Come viene percepita l’immagine di Dio nella società contemporanea? Il Gruppo di Ricerca Verso una Teologia dell’Evangelizzazione ha cercato discutere quali strategie di annuncio del Vangelo sarebbe oggi più opportuno adottare e quali competenze mettere in campo (teologia dell’evangelizzazione, teologia pastorale e scienze della comunicazione). 

Per gentile concessione dell’autore
Prof. Luigi Alici
https://luigialici.blogspot.com

Come viene percepita l’immagine di Dio nella società contemporanea? Il Gruppo di Ricerca Verso una Teologia dell’Evangelizzazione, attivo presso la Pontificia Università della Santa Croce, si è proposto di rispondere a questa domanda attraverso l’expert meeting Metamorphosis in the understanding of the image of God in contemporary society, between drifts of faith and secularisation, che si  è svolto il 12 e 13 di aprile 2024 presso l’Ateneo romano.
Nelle due giornate di studio, l’immagine di Dio è stata illustrata da prospettive bibliche, storico-sociologiche, teologico-dogmatiche, teologico-pastorali, filosofiche e teologico-fondamentali. Sulla base di queste prospettive si è cercato discutere quali strategie di annuncio del Vangelo sarebbe oggi più opportuno adottare e quali competenze mettere in campo (teologia dell’evangelizzazione, teologia pastorale e scienze della comunicazione). 

Uno dei risultati di questo incontro di riflessione è stato anche il modo in cui avviene l’evangelizzazione nell’epoca odierna. Se da una parte, infatti, viene svolta in un contesto che conosce Dio e la spiritualità, dall’altra – per essere adeguatamente trasmessa e compresa – deve ritrovare e riconquistare altre forme e nuove strategie di comunicazione”, ha riflettuto Ilaria Morali, docente presso la Pontificia Università Gregoriana. 

 Le relazioni principali sono state affidate a Luca Mazzinghi (Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e Pontificio Istituto Biblico, Roma), Luca Diotallevi (Dipartimento di Scienze della Formazione, Università di Roma Tre), Simona Segoloni (Istituto Teologico di Assisi), Pier Angelo Sequeri (Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Roma e Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale), Francesco Cosentino (Pontificia Università Gregoriana e Segreteria di Stato, CV) e Luigi Alici (Università di Macerata). Ha introdotto i lavori Giuseppe Tanzella-Nitti, direttore del Progetto.

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Condivido l’abstract del mio intervento:

1. La modernità sembra attraversata da una vera e propria “gigantomachia” fra trascendenza e immanenza, che si riverbera in molti conflitti fra “grandi narrazioni” (razionalismo/empirismo, illuminismo/romanticismo, individualismo/collettivismo…). Rispetto a quelle eredità irrisolte, nel “congedo” postmoderno dal moderno tende a prevalere una convivenza disincantata, più che una polemica frontale. Il compito di unificazione del senso, che il pensiero antico e medievale orientava nella verticalità metafisica della trascendenza, in epoca moderna tende ad essere esaustivamente trascritto in una prospettiva immanentistica di mera orizzontalità storica. Nell’epoca contemporanea prevale piuttosto il paradigma della disseminazione, entro cui si consolida un singolare “matrimonio di convenienza” fra un’estetica del sentire, che s’insedia nel perimetro insindacabile del privato, e un’economia dell’utile, che disegna l’infrastruttura impersonale dello spazio pubblico.

È la stessa alternativa fra trascendenza e immanenza a farne le spese: la disarticolazione del vissuto autorizza una dilatazione dei margini di preferenze soggettive, secondo un ideale plastico e leggero di autenticità. Persino i due paradigmi contrapposti del tecnocentrismo e del biocentrismo, nei quali si riflette un antico conflitto fra autonomia ed eteronomia, possono diventare, a seconda delle circostanze, oggetti di scelte possibili: si può essere nello stesso giorno contro il nucleare o contro gli OGM perché la natura è normativa, e poco dopo a favore dell’utero in affitto o dell’eutanasia perché sono normativi i nostri bisogni.

2. La crisi del trascendentale è un “anello mancante” nell’eclissarsi della tensione dialettica fra immanenza e trascendenza. Nella modernità la “via trascendentale” aveva offerto una sorta di “supplenza epistemologica”: la purificazione dello sguardo consentiva, in cambio di un’energica astrazione, d’innalzarsi dalla storicità della situazione all’universalità della condizione. La capacità di distanziarsi dalla opacità del fattuale, per incamminarsi lungo la via del possibile, consente al sapere filosofico di guadagnare uno statuto privilegiato e, per una sorta di “contraccolpo antropologico”, di accreditare all’umano una postura di autotrascendimento.

Quando però la ricerca dell’originario s’interrompe in una intrascendibile autoposizione dell’io e ogni alternativa trascendentale alla trascendenza evidenzia la sua precarietà, è come se il pensiero filosofico subisca un ulteriore smottamento, dopo l’erosione dell’orizzonte metafisico. Anche se il pensiero contemporaneo non dovrebbe essere frettolosamente archiviato come un deserto della trascendenza, non basta nemmeno intercettare istanze, precorrimenti e nostalgie senza interrogarsi sulle condizioni epistemologiche e antropologiche che possono avvalorare trascendentalmente tale apertura, oltre le suggestioni di un lampeggiamento effimero. È difficile abbozzare una mappa dei “sentieri di trascendenza”, tra rifiuti, rinunce e nostalgia, senza farsi carico di una mappa complementare dei “sentieri interrotti” del trascendentale. Se la trascendenza senza trascendentale è cieca, il trascendentale senza trascendenza è vuoto.

3. In questo contesto, si possono individuare alcuni percorsi, collocandoli tra due scenari estremi. Da un lato, è il nichilismo a stendere la sua ombra su questa doppia crisi. A partire da un approccio genealogico, che autorizza solo un’interpretazione storico-prospettica della verità e dei valori, escludendo ogni approdo a una radice ultima, la volontà di potenza pone lo Übermensch non solo al di là del bene e del male, ma persino al di là dell’essere e del nulla. L’atto libero non si esercita dinanzi a un mondo preesistente: lo crea. Da un altro lato, alla delegittimazione del trascendentale corrisponde uno “sdoganamento” del categoriale: per un verso, prende corpo il miraggio equivoco di una “cattiva infinità”, frutto di un processo vertiginoso di esplorazione nel micro e nel macro – dalle neuroscienze alla robotica, dalla cibernetica alle scienze cognitive –, fino all’incontro fra nano- e biotecnologie, nel presupposto, tipicamente scientista, che un aumento di conoscenze coincida automaticamente con una riduzione delle incognite; per altro verso, assistiamo a forme inedite di “retrotopia”, nel convergere di singolarismo e tribalismo entro la galassia delle alternative populiste alla globalizzazione. Il passaggio dall’universalismo illuministico dei diritti umani alla sua attuale “regionalizzazione” (diritti delle donne, degli omosessuali, degli animali…), ne è una esemplificazione paradigmatica.

Fra questi estremi s’intravedono panorami più interessanti, che meritano analisi cordiali e approfondite: la “via breve” dell’esistenza, orientata al recupero di una trascendenza orizzontale, come autoaffezione irriducibile alla inautenticità ontica del vissuto (Heidegger) o come fede filosofica nella incondizionata apertura alla libertà, di fronte a un irriducibile orizzonte onniabbracciante (Jaspers); la “via lunga” del pensiero riflessivo, che attraversa, da Ricoeur a Taylor, polisemia e conflitto delle interpretazioni, tenendo insieme auto- ed eterorelazione, nell’incontro di libertà e bene; la via di una riscrittura depotenziata del trascendentale kantiano, o come equivoca convergenza nell’idea di “apriori storico” (Foucault) o come approccio “quasi-trascendentale” all’etica del discorso (Habermas); la via della responsabilità, dinanzi all’asimmetria eteronoma di un comandamento incondizionato, che s’impone nella forma di una ontologia della vita come “scopo di tutti gli scopi” (Jonas) o irrompe dinanzi alla fragile indisponibilità del volto dell’Altro, in una distanza metafisica in cui filtra una luce infinita (Levinas).

4. Rintracciare immagini di Dio in uno scenario così frammentato comporta nuove difficoltà e nuove opportunità. Le difficoltà nascono dal modo per lo più indiretto e implicito secondo cui intercettare tracce di trascendenza, mentre l’opportunità emerge nello spazio vuoto entro cui una umanità spaesata si allontana dalle promesse distopiche del transumano, ai quali il digitale offre un potenziamento sconfinato. In tale prospettiva i nuovi “assoluti terrestri” assumono più difficilmente il carattere di “escatologie sostitutive” rispetto alle utopie politiche moderne: sia perché meno sensibili a una esplicita promozione dell’umano, sia perché sempre più evidenti e drammatici sono i costi dell’Antropocene sul futuro della biosfera.

L‘idea stessa di eternità, prima ancora che l’annuncio cristiano della resurrezione, diventa un test formidabile, per sconfessare ogni promessa di autosalvifica linearità temporale, che sul piano del vissuto strizza l’occhio a vecchie e nuove dottrine di reincarnazione. Ne è una conferma imbarazzante la diffusa afasia escatologica, che immiserisce la predicazione e la catechesi, accompagnandosi a una desertificazione degli apparati simbolici e degli immaginari sociali condivisi. Schematizzando:

a) sulla via della trascendenza non esistono facili scorciatoie, né quelle che aggiogano la fede a una volubile rivalsa emozionale né quelle tentate da un uso strumentalmente apologetico della crisi della ragione;

b) dobbiamo reimparare continuamente a distinguere i falsi amici dai falsi nemici della trascendenza, al di là di ammiccamenti opportunisti o assonanze superficiali;

c) sul piano del metodo, un esercizio di discernimento critico e dialogico deve interloquire con uno spettro allargato di forme di razionalità, anche diversamente argomentative, cercando di problematizzarle sul crinale fra trascendentale e categoriale, dove si decide il loro potenziale cognitivo;

d) sul piano dei contenuti, ogni ambito tematico, elaborato nel segno di uno sguardo relazionale e aperto, può dischiudere orizzonti di trascendenza quanto più riesce a tenere insieme almeno tre dimensioni: profondità della persona, larghezza della fraternità, altezza del Bene che accomuna. Dentro, insieme, oltre.

Luigi Alici

Una sintesi dell’intervento è apparsa su AVVENIRE (domenica 28 aprile 2004, p. 23), nel quadro del dibattito su “Cattolici & Cultura”: Trascendenza e storia