Denominazioni del libro

Il Primo e il Secondo libro dei Re originariamente formavano un unico libro. Essi fanno parte dei Libri storici per il canone cristiano e dei cosiddetti ”profeti anteriori” per il canone ebraico. Nella versione greca dei Settanta essi costituiscono il III e IV libro dei Regni (”Basileion”) e nella Volgata il III e IV libro dei Re (dopo quelli di Samuele).

Redazione

La redazione finale è collocata dalla maggior parte degli studiosi intorno al VI secolo a.C.. L’autore biblico è lo stesso del Primo libro dei Re, ed appartiene all’ambito religioso che ha prodotto il libro del Deuteronomio; per questo lo si definisce autore ”Deuteronomista”.
Per ricostruire le vicende dei due regni di Israele, egli attinge a materiali d’archivio oggi non più in nostro possesso (il perduto ”Libro degli Annali dei Re di Giuda”), alle tradizioni orali e alla memoria storica del suo popolo. Una delle caratteristiche dell’autore Deuteronomista è il continuo ricorso a formule fisse per delineare i regni dei vari sovrani che, dalla malattia e morte del re Acazia fino alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Babilonesi di re Nabucodonosor, si sono succeduti sul trono di Giuda e sul regno settentrionale d’Israele.

Suddivisione del testo

Il Secondo libro dei Re rappresenta la continuazione ideale del Primo, descrivendo la vicenda del popolo ebraico dal IX al VI secolo a.C., cioè dalla fine del regno di Acazia (circa 852 a.C.) fino alla distruzione del regno di Giuda nel 587 a.C..
In tutto comprende 25 capitoli che si possono suddividere in diverse parti:

  • Il rapimento in Cielo di Elia (2 Re 1-2);
  • Il ciclo del profeta Eliseo (2 Re 3-13), comprendente la misera fine di Gezabele (2 Re 9) e la vicenda dell’usurpatrice Atalia (2 Re 11);
  • La decadenza e la fine del Regno d’Israele (2 Re 14-18);
  • Il ciclo del profeta Isaia e i regni di Ezechia e Manasse (2 Re 19-21);
  • La riforma religiosa di re Giosia (2 Re 22-23);
  • Le invasioni dei Caldei e la fine del regno di Giuda (2 Re 24-25).

Contenuto

L’Assunzione di Elia

Nel capitolo 1 si narra la malattia e la morte di Acazia, re d’Israele figlio di Acab, cui Elia aveva profetizzato l’imminente fine. Quando Acazia manda per due volte cinquanta soldati a prenderlo per condurlo alla reggia, per due volte un fuoco celeste invocato da Elia li incenerisce; il comandante del terzo drappello invoca pietà ed JHWH lascia che Elia vada con lui. Ma questi ribadisce la condanna divina, provocata dal fatto che il re ha consultato l’oracolo di un dio straniero “come se non ci fosse nessun Dio in Israele da consultare”.

Il capitolo 2 è uno dei più famosi dell’intera Bibbia: dopo aver attraversato il Giordano che ha diviso con il proprio mantello, Elia il tisbita è rapito in cielo da un carro di fuoco: una delle più impressionanti teofanie di tutti i Libri Storici della Bibbia. Il verbo “laqah” (“essere preso”) con cui l’autore designa l’assunzione di Elia è lo stesso usato per il patriarca Enoc (Gen 5, 24), colui che “nessuno più vide, perchè Iddio lo prese”. Per questo la letteratura apocalittica associa spesso Enoc ed Elia. Il mancato ritrovamento del corpo di Elia accomuna invece questo personaggio a Mosè, ed infatti i due appariranno insieme durante la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor; inoltre ai tempi del Nuovo Testamento era diffusa la convinzione che Elia sarebbe tornato un giorno per annunciare la venuta del Messia. Basta leggere questo passo di Matteo 17, 10-13:

« I discepoli gli domandarono: “Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?” Gesù rispose: “Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, l’hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro.” Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista. »

L’assunzione in Cielo di Elia è completata dalla fedeltà di Eliseo che ripete per tre volte « Per la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò », dalla sua richiesta di avere su di sé « due terzi del tuo spirito » e dal suo grido disperato: « Padre mio, padre mio, cocchio d’Israele e suo cocchiere! » Essa tuttavia va intesa come l’ingresso del profeta nella piena luce del Signore per la quale aveva tanto lottato, in deroga alle leggi della natura. In ogni caso, Eliseo ripete il miracolo di aprire le acque del Giordano, dal che tutti capiscono che lo spirito di Elia si è posato su di lui. E non è tutto: appena dei ragazzi di Betel gli danno della “testa pelata”, egli li maledice e subito due orse escono dal bosco e sbranano 42 di quei giovani (solito numero simbolico: 2 x 3 x 7). Per questo Dante nomina Eliseo usando questa perifrasi, quando rievoca il rapimento in cielo di Elia:

« E qual colui che si vengiò [vendicò] con li orsi
vide ‘l carro d’Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi,
che nol potea sì con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
sì come nuvoletta, in sù salire… »
(Inferno XXVI, 34-39)

Anche se la “testa pelata” poteva riferirsi ad una tonsura rituale, e quindi poteva suonare come un’irrisione sacrilega, francamente la reazione di Eliseo ci appare sproporzionata: è questo uno dei testi biblici comprensibili solo alla luce di una “pedagogia della rivelazione”, come dicevamo nell’Introduzione.

Il ciclo di Eliseo

Nel capitolo 3 entra in scena Ioram, fratello di Acazia, succedutogli sul trono d’Israele, che forma una coalizione con il re di Giuda Giosafat e con il re di Edom contro Mesa, potente re di Moab, del quale è stata rinvenuta preso Dibon, in Transgiordania, una stele databile all’830 a.C., dove cita proprio Israele tra i suoi nemici: un testo prezioso per dimostrare la storicità dei Libri dei Re, nonostante i “fioretti” attribuiti ad Elia e ad Eliseo. Siccome i tre alleati sono in difficoltà nel deserto di Moab, decidono di ricorrere ad Eliseo che usa un mezzo non insolito per cadere in trance ed essere investito dallo Spirito del Signore: un suonatore di lira. La risposta è favorevole alla coalizione, e la vittoria arride ad essa anche grazie ad un equivoco che ha del romanzesco: la pioggia colma di notte le fosse del deserto, alla luce dell’alba i Moabiti pensano che si tratti di sangue e che i tre eserciti si siano scannati tra di loro, ed partono all’attacco, finendo in bocca ai loro nemici che ne menano strage. Si noti che la stele di Dibon parla invece di una vittoria moabita: come accadeva spesso nel Vicino Oriente, le parti in conflitto presentavano versioni della realtà assai diverse tra di loro, come dimostrano i testi degli Egizi e degli Ittiti scontratisi a Qadesh (Siria) nel XIII secolo a.C.: le storiografie di entrambi parlano di una strepitosa vittoria, ma è probabile che lo scontro si sia risolto in un pareggio.

Il capitolo 4 presenta altri miracoli di Eliseo, tra cui la moltiplicazione dell’olio della vedova (forse è la riedizione dell’analogo miracolo di Elia a Zarepta in 1 Re 17, 8-16), la concessione di un figlio alla generosa Sunammita e poi la risurrezione del bambino stesso. Anche in questo caso si tratta probabilmente del doppione dell’analogo miracolo compiuto da Elia in 1 Re 17, 17-24: l’autore biblico vuole dimostrare che è veramente sceso su Eliseo il 66 % dello spirito di Elia, dato che il discepolo è in grado di replicare i miracoli del maestro. Inoltre, come Elia aveva Eliseo, anche Eliseo ha una “spalla”, il fedele Giezi.

Successivamente Eliseo annulla gli effetti dell’avvelenamento da zucche selvatiche a Galgala e moltiplica venti pani d’orzo e di farro: un episodio che verrà preso a modello da tutte e quattro gli Evangelisti per la celeberrima moltiplicazione dei pani e dei pesci operata da Cristo. Ma sicuramente il più rilevante tra tutti i miracoli di Eliseo è, nel capitolo 5, la guarigione dalla lebbra di Naaman, comandante dell’esercito del re di Siria: un pagano che accetta di entrare nell’orbita della religione mosaica. Per la prima volta nell’intero Antico Testamento il culto a JHWH sarà officiato fuori dei confini del Popolo Eletto, e per questo Naaman porta con sé un sacco di terra di Palestina per officiarvi sopra i riti sacri: il legame tra terra e culto era così forte, che si pensava di poter legittimamente adorare un Dio nazionale solo entro i confini di quella nazione. Quanto a Giezi, servo di Eliseo che aveva ottenuto da Naaman il regalo rifiutato dl profeta, per la sua avidità è punito con la lebbra.

Nel capitolo 6 vediamo Eliseo ripescare miracolosamente un’accetta dal Giordano in cui era caduta; successivamente il re di Aram manda un drappello ad arrestarlo perchè lo considera una pericolosa spia, ma JHWH oppone all’esercito siriano il proprio, fatto ancora una volta di carri e di cavalli di fuoco, e colpisce con la cecità i nemici del profeta, che poi finge di guidare i suoi stessi avversari da colui che cercano, ed invece li porta a Samaria, dove sono tutti fatti prigionieri. Ma Eliseo impone che siano trattati bene e rimandati in patria.

Il capitolo 7 vede il re di Siria Ben-Adad II porre l’assedio a Samaria, e la popolazione è così affamata da dover mangiare i propri figli. Re Ioram si straccia le vesti e giura di fare la festa ad Eliseo senza alcun apparente motivo; si può pensare che, come Isaia con Acaz, avesse spronato il re a resistere all’assedio. Ma poi Ioram cambia idea ed Eliseo gli predice la liberazione di Samaria, che prontamente si verifica.

Nel capitolo 8 il re di Siria è caduto malato e, memore della guarigione di Naaman, manda il suo funzionario Cazael ad interrogarlo; ma Eliseo scoppia in pianto, avendo previsto che Cazael usurperà il trono, muoverà guerra ad Israele e gli causerà tanti lutti. Le fonti assire confermano la storicità dell’evento, la morte violenta di Ben-Adad II e l’ascesa al trono di Cazael, che non era di stirpe reale. Il capitolo 8 cita anche l’ascesa al trono di Giuda di Ioram, figlio di Giosafat e marito di Atalia, figlia di Acab, che lo induce all’idolatria; non a caso questo re è incapace di opporsi alla secessione di Edom che si libera dalla sudditanza a Gerusalemme. Dopo sol sette anni gli succede suo figlio Acazia.

La fine della dinastia di Acab

Il capitolo 9 vede l’ormai vecchio Eliseo ordinare ad un discepolo di andare ad ungere re d’Israele Ieu, un generale d’Israele: in pratica, il profeta avalla un colpo di stato contro la casa di Acab. Ieu uccide Ioram re del nord e ferisce mortalmente anche Acazia re del sud; quest’ultimo muore nella fortezza di Meghiddo in cui era riuscito a riparare. A quel punto ad Ieu non resta che eliminare la regina madre Gezabele, tuttora molto potente; costei si affaccia al balcone presentandosi come la legittima sovrana, e si rivolge con grande forza d’animo all’assassino di suo figlio e di suo genero, accusandolo di fellonia. Subito Ieu ordina a tre eunuchi di scaraventarla giù dal balcone. La scena è orribile (9, 33-36):

« La gettarono giù. Il suo sangue schizzò sul muro e sui cavalli. Ieu passò sul suo corpo, poi entrò, mangiò e bevve; alla fine ordinò: “Andate a vedere quella maledetta e seppellitela, perché era figlia di re.” Andati per seppellirla, non trovarono altro che il cranio, i piedi e le palme delle mani. 36 Tornati, riferirono il fatto a Ieu, che disse: “Si è avverata così la parola che il Signore aveva detto per mezzo del suo servo Elia il Tisbita: Nel campo di Izreèl i cani divoreranno la carne di Gezabele.”»

Il massacro continua nel capitolo 10 con lo sterminio completo della famiglia di Acab e degli adoratori di Baal. Nonostante questo, il Libro dei Re loda Ieu (il cui nome significa “JHWH è Dio”) per aver sradicato da Israele con ogni mezzo quell’abominevole culto idolatrico, anche se non abbatte i famosi vitelli d’oro fatti erigere da Geroboamo. Ad Ieu succede poi suo figlio Ioacaz.

Il capitolo 11 conosce un’altra strage, stavolta nel regno meridionale: Atalia, la regina madre, dopo la morte del figlio Acazia stermina ogni altro membro della stirpe reale e si proclama regina. Il suo nome significa “JHWH ha manifestato la sua gloria”, ma nonostante ciò ella promuove il culto idolatrico di Baal, come sua madre Gezabele, causando la reazione sdegnata dei leviti e del popolo. Tuttavia il Secondo Libro dei Re afferma che un bambino è sfuggito alla strage: è Ioas, figlio di Acazia, che viene nascosto nel gineceo per sei anni. È possibile che la stirpe davidica fosse stata completamente sterminata, e Ioiada, capo della casta sacerdotale di Gerusalemme, abbia in realtà spacciato un altro per il figlio del vecchio re scampato alla strage famigliare; forse questo è il motivo per cui Luca, nel capitolo 3 del suo vangelo, fa risalire la genealogia di Gesù a Davide non attraverso Salomone, ma attraverso Natan, un figlio cadetto.
Ad ogni modo, con l’aiuto di alcuni mercenari della Caria (Asia Minore), Ioiada mette in atto un colpo di stato ed unge re Ioas. Atalia grida al tradimento, ma è troppo tardi: il popolo è con Ioas, stanco dell’idolatria imposta dall’usurpatrice. Così quest’ultima è trascinata fuori dal recinto sacro e sommariamente giustiziata.

Complesse vicende dei due regni

Nel capitolo 12 è descritto il regno di Ioas, particolarmente lodato perchè fa rimuovere ogni traccia di idolatria importata da sua nonna, rivelando in ciò di essere stato davvero allevato dai sacerdoti. Per salvarsi dall’invasione di Cazael di Siria, invece, Ioas deve pagargli un fortissimo ed inglorioso tributo, e così i suoi generali ordiscono una congiura e lo eliminano.

Altrettanto sfortunato è Ioacaz, figlio di Ieu e re di Israele: nel capitolo 13 si narra della guerra da lui persa contro il potente Cazael. A lui succede il figlio, anch’egli chiamato Ioas, particolarmente vituperato per aver fatto “ciò che è male agli occhi del Signore”. Tuttavia, quando Eliseo si ammala e sta per morire, Ioas di Israele scende a visitarlo e il profeta gli rivela che sconfiggerà il regno di Aram, anche se non in modo definitivo. Dopo la morte di Eliseo c’è spazio ancora per un suo miracolo: un cadavere tocca le sue ossa e ritorna in vita. Non a caso il Siracide dirà di lui (48, 15):

« Nella sua vita compì prodigi, e dopo la morte meravigliose furono le sue opere. »

Il capitolo 14 contiene le vicende del regno di Amazia, figlio di Ioas re di Giuda, che prima batte il re di Edom in battaglia, e poi, inorgoglitosi, vorrebbe misurarsi anche con Ioas re d’Israele. Questi però gli risponde con una parabola, secondo uno stile assai diffuso nel Vicino Oriente (14, 9-10):

« Il cardo del Libano mandò a dire al cedro del Libano: Dà in moglie tua figlia a mio figlio. Ora passò una bestia selvatica del Libano e calpestò il cardo. Tu hai sconfitto Edom, per questo il tuo cuore ti ha reso altero. Sii glorioso, ma resta nella tua casa. Perché provocare una calamità? Potresti precipitare tu e Giuda con te! »

Amazia non gli dà retta ed ingaggia battaglia con lui, ma è sconfitto e preso prigioniero; Ioas arriva fino a Gerusalemme ed apre una breccia nelle sue mura, depreda il tesoro del Tempio e se ne va dopo aver preso degli ostaggi. Ad Ioas succede il figlio Geroboamo II, e ad Amazia, eliminato come suo padre da una congiura, succede il figlio Azaria, detto anche Ozia, che fa ricostruire il porto di Eilat sul Mar Rosso.
Il regno di Geroboamo II rappresenta per Israele un periodo di grande splendore, come testimoniano anche i profeti Amos ed Osea, che gli furono contemporanei (prima metà dell’VIII secolo a.C.). Tuttavia il Libro che stiamo esaminando non nomina costoro, bensì il profeta Giona, figlio di Amittai, del quale non sappiamo assolutamente nulla perchè non lasciò scritti, ma al quale molti secoli dopo fu dedicato un interessante libro confluito nella Bibbia, del quale discuteremo in un’altra pagina. Il giudizio del Secondo Libro dei Re è comunque durissimo, perchè il re viene qui giudicato da una prospettiva non politica ma religiosa.

Il capitolo 15 ci mostra una fase politica particolarmente disordinata: Amazia è il re di Giuda che regna più a lungo (ben 52 anni) ma, non avendo egli rimosso le alture sacre su cui il popolo faceva sacrifici anziché recarsi al Tempio di Gerusalemme, egli viene colpito dalla lebbra, cosicché deve ritirarsi in un luogo isolato, secondo la legge mosaica, e si associa al trono il figlio Iotam, che poi gli succederà.
Intanto, l’anarchia regna sovrana nel regno settentrionale, ormai in piena decadenza politica segnata dal turbinoso susseguirsi di cinque re in quattordici anni, tutti morti ammazzati. Infatti Zaccaria, figlio di Geroboamo II, regna solo per sei mesi, dopo di che è eliminato da una congiura e con lui ha fine la dinastia di Ieu. Il suo assassino Sallum regna al suo posto, ma passa appena un mese ed un altro pretendente, Menachem, gli fa fare la stessa fine e poi segue la macabra prassi della strage completa di chi non lo accetta come re: ne fa le spese Tirza, l’antica capitale, che è rasa al suolo. Oltre a questa politica di terrore, per mantenersi al potere Menachem deve pagare all’Assiria un tributo esorbitante. A lui succede il figlio Pekachia, contro cui si ribadisce il giudizio severo riservato a quasi tutti i re d’Israele. Ma il partito indipendentista anti-assiro organizza l’ennesima congiura e lo sostituisce con il generale Pekach, evidentemente ostile al vassallaggio agli Assiri, che stanno raggiungendo l’acme della propria potenza.
Infatti di lì a poco il re assiro Pul, identificato dagli storici con Tiglat-Pileser III (745-725 a.C.), piomba in Galilea, lo sconfigge e pretende da lui il vassallaggio e un nuovo esosissimo tributo. Tra l’altro inizia a deportare la popolazione della tribù di Neftali: si inaugura così una stagione tristissima per il Popolo Eletto. Lo stesso partito anti-assiro che aveva eletto Pekach ora lo sconfessa e ne provoca la caduta, sostituendolo con Osea (nulla a che fare con l’omonimo profeta). Intanto in Giuda Iotam succede al padre, e poi a lui succede il figlio Acaz.

La caduta di Samaria

Il regno di Acaz è descritto nel capitolo 16 assieme alla “Guerra Siro-Efraimitica” che i re di Siria e di Israele gli mossero contro; ne riparleremo diffusamente più avanti. La vittoria di Acaz ha come prezzo la richiesta d’aiuto all’Assiria ed il pesante vassallaggio a quest’ultimo. Ma va peggio al regno del Nord, che ha ormai i giorni contati: nel capitolo 17 il re assiro Salmanassar V (727-722 a.C.) scopre che Osea lo tradisce, negandogli il tributo e cercando l’alleanza con il faraone So, un nome ignoto al di fuori della Bibbia; a quel tempo a regnare sull’Egitto era Sneferra (747-716 a.C.), della XXV dinastia nubiana, ma forse è stato confuso con il successore Shabaka, da cui So; secondo altri si fa riferimento alla città di Sais, che a quei tempi era capitale d’Egitto. Ad ogni modo, Salmanassar V decide di regolare la questione con i soliti metodi spicci tipici degli Assiri, e pone l’assedio a Samaria. Dopo tre anni, Samaria cade nelle mani del suo successore Sargon II (722-705 a.C.), e il regno del nord ha fine dopo 208 anni, riducendosi a una semplice provincia assira. La spiegazione di questa caduta secondo l’autore Deuteronomista è assai semplice (17, 7-13):

« Ciò avvenne perché gli Israeliti avevano peccato contro il Signore loro Dio, che li aveva fatti uscire dal paese d’Egitto, liberandoli dal potere del faraone re d’Egitto; essi avevano temuto altri dèi. Avevano seguito le pratiche delle popolazioni distrutte dal Signore all’arrivo degli Israeliti e quelle introdotte dai re di Israele. Gli Israeliti avevano proferito contro il Signore loro Dio cose non giuste e si erano costruiti alture in tutte le loro città, dai più piccoli villaggi alle fortezze. Avevano eretto stele e pali sacri su ogni alto colle e sotto ogni albero verde. Ivi avevano bruciato incenso, come le popolazioni che il Signore aveva disperso alla loro venuta; avevano compiuto azioni cattive, irritando il Signore. Avevano servito gli idoli, dei quali il Signore aveva detto: “Non farete una cosa simile!” Eppure il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: “Convertitevi dalle vostre vie malvage e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo ogni legge, che io ho imposta ai vostri padri e che ho fatto dire a voi per mezzo dei miei servi, i profeti.” »

Le dieci tribù settentrionali vengono deportate dai vincitori, com’era loro costume per sradicare i popoli e sottometterli meglio, e sostituite da altri popoli pagani, a loro volta deportati da altri angoli del vasto impero. Ha così origine la stirpe dei Samaritani, che si convertono al culto di JHWH, ma realizzano un sincretismo pagano-giudaico ed adorano Dio sul monte Garizim anziché a Gerusalemme. Ciò spiega l’odio razziale manifestato dai Giudei nei loro confronti, e testimoniato ancora dal Vangelo di Giovanni (Gv 4,9):
« I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. »
Nasce anche il mito delle « Tribù Perdute d’Israele », che storici di ogni tempo hanno voluto fantasiosamente identificare con vari popoli in ogni parte del mondo, e perfino con i Maya!! Ne riparleremo più oltre.
Da qui in poi si parla solo più del regno meridionale.

Il ciclo di Isaia

Ad Acaz succede il figlio Ezechia (capitolo 18), assai lodato più di tutti i suoi predecessori:

« Egli confidò nel Signore, Dio di Israele. Fra tutti i re di Giuda nessuno fu simile a lui, né fra i suoi successori né fra i suoi predecessori. Attaccato al Signore, non se ne allontanò; osservò i decreti che il Signore aveva dati a Mosè. Il Signore fu con Ezechia e questi riuscì in tutte le iniziative. Egli si ribellò al re d’Assiria e non gli fu sottomesso. Sconfisse i Filistei fino a Gaza e ai suoi confini, dal più piccolo villaggio fino alle fortezze » (18, 5-8)

Tra l’altro egli “fece a pezzi il serpente di bronzo che il Signore aveva dato a Mosè”, il famoso totem contro il morso dei serpenti velenosi citato in Numeri 21, 6-9, forse residuo di un culto preisraelitico del dio serpente; in ogni caso, al tempo di Ezechia un serpente di bronzo era adorato come un idolo, ed egli lo leva di mezzo. Anche Isaia nel suo libro profetico tesse ampie lodi di questo re, testimone tra l’altro della caduta di Samaria in mani assire. Naturalmente il re assiro Sennacherib vuole mantenere sottomesso a sé anche il regno di Giuda, situato (come sappiamo) in posizione strategica lungo le carovaniere fra Africa orientale, Arabia, Mesopotamia, Anatolia e Persia; salito contro Giuda, ne occupa tutte le principali piazzeforti ed Ezechia è costretto a pagargli un ennesimo, colossale tributo, spogliando di nuovo il Tempio di Gerusalemme. Sennacherib invia il suo coppiere fin davanti alle mura di Gerusalemme, e manda a dire ad Ezechia che lo stesso Dio di Israele avrebbe mandato gli Assiri a punirlo per aver centralizzato il culto a Gerusalemme. I delegati di Ezechia si spaventano e chiedono al gran coppiere di parlare in aramaico, la lingua franca della Mesopotamia, perchè loro lo comprendono ma il popolo no, in modo che non si spaventi; come tutta risposta, il gran coppiere urla proprio in ebraico tutte le sue minacce contro Gerusalemme. Un’importante nota linguistica, perchè fino all’esilio i Giudei parlavano solo ebraico, mentre da allora in poi adotteranno l’aramaico come lingua popolare.

A questo punto (capitolo 19) interviene il profeta Isaia, che rincuora il re e tutta la sua corte, promettendogli in ritorno in patria di Sennacherib con la coda tra le gambe. Dopo che Sennacherib ha inviato nuove minacce ad Ezechia, stavolta per lettera, Isaia risponde con un lungo oracolo poetico, in cui attacca duramente l’impero nemico per aver offeso e schernito “il Santo d’Israele”. È questo uno degli “oracoli contro le nazioni” che i profeti biblici lanciano in continuazione nei loro libri. Quella notte stessa l’Angelo del Signore colpisce 185.000 uomini dell’esercito assiro, sicuramente una cifra iperbolica che nasconde una pestilenza, ricalcando l’episodio del libro dell’Esodo in cui l’Angelo uccide i primogeniti degli egiziani. Sennacherib è costretto a far ritorno a Ninive, dove viene assassinato da due dei suoi figli; in realtà quest’evento storico accadde vent’anni dopo il fallito assedio di Gerusalemme, ma l’autore li fonde in un unico evento per suggerire un’interpretazione teologica della storia. Di Sennacherib riparleremo in seguito.

Il capitolo 20 parla di una misteriosa malattia mortale di Ezechia. Ma Isaia annuncia che al suo regno sono aggiunti altri quindici anni, e per guarire il male applica sull’ulcera del re una schiacciata di fichi, forse un rimedio della medicina popolare ebraica. Poiché Ezechia chiede un segno, il Signore fa tornare indietro l’ombra della meridiana di dieci gradi. Purtroppo però Isaia è costretto anche a profetizzare la futura rovina del Tempio di Gerusalemme, anche se Ezechia non si rende conto della gravità della cosa.

Spesso in questo libro a un re degno ne segue uno indegno; e così, nel capitolo 21, ad Ezechia succede il figlio Manasse, sicuramente il peggiore tra i re della dinastia davidica secondo il giudizio dell’autore deuteronomista. Questi non solo restaura i luoghi di culto pagani distrutti da suo padre, ma osa addirittura profanare il Tempio con l’idolo di Asera, divinità cananea, perseguitando coloro che si mantengono fedeli al culto di JHWH. La tradizione giudaica posteriore annovererà tra le vittime di questa persecuzione anche il profeta Isaia, che l’empio re avrebbe fatto segare in due. Il Cronista (2 Cronache 33, 11-19) parlerà di una conversione di Manasse dopo la sua deportazione in Assiria, per spiegare l’inusitata lunghezza del suo regno (ben 55 anni), che nell’antichità era considerata segno di benedizione.

Il pio ma sfortunato Giosia

Amon, figlio di Manasse, non si comporta meglio del padre, e così viene eliminato da una congiura dopo solo due anni, ma il popolo si rivolta e mette sul trono suo figlio Giosia, di soli otto anni. Il capitolo 22 è tutto dedicato al suo regno e alla riforma religiosa da lui voluta. Giosia infatti ordina lavori di restauro nel Tempio Salomonico, onde eliminare ogni traccia del paganesimo voluto dal padre e dal nonno; durante questi lavori, il sommo sacerdote Chelkia rinviene in esso un libro, forse nascosto durante le persecuzioni ordinate da Manasse, che si rivela essere il « Libro della Legge ». Dopo averne ascoltato la lettura, il re si straccia le vesti e decide di tornare alla purezza del culto di JHWH, eliminando ogni traccia di culto idolatrico. Per questo Giosia è particolarmente lodato sia dall’autore deuteronomista che dal cronista. Il testo suddetto è stato identificato dai biblisti con la prima stesura del Deuteronomio, o meglio della sua parte normativa centrale (i capitoli dal 12 al 26); forse sono le benedizioni e le maledizioni in essa contenute, a suscitare la reazione disperata del re, ben conscio di essersi allontanato dalla Parola di Dio, e ad ispirare la sua grandiosa riforma religiosa, descritta con ampiezza di particolari nel capitolo 23.

Dal canto suo la profetessa Culda annuncia al re che la collera del Signore sta per abbattersi sul popolo di Giuda, nonostante la sua tardiva riforma; ma, essendosi questo impegnato a rispettare il Libro della Legge, egli morirà in pace, senza vedere quelle devastazioni (22, 15-20). Ma in 23, 29-30 lo stesso libro narra una fine tragica di Giosia, in netto contrasto con le parole della profetessa.
Giosia è infatti lo sfortunato protagonista della tragica e proverbiale battaglia di Megiddo (609 a.C.). Il re dei Medi Ciassare ed il re di Babilonia Nabupolassar nel 612 a.C. avevano espugnato Ninive, e così il faraone Necao (610-595 a.C.), volendo contrastare il dominio babilonese sulla Mesopotamia, che avrebbe minacciato anche l’Egitto, entra in guerra contro di loro. Per raggiungere la Mesopotamia deve attraversare il regno di Giuda, ma Giosia gli sbarra il passo con le sue truppe. Il re di Giuda non sa fare calcoli politici, per lui gli Assiri sono e restano i nemici mortali che hanno raso al suolo Samaria, e gli amici dei suoi nemici non possono che essere suoi nemici. Giosia viene sbaragliato ed ucciso in battaglia presso Megiddo, e quel luogo diventa simbolo di sconfitta rovinosa per il Popolo di Dio, tanto che nell’Apocalisse il luogo dello scontro escatologico tra Bene e Male è indicato come “Armageddon”, in ebraico ”la montagna di Megiddo”. Prima di proseguire la sua marcia, Necao nomina nuovo re di Giuda Eliakim, figlio di Giosia, cambiandogli il nome in Ioiakim: nell’antico Oriente imporre il nome a qualcosa significa ribadire il proprio possesso di esso, come fa Adamo che impone il nome a tutti gli animali in Genesi 2, 19: la Giudea passa così dall’orbita assira a quella egiziana. Necao sarà comunque definitivamente sconfitto presso Karkemish, in Siria, da Nabucodonosor, figlio di Nabupolassar, nel 605 a.C.

La caduta del regno di Giuda

Vediamo così sorgere, per la prima volta, l’astro del terribile sovrano che segnerà tragicamente la storia del Popolo dell’Alleanza, e di cui riparleremo più sotto. L’ultima sezione del libro è infatti tutta dedicata alla duplice invasione del regno di Giuda da parte dello stesso Nabucodonosor (il suo nome significa “il dio Nabu protegga il mio erede”), che regnò sull’impero Neobabilonese dal 605 al 562 a.C. La prima delle due invasioni, descritta nel capitolo 24, ha luogo nel 597 a.C., ed ha lo scopo di riportare la Giudea nell’orbita mesopotamica, spegnendo ogni residua ambizione egiziana. Il re Ioiakim è sul suo letto di morte mentre le truppe straniere assediano la città; Nabucodonosor depone allora suo figlio Ioiachin (nome equivalente al nostro Gioacchino) dopo appena tre mesi di regno, e ripete la presa di possesso compiuta da Necao, sostituendolo con suo zio Mattania, cui cambia nome in Sedecia: un nome ironico, dal momento che significa ”giustizia di JHWH”, mentre il coltello dalla parte del manico ce l’aveva il re caldeo. Una prima deportazione operata da Nabucodonosor porta a Babilonia settemila fra cortigiani, notabili ed artigiani.

Siamo cosi al capitolo 25 ed ultimo del secondo libro dei Re, nonché dell’intero ciclo deuteronomistico. Sedecia purtroppo ignora gli avvertimenti del profeta Geremia e cerca di stringere alleanza con l’Egitto contro i Caldei. Nabucodonosor non glielo perdona, e nel 587 a.C. attacca per la seconda volta Gerusalemme, che stavolta è conquistata e rasa al suolo assieme al Tempio. Tutte le suppellettili preziose del Tempio sono portate a Babilonia, l’Arca dell’Alleanza sparisce nel nulla (alcuni asseriscono che sia tuttora nascosta in una grotta sotto la spianata del Tempio, nascostavi prima della rovina) ed i maggiorenti della nazione giudaica deportati a Babilonia. Sedecia fa una brutta fine: prima è costretto ad assistere all’esecuzione dei suoi figli, poi è accecato. Ai Giudei rimasti in patria Nabucodonosor concede di essere governati da Godolia, un ebreo passato al servizio del nuovo padrone, che cerca di mitigare le sofferenza del popolo; egli però viene assassinato da fanatici ebrei a Mizpa, dove egli aveva stabilito la sua residenza. Questa è la fine del glorioso Tempio di Salomone e dell’Ebraismo stesso inteso come entità politica. La gloriosa esperienza iniziata con Saul e Davide si è chiusa per sempre, e nei secoli a venire Israele conoscerà solo una serie ininterrotta di dominazioni straniere.

Successione dei Re di Giuda in 2 Re e in altri libri

  • Ioram (849-843 a.C.): 2 Re 8, 16-24; 2 Cronache 21, 2-20
  • Atalia, usurpatrice (843-838 a.C.): 2 Re 11, 1-20; 2 Cronache 22, 10-15
  • Ioas (838-800 a.C.): 2 Re 12, 1-22; 2 Cronache 22, 16 – 24, 27
  • Amazia (800-783 a.C.): 2 Re 14, 1-22; 2 Cronache 25, 1-28
  • Azaria (783-742 a.C.): 2 Re 15, 1-7; 2 Cronache 26, 1-23
  • Iotam (742-735 a.C.): 2 Re 15, 32-38; 2 Cronache 27, 1-9
  • Acaz (735-716 a.C.): 2 Re 16, 1-20; 2 Cronache 28, 1-27; Isaia 7, 1-17
  • Ezechia (716-687 a.C.): 2 Re 18, 1-36; 20, 1-21; 2 Cronache 29, 1 – 32, 33; Isaia 36, 1 – 39, 8
  • Manasse (687-642 a.C.): 2 Re 21, 1-18; 2 Cronache 33, 1-20
  • Amon (642-640 a.C.): 2 Re 21, 19-26; 2 Cronache 33, 21-25
  • Giosia (640-609 a.C.): 2 Re 22, 1 – 23, 30; 2 Cronache 34,1 – 35, 27
  • Ioacaz (609 a.C.): 2 Re 23, 31-33; 2 Cronache 36, 1-4; Geremia 22, 10-12
  • Ioiakim (609-598 a.C.): 2 Re 23, 34 – 24. 7; 2 Cronache 36, 5-8; Geremia 26, 1-24
  • Ioiachin (598-597 a.C.): 2 Re 24, 8-17; 2 Cronache 36, 9-10; Geremia 22, 20-30
  • Sedecia (597-587 a.C.): 2 Re 24, 18 – 25, 7; 2 Cronache 36, 11-21; Geremia 27, 1 – 39, 10

Successione dei Re di Israele in 2 Re

  • Acazia (852-851 a.C.): 1 Re 22, 52 – 2 Re 1, 18
  • Ioram (851-843 a.C.): 2 Re 3, 1-27
  • Ieu (843-816 a.C.): 2 Re 9, 1 – 10, 36
  • Ioacaz (816-801 a.C.): 2 Re 13, 1-9
  • Ioas (801-786 a.C.): 2 Re 13, 10-13
  • Geroboamo II (786-746 a.C.): 2 Re 14, 23-29
  • Zaccaria (746 a.C.): 2 Re 15, 8-12
  • Sallum (746 a.C.): 2 Re 15, 13-16
  • Menachem (745-737 a.C.): 2 Re 15, 17-22
  • Pekachia (737-736 a.C.): 2 Re 15, 23-26
  • Pekach (736-732 a.C.): 2 Re 15, 27-31
  • Osea (732-722 a.C.): 2 Re 17, 1-6

Storicità

Gli “Annali dei Re di Giuda”

Proprio quella che a prima vista parrebbe la parte più propriamente “storica” del libro, cioè la successione dei re giudaici ed israelitici, è quella che più si allontana dalla “storiografia” nel senso moderno del termine. Infatti qui l’autore Deuteronomista interviene di continuo a ”ripensare” la storia del suo popolo, ordinando ed interpretando gli eventi in chiave religiosa. Un sovrano è giudicato positivamente in base a tre criteri:

  • la lotta all’idolatria Cananea;
  • la fedeltà alla purezza del monoteismo biblico;
  • la promessa divina alla dinastia davidica, e quindi il confronto con i propri antenati più nobili.

La storia raccontata dal Deuteronomista, fatta eccezione per il racconto della successione al Trono di Davide, è sempre una storia riletta alla luce della Fede monoteistica. Così, Samaria e Gerusalemme non cadono per colpa dell’espansionismo assiro prima e babilonese poi, a cui avevano cercato scioccamente di sottrarsi, ma per colpa dei peccati commessi dal popolo e dal re, secondo l’ormai ben nota “teoria della retribuzione”. Le tre dinastie principali del regno d’Israele (quella di Gereoboamo, quella di Acab e quella di Ieu) cadono tutte per essersi rifiutate di prestare il debito culto a JHWH, lasciandosi andare al culto dei vitelli d’oro o degli idoli fenici, ed anche nel regno meridionale, quando Giosia mette in atto la sua grande riforma religiosa, è troppo tardi agli occhi di Dio per scongiurare la rovina della Città Santa. I presunti “Annali dei Re di Giuda” ai quali avrebbe attinto l’autore Deuteronomistico sono così ben diversi dai due Libri dei Re come oggi li conosciamo: nuda e e cruda trattazione encomiastica quelli, profonda riflessione sulla storia dal punto di vista di JHWH in questi ultimi. Ed è questo che distingue la Bibbia da ogni altra opera storica pervenutaci dall’antico Oriente.

Baal-Zebub

Non tutti conoscono l’etimologia del nome Belzebù, attribuito al Principe delle Tenebre (così anche Dante in Inf. XXXIV, 137). Si pensa che esso provenga da Baal-Zebul, dio nazionale della città fenicia di Accaron. Di solito il nome del dio Baal (“signore”, parente dell’ebraico El) è associato ad un attributo che ne designa le caratteristiche o il luogo di culto. In Numeri 25, 3 si nomina Baal-Por e in Giudici 9, 4 si cita Baal-Berit (“Baal dell’Alleanza”). Baal-Zebul significa “Baal il Principe”. Ma questo libro in 2 Re 1, 2 riporta il nome di Baal-Zebub, letteralmente “il Signore delle Mosche”. Si tratta certamente di una storpiatura operata dal copista, che con un gioco di parole si sottrasse all’incombenza di trascrivere il nome di un’aborrita divinità cananea. Ma secondo alcuni Baal-Zebub era una storpiatura usuale in Israele, perchè a Baal si sacrificavano animali le cui carogne erano circondate dalle mosche. Lo scrittore americano William Golding scrisse nel 1954 un romanzo intitolato appunto “Il Signore delle Mosche”, in cui si dimostra che dei ragazzi, naufragati su un’isola deserta, se cercano di ricostruire una società simile a quella dei “grandi”, ricadono in tutti i loro più clamorosi errori. Come dire: il diavolo è il padrone di tutti i regni di questo mondo…

La “guerra Siro-efraimitica”

Importante, dal punto di vista storico, è la cosiddetta ”Guerra Siro-Efraimitica”, citata in 2 Re 16,5-9, ma anche in Isaia 7,1-17, dove è spiegata con maggior ampiezza. Al tempo di Iotam re di Giuda si formò una lega anti-assira voluta da Pekach, re d’Israele, e da Rezin, re di Aram, cioè di Siria. Tale lega era sostenuta dall’Egitto, che così sperava di riconquistare l’egemonia nella regione siropalestinese, perduta a vantaggio degli Assiri.
Ora, Acaz, re di Giuda e figlio di Iotam, rifiutò di prendere parte a questa lega, e così i re di Aram, di Israele e dell’Idumea decisero di unire le proprie forze per conquistare il regno di Giuda ed imporvi un sovrano a loro gradito, che si unisse loro nella lotta agli odiati Assiri. Questa guerra viene detta ” Siro-Efraimitica perché il regno d’Israele era noto anche come regno di Efraim, dal nome della tribù più importante (Efraim era il secondogenito di Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe-Israele), e si svolse negli anni 734-732 a.C..
Acaz si rivolse allora al re assiro Tiglat-Pileser III, dichiarandosi “suo figlio” e “suo servo”; il sovrano mesopotamico intervenne prontamente, sbaragliò l’esercito dei re coalizzati contro Acaz e ricevette l’atto di sottomissione di quest’ultimo. Le tavolette di Nimrud confermano la storicità di quest’episodio e contengono la lista completa dei diversi re che divennero tributari di Tiglat-Pileser III dopo la conquista di Damasco nel 732 a.C.

La campagna di Sennacherib

Anche quest’operazione militare (2Re 18,13-16) avvenuta nel 701 a.C. è confermata da un prisma di terracotta riportato alla luce nel 1952 e conosciuto come “prisma di Taylor”, dal nome del suo acquirente. In esso si legge:

« Quanto ad Ezechia di Giuda, egli non si era assoggettato al mio giogo. Io assediai quarantasei delle sue piazzeforti cinte di mura. Mi impadronii anche dei piccoli villaggi che stavano attorno ad esse, per mezzo di terrapieni, di colpi d’ariete, di brecce e di lavori di scavo. Vi feci uscire 200.150 persone (…) Rinchiusi Ezechia stesso in Gerusalemme, sua residenza, come un uccello in gabbia. Innalzai contro di lui un vallo e feci pagare il suo misfatto a chiunque uscisse dalle porte della città.»

Come si vede, Sennacherib afferma di avere vinto la guerra, mentre il Secondo libro dei Re afferma che un Angelo di Dio, presumibilmente sotto forma di una pestilenza, liberò Gerusalemme dall’assedio. Non bisogna però dimenticare che, nell’antichità, le iscrizioni reali celebravano tutte le gesta del signore come se fossero delle vittorie.
Anche l’assedio della piazzaforte giudea di Lachis, descritto in 2 Re 18,14) ed avvenuto durante la suddetta campagna, è stata confermata dall’archeologia moderna, grazie alla scoperta dei maestosi bassorilievi ritrovati nel palazzo reale di Ninive, in cui è testimoniata la tecnica di guerra degli Assiri, basata su macchine belliche. Lachis è stata riportata alla luce sotto l’attuale Tell ed-Duweir, in posizione strategica a circa 40 chilometri da Gerusalemme.

Nabucodonosor

Questo sovrano è ben documentato al di fuori della Bibbia, e fu certamente uno dei più grandi sovrani che regnarono sulla Mesopotamia: in 43 anni di regno compì una serie di spedizioni militari, dall’Iran fino ai confini dell’Egitto, accompagnate spesso da grandi gesti di crudeltà, testimoniati nel Secondo Libro dei Re dalla profanazione del Tempio e dal supplizio di re Sedecia. Egli è ricordato anche per le notevoli opere architettoniche che innalzò a Babilonia, una città così magnifica ed importante che gli Ebrei ivi deportati vi sentivano parlare praticamente tutte le lingue del mondo conosciuto. Forse questo fatto, unitamente all’osservazione della Ziggurat di Babilonia, generò il racconto eziologico della Torre di Babele (Genesi 12), del quale ho parlato in un altro ipertesto.
Da notare che 2 Re 25, 27-30 dice:

« Nell’anno trentasette della deportazione di Ioiachìn, re di Giuda, nel dodicesimo mese, il ventisette del mese, Evil-Merodach re di Babilonia, nell’anno in cui divenne re, fece grazia a Ioiachìn re di Giuda e lo fece uscire dalla prigione. Gli parlò con benevolenza, gli assegnò un seggio superiore ai seggi dei re che si trovavano con lui in Babilonia e gli fece cambiare le vesti che aveva portato nella prigione. Ioiachìn mangiò sempre dalla tavola del re per tutto il resto della sua vita. Il suo vitto quotidiano gli fu assicurato sempre dal re di Babilonia, finché visse. »

Alcuni testi cuneiformi risalenti all’epoca di Nabucodonosor confermano la storicità di queste parole, parlando del sostentamento di Ioiachin, dei suoi cinque figli e di otto dignitari del suo seguito. Da notare che la sopravvivenza di Ioiachin in esilio era garanzia della sopravvivenza della dinastia davidica, e quindi delle speranze messianiche di Israele. Non a caso il vangelo di Matteo (1, 12) dirà che Zorobabele, autore della futura ricostruzione del tempio, era proprio figlio di Salatiel, figlio di Ioiakin.
Anche il generale Nabuzardan, colui che rase al suolo il Tempio e liberò Geremia dalla prigione, è citato in una lista di ufficiali babilonesi con il nome di Nabuzeriddinam (“il dio Nabu conceda una discendenza”) A quanto pare, si ha una testimonianza storica anche di Godolia (“JHWH è grande”), il governatore ebraico della Palestina occupata dai Caldei, se è proprio il suo il nome che si è trovato inciso su un sigillo estratto dagli scavi della città di Lachis. Il testo su di esso recita: « Appartenente a Godolia, che governa la casa ».

Israele in Giappone?

Prima di chiudere, una nota di colore dal sapore quasi fantasy, che ci porta molto lontano dalla Terrasanta. I simboli della monarchia giapponese, che, secondo la tradizione, la dea del Sole Amaterasu ha donato al proprio pronipote Jimmu Tenno, primo leggendario imperatore nel VII Secolo a.C. (periodo Jomon), sono una spada di bronzo ed uno specchio. Dietro questo specchio, ci sono dei segni che i Nipponici hanno sempre reputato essere dei puri e semplici ornamenti.
n giorno un linguista giapponese ebbe l’impressione che somigliassero a dei segni alfabetici di tipo mediorientale. Infatti li fece esaminare da un rabbino, che li riconobbe come una forma molto arcaica, ma leggibile, di ebraico. Precisamente si tratterebbe di un fondamentale versetto biblico: “Iddio disse a Mosè: Io sono Colui che È” (Esodo 3, 14). Secondo alcuni, questa sarebbe la prova che nella notte dei tempi alcuni viaggiatori ebrei erano giunti nel paese del Sol Levante. Si trattava di membri delle leggendarie “Tribù Perdute”? Certo è che i territori occupati dai Giapponesi, durante la guerra, funsero da asilo per molti Ebrei (vedi il libro “Gli Ebrei ed i Giapponesi”, Spirali Editore).

Franco Maria Boschetto
http://www.fmboschetto.it/religione/libri_storici/2Re.htm