse il difetto più frequente è quello della impazienza e della fretta, del non dare modo all’altro di elaborare le sue risposte, del volere subito il risultato. La Scrittura ci richiama alla pazienza dell’agricoltore che non forza i tempi del raccolto, ma investe con fiducia pur se talora “semina nel pianto” (cf Sal 126, 5; Gc 5, 7ss).

Ciascuno contempli a lungo il modo di comunicare di Gesù nei vangeli, il modo di comunicare di Dio nelle Scritture, e si esamini sui suoi difetti comunicativi; ne troverà tanti, molti più di quanti io non possa indicare. La comunicazione umana va perciò continuamente risanata. Dio è non solo esempio di comunicazione, ma pure colui che perdona, riabilita, risana la comunicazione umana imperfetta e segnata dal peccato.

Ogni fallimento comunicativo riconosciuto e messo nelle mani della misericordia divina è pegno e garanzia di un passo avanti nel comunicare autentico. Anche nell’amicizia vale il principio che talora uno scontro o un litigio risanato rinsalda l’amicizia più della paura o del riserbo che può celare ambiguità e sospetti.

I1 Signore Gesù “che ha fatto udire i sordi e parlare i muti” (cf Mc 7, 37) ci ottenga di vincere noi stessi e di aiutare molti altri alla comunicazione autentica.

CONCLUSIONE: MARIA, VERGINE, MADRE, SPOSA, ICONA DEL COMUNICARE

[35] Vorrei concludere questa seconda parte della Lettera, destinata all’ascolto e alla contemplazione, suggerendo un’icona che riassume tante delle riflessioni precedenti. E’ l’icona di Maria, così come appare in una pagina del vangelo di Luca (cf 1, 26-55). Si potrebbe dire, a modo di annotazione collaterale, che Maria è anche colei che risponde in maniera particolare al bisogno della comunicazione religiosa e umana. La tradizione mariologica e la pietà mariana hanno arricchito l’immagine biblica di Maria con una tale densità di relazioni comunicative che chi non vi è abituato può essere portato a dubitare dell’autenticità umana e rivelata di questa ricchezza vissuta nel cattolicesimo.

Occorre contemplarla dal di dentro, mettendo naturalmente da parte alcune deviazioni, per cogliere tutta la genuinità e l’evangelicità di quanto la pietà cattolica autentica vive nella sua relazione con il mistero di Maria.

Mi limiterò ad alcune riflessioni che partono dalla Scrittura e invitano a contemplare la Vergine dell’annunciazione, la Madre della visitazione e la Sposa del Magnificat.

 La Vergine dell’annunciazione (Lc 1, 26-38)

[36] Maria viene raggiunta dall’annuncio dell’angelo mentre si trova in un profondo silenzio contemplativo. Da lei escono poche ed essenziali parole che manifestano un proposito saldo di verginità, un profondo rispetto del mistero di Dio, uno stare come “ancella” alla sua presenza. Maria nell’ascolto contemplativo si lascia raggiungere dal mistero del Padre attraverso la Parola del Figlio per celebrare l’Incontro nella grazia e nella forza dello Spirito Santo. In Maria, Vergine dell’annunciazione, si manifesta la struttura trinitaria dell’autocomunicazione divina: dal Silenzio, attraverso la Parola, verso l’Incontro.

L’accoglienza verginale dell’autocomunicazione di Dio indica la dimensione contemplativa che sta alla radice del comunicare.

La Madre della visitazione: la dimensione antropologica del comunicare

[37] Invito a contemplare parola per parola questa pagina evangelica domandandosi quale figura del comunicare umano si manifesta nell’incontro di due donne e di due generazioni.

E’ un comunicare che si manifesta anzitutto nel mistero della voce, comunicativa di gioia, vibrante e modulata così da far trasalire chi l’ascolta (“Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio seno”: Lc 1, 44). Attenzione reciproca e concretezza sono alla base della comunicazione dialogica tra Maria e Elisabetta. E’ un incontro nel gesto e nella parola che esprime la sovrabbondanza del cuore, la gratitudine e la gratuità. Maria si sente capita a fondo, sente che il suo segreto, che non aveva osato dire a nessuno e che non sapeva come esprimere senza timore di essere tacciata di follia, è stato capito, accolto, stimato, apprezzato. La tenerezza di questo incontro è figura di un comunicare umano e riuscito.

La Sposa del «Magnificat»: la dimensione critico-profetica del comunicare

[38] Il Magnificat è anzitutto una dossologia, un canto di lode: la lode è fondamento della prassi comunicativa. Non si comunica nella tristezza, con il muso lungo, ripiegati su di sé.

Il Magnificat nel suo svolgersi percorre le diverse forme della difficoltà o dell’incapacità a comunicare e viceversa della comunicazione avvenuta: tra le generazioni (1, 50-51: “i superbi nei pensieri del loro cuore” che non sanno comunicare sono dispersi, mentre le generazioni di coloro che temono Dio comunicano l’una con l’altra); nel cuore dell’uomo (1, 52); nell’ambito politico e sociale (1, 51-53); nel popolo della promessa (1, 54-55).

Dobbiamo imparare a cantare il Magnificat con la vita: l’accoglienza dell’autocomunicazione divina da parte di Maria è fondamento della capacità del nostro comunicare nella storia e anticipazione del comunicare nella pienezza della vita eterna. A questa pienezza comunicativa volgeremo la nostra attenzione specifica nel programma pastorale 1992-1994 con il tema del vigilare.

“O Maria, Madre e modello della comunicazione, ottienici che, contemplando i misteri in cui Dio Padre si dona a te e al mondo per mezzo del tuo Figlio nell’incontro dello Spirito santo, noi possiamo sottoporre la nostra voglia di comunicare a quella purificazione e a quella luce che derivano da tanto mistero, e ci lasciamo anche noi attrarre in questo scambio di amore”.