Teologia del Corpo e del sangue di Gesù
in Teresa de Lisieux (1)
Fr. François-Marie Léthel OCD
Potremmo dire che in Teresa tutta la teologia del corpo è come un’immensa eco della preghiera che la Chiesa indirizza a Gesù presente nell’Eucarestia: “Ave verum Corpus natum de Maria Virgine, vere passum, immolatum in Cruce pro homine” (“Salve, vero Corpo, nato da Maria Vergine che hai veramente sofferto e sei stato immolato sulla Croce per la salvezza degli uomini”). L’Amore di Gesù, che è il cuore della teologia teresiana, è specialmente l’Amore del suo vero Corpo, nei Misteri dell’Incarnazione, della Passione e dell’Eucarestia, del suo Corpo donato per noi e del suo Sangue sparso per noi. L’Incarnazione, la Passione e l’Eucarestia sono costantemente collegati nella teologia teresiana, in quanto sono i più grandi Misteri dell’Amore che si abbassa nella piccolezza e fragilità della carne.
In questa prospettiva, la nostra esposizione si svolgerà in tre parti: dopo una prima parte che sintetizza i principali aspetti della teologia del corpo in Teresa, vedremo a quale profondità lei si unisce al Corpo e al Sangue di Gesù nei Misteri dell’Incarnazione (seconda parte) e della Passione (terza parte). Secondo il metodo della Teologia dei Santi, non esiteremo a richiamare altri santi per chiarire o esplicitare certi punti della dottrina teresiana[1]. Ci riferiremo a san Francesco d’Assisi, nominato da Teresa nelle ultime righe del Manoscritto C[2], e ancor più specialmente a santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, che è per eccellenza la teologa del corpo e del Sangue di Gesù.
I/ I PRINCIPALI ASPETTI DELLA TEOLOGIA TERESIANA DEL CORPO
Il problema del corpo negli scritti di Teresa
Appena si accosta il tema del corpo in Teresa, ci si scontra immediatamente con una difficoltà. Nei suoi scritti, la santa utilizza molto raramente la parola “corpo” (solamente 8 volte), mentre usa molto spesso la parola “anima” (circa 900 volte)[3]. Questo fatto è impressionante; riflette bene il clima culturale e spirituale del cattolicesimo francese al tempo di Teresa. L’essere umano è principalmente considerato come “un’anima”[4], senza che sia presa in considerazione tutta l’importanza e la dignità del corpo. Il corpo diventa un tema tabù, di cui si evita di parlare, e il pudore si trasforma facilmente in falso pudore. Questa tendenza si vede nell’iconografia dell’epoca che teme di rappresentare la realtà dei Corpi di Gesù e di Maria. Mentre l’arte cristiana dei secoli precedenti mostrava spesso in modo molto realista Maria che allatta Gesù nel Mistero dell’Incarnazione, e Gesù crocifisso che versa il suo sangue nel Mistero della Redenzione; rappresentazioni come il seno di Maria e il sangue di Gesù sono generalmente “censurate” al tempo di Teresa, come se fossero “indecenti” o di “cattivo gusto”[5]. Noi vedremo come, al contrario, Teresa è affascinata dalla bellezza e purezza di questi Misteri, e come li contempla senza paura con gli occhi della fede e dell’amore.
Così, negli scritti teresiani, la rarità della parola “corpo” e la frequenza della parola “anima” sono il riflesso di un certo squilibrio antropologico dell’epoca. Ma dobbiamo dire anche che per quanto riguarda la teologia di Teresa, è un’“apparenza ingannatrice”. Vedremo che la nostra santa, in realtà, parla molto del corpo e della corporeità, spesso anche in modo audace, con quella “amorosa audacia”[6] che la caratterizza. Ma mentre Caterina da Siena, nel contesto medievale, poteva parlare direttamente e immediatamente del corpo e di tutte le realtà corporee[7], Teresa non può parlarne che in modo indiretto, allusivo, attraverso il velo dei simboli. Il più importante di questi simboli è quello del fiore, e vedremo che è anche il più corporeo e più audace. Teresa illustra la massima popolare: “ditelo con i fiori”. In lei, il linguaggio dei fiori è di un’inesauribile ricchezza, ed è “con i fiori” che parla del corpo e della corporeità. Infatti, grazie a questo linguaggio criptico e allusivo, Teresa suggerisce meravigliosamente la realtà del corpo che i simboli velano e svelano nello stesso tempo.
Una teologia femminile, simbolica e incarnata
Come quella di Caterina, la teologia di Teresa è una teologia simbolica, tipicamente femminile, più incarnata che la teologia maschile[8]. Si tratta della teologia simbolica come la concepivano i Padri greci, alla luce del Mistero dell’Incarnazione. Edith Stein ne dà la chiave quando mette il punto finale al suo studio sulla teologia simbolica di Dionigi l’Areopagita affermando: “noi dovremmo considerare il Verbo Incarnato come il Simbolo Primordiale”[9]. In effetti, come Verbo Incarnato, Gesù “raccoglie”[10] nella sua Persona la Divinità e l’Umanità, lo Spirito e la Carne, il visibile e l’invisibile, di modo che tutto il mistero cristiano è caratterizzato dal “legame misterioso del carnale e dello spirituale”[11]. In unione con il Verbo Incarnato, Maria è il primo e perfetto esempio di questa teologia simbolica, teologia femminile; colei che ha concepito la Parola del Padre nella sua anima e nella sua carne per mezzo dell’azione dello Spirito Santo è descritta da san Luca come “colei che raccoglieva tutte le cose nel suo cuore” (Lc 2,19). Come donne, Teresa e Caterina condividono misteriosamente l’intimità verginale di Maria con il Corpo e il Sangue di Gesù.
Teresa stessa ci ha dato la migliore chiave della sua teologia simbolica disegnando e commentando il suo blasone alla fine del Manoscritto A (85v). In ciò che sembra apparentemente un gioco, la carmelitana sintetizza i principali simboli che utilizza nei suoi scritti. Nel quadro del grande simbolo dello Sposo e della Sposa, in relazione con i Misteri della Trinità, di Gesù Bambino e del Santo Volto, Teresa rappresenta Maria (simbolizzata dalla stella), e se stessa attraverso i simboli di due grappoli d’uva, ma soprattutto con i simboli della lira e del fiore…
Ricordiamo come, nella nostra santa, il Mistero di Gesù e il Mistero della Trinità sono percepiti in modo molto unificato, come un unico Mistero. In lei, il Nome di Gesù non indica prima di tutto la “santa Umanità” (come in Teresa d’Avila), ma la persona Divina del Verbo Incarnato, “uno della Trinità”. L’espressione più significativa di questo cristocentrismo trinitario si trova nell’Offerta all’Amore Misericordioso (Pr 6), quando la carmelitana chiede al Padre di “guardarla solo attraverso il Volto di Gesù e nel suo Cuore bruciante d’Amore”, cioè nel Fuoco dello Spirito Santo. Dal momento che il Padre ci ha donato suo Figlio attraverso Maria, è giustamente a Lei che Teresa “abbandona la sua offerta”. Il semplicissimo atto d’amore “Gesù ti amo”, che è come il “respiro” di Teresa, la immerge nella vita della Trinità: “Ah tu lo sai, Divino Gesù, io ti amo/ Lo Spirito d’Amore mi incendia con il suo fuoco/ Amando Te attiro il Padre” (P 17/2).
La lira e il fiore, simboli dell’amore verginale
Ora, dobbiamo considerare più attentamente i simboli della lira e del fiore, che sono i due principali simboli dell’antropologia teresiana.
La lira (o arpa) simbolizza il cuore umano, creato dal Dio dell’Amore a sua immagine e somiglianza, fatto per amare e per essere amato. Gli scritti di Teresa rivelano come questo meraviglioso strumento di musica che è il cuore umano comprende quattro corde (come il violino). Nel cuore femminile della nostra santa, queste quattro corde sono le dimensioni essenziali dell’Amore che la fa vivere: L’Amore di Sposa e di Madre, di Figlia e di Sorella; Amore Sponsale e Materno, Filiale e Fraterno. Teresa è una donna pienamente realizzata nell’Amore di Gesù l’Uomo-Dio e di tutta l’umanità in Lui. Donna consacrata nella verginità, è un testimone esemplare dello splendore dell’Amore verginale, un amore divino e umano insieme che è la più meravigliosa realizzazione del cuore umano, questo Amore che è stato totalmente vissuto da Gesù Nuovo Adamo e da Maria Nuova Eva.
Il Mistero della verginità è, in effetti, al cuore della teologia teresiana: verginità feconda di Gesù, di Maria e della Chiesa, verginità della persona consacrata, “verginità del corpo e dell’anima”, secondo la bella espressione di santa Giovanna d’Arco, verginità custodita fino alla morte “per Amore di Gesù”[12]. Teresa ne parla splendidamente[13], specialmente nelle Lettere a sua sorella Celina, e anche nelle sue poesie. Per lei, la verginità è un meraviglioso tesoro dato da Gesù Sposo.
“Quando io amo Cristo e quando lo tocco,
ho più puro il cuore e sono ancor più casta.
Il bacio della sua bocca, mi ha donato il tesoro
della verginità” (P 26/6).
Teresa fa evidentemente allusione alla prima domanda della Sposa del Cantico dei Cantici: “Che mi baci con i baci della sua bocca” (Ct, 1,2). La Sposa riceve questo dono per essere Madre:
“Sono Vergine, o Gesù, ma, che mistero!
Unendomi a Te, sono Madre di anime” (P 24/22).
Con Maria e la Chiesa, Teresa è Vergine, Sposa e Madre. Lei stessa definisce la sua vocazione dicendo: “essere tua sposa, o Gesù… essere attraverso la mia unione con Te madre delle anime”(Ms B 2v). Tuttavia, in lei, come in Francesco e Chiara d’Assisi, questa maternità verginale ha prima di tutto come oggetto Gesù stesso, in quanto Gesù afferma che colui che fa la volontà del Padre è sua madre, suo fratello e sua sorella[14].
Nell’esperienza di Teresa, l’amore verginale di Gesù è inseparabilmente l’amore del Figlio e di sua Madre, l’Amore dello Sposo e della sua Sposa. E’ un amore spirituale, cioè nello Spirito Santo, ed è nello stesso tempo un amore incarnato, che integra tutta la dimensione della carne e del sangue, e questo grazie all’Eucarestia.
Gesù si dona corporalmente nell’Eucarestia, nello stesso tempo come Figlio e come Sposo. Per esempio, nella sua ultimissima Lettera, Teresa contempla il Bambino Gesù disegnato nell’Ostia consacrata che il prete tiene nelle sue mani, e lei scrive queste semplici righe: “Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo!… Io l’amo!… Infatti egli non è che amore e misericordia!” (LT 266). La primissima esperienza eucaristica di Teresa, la sua prima comunione, è raccontata nel Manoscritto A nella tonalità dell’Amore di Gesù Sposo: “Ah! Come fu dolce il primo bacio di Gesù alla mia anima!… Fu un bacio d’amore, mi sentivo amata, ed anch’io dicevo: “Ti amo e mi dono a Te per sempre” (Ms A 35r). Teresa non ha paura di parlare di un vera “fusione” tra Gesù e lei stessa, in un dono totale e reciproco. Indica Gesù come “Colui che si donava così amorosamente a me” (ibid. 35v). Nella lunga Poesia 18, si trova prima di tutto una delicata allusione alla prima comunione come a un mistero di fidanzamento (str. 10), poi una delle espressioni più ardenti e più incarnate dell’Amore sponsale di Gesù:
“Io ho il tuo Cuore, il tuo Volto adorato,
il dolce tuo sguardo che m’ha trafitta;
ho delle sante tue labbra il bacio!
T’amo e non desidero nulla più,
Gesù” (P 18/51).
Troviamo la stessa tonalità sponsale dell’Eucarestia nella Poesia Vivere d’Amore, quando Teresa dice a Gesù:
“Tu nascosto nell’ostia per me vivi:
e io voglio per te, Gesù, nascondermi!
Pur occorre agli amanti solitudine,
un cuore a cuore che duri notte e giorno” (P 17/3).
Più tardi, lo stesso accento si ritroverà, con ancor più forza, nella Poesia: Questo è il mio Cielo:
“Il mio Cielo si nasconde nell’Ostia piccola
dove Gesù mio Sposo per amor si cela.
Attingo vita a questo Focolar di Dio;
là notte e giorno al dolce Salvatore dico:
“Oh, che istante beato quando, mio Amato,
vieni con tenerezza a trasformarmi in te!
Questa unione d’Amore ed ebbrezza ineffabile,
ecco il mio Cielo!” (P 32/3)
In Teresa come in tutti i mistici, questa forte vibrazione della “corda sponsale” include e trasfigura tutta la realtà dell’eros, come amore appassionato che ha per oggetto la Bellezza Divina e Umana dello Sposo. Così si esprimeva già l’autore del libro della Sapienza: parlando della Divina Sapienza, scriveva: “Ho desiderato prenderla come Sposa, mi sono innamorato (erastès) della sua Bellezza” (Sp 8,2). Ma il grande paradosso dell’amore verginale è che lo stesso Gesù è nello stesso tempo lo Sposo e il Figlio. Come Sposo, fa evidentemente vibrare la “corda sponsale” del cuore di Teresa; come Figlio, fa vibrare le altre tre corde: la corda filiale, secondo “lo spirito d’infanzia”, la corda materna e anche la corda fraterna. Attraverso la sua esperienza, Teresa fa risplendere una grande varietà antropologica: ogni donna ha un cuore di sposa e di madre, di figlia e di sorella, come ogni uomo ha un cuore di sposo e di padre, di figlio e di fratello. Ogni essere umano, creato e salvato da Gesù, è chiamato ad “amare con tutto il suo cuore”, secondo tutte queste corde o dimensioni, sia nella vocazione al matrimonio che in quella della verginità consacrata.
Se il simbolo della lira evoca soprattutto la bellezza e la ricchezza del cuore umano, l’altro simbolo teresiano, quello del fiore, caratterizza principalmente la condizione terrestre dell’ homo viator, dell’uomo in cammino che non ha ancora raggiunto la Patria dei Cieli. Teresa utilizza questo simbolo al modo della Sacra Scrittura, per indicare nello stesso tempo la bellezza e la fragilità dell’essere umano in questa vita (cf. Mt 6,28-30). Ella si ricongiunge così ad uno dei significati della parola carne nella Bibbia. Nel libro d’Isaia, il simbolo del “fiore dei campi” caratterizza l’estrema fragilità e la mortalità di “ogni carne”, messa a confronto con la stabilità eterna della “Parola di Dio” (cf. Is 40,6-8). Ma la grande novità del Mistero di Gesù è precisamente che la “Parola si è fatta carne” (Gv 1,14), è diventata fragile e mortale come il fiore dei campi. Teresa utilizza questo simbolo biblico del “fiore dei campi” (o “piccolo fiore”) per se stessa, lo estende a tutta l’umanità (specialmente nel mirabile Prologo del Manoscritto A), ma soprattutto, lo applica a Gesù “nei giorni della sua carne” (cf. Eb 5,7), cioè in tutti i misteri della sua vita terrestre contemplati come misteri d’abbassamento, di piccolezza e di povertà, “essendo proprio dell’Amore abbassarsi” (Ms A 2v). E’ qui che Teresa si congiunge a Francesco e Chiara d’Assisi che contemplano “l’Amore di questo Dio/ Che povero fu deposto nella culla, /Povero visse in questo mondo/ E nudo rimase sulla Croce”[15].
Questo dunque è il grande mistero che Teresa ha intenzione di esprimere con il simbolo del fiore, mistero dell’amore che si abbassa, mistero della piccolezza e dell’umiltà del Figlio di Dio nella sua Incarnazione, nella sua Passione e nell’Eucaristia. Il fiore è il primo e il più importante di tutti i simboli teresiani della piccolezza evangelica. In rapporto all’altro grande simbolo, quello dell’infanzia, questo simbolo del fiore ha il primo posto, sia dal punto di vista cronologico che dal punto di vista teologico. Teresa sviluppa questo simbolo dell’infanzia solo dopo l’entrata di Celina al Carmelo (1894)[16], mentre l’espressione culminante del simbolo del fiore si trova già nei due testi del 1893 quasi contemporanei: la sua prima Poesia (P 1) composta per il 2 febbraio e la sua lettera a Celina del 25 aprile (LT 141). In questi due testi ammirabili, Teresa utilizza esattamente gli stessi simboli del fiore e della rugiada[17]. Il fiore è Gesù Bambino e Sposo in tutti i Misteri della sua vita terrestre, dalla culla alla Croce; la rugiada è l’amore della sua creatura di cui lui è assetato, inseparabilmente l’amore di sua Madre che gli dà da bere il suo “latte verginale” (P 1), e l’amore della sua Sposa che si dona tutta a Lui solo come una piccola goccia di rugiada (LT 141).
Nello spirito delle parabole del Vangelo, Teresa inventa questa doppia parabola dell’amore verginale, di quest’amore che riempie il suo cuore di donna consacrata e che è inseparabilmente l’amore del Figlio e di sua Madre, dello Sposo e della sua Sposa. La lettera a Celina mostra come Teresa ha sposato la piccolezza di Gesù, esattamente come Francesco e Chiara avevano sposato la sua povertà. La prima poesia è senza dubbio uno dei testi più forti e più audaci di Teresa riguardanti il corpo. In sei strofe, Teresa riesce ad articolare i Misteri dell’Incarnazione, della Passione e dell’Eucarestia, contemplandoli in quest’intima comunione d’amore tra il Figlio e sua Madre, la comunione corporea e spirituale dell’amore verginale, simbolizzata dal “latte verginale” (espressione utilizzata nel titolo e ripetuta quattro volte nella poesia). Con audacia, Teresa esprime nella prima strofa il suo desiderio di “nascondersi sotto il velo” per contemplare questo mistero di bellezza, di tenerezza e d’intimità: Maria che dona il seno al suo Bambino per la prima volta. Tuttavia, come abbiamo notato precedentemente, una realtà così corporea sembra “scioccante” ai tempi di Teresa. La nostra santa lo sente, e così esprime questa realtà “con i fiori” nelle due strofe seguenti. La seconda strofa è una parabola: la parabola di un piccolo fiore che si apre per la prima volta, riscaldato dal sole e rinfrescato dalla rugiada del mattino. La strofa seguente è la spiegazione della parabola:
“Sei tu, Gesù il Fiore appena schiuso!
Al primo tuo risveglio ti contemplo.
Sei tu, Gesù, la stupenda Rosa,
il bocciolo fresco, gentil, vermiglio.
Le braccia purissime della tua Madre cara
per te diventano culla e regale trono.
Tuo dolce sole è il seno di Maria,
tua Rugiada è il suo Latte Verginale!” (P 1/3).
Con una grande sicurezza teologica, Teresa passa immediatamente dalla culla alla croce (str. 4). Gesù appena nato vede già “tutto il futuro”, già vede ed accetta la sua Croce. Teresa riprende i simboli del fiore e della rugiada. Lo stesso Gesù che era nella culla “il Fiore appena schiuso” sarà sulla croce “Fiore sbocciato”. Il “latte verginale” di Maria è diventato il suo Sangue redentore, quella stessa “rugiada” che verserà per noi nella sua Passione. Le due ultime strofe riguardano l’Eucarestia in cui ci sono veramente donate tutte queste realtà della carne e del sangue di Gesù nella sua Infanzia e nella sua Passione. Questo testo è evidentemente tipicamente femminile, mirabilmente femminile: è in tutto il suo essere di donna che Teresa sperimenta lo splendore di questi Misteri della carne e del sangue di Gesù, vivendoli con Maria.
La sovrapposizione dei Misteri dell’Incarnazione, della Passione e dell’Eucarestia è una delle grandi costanti della teologia teresiana. La troviamo per esempio nell’importante racconto simbolico intitolato “Il Sogno di Gesù Bambino” (LT 156), dove Teresa commenta un quadro dipinto da lei stessa, come farà anche per il suo blasone. Il Bambino Gesù guarda con Amore la sua Sposa attraverso la Passione e l’Eucarestia. La stessa dottrina trova il suo sviluppo più lungo nella sua piccola opera teatrale: Gli angeli alla culla di Gesù (PR 2). Questi misteri sono successivamente rappresentati dagli angeli: l’Angelo del Bambino Gesù, l’Angelo del Santo Volto, l’Angelo dell’Eucarestia. Tutti questi angeli cantano la meravigliosa bellezza del Divino Fiore nei Misteri del suo abbassamento. Vi troviamo l’accento tipicamente teresiano sulla piccolezza di Gesù nell’ostia, dove Egli è “molto più piccolo che un bambino” (5r), dove il suo Volto è nascosto “sotto un velo ancora più spesso di quello della natura umana” (5v).
Allo stesso modo, ancora nella Preghiera per ottenere l’umiltà (Pr 20), Teresa contempla l’Eucarestia come il punto estremo dell’abbassamento del Figlio di Dio[18].Tuttavia l’accento più tipicamente teresiano si trova nella Poesia Al Sacro Cuore di Gesù (P 23), quando la carmelitana “dimostra” a partire dal suo proprio cuore i misteri dell’Incarnazione, della Passione e dell’Eucarestia. La sua sete d’Amore può essere “soddisfatta” solo dall’Amore di questo Dio che per lei si è fatto uomo, per lei ha versato il suo sangue, per lei ha istituito l’Eucarestia[19].
E’ in questa luce che ora concentreremo la nostra attenzione sui Misteri dell’Incarnazione e della Passione.
Note:
[1] Questo è il metodo utilizzato nel mio libro: L’Amour de Jésus. La christologie de sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus (Paris, 1997, ed. Desclée, col “Jésus et Jésus-Christ”, n° 72). Il carattere propriamente teologico di questo metodo è stato dimostrato nella mia tesi, di cui l’ultimo capitolo riguarda Teresa: Connaître l’Amour du Christ qui surpasse toute connaissance. La théologie des saints (Venasque, 1989, ed du Carmel).
[2] “Non è forse dall’orazione che i Santi Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d’Aquino, Francesco, Domenico e tanti altri illustri Amici di Dio hanno attinto questa scienza divina che affascina i geni più grandi?” (Ms C 36r). Questo è uno dei testi più luminosi riguardanti la teologia dei santi, questa stessa scienza divina più che geniale che i santi più diversi hanno attinto alla sorgente della preghiera. Dopo gli Apostoli (rappresentati da Paolo), sono i Padri della Chiesa (rappresentati da Agostino), i Dottori medievali (rappresentati da Tommaso d’Aquino), e i Mistici (rappresentati da Francesco e Giovanni della Croce).
[3] Queste statistiche sono date nel: Les mots de sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus. Concordance Générale (Paris, 1996, ed du Cerf).
[4] Secondo l’espressione tipica di Cartesio: “Io, cioè la mia anima”.
[5] Cf. P. DESCOUVEMONT e H.N.LOOSE: Thérèse et Lisieux (Paris, 1991, ed du Cerf, volume abitualmente indicato con le iniziali DLTH). Si trovano alle pagine 154 e 155 delle immagini che suggeriscono Maria che allatta suo Figlio, evitando sempre di rappresentare il suo seno. E’ lo stesso per l’immagine di Gesù Crocifisso che ha molto colpito Teresa e di cui parleremo più avanti: il sangue di Gesù non vi è rappresentato.
[6] Espressione tipicamente teresiana utilizzata nelle ultime righe del Manoscritto C (36v) e in LT 24
[7] Su quest’aspetto del corpo e della corporeità in Caterina da Siena, rimando particolarmente al capitolo III del mio libro: Théologie de l’Amour de Jésus (Venasque, 1996, ed du Carmel).
[8] Questa differenza e complementarità tra una teologia femminile, più concreta e più simbolica, e una teologia maschile, più astratta e più speculativa, appare in modo esemplare nel confronto tra Caterina da Siena e Tommaso d’Aquino.
[9] Quest’opera, intitolata: Le vie della Conoscenza di Dio, apparirà prossimamente nella traduzione francese (Genève, ed Ad Solem).
[10] Tale è il senso del verbo greco sumballein, da cui deriva la parola sumbolon,
[11] Quest’espressione appartiene a Charles Péguy, contemporaneo di Teresa, nel suo breve commento in prosa del suo lungo poema: Eve, commento pubblicato sotto lo pseudonimo di Durel.
[12] E’ in effetti “per amore di Gesù” che santa Maria Goretti ha perdonato al suo assassino, dopo aver “difeso la sua verginità fino alla morte” (secondo l’orazione della sua festa).
[13] Utilizza le parole: vergine, verginale, verginità inventando anche la parola “verginizzare”.
[14] cf. Mt 12,50. In riferimento a questo testo, Francesco afferma che tutti i fedeli che vivono nella carità sono realmente “sposi, fratelli e madri” di Gesù (Lettere ai fedeli, Prima recensione). Santa Chiara riprende quest’affermazione al femminile nella prospettiva della verginità consacrata nelle sue Lettere a santa Agnese di Praga: “voi siete sposa e madre e sorella del mio Signore Gesù Cristo (Prima lettera, n° 12. Cf. il volume: CLAIRE ET FRANÇOIS D’ASSISE: Ecrits, Paris, 1991, ed du Cerf, che riprende la traduzione dei due volumi di Ecrits nella collezione “Sources Chrétiennes”). Lo stesso tema si ritrova in una lettera di Teresa a Celina: “Ah! Che grazia essere vergine, essere sposa di Gesù! Bisogna che sia davvero bello, davvero sublime, giacché la più pura, la più intelligente di tutte le creature ha preferito rimanere vergine piuttosto che divenire Madre di un Dio!… Ed è questa grazia che Gesù ci accorda. Egli vuole che siamo le sue spose e poi ci promette anche di essere per lui sua Madre e sue Sorelle; lo dice, infatti, nel vangelo: “Colui che fa la volontà del Padre mio, quegli è mia Madre, i miei fratelli, le mie sorelle”. Sì, colui che ama Gesù è tutta la sua famiglia. Egli trova in questo cuore unico, che non ha l’eguale, tutto quello che desidera. Vi trova il suo Cielo!… (LT 130).
[15] Quest’espressione si trova nel cuore del Testamento di santa Chiara.
[16] Questo è l’apporto del P. Conrad de Meester nella sua tesi: Dinamica della Confidenza.
[17] Nel mio libro sulla cristologia di Teresa, lo studio di questi testi occupa tutto un capitolo intitolato: Les symboles de la fleur et de la rosée dans deux textes de 1893 (p. 147-170).
[18] Troviamo gli stessi accenti in san Francesco, che invita i sui fratelli a contemplare e imitare “l’umiltà di Dio” nell’ostia (Lettera a tutto l’Ordine). Nello stesso senso contempla la stessa umiltà del Figlio di Dio nell’Incarnazione e nell’Eucarestia: “Ecco, ogni giorno Egli si umilia come quando dai troni regali discese nel ventre della Vergine; ogni giorno viene Lui stesso a noi sotto un’umile apparenza; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote” (Ammonizione I).
[19] Questo testo è come il Cur Deus Homo di Teresa. Come sant’Anselmo, anche lei ci mostra “Perché Dio si è fatto uomo”.
AUTOR: Fr. François-Marie Léthel OCD
http://www.portalcarmelitano.org