Prosegue il dibattito sul senso e sui modi della presenza dei cattolici in politica.

di GIUSEPPE SAVAGNONE
20 giugno 2024
Per gentile concessione di:
www.vinonuovo.it

Un cedimento alla “logica di questo mondo”?

In una garbata e stimolante critica al mio articolo «I cattolici invisibili», l’amico Rocco Gumina mette in dubbio l’esistenza stessa del problema. La visibilità  e la rilevanza dei cattolici in politica non dovrebbe essere misurata – egli scrive – «secondo la logica di questo mondo»,  bensì «per dirla con lo scritto anonimo A Diogneto, dall’esito del loro tenore di vita che – se indirizzato alla carità – porterà frutti in abbondanza». Come è stato, ricorda l’autore, nella testimonianza dei «siciliani Piersanti Mattarella e Rosario Livatino che nell’esercizio delle loro responsabilità – politiche per uno e professionali per l’altro – hanno ricercato attraverso quei mezzi, e nel pieno rispetto degli stessi, la carità».

Insomma, secondo Gumina  «la cattolicità dell’azione che realizza il credente nella storia non s’identifica con lo stendardo destinato a certificare pubblicamente l’appartenenza a questo o a quell’altro gruppo organizzato di fedeli, bensì con l’intenzione intima tesa alla carità e vissuta, al pari di tutti gli altri, con i mezzi propri di questo mondo». Sostenere che «i cattolici in quanto raggruppamento più o meno organizzato sono chiamati a farsi sentire nella società, a farsi valere nelle correnti partitiche, insomma a divenire sempre più visibili e rilevanti (…) poteva andar bene sino a qualche decennio fa». Non dopo il richiamo  di Giuseppe Dossetti, nel 1956 «alla “coscienza di essere minoranza”» e dopo l’appello  del Concilio Vaticano II ai laici cristiani perché siano disponibili «nell’accogliere e nel percorrere la pluralità delle opzioni possibili sul versante politico, sociale ed economico».

«Soltanto una lettura evangelica delle cose della politica», conclude l’autore, «potrà assicurare ai credenti una testimonianza moderna ovvero in grado di incidere nel tempo che viviamo come già accade in molteplici esperienze diffuse nei territori».

Due equivoci da dissipare

Forse, per la chiarezza della discussione, è bene cominciare sbarazzando i terreno da un paio di equivoci. Il primo è che  la visibilità e la rilevanza dei cattolici  consista nell’agitare uno «stendardo destinato a certificare pubblicamente l’appartenenza a questo o a quell’altro gruppo organizzato di fedeli». Nel mio “chiaroscuro” non propongo mai la ricostituzione di un “partito  cattolico”, come è stato, nella Prima Repubblica, la Democrazia cristiana, perché sono anch’io convinto che questo modello sia superato.

Il secondo equivoco possibile è che visibilità e rilevanza dei cattolici si misurino in base  al consenso e al successo di questa o quella loro iniziativa politica. I seguaci di un messia crocifisso non possono avere come loro stile se non  il ricorso a  quelli che Maritain chiamava “mezzi poveri” e come loro meta non il potere, ma una coerente testimonianza, anche quando essa fosse votata alla sconfitta. Da questo punto di vista, condivido in pieno l’invito di Rocco Gumina a seguire la  logica del Vangelo e non  quella del mondo.

Il silenzio complice dei cattolici “di destra”

E qual è allora la visibilità e la rilevanza di cui denunzio l’evidente assenza parlando di “cattolici invisibili”? Nell’articolo indico due sintomi, a mio avviso tristemente significativi di questa assenza, che aiutano a capire come dovrebbe manifestarsi, viceversa, la loro presenza. Il primo sintomo è la massiccia adesione di ampie fasce degli ambienti di regioni tradizionalmente cattolicissime – penso al Veneto, alla Lombardia… – alla politica prima della Lega, oggi del governo di destra, nei confronti dei migranti provenienti all’Africa e dall’Asia. Una linea che ha comportato una normativa fortemente ostile al loro ingresso in Italia, al punto di ostacolare per quanto possibile il loro salvataggio in mare, di finanziare Libia e Tunisia perché li trattengano in spaventosi campi di concentramento, e di costruire addirittura in Albania un campo di detenzione che avrà esso stesso tutti i caratteri di un campo di concentramento.

Dove non è in gioco la ragionevole esigenza di controllare il numero degli ingressi, ma la scelta di considerare chi viene a chiedere ospitalità nel nostro paese un «invasore», da cui difenderci. Col risultato che anche coloro che riescono ad entrare in Italia non vengono minimamente aiutati a integrarsi nella nostra società e abilitati a svolgere lavori di cui si sentirebbe molto il bisogno e per cui gli stessi imprenditori chiedono una manodopera che manca – a riprova che non si tratta di una scelta utilitaristica, ma di rifiuto ideologico del “diverso” in quanto tale (come conferma, per contrasto, l’atteggiamento verso i profughi ucraini, bianchi e cristiani).

Che tanti cattolici abbiano sostenuto e sostengano anche loro questa linea – col loro voto, attraverso sondaggi di  opinione, anche solo con il loro complice silenzio – è coerente con il Vangelo, là dove esso, in Mt 25, ci dice che Gesù si è identificato con lo straniero e in lui chiede di essere accolto? Il problema politico non si intreccia qui, inscindibilmente con quello della carità? E  le scelte anti-evangeliche di milioni di fedeli che poi vanno a messa, o comunque si dicono credenti, non indica una drammatica irrilevanza della loro fede a livello pubblico?

Il silenzio complice dei cattolici “di sinistra”

Nel “chiaroscuro” portavo anche un altro  esempio, che questa volta riguarda i cattolici “di sinistra”. La recente battaglia della segretaria e dei capogruppo parlamentari  del Pd per far passare l’idea che la legge 194 sancisce il diritto della donna di abortire e impedire l’ingresso nei consultori di associazioni pro-vita, si è basata su una clamorosa manipolazione ideologica del testo legislativo, che invece è tutto orientato alla tutela della vita del nascituro e che consente l’interruzione volontaria della gravidanza solo in certi specifici casi (vedi qui).

Ora,  il Partito democratico era nato con l’intento di unire socialisti e cattolici. La posizione attuale, invece, è ormai molto simile a quella del partito radicale di Pannella e non ha più niente di socialista, ma meno che mai di cattolico. Però questo non impedisce a molti credenti di sostenerlo e votarlo senza che emergano obiezioni dissensi. Anche qui, è significativo l’assordante silenzio da parte di coloro che, avendo in qualche modo un ruolo nel partito, avrebbero dovuto protestare e far presente la loro diversa posizione (l’unico a farlo è stato Tarquinio, tacitato subito però, precisando che si trattava di un “indipendente” non organico al Pd).

Denunziare come uno scandalo – ma anche un dramma per tutta la nostra società – questa latitanza del punto di vista dei cattolici, sia “di destra” che “di sinistra”, sulla scena politica significa misurare la loro presenza «secondo la logica di questo mondo»?

Dove il problema, prima che politico, è culturale. Nell’articolo osservavo che il vero dramma, oggi, non è la diminuzione della frequenza dei fedeli alle messe domenicali, ma il fatto che ormai chi va a messa pensa come chi non ci va ed è del tutto estraneo alla grande tradizione culturale del cattolicesimo, di cui è espressione l’insegnamento sociale della Chiesa. Per questo il papa, i vescovi, sono ormai voci che gridano nel deserto.

Certo, ci sono, nascosti, i santi. Ci sono sempre stati e sempre ci saranno. La loro carità riscatta, agli occhi di Dio, l’immenso male del mondo. Ma fin dalle sue origini, la Chiesa ha cercato, oltre che di pregare, di modificare il modo di pensare, i modelli di vita  – questo è la cultura – del mondo pagano, per renderli non più cristiani, ma più umani. Non è un compito che si ripropone oggi, in modo forse ancora più urgente, in questo mondo post-cristiano? Solo da questo profondo rinnovamento culturale potrà venire una rivoluzione del modo dominante  di concepire la persona e il bene comune.

Ma ciò suppone che il vuoto attuale venga visto e denunziato. È quello che io modestamente ho cercato di fare parlando di “cattolici invisibili”.