Meditazioni di Divo Barsotti sulla Pentecoste
PENTECOSTE: COMPIMENTO DEL MISTERO DIVINO
Dio vive in noi nel suo Spirito
Dio si dona a noi nel suo divino Spirito. La vita cristiana implica precisamente questo possesso: Dio in noi. Ma non è presente come è presente in tutte le cose: è presente come principio della nostra vita più vera, della nostra vita più intima, perché Dio è nostro più di quanto non ci apparteniamo noi stessi. Il possesso di Dio è più intimo al cristiano di quanto non sia intimo all’uomo il possesso di sé.
Dio vive in noi. Vive in noi in questo Spirito che precisamente non si dona per rimanere inattivo, non è accolto, non è ricevuto per essere conservato come una ricchezza che si custodisce in un forziere, ma è ricevuto precisamente per divenire principio di una nuova vita, di una vita che nello stesso tempo è di Dio e dell’anima. L’insegnamento è preciso: è l’insegnamento dei testi del Nuovo Testamento. San Paolo ce lo insegna in un testo che si ripete quasi esattamente nella Lettera ai Romani e nella Lettera ai Galati, sennonché nella Lettera ai Romani cambia il soggetto: “Perché siete figli mise Dio lo Spirito del Figlio suo nel cuore vostro, che chiama: Abba!” E nella Lettera ai Galati: “Perché siete figli, mandò Dio lo Spirito del Figlio suo, nel quale chiamiamo: Abba! Padre!” La vita è nello stesso tempo di Dio e dell’anima, inscindibilmente dell’Uno e dell’altra, perché inscindibilmente Dio e l’uomo sono uniti alla processione di una medesima vita. La vita del cristiano è Cristo; e Cristo rimane il frutto, come nella Vergine, della Madre e dello Spirito; dell’uomo e di Dio, dello Spirito che si effonde e dell’uomo che allo Spirito si dona.
Dio vive in noi nel suo Spirito. Poteva illudersi, l’uomo, col peccato, di sottrarsi alla grazia, di chiudersi in una sua autonomia di fronte al Signore. In realtà, col peccato l’uomo non si è sottratto al Signore. In realtà l’uomo non è mai soltanto uomo: l’uomo di pura natura non esiste. Il peccato dell’uomo non ci fa meno obbedienti e docili all’impulso, all’azione segreta ma efficace di un altro spirito che è lo Spirito Santo. Non viviamo mai la nostra vita: l’uomo in tanto vive in quanto si dona a un altro perché l’altro lo fecondi. E noi siamo o servi del diavolo o servi di Dio, o figli del diavolo o figli del Padre Celeste. Siamo figli del Padre solo nella misura che riceviamo lo Spirito Santo e siamo figli del diavolo nella misura che ci lasciamo guidare e muovere dagli spiriti della ribellione e della bestemmia.
Conoscere per discernere
Perché non siamo mai autonomi, noi dobbiamo essere sempre attenti per conoscere di che spirito siamo, onde non meritare il rimprovero che un giorno Gesù fece a due discepoli: “Voi non sapete…”. Noi lo sappiamo? Sappiamo veramente se nella nostra vita è lo Spirito divino che ci guida e ci illumina, ci dirige e ci muove? Sappiamo veramente a chi obbediamo? Certo, nella vita spirituale cristiana è una delle cose più importanti la discrezione degli spiriti: saper discernere il padrone a cui obbediamo. Troppo spesso noi si agisce come agisce il bambino che non ha ancora l’uso della ragione: senza conoscere. Vi è un conoscere che è proprio dell’uomo sul piano della natura ed è l’età della ragione. Vi è un conoscere dell’uomo sul piano soprannaturale, e non è più l’età della ragione, è questa percezione che deriva all’uomo soltanto dal “donum sapientiae”. Saper gustare per discernere. “Sapere”, in latino, che vuol dire? Vuol dire gustare. Che vuol dire il dono della sapienza? Vuol dire avere un palato così fatto da saper discernere il sapore, da saper distinguere il dolce dall’amaro, da saper distinguere il salato dallo sciocco, da saper distinguere lo Spirito dall’altro spirito. Chi è che ci guida? Chi ci muove? Chi informa la nostra vita interiore? Abbiamo noi un palato così delicato da saper discernere? Dio ci ha dato questo “donum sapientiae” per veramente gustare e capire, per veramente gustare e conoscere. Prima però di pretendere di avere questa “discretio”, questo discernimento, si impone che noi siamo veramente persuasi che non viviamo mai una nostra vita. Se nell’atto che compi non sei mosso da Dio, tu devi sapere che sei mosso da chi non è Dio. Non sei tu che ti muovi. Può l’uomo non rendersene conto, ma egli rimane o schiavo dell’Uno o schiavo dell’altro. In fondo, quanto più pretendiamo una nostra autonomia, quanto più aspiriamo a vivere la nostra vita, tanto più vive in noi quello spirito di ribellione e di orgoglio che è precisamente il seme di Satana. Un uomo che vive la sua vita non vive che la vita del demonio, non può vivere la vita di Dio. Perché precisamente il voler vivere una sua vita rifiutando la grazia, resistendo alla grazia, sottraendosi alla grazia divina, vuol dire per l’uomo precipitare sotto il dominio di colui che ha voluto affermare una sua indipendenza da Dio.
Non ci apparteniamo…
Di qui l’importanza che ha nella vita cristiana il senso di un’obbedienza, di una docilità. È il segno caratteristico della vita cristiana. Non vi è nella vita cristiana nessun esercizio di virtù che non implichi questo segno: il segno di dipendenza da un Altro che ci ama e a cui vogliamo obbedire, a cui noi ci abbandoniamo per essere trascinati, portati, mossi da Lui. Rendiamoci conto di questo per volere almeno fin dall’inizio che la nostra vita serva al Signore. È quello su cui noi vogliamo esaminarci ogni giorno nell’esame di coscienza: “Ho vissuto per me o per Iddio? Ho vissuto della mia vita o della vita sua?”. Chi può dare una risposta? Ma almeno noi possiamo dire se vogliamo vivere la nostra vita o vogliamo vivere la sua: ed è questo che importa. Se la viviamo o non la viviamo, questo forse non Io sapremo mai pienamente; ma il volerla vivere dipende da noi. Vogliamo rinunziare a una nostra autonomia? Vogliamo essere posseduti da Lui? Vogliamo rinunziare a ogni nostra indipendenza per fare di tutta la nostra vita un atto puro di abbandono alla grazia? Lo Spirito Santo viene in noi per trascinarci con Sé. Vive nel più intimo del cuore, ma vive come principio di nuova vita; e a Lui che viene noi dobbiamo continuamente donarci, perché soltanto così noi Io possediamo. Noi possediamo lo Spirito nella misura che allo Spirito ci abbandoniamo per esser posseduti da Lui.
… ma di chi vogliamo essere?
Prima di tutto, nel discernere si impone la consapevolezza che è impossibile all’uomo una sua autonomia: l’uomo vive in un piano soprannaturale che Io fa o figlio di Dio o figlio del diavolo in ogni sua azione. Ogni tua azione è frutto di una unione, ogni tua azione è come un tuo figlio che nasce da te; ma perché un figlio nasca da noi ci vuole la cooperazione di un altro. Bisogna che l’anima sia visitata dallo spirito, si unisca in un modo nuziale allo spirito: o al demonio o a Dio. In ogni tua azione sei o sposa del diavolo o sposa del Signore. Ogni tua azione è frutto di questa unione, sicché ogni tua azione può esser detta tanto tua come di colui che è il tuo partner, il tuo compagno. Ce ne rendiamo conto? Per noi si fa presente l’Inferno quaggiù sulla terra, per noi si fa presente l’odio del demonio, la sua menzogna e la sua morte. Oppure per noi si fa presente il Regno di Dio, la sua pace e la sua gioia.
Con che rispetto l’anima userà di sé! Non sono padrone di me stesso, mai: devo saperlo. Come io debbo esser consapevole, attento per sapere a chi in ogni istante debbo donarmi! Come debbo essere vivo nella mia attesa dello Spirito per potermi a Lui abbandonare! Come debbo implorare costantemente questa visita dello Spirito che mi possegga per trarre da me in ogni istante frutti di vita, e non frutti di morte!
Se l’amore nuziale fra l’uomo e la donna giunge soltanto in alcuni momenti alla sua espressione suprema, noi dobbiamo esser consapevoli che, nel piano della vita soprannaturale, questa unione si impone per me in ogni istante. lo la vivo, Io voglia o non lo voglia. E se non voglio, quale unione io vivo? Una unione la più sozza di tutte. Guardate il capitolo 6 della Genesi: i figli di Dio che si accostano alle figlie degli uomini! Il peccato umano è sempre nel momento di questa unione misteriosa, eppure reale; unione spirituale, indubbiamente, ma anche nel corpo, anche nel piano dì una vita concreta. Prima del discernimento degli spiriti si impone di esser consapevoli di questo: che non siamo mai soli. Povero Kant! Questi filosofi non capiscono proprio nulla. Dov’è l’autonomia dell’uomo? Il piano di pura natura non esiste. Il pretendere di vivere in una autonomia già è il segno appunto di un’altra servitù, è segno di vivere, noi, quello spirito di ribellione che ha sottratto e opposto gli spiriti a Dio.
Obbedienza, presenza dello Spirito…
Ma se questo è vero, voi vi rendete conto anche qual è il segno primo perché noi possiamo, non dico esser certi, ma avere una certa probabilità di esser visitati e posseduti dallo Spirito Santo e di possedere Lui stesso nel cuore: è il segno della nostra obbedienza. Un’obbedienza che, all’estremo limite, implica la morte: “Oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis”. Non vivere per noi. Gesù non visse per Sé, dice Paolo. Il cristiano in questo deve imitare Gesù perché solo in questo, anche, darà prova, come Gesù, di essere mosso dallo Spirito di Dio. “Non sibi placuit”: non visse per Sé, visse per Iddio.
Spirito di obbedienza! Sentire la necessità di questa virtù, volerla vivere in ogni istante. Un’obbedienza che non è atto di schiavitù, cioè una costrizione esteriore: è un atto di libertà interiore, è un atto di amore. È adesione a Dio che viene: è abbandono di sé all’azione dello Spirito che agisce per te. È l’atto di amore onde tu ti lasci possedere e ti abbandoni. È docilità a un principio di vita che è lo Spirito: non sei tu, eppur tuttavia non è estraneo a te perché vive nel più intimo del tuo cuore. Obbedienza, docilità, abbandono. Questo già è il segno, intanto, che in noi vive Io Spirito. Se in noi c’è questo Spirito, l’obbedienza è amore. Ricordatevi il Vangelo di stamani: si parlava di un atto, di un conservare la parola che Gesù ci ha detto, di osservare questa stessa parola; lasciare che la parola di Dio compia in noi il suo lavoro, lasciarsi investire dalla sua forza. Quando l’anima, consapevole che deve rinunciare comunque alla sua autonomia perché non vivrà mai la sua vita, sarà determinata ad abbandonarsi al Signore, a scegliere Dio per sposo, per abbandonarsi a Lui nell’amore, allora l’anima potrà anche avere questo dono della sapienza che le permetterà non solo di gustare ma di riconoscere, dì discernere lo Spirito che agisce nel più profondo di lei.
… che dilata la nostra vita…
Ora, ci sembra che non sia, in fondo, tanto difficile per un’anima che viva in questa obbedienza, o almeno che voglia vivere in questa obbedienza, discernere lo Spirito. Dio che è principio in te di vita novella, di vita soprannaturale, è Colui che ti crea. La vita nuova non è che un accrescimento di essere. In Dio il tuo essere non viene rattrappito e mortificato, ma acquista un potere di dilatarsi, di crescere, di aumentare in te. Tutto quello che viene dallo Spirito non può che prolungare l’atto della creazione divina. Giustamente, vedete, nell’esame della vita dei mistici, Bergson ha riconosciuto il segno più chiaro dell’azione di Dio in questo slancio vitale che fa sì che l’uomo superi sempre se stesso. Come l’uomo potrebbe superare se stesso se Dio non vive in Lui? Un aumento di essere non implica un atto di creazione divina? Il vivere non è per l’uomo una parabola chiusa ma una linea che sale. L’unico modo di riconoscere lo Spirito nei nostri sentimenti interiori, nelle nostre aspirazioni più intime è questo.
… nella stabilità…
E poi il fatto che vi è continuità di cammino: non solo nel cammino del nostro vivere, non solo continuità che si oppone alla instabilità, ma continuità che si oppone anche alle rotture, al raggiungimento di una mèta prefissa che chiude un ciclo e che chiude una possibilità per l’uomo di andare oltre, di proseguire in avanti. Se è lo Spirito che ti muove, il tuo cammino è continuo e non ha fine. Continuo, prima di tutto. L’instabilità dei sentimenti interiori, delle aspirazioni profonde del cuore è indice, in fondo, dell’azione del Maligno nell’anima tua. Egli opera la morte. Se Dio vive in te, indubbiamente la parola che Egli ti ha detto all’inizio, quando tu appena ascoltasti la sua voce, quella stessa parola la udrai il giorno della tua morte. Crescerà in te l’esigenza che implica questa parola, ma la parola rimane la stessa. Per questo noi abbiamo motivo di dubitare di anime che passano da una congregazione all’altra, da un’esperienza religiosa all’altra senza mai trovare dove stare. Non vi è in queste anime una vita religiosa: vi è soltanto un’esperienza umana, una volontà di conoscere tutte le cose, una volontà precisamente di divagazione interiore. Vi è per ogni anima, in qualunque stato essa si trovi, la possibilità di proseguire in questo medesimo stato, in queste stesse condizioni di vita, proseguire fino all’infinito senza la necessità di cambiare direzione, stato, condizione. Prosegui! Affonda! Và avanti senza volgerti indietro, senza volgerti per parte! Ricordate le parole del profeta Ezechiele? Gli animali che portano il carro vanno avanti a occhi fissi. La continuità, ecco il Regno di Dio. Dio è l’Immutabile; e anche la tua vita partecipa dell’immutabilità di Dio; non nel senso che tu rimani fermo ma nel senso che la vocazione rimane la stessa. Quel Dio che vive in te, è Lui che dà unità a tutta la tua vita interiore, che dà una continuità a tutto il tuo cammino. Tu prosegui, ma non cambi. È come il cammino dell’anima nell’anno liturgico: il mistero rimane sempre Io stesso e tuttavia tu non vivi mai nel medesimo modo questo mistero. È nell’affondare sempre più nel seno di Cristo, che tu vivi. Senza uscirne mai più. Così tutta la tua vita.
… e nella pace…
Ma se Dio è Creatore, se è Colui che ti ha creato, Io Spirito di Dio che si è donato a te deve manifestare la sua presenza non solo in quanto si oppone all’instabilità e alla morte, ma in quanto si oppone all’inquietudine interiore. È molto simile a quello che dicevo, in fondo, della pace: la continuità del cammino non distrugge la pace, non può essere a scapito della pace interiore. L’anima rimane ferma in questo cammino. Il cristiano cammina stando fermo, ho detto altre volte qui a voi. Non vi è possibilità per l’anima di proseguire il suo cammino veramente, un cammino in Dio, che stando immobile in Dio, che rimanendo ferma nel Signore. La pace! L’azione dello Spirito in te ha come suo segno la pace: una pace dolcissima e profonda, una pace che diviene sempre più grande, una pace che totalmente ti sommerge, una pace che nessuna cosa potrebbe mai turbare, una pace quasi sensibile, una pace quasi solida. Le cose non ti toccano, nessun avvenimento terrestre ti turba: la tua anima è ancorata in Colui che è l’Immutabile, portata da Colui che è Atto puro. Continuità di un cammino, vita che è continuo progresso in una immutabile pace, in una fermezza pura, nella stabilità, nella gioia.
… e nella gioia
Nella gioia l’anima si dilata. La vita è anche una gioia. Anzi, quanto più tu vivi, tanto più sei capace di gioia. La gioia non è che il frutto e non è che l’espressione di una presenza di vita. Quanto più Dio si comunica a te, più tu esperimenti la gioia. Non per nulla la vita del Cielo è la beatitudine stessa. Leggete il Nuovo Testamento e voi vedrete che sono precisamente questi i rimproveri fondamentali che fa Gesù o che fanno gli Apostoli ai cristiani: “Perché siete tristi?”. La tristezza non è mai il segno di Dio. Non è mai l’inquietudine segno di Dio, non è mai l’instabilità segno di Dio; non è mai segno di Dio il gelo e la morte. Tu distingui il demonio, dice Serafino di Sarov, da questo: che egli è freddo, gelato. Nell’Inferno si dice che c’è il fuoco, ma un fuoco di gelo, fuoco gelato. Può sembrare strano, tutto questo, ma non vi è un fuoco che dà caldo, nell’Inferno. Non vi è calore, nell’Inferno, nessun calore: è un fuoco cui è sottratto ogni calore. Ti brucia come ti brucia il ghiaccio, ti raggela, ti chiude; quando un essere si raggela si chiude in se stesso. Il calore dilata, il gelo rafferma e comprime.
Questi segni, si noti, devono essere sempre insieme, perché un certo calore può darlo anche il demonio, ma con l’inquietudine, con l’instabilità; perché una certa continuità nella presunzione o nell’orgoglio può darla anche il demonio, ma senza la gioia; perché una pace può darla anche il demonio, ed è la morte nel sonno di un’anima che più non pensa al suo destino, è una pace che non porta calore.
I frutti interiori
Ci dice Gesù che noi dobbiamo riconoscere l’albero buono e l’albero cattivo dai loro frutti. Ma se si dovesse aspettare di conoscere lo spirito dai frutti esterni, dal risultato delle nostre azioni, lo spirito dal quale siamo mossi, noi conosceremmo lo spirito dal quale siamo mossi, dal quale siamo guidati, soltanto quando fossimo in Paradiso o all’Inferno, perché il risultato ultimo, il frutto ultimo di questa operazione dello spirito in noi, non può essere che Inferno o Paradiso; ma allora non saremo più a tempo. Come faremmo a guardarci dallo spirito che ci muove se dovessimo riconoscerlo soltanto all’Inferno quando noi ci cadessimo o in Paradiso quando Dio ce ne aprisse le porte? In che modo dunque noi dovremo riconoscere lo spirito dai frutti se non precisamente da questi frutti interni che sono del tutto inseparabili dall’azione dello spirito cattivo o dello Spirito di Dio nell’istante medesimo che tu lo accogli? A differenza di quello che avviene fra gli uomini, che il frutto di una unione si deve aspettare per nove mesi, il frutto della unione fra lo spirito umano e lo Spirito divino è immediato per l’anima che sia aperta ad accogliere l’azione di questo Spirito, e così pure dell’altro: infatti, immediato è il frutto nella pace e immediato è il frutto dell’esitazione e del dubbio; immediato è il frutto nella certezza, nella serenità, nella continuità di un cammino e immediato è il frutto nell’inquietudine, nell’instabilità di un’anima che non sa più dove andare; immediato è il frutto nella gioia interiore di cui lo Spirito colma l’anima e immediato è il frutto nella tristezza che ti opprime e ti chiude.
Sappi riconoscere lo Spirito. La pace, la gioia; massimamente sono questi due i frutti dello Spirito di Dio, come ci insegna san Paolo: “Il regno di Dio è pace e gioia nello Spirito Santo” e la nostra vita deve essere pace e la nostra vita deve essere gioia. Dobbiamo renderci conto che quando la tristezza ci opprime, in gran parte, anzi sempre, dipende dal fatto che noi ci siamo chiusi all’azione di Dio. Apriamoci dunque! Rompiamo quelle incrostazioni che ci impediscono di accogliere il dono dello Spirito divino; spezziamo il nostro orgoglio, la nostra durezza interiore e la pace di Dio si distenderà nella nostra anima e con la pace la gioia. Non faccio dello psicologismo: voi sapete che io sono nemico di ogni psicologismo nella vita religiosa. Pur tuttavia noi cristiani dobbiamo esser consapevoli di questa grande verità, che l’uomo non vive mai la sua vita e dunque deve rendersi conto se la sua vita è il segno di una presenza di Dio o porta il segno di una presenza del Maligno. Può essere e realmente è così, che questi segni non siano mai per sé probanti fino in fondo, ma lo sono almeno tanto quanto ci è necessario per proseguire tranquilli; o per doverci impegnare a rompere, a spezzare in noi qualche cosa che ci impedisca la pace, che ci renda impermeabili alla gioia, che ci renda anchilosati, paralitici da non poter continuare il nostro cammino verso il Signore.
Come faccio a sapere?
Dio vive in noi. Come Dio vivrebbe in noi se effettivamente non si manifestasse? Non ci diceva Gesù che noi lo conosceremo? Noi dobbiamo dunque avere una conoscenza di questo Spirito che vive in noi, che a noi si è donato. S’impone per noi il vivere in questa conoscenza, in questa gnosis che è esperienza di Dio, che è contatto, sia pure nella tenebra, sia pure nell’ombra, con Lui; contatto, unione con Lui che è lo Sposo. Conoscerlo! Tutto il dialogo di Serafino di Sarov con Motovilov ha come tema precisamente quello che ora noi meditiamo. “In che consiste la vita cristiana?”. “Non consiste nelle opere buone, non consiste nella preghiera. La preghiera, le opere buone, l’esercizio della carità sono soltanto il prezzo che devi versare per acquistare lo Spirito. La vita cristiana consiste appunto nell’accogliere questo Dio, nel ricevere lo Spirito, nel possesso di questo Spirito che vive in noi”. “Ma come faccio a sapere se posseggo lo Spirito? lo posso sapere se prego, almeno se mi applico alla preghiera; io posso sapere se esercito le virtù, perché l’esercizio delle virtù si impone a me in atti concreti. Ma come posso conoscere se posseggo lo Spirito?”, diceva Motovilov. “Ma è semplicissimo, anima devota”, rispondeva Serafino di Sarov. “Leggete il Nuovo Testamento e lo vedrete. Dicono gli Apostoli: Piacque allo Spirito Santo e a noi….Vedete come è semplice?”. “Ma come faccio a sapere se piace allo Spirito oltre che a me?”, chiedeva ancora Motovilov. “Voi dovete spiegarmelo bene dal momento che in questo, voi mi dite, consiste tutta la vita cristiana”. “Andammo nella Troade e lo Spirito Santo si accompagnava con noi nel cammino. Lo avete mai visto? È venuto con voi?”. “Come faccio a saperlo?”, continuava Motovilov. Il Santo non sapeva capacitarsi e giustamente: non è una conoscenza che si può rivelare, che si può trasmettere: la conoscenza di Dio rimane incomunicabile, è segreta, intima, personale. Tu lo conosci se lo conosci; o piuttosto, tu lo conosci se lo ricevi; nella misura che lo ricevi tu anche lo riconoscerai. Dio ha in sé garanzie sufficienti per farsi riconoscere dall’uomo, per farsi riconoscere da ogni creatura. Tu non potrai mai scambiare Dio con le cose. Tu puoi scambiare le cose fra loro ma Dio non ha alcun rapporto con le cose; non vi è proporzione alcuna fra tutto il creato e Lui. Se tu Io ricevi, tu lo conosci e tu lo conosci nella misura che lo ricevi. Per questo il mondo non lo può conoscere, perché non lo riceve, dice Gesù nel Vangelo.
Invocare Io Spirito
Ma noi in che modo lo riceveremo? Mi sembra che qui l’insegnamento sia estremamente semplice e facile: in che modo lo riceveremo lo insegna Gesù nel Vangelo: “Se un padre non nega al figliuolo un uovo e non gli dà uno scorpione, può forse il Padre negare lo spirito buono a coloro che glielo chiedono?”. Che tutta la nostra vita sia invocazione dello Spirito! Lo sappiamo: questa preghiera non può non essere ascoltata da Dio; alla invocazione dello Spirito risponde la effusione dello Spirito da parte di Dio. D’altra parte, l’invocazione stessa allo Spirito non potrebbe salire a Dio se in noi non vivesse già lo Spirito Santo. In una voce continua tu lo implori perché vive in te, e se lo implori Egli a te si comunica perché tu lo implori con un ardore più grande, con un desiderio più vivo. Aspira al Signore, prega Dio, imploralo costantemente, invocalo! Sia la tua vita una invocazione continua perché lo Spirito ti visiti e in te si effonda e ti colmi di Sé.
Implorare Io Spirito, invocare lo Spirito: questa è tutta la nostra vita. La preghiera non è la vita cristiana, ma la preghiera è condizione di questa vita cristiana che è il dono dello Spirito, perché Dio si donerà a te solo nella misura che il tuo desiderio avrà scavato in te una capacità che lo accoglie. Dio si effonde nella misura che tu offri a Lui questa capacità, questo vaso. Un’anima soddisfatta di sé, un’anima che non implora, non può esser visitata da Lui, non può esser colmata da Lui. Quanto più tu scaverai in te nel desiderio e nella speranza, tanto più Egli si donerà. Che la tua anima viva in questa continua attesa, in questa continua implorazione! E allora Dio costantemente discenderà, si effonderà, coprirà gli abissi della tua anima nella sua luce, nella sua pace.
Invocare lo Spirito! Ecco la condizione unica per ricevere lo Spirito. Noi non possiamo dubitarne: è cosa tutta di fede. Ma, anche qui, non dobbiamo ritenere che le virtù teologali non abbiano radici nel nostro essere umano concreto. La fede, se in noi è viva, ha sempre anche un carattere mistico, ci insegna san Tommaso d’Aquino. Se tu implori lo Spirito e lo implori con fede, indubbiamente la fede stessa con la quale tu implori ti darà la garanzia del dono che tu nell’istante ricevi: te la darà in questa pace, te la darà in questa gioia, te la darà in questa dolcezza profonda, intima, viva. Te la darà in questo refrigerio che lo Spirito santo porterà all’anima tua. Vedete, la Sequenza della Pentecoste, con l’implorazione dello Spirito, ci dice subito quali sono i motivi della sua stessa venuta. “Veni, Sancte Spiritus… veni pater pauperum, veni dator munerum, veni lumen cordium. Consolator optime, dulcis hospes animae, dulce refrigerium. In labore requies, in aestu temperies, in fletu solatium. O Lux beatissima, reple cordis intima tuorum fidelium. Sine tuo numine nihil est in homine, nihil est innoxium. Lava quod est sordidum, riga quod est aridum, sana quod est saucium. Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium…”. È tutto qui. La venuta dello Spirito porta con sé il segno che la garantisce.
Invochiamolo! Viviamo non soltanto nell’attesa, ma nell’abbandono a Lui che viene, perché, guidata, mossa dallo Spirito, la nostra anima sia colmata dalla sua pace, sia liquefatta nella sua dolcezza, sia rapita nel suo amore.
21 maggio 1961 – Ritiro – Seconda meditazione