Meditazioni di Divo Barsotti sulla Pentecoste
PENTECOSTE:
COMPIMENTO DEL MISTERO DIVINO
21 maggio 1961 – Ritiro
Prima meditazione
Peccato dell’uomo e azione di Dio
Non possiamo vedere nell’Incarnazione del Verbo, nella discesa dello Spirito, solo il rimedio al peccato dell’uomo. Senza il peccato, l’uomo non avrebbe dunque conosciuto questa seconda creazione che avrebbe introdotto tutto ciò che era in Dio? Ma la prima creazione non era effettivamente condizione della seconda? Non aveva voluto, Dio, le cose tutte, per poi comunicarsi a tutte quante le cose che Egli aveva creato, quasi moltiplicando la sua beatitudine, la sua gloria, la sua santità in ogni creatura che lo avesse potuto ricevere? Non aveva Egli voluto e disposto che ogni creatura fosse davanti a Lui come un vaso che doveva accogliere la sua santità come un liquore, un profumo?
Noi vediamo nell’Incarnazione del Verbo e nella discesa dello Spirito il compimento ultimo di un disegno divino che prescinde dal peccato degli uomini. L’elevazione della creatura all’ordine soprannaturale ci sembra che esigesse il compimento di quel mistero che oggi noi celebriamo perché Dio non avrebbe potuto elevare a Sé la creatura, non avrebbe potuto comunicarsi ad essa senza assumere la natura creata, senza donarsi a questa natura nel dono del suo Spirito. E noi oggi celebriamo il compimento di tutte le opere di Dio, un compimento che non è più una operazione onde Dio trae dal nulla le cose, ma le stabilisce come fuori del sacro recinto della sua Divinità: nel compimento delle opere sue Dio di nuovo rientra nel suo silenzio, nella sua solitudine, nell’intimo del suo seno. L’opera sua ultima è come la prima, è la generazione del Verbo, è l’effusione dello Spirito, la spirazione della Terza Persona. Così il termine si riunisce all’inizio. Dio non compie che un’opera sola, la compie dall’eternità e nell’eternità la prolunga: è precisamente questa stessa generazione e questa stessa spirazione: operazioni immanenti della Divinità, che esauriscono la fecondità stessa di Dio, che ne dicono tutta la sovrana potenza, che ne esprimono in un modo veramente esaustivo, pieno, tutta la gloria, tutta la santità e tutta la vita.
L’agire della Trinità al di fuori di sé…
Ma questo vi è di proprio a tutte le operazioni divine: che il compimento del mistero di Dio implica che la generazione del Verbo e la spirazione del divino Spirito non siano più operazioni immanenti, intime alla Divinità, in tal modo da escludere da queste operazioni tutto quello che è al di fuori di Dio, tutto quello che Dio ha tratto dal nulla e che rimane estraneo alla sua intima vita. Nel compimento del divino mistero, le creature tutte sono associate a questa intima vita di Dio, divengono esse partecipi di quella ineffabile gloria, di quella immensa potenza, di quella infinita santità. E Dio è tutto in tutte le cose. Davvero non è più che la sua immensa vita che in sé abbraccia ed include anche la creazione, la creazione medesima. Di fatto, l’Incarnazione del Verbo non è che il prolungarsi della generazione divina. Di fatto, la discesa dello Spirito Santo non è che il prolungamento della spirazione del divino Spirito dal Padre e dal Figlio. Le missioni divine, c’insegna san Tommaso d’Aquino, non sono che il prolungamento delle operazioni immanenti della Divinità, le sue processioni. Prolungamenti no: l’espressione è sbagliata; ma san Tommaso usa questa parola perché altre parole, umanamente, non vi sono. Non può prolungarsi un’azione divina, quasi non fosse in sé infinita e potesse avere prolungamento. Non si può parlare in senso proprio di prolungamento ma si parla di prolungamento come si parla di discesa: il termine rimane improprio ugualmente. Dio non scende né sale, Dio non esce e non entra: Egli è. Ma nell’immutabilità dell’Essere suo, nella pienezza della sua vita divina, tutte quante le cose, sì, esse entrano. A questa intima vita esse sono associate, per vivere esse questa vita che rimane unica e immensa, perché Dio non si moltiplica.
… è opera unitaria delle Tre Persone divine
La festa della Pentecoste, si diceva, è il compimento del mistero divino che noi celebriamo stamani. Perché? Forse l’Incarnazione del Verbo non implicava per sé una discesa dello Spirito? Può separarsi il Figlio dallo Spirito, il Figlio dal Padre? Se Dio rivela Se stesso nel Figlio suo, può questa rivelazione non implicare una presenza dello Spirito, un dono dello Spirito Santo? Ma noi vediamo già nell’Antico Testamento che tutta la rivelazione divina, che tutta l’azione di Dio nel popolo d’Israele, implica in qualche modo una presenza del Verbo. E dunque, già un inizio di divina Incarnazione implica, in qualche modo, una discesa dello Spirito. È tutto l’Antico Testamento che ci parla sia della Parola di Dio che opera tutte le cose, sia dello Spirito di Dio che opera tutte le cose. Non vi è possibilità di rivelazione se non nel Figlio, non vi è possibilità di comunicazione se non nello Spirito; ma non si devono pensare, rivelazione e comunicazione di Dio, come due operazioni separate della Divinità, come azioni successive della Divinità. Non è successiva la spirazione dello Spirito nei confronti della generazione del Verbo, né è separabile la generazione del Verbo dalla spirazione dello Spirito Santo. Nella Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, come sono un solo Dio, così sono inseparabili pur essendo Persone distinte.
La storia dell’uomo…
Inseparabili sono dunque, nel dono che Dio fa di Se stesso, sia il Verbo che Io Spirito. Certo, noi dobbiamo dire che l’Incarnazione si realizza soltanto nel seno della Vergine; certo, noi dobbiamo dire che la discesa dello Spirito Santo si effettua in modo pieno il giorno della Pentecoste; ma fin dall’inizio, fin dalla creazione, le mani del Padre, il Verbo e lo Spirito, hanno plasmato l’uomo. Fin da quando Dio ha elevato la creatura all’ordine soprannaturale, questa elevazione ha importato che la creatura fosse introdotta nel seno della divina Trinità partecipando in qualche modo a una generazione e a una spirazione divina. Non a una generazione, non a una spirazione divina, ma alla generazione e alla spirazione dello Spirito. Perché non vi sono due generazioni in Dio, come non vi sono due spirazioni. Metodio d’Olimpo vede già in Adamo il Cristo; e nella Cattedrale di Chartres l’artista che scolpì la creazione dell’uomo scolpì il volto di Adamo simile, anzi, uguale al volto del Cristo. Già Adamo è unito a Gesù. Non per nulla Paolo dirà che Gesù è il nuovo Adamo: nuovo perché realizza la figura. Ma la figura non sarebbe figura se la grazia di Cristo già non animasse la prima creatura sul cui volto Dio alitò il soffio di vita.
… è un parto divino
Già dunque in Adamo vi è un inizio di Incarnazione divina. Adamo prepara l’Incarnazione ventura; ma non sarebbe una preparazione se la figura fosse del tutto separata dal suo divino modello. Come è indecente parlare di imitazione di Cristo, quasi che noi si potesse ricopiare il Cristo rimanendo da Lui separati – una imitazione di Gesù importa che Gesù viva in noi e ci trasformi in Sé – così sarebbe indecente parlare di Adamo, di Isacco, di Giuseppe, di David, figure del Cristo, se non pensassimo che già la grazia del Cristo va operando in loro un’assimilazione, una trasformazione della pasta umana. Tutta quanta la storia degli uomini è la storia di un parto divino. Fin dall’inizio Dio si comunicò all’uomo nel seme che è la divina Parola; e il seme formò, lentamente, attraverso i secoli, Colui che sarà detto il Figlio dell’uomo. Gesù non è soltanto Figlio di Maria: giustamente san Luca lo chiama Figlio di Adamo, Figlio di Abramo, Figlio di tutta quanta l’umanità fin dai primordi, Figlio di tutto il popolo d’Israele fin dalla vocazione d’Abramo.
Nella Pentecoste si compie il mistero, ma un mistero che si inizia con la creazione del mondo. Mai infatti Dio ha voluto la creazione come indipendente da Sé, come in se stessa avente una ragione sufficiente al suo proprio esistere in una sua autonomia. In fondo, il peccato dell’uomo, come il peccato degli angeli, è precisamente il rifiuto del mistero divino: è volersi chiudere in un’autonomia creata, in una certa sufficienza creata, in una certa autonomia. Non assoluta, perché la creatura dipende sempre dal Creatore e tuttavia relativa, in quanto implica il rifiuto di una grazia che sollecita la creatura a entrare nel seno di Dio per vivere non più la sua vita ma la vita stessa di Dio. Questo è il peccato del mondo; ma appunto questo peccato implica una presenza del Cristo fin dall’origine. II peccato dell’uomo fin dall’origine fu la morte del Cristo venturo. Se il peccato d’Israele è stato il deicidio, ricordiamoci che la morte del Cristo è veramente l’espressione ultima del peccato umano; il primo peccato dell’uomo già era la morte del Cristo, un rifiuto a questa Incarnazione ventura, a questo essere assunti da Dio, un rifiuto a perdere, la creatura, la propria autonomia, per essere totalmente presa dall’azione di Dio e trasportata nel seno del Padre.
“Lo Spirito soffiava…”
Nella Pentecoste dunque si compie il mistero. Perché si compie nella Pentecoste? Perché non si compie nell’Incarnazione?
Abbiamo detto che sono inseparabili, il Verbo e lo Spirito, sia in Dio, che nell’economia di grazia; nel mistero intimo della vita divina come nel mistero della sua comunicazione al mondo. Se Adamo, dunque, aveva il volto di Cristo, già lo Spirito compiva questa somiglianza di Adamo con Cristo. È nell’alito, nel soffio di vita che Dio inspira in Adamo che Adamo diviene l’immagine, diviene il tipo del Cristo venturo. Già il Verbo e lo Spirito sono all’opera fin dalla creazione dell’uomo, dice Ireneo. E all’opera essi saranno, il Verbo e lo Spirito, lungo tutta la storia umana.
L’Incarnazione dunque si inizia con la creazione del mondo come la discesa dello Spirito si inizia con la creazione del mondo. Giustamente i Padri vedono nelle parole della Genesi – “lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque” – la funzione dello Spirito Santo sopra la terra. Non si può pensare l’immagine come avulsa dall’atto finale. Veramente si inizia una Incarnazione, veramente si inizia una discesa. Tutto è nuovo con l’Incarnazione del Verbo, tutto è nuovo con la discesa dello Spirito Santo, eppur nulla è nuovo nell’Incarnazione, nulla è nuovo nella discesa dello Spirito. Vi è continuità fra la creazione prima e la creazione seconda, fra la creazione prima e la resurrezione finale dei corpi e anche la beatitudine celeste, a cui poi tutta la creazione sarà chiamata un giorno quando tutta la creazione, assunta dal Verbo, entrerà per il soffio dello Spirito, per la spirazione dello Spirito, nel seno del Padre. Tutta la creazione, dico, nel soffio dello Spirito: e non dico perciò tutte le anime, ma anche i corpi. Ecco perché la resurrezione dei corpi è opera dello Spirito Santo. Secondo i Padri, su tutta quanta la creazione spirerà lo Spirito, trascinando tutta quanta la creazione in questo soffio, in questo anelito di amore, in questa spirazione di amore, in questa esalazione di amore, portando tutta la creazione in Dio. Tutta: anche i corpi, anche il mondo visibile.
Da Pentecoste…
Ma perché, dicevo dunque, la Pentecoste compie il mistero divino e non l’Incarnazione? Oh! Si può dire che anche l’Incarnazione compie, in certo modo, il mistero di Dio, perché anche l’Incarnazione implica una discesa dello Spirito. L’Incarnazione del Cristo è il mistero di Dio compiuto in atto primo: non ancora comunicato agli uomini, ma comunicato alla natura umana. E implica certo una discesa dello Spirito Santo. Infatti, non si compie l’Incarnazione che nella reale effusione, nella realissima discesa dello Spirito Santo nel seno della Vergine. Nella Incarnazione lo Spirito Santo, nel modo più reale e più pieno, discende quaggiù sulla terra; ma non discende per tutti, non si comunica a tutti gli uomini: discende, si effonde, adombra di Sé, della sua virtù, solo una creatura che, pur essendo unita agli altri uomini, è anche in qualche modo, per privilegio singolarissimo, separata da loro in quanto non è solidale con loro nel peccato. Perciò la discesa dello Spirito Santo sopra Maria Santissima non implica per sé una discesa dello Spirito Santo sopra la creazione intera. Ma tuttavia è proprio per questa discesa che l’Incarnazione si compie. La discesa dello Spirito Santo sopra i discepoli, da san Luca negli Atti degli Apostoli, è contemplata e descritta precisamente come in una trascrizione del 2° capitolo del suo Vangelo. Di fatto, quello che è avvenuto in una donna ora avviene sui discepoli del Cristo, sui singoli uomini.
… nasce la Chiesa
Che differenza c’è dunque fra l’Incarnazione e la discesa dello Spirito Santo? Nessuna, eppure una grande differenza. Nessuna se si considera l’atto in sé; una grande differenza se noi vediamo nella Pentecoste non il prolungamento soltanto, ma il dilatarsi immenso del mistero che si era compiuto: l’Incarnazione del Verbo nel seno della Vergine. Giustamente nella discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli nasce la Chiesa ed essa, la Chiesa, nasce come Corpo Mistico del Cristo. Gesù era uno fra gli uomini come Maria una fra tutte le altre creature; ma precisamente questo loro essere fra le creature, se diceva una comunanza di vita, diceva anche una distinzione, e in qualche modo, per il fatto che non conoscevano peccato, una loro separazione dagli altri. Gesù vive in mezzo al mondo, eppure il mondo non lo conosce: “in propria venit, et sui eum non receperunt”. Come si capisce! Ma lo capisce più Nostro Signore di me e di voi. Si capisce, non si scusa: si comprende il rifiuto d’Israele ad accogliere il Cristo, si capisce il rifiuto del mondo ad accogliere la Parola. Gesù rimane, sì, con gli uomini, ma è diverso da loro. Non c’è nulla in comune, proprio perché non c’è la comunanza di un destino nello stesso peccato, una solidarietà nel peccato.
E pur tuttavia è questo Uomo che ha tratto la sua natura da noi; che morendo e assumendo con la sua morte il peso dei nostri peccati, ci può donare il suo Spirito; che può comunicare a tutti noi il suo Spirito, vincendo Egli nel suo dono l’opposizione che noi abbiamo fatto alla sua santità nel nostro peccato. In atto primo, il mistero si compie nel Cristo; in atto secondo si compie su tutti i discepoli. Lo Spirito Santo discende sopra una donna: ma la discesa dello Spirito Santo sopra questa donna non implica in nessun modo una nostra santificazione. L’Incarnazione stessa del Verbo non implica nulla per noi: per sé, Dio compie l’atto: soltanto indirettamente glorifica la nostra natura, ma noi rimaniamo estranei a Lui. Questo è tanto vero, che dei quattro evangelisti, due soli ci parlano della nascita di Gesù, due soli ci parlano della concezione verginale di Maria; per gli altri, la stessa missione di Gesù si inizia soltanto col battesimo. Infatti col battesimo, si noti bene, Gesù non è più estraneo del tutto agli uomini: pur non essendo Egli peccatore, diviene pubblico penitente; pur non essendo Egli personalmente peccatore Egli è riconosciuto da Giovanni come il Servo di Jahweh che prende sopra di Sé tutti i peccati del mondo per espiarli con la sua morte di croce, così lo addita Giovanni il Battista, così soprattutto lo proclama la parola del Padre nell’atto stesso del suo battesimo. Il mistero cristiano si inizia non tanto con la nascita di Gesù quanto col battesimo di Gesù e questo non soltanto secondo gli evangelisti ma secondo anche gli Apostoli: quando deve essere sostituito Giuda con un altro Apostolo, san Pietro chiede che si scelgano coloro che poi dovranno essere sorteggiati, fra quelli che sono stati sempre col Signore Gesù “dal battesimo di Giovanni fino alla sua morte di Croce”; non prima! Gesù prima del suo battesimo rimane come estraneo, insomma; come Maria.
Che cos’è la Pentecoste?
È una cosa che ci mette i brividi! È una cosa immensa pensare che un Dio si è fatto uomo, ma in fondo ci lascerebbe più soli nella nostra miseria la consapevolezza che una natura umana singolare soltanto è stata fatta partecipe della gloria dell’Unigenito. È certo una grande gloria per noi che un nostro fratello sia anche Figlio di Dio: ma è una gloria che ci fa sentire di più, dicevo, la nostra miseria, il nostro peccato, se questo nostro fratello non può comunicare anche a noi personalmente la sua gloria e la sua santità. Ora, nella Pentecoste, quello che avvenne in una Vergine, quello che si compì in questa donna, avviene in ogni uomo, si compie in ogni uomo. Ecco il mistero della Pentecoste. Mette i brividi, miei cari, il pensarlo. Non Dio ha visitato la terra, non Dio è disceso quaggiù nel mondo, ma Dio si dona a me, vive in me. Ogni anima diviene capace di Dio, accoglie Dio in sé, perché in lei si rinnovi il mistero di una sua unione col Verbo. L’unione nostra con Dio si realizza in questo dono dello Spirito e in questo dono dello Spirito che ci unisce a Dio, si realizza anche, come frutto divino di unione, la nostra trasformazione in Cristo. II figlio non si separa, qui, dalla madre: il figlio in qualche modo è la madre: tu non sei Cristo eppur sei Cristo. Il figlio non si separa dalla madre. Come nel Padre la generazione del Verbo non implica che il Verbo esca dal seno del Padre, ma in questo seno riposa, in questo seno rimane eternamente, come eternamente è generato; così il Figlio che nasce dalla unione dello Spirito con l’anima, con ciascuna anima – unione veramente nuziale – non è separato da te: tu sei Cristo.
E si noti allora, come l’anima entra, attraverso il dono dello Spirito, nella divina Trinità. Non può separarsi la Pentecoste dal Mistero cristiano, perché l’unione nuziale che si realizza fra noi, fra ciascuno di noi e lo Spirito di Dio, implica come suo frutto un prolungamento dell’Incarnazione divina, una dilatazione del Cristo sì da fare di noi tutti le sue proprie membra.
Atto perenne
Ora, questo è il mistero della Pentecoste. L’Incarnazione del Verbo avviene in un preciso istante nel tempo, avviene in un luogo solo. La Pentecoste non è così determinata a un luogo e a un tempo, è un atto perenne. L’Incarnazione si è compiuta; non si ripete, non continua, perché è un atto perfetto; una volta nato dalla vergine Gesù non rinasce, come una volta morto Egli più non muore. È un fatto storico determinato, preciso. La Pentecoste riguarda ognuno di noi, perciò non può esser legata a un tempo, non può esser legata a uno spazio. Lo Spirito ha veramente invaso tutta la terra: tutta la terra, io dico, non nel senso soltanto spaziale, ma nel senso anche temporale. Non vi è più un momento nel tempo, non vi è più un luogo nello spazio che non implichi questa effusione dello Spirito, perché il mistero dell’Incarnazione divina divenga il mistero di ogni anima inserita nel Cristo, partecipe di una certa divina maternità, per essere una sola cosa con Lui, per trasformarsi, ognuno di noi, in Gesù benedetto.
Questo è il mistero della Pentecoste: sono poche parole quelle che abbiamo dette, ma da queste parole penso che deriverà tutto quanto noi andremo meditando in questa giornata così solenne. Vi chiedo un grande raccoglimento, un grande silenzio. Come possiamo distrarci da Dio? Come possiamo in un giorno così grande pensare alle nostre piccole cose e non accogliere Dio che viene, che ci vuoi visitare, che ci vuoi riempire di Sé, per essere il principio nuovo di una vita che è insieme umana e divina, vita dello Spirito e dell’anima? Vita umana e divina che dà come suo frutto Colui che è insieme uomo e Dio: Cristo Signore.
Omelia
Nel profondo del nostro intimo…
Il mistero della Pentecoste, questo mistero singolare, che si è compiuto una volta nel tempo sotto Tiberio Cesare, al tempo di Erode, nella Giudea, si compie oggi, ora e qui, in ognuno di noi. Nulla ci è sottratto di quanto Dio ci ha donato, di quanto Dio, nel segreto della sua intima vita, è. Nel dono dello Spirito che Egli ha fatto a ciascuno, nulla più ci è lontano ed estraneo, nulla più ci è negato, da nulla più siamo esclusi: tutto l’uomo possiede e tutto egli possiede nel più intimo centro di sé, nel più intimo fondo dell’essere suo sicché, non tanto noi possediamo noi stessi quanto prima possediamo Dio; prima ancora di possedere noi stessi, prima ancora di essere nostri, Egli è la nostra ricchezza, Egli è la nostra vita. Precisamente questo è il dono che lo Spirito compie: fa sì che noi non ci possediamo più e quello che noi siamo e quello che noi abbiamo non sia più che un dono di noi stessi a Lui. Perché noi possediamo Dio per essere a nostra volta posseduti da Lui. Questo dunque è il contenuto della nostra vita, questo è il contenuto di tutto l’essere nostro: Dio! Ecco il dono della Pentecoste, ecco la festa di oggi.
… tutto ci appartiene
Noi possediamo Dio, dicevo, nel più intimo centro della nostra anima, nel più intimo fondo dell’essere nostro; ed è precisamente in questo fondo che noi dobbiamo discendere per possedere ogni cosa. L’uomo abitualmente esce di sé, cercando qualcosa che egli non trova. Siamo stati creati precisamente per essere ordinati a Dio. Non troviamo in noi che debolezze e miserie, non siamo in noi stessi che debolezza e peccato. Così tutto il cammino degli uomini è un fuggire se stessi, è un cercare fuori di sé quello che in se stesso l’uomo non ha. La creatura è fatta così. Non può alimentarsi che da qualche cosa che le venga da altra via, di fuori. Oh, la vita dell’uomo! Dispersione continua, divagazione perenne: divertimento nel senso di “divertere”, cioè uscire di sé, andare fuori, vagare. Ma l’uomo che possiede Dio, che ha ricevuto il dono dello Spirito, in questo intimo fondo deve discendere, in questo intimo centro deve dimorare. È là che possiede ogni cosa, è là che egli riceve la vita, è là che egli vive.
Di fronte alla vita del mondo, alla vita dell’uomo peccatore, che non è che dispersione, divagazione, ricerca affannosa, incessante, continua, come la vita dell’anima che possiede Dio è invece pace, come è riposo nel raccoglimento, nell’intimità più profonda! Come la vita del santo tutta si semplifica, come perde la molteplicità degli atti, la molteplicità dei sentimenti, come tutta si unifica in questo centro profondo! Come tutta precipita in questo fondo dell’anima, là dove Dio sempre dimora! Ecco la nostra vita, miei cari. Noi viviamo la Pentecoste, dobbiamo viverla sempre, perché sempre Dio si dona: non puoi usare il passato quando tu parli di un’azione di Dio. Egli continuamente viene, Egli continuamente si dà. In tanto tu lo possiedi in quanto tu lo ricevi. Egli continuamente viene, tu devi dunque accoglierlo sempre.
Vivere costantemente la Pentecoste in questo silenzio profondo dell’anima che ascolta la divina parola; accogliere sempre il dono dello Spirito, affondando nell’intimo centro dell’anima in una solitudine pura, in un silenzio pieno, nell’umiltà verace. Discendere! Questa è la via da trovare: affondare nell’intimo! Questa è la via di ogni pienezza. Proprio nell’istante che tu credi di perdere tutto, tutto tu vieni a ricevere. Tu che credevi nell’intimo di non possedere che il vuoto, ecco ti accorgi nell’intimo di possedere, ora, Dio. Che importano mai tutti i doni che il mondo può offrire? Tutto quello che il mondo può offrire alla tua vanità, alla tua ambizione, alla tua sete di godimento? Che cosa può importarti ora più di tutto quello che il mondo può offrirti quando in questo intimo centro, affondando, ti senti già colmo, pieno così da non poter ricevere più nulla, perché nulla ora la tua anima potrebbe ancor contenere dopo che ha ricevuto il dono di Dio?
“Veni, Sancte Spiritus”
Purezza, umiltà, pace: questa, la vita dell’anima che nell’intimo vive questo continuo ricevere il dono divino. Umiltà, pace, dolcezza. La tua vita si semplifica, perde ogni sua molteplicità, si unifica. Non hai più da far nulla. Non hai più nemmeno da pregare, non hai da cercare più nulla. Sembra la morte, ed è la vita di Dio. Sembra il vuoto, ed è la plenitudine infinita della sua pace. Sembra il silenzio e la tenebra, ed è una luce infinita che tutto cancella proprio per la sua purità, proprio per l’immensità del suo fulgore. Vivi nell’intimo, riposa nell’intimo, accogli in questo intimo centro il dono che Egli ti fa. Oggi, domani, ora, eternamente, in te lo effonde e in te egli discende. Non puoi possederlo come un bene che hai già ricevuto e che tieni lì fermo per poterne usare quando vuoi. Lo Spirito è vento che non s’imprigiona, lo Spirito è fiamma che non può esser contenuta: tu lo possiedi soltanto se tu continuamente lo ricevi. Vivi una continua invocazione allo Spirito. Credi di accoglierlo continuamente in te perché alla preghiera dell’uomo Dio continuamente risponde: non l’ha detto Gesù? Sia la nostra preghiera la preghiera di tutta quanta la Chiesa: “Veni, Sancte Spiritus”! Come continuamente dobbiamo invocare Gesù, così continuamente dobbiamo invocare lo Spirito. Discenda Egli in noi e ci unisca a Gesù; discenda Egli continuamente in noi e ci trasformi nel Cristo; discenda Egli continuamente in noi e ci faccia salire nell’ascensione stessa dell’Umanità sacrosanta del Verbo. Ci faccia salire fino nel seno del Padre continuamente, eternamente, in un atto solo di amore perché, come è l’amore onde il Padre si comunica a noi nello Spirito, così è anche l’amore onde l’uomo, tutta quanta la creazione, nel Verbo medesimo ascende nel seno del Padre.
Viviamo nell’intimo: proprio in questo intimo centro noi viviamo una vita che è immensa, che non conosce confini. Viviamo in questa intima pace: proprio in questa intima pace viviamo l’immensa vita di Dio. Viviamo in questo puro silenzio: proprio in questo puro silenzio noi saremo la divina parola! Questo ci chiede la festa di oggi, miei cari, la nostra festa. Festa di tutti, ma festa tanto più delle anime che vogliono tendere alla perfezione dell’amore. Che cos’è la perfezione dell’amore se non precisamente una nostra partecipazione, come ce lo insegna san Giovanni della Croce, alla spirazione stessa dell’Amore increato? Come noi riceviamo lo Spirito, così da noi Egli venga spirato, esali, così per noi Egli esali al Padre! Viviamo nell’intimo. Sia la nostra vita una vita di pace, una vita di umiltà, sia una vita di purezza, di gioia, sia una vita nello Spirito Santo. Silenzio ed amore! Silenzio e pace! Silenzio e gioia! E beatitudine dell’anima che si sente colma di Dio, colma così da traboccare, colma così da non poter più contenere in sé l’immenso dono che essa ha ricevuto da Lui!
Siamo ricolmi di Dio
Miei cari! Quel Dio che si comunica a ciascuno di noi è l’Unico. Ognuno di noi non è meno di tutta la Chiesa nell’accogliere Dio. Dio non dona a tutta la Chiesa più di quanto dona a ciascuno. D’altra parte, Dio, che è indivisibile, nemmeno potrebbe donarsi per parti. Che ciascuno viva nell’intimo una vita che in sé non ha davvero confine, la vita stessa di Dio. Certo, quel medesimo Spirito che si è donato a tutta la Chiesa si è donato anche a noi, e quello che si è donato anche a noi si è donato a tutta la Chiesa; cioè, vi è una possibilità di garanzia continua per la nostra vita interiore nella nostra obbedienza alla Chiesa, nella nostra docilità alla Chiesa, nel sentire che tutto quello che in noi avviene non è minimamente in contrasto, anzi si identifica pienamente alla vita di tutto l’organismo ecclesiale. Ma la nostra piccola vita non è minore della vita di tutto l’universo, perché la vita di ciascuno di noi è la stessa vita di Dio, che non è soltanto la vita dell’universo: è una vita che immensamente trabocca anche da tutto l’universo perché l’universo medesimo non può contenerla.
Raccogliti in te oggi per vivere questa Sua immensità. Com’è possibile non sentire la vocazione alla vita eremitica, alla vita di solitudine, alla vita di silenzio? Che cosa l’anima potrebbe cercare? Che cosa potrebbe volere, ora, di più, se veramente realizza il dono che Dio le fa di Se stesso? Ed è ben questa la vita a cui tutti siamo chiamati, sia che la viviamo quaggiù, sia che la viviamo domani quando saremo precipitati davvero nella solitudine divina, quando saremo accolti davvero nel silenzio di Dio.