Negli ultimi anni, la contaminazione diretta senza mediazione tra mondano e spirituale è indubbiamente cresciuta

PENSARE LA FEDE
di GILBERTO  BORGHI
10 aprile 2024
Per gentile concessione di:
www.vinonuovo.it

Siamo al Caserta Pride, nel giugno del 2018, durante la manifestazione contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle persone omossessuali dal titolo: “Ogni bacio una rivoluzione”. Ad aprire il corteo un “bilico” da 12 metri, addobbato con arcobaleni vari sul davanti. Sul portellone posteriore campeggia la gigantografia di S. Padre Pio. I manifestanti non si sono scomposti e alcuni di loro, dopo poco hanno cominciato a inneggiare cantando: “Anche padre Pio me lo bacio io”. Evidentemente però, gli organizzatori hanno pensato che qualche forma di discriminazione fosse necessaria mantenerla e così, prontamente hanno aperto il portellone, lo hanno assicurato alla fiancata, nascondendo così l’immagine sacra.

“Il Signore esiste. Io lo so e, attraverso questo camion, voglio che lo sappiano tutti”. Rocco, ha sessanta anni, vive a Tiggiano (Lecce) e fa l’autista. “Sono stato operato alle corde vocali ed ho ripreso a parlare, mi sono rotto le teste dei due femori, ho subìto un’operazione alla schiena con otto vertebre rotte ed ora mi vedete in piedi e sono tornato a guidare il camion”. “Gesù tu sei àncora di salvezza”, ha fatto scrivere sulla fiancata destra del camion ed è convinto che ad assisterlo sia stata la Vergine di Fatima (“Alla tua ombra desiderata riposo” si legge sul telone di sinistra). In cabina quattro statuette si intravedono attraverso il parabrezza. A sinistra campeggia, bello grande, Sant’Antonio da Padova, al centro Sant’Ippazio, protettore di Tiggiano, che copre mezzo parabrezza, ed a destra, più piccolo, si intravede un sorridente Papa Francesco, con, alle sue spalle, una statuetta di Cristo, poco visibile. Ma la grandezza delle statue è proporzionale alla potenza sacrale dei soggetti ritratti?

Sul retro di un camion raggiunto in autostrada da un automobilista campeggia in alto la scritta “automezzo dotato di dispositivi di sicurezza” con, a fianco, il logo del Controllo Satellitare. Subito sotto due gigantografie di S. Padre Pio e S. Giovanni Paolo II in a coprire i tre quarti del portellone di fondo. Subito sotto la scritta: “…non correre mai più veloce di quanto il tuo angelo custode possa volare!”. Ipotizzo che il conducente potrebbe avere una app per determinare la velocità massima del suo angelo custode. Ma allora: controllo satellitare o spirituale? (In Italia i conflitti di interesse non mancano mai!).

Nel dicembre 2019, in un’intervista rilasciata al TG5, l’allora CT della nazionale di calcio, Roberto Mancini, racconta di aver invitato i suoi giocatori a non farsi più il segno della Croce al momento di entrare in campo, dicendo: “Papa Francesco mi ha chiesto, un po’ imbronciato, perché ci facciamo il segno di croce prima di giocare. Così, ora non lo faccio più. Non vorrei che il Papa si arrabbiasse”. Evidentemente non tutti i giocatori di calcio temono l’ira di Francesco. In Colombia, in una partita del campionato di serie A, Guillermo de Amores, portiere del Deportivo Cali, stava ancora facendosi il segno della croce e toccando per terra la linea di porta, quando, dopo appena 40 secondi dall’inizio della gara è stato trafitto all’incrocio dei pali da un millimetrico tiro, da quasi metà campo, di un giocatore avversario. Chissà, forse ha ragione Mancini: il segno della croce è un rischio!

La ex campionessa spagnola di Ciclismo Joane Somarriba, in una gara all’inizio della sua carriera, durante una volata che la vedeva in testa, ha alzato le braccia e lo sguardo al cielo, in un gesto di “ringraziamento” a pochi metri dal traguardo. Tanto è bastato perché la seconda la raggiungesse e quasi rischiasse di batterla. Finita la gara, mentre era da sola a cambiarsi, ritornando a quell’attimo ha pensato che, forse, quelli del piano di sopra, o sono distratti o non sono molto affidabili. Meglio allora lasciarli stare, in certi momenti!

Tra le prove della non esistenza di Dio, una mia studentessa di qualche anno fa, annoverava anche il fatto che, dopo aver passato i primi tre anni delle superiori a rivolgersi a Dio per andare bene nelle verifiche di matematica aveva dovuto constatare che era un metodo improduttivo. “Durante le verifiche in classe, spesso ne sapevo poca; allora guardavo il crocifisso e regolarmente non mi arrivava nulla in testa”. Come è noto Gesù, la trinità e la matematica non vanno molto d’accordo, tanto che lassù uno, più uno, più uno, fa uno. Inaffidabile! Si potrebbe continuare. Ma credo che questo basti per qualche considerazione.

Intanto che queste manifestazioni tendono a crescere. Negli ultimi anni, la contaminazione diretta, senza mediazione, tra mondano e spirituale è indubbiamente cresciuta e credo sia indice di una doppia concausa. Da una parte una evangelizzazione che ancora troppo indulge sulla separazione tra sacro e profano tende a farci immaginare il sacro come un qualcosa che sta fuori dal tempo e dallo spazio, ma che, quando entra nel tempo e nello spazio, non lo sappiamo riconoscere per come si mostra. Dall’altra, forse per lo stesso motivo, cresce la necessità di una fede capace di rendersi visibile dentro ai nostri cinque sensi, perché questa è la dinamica inevitabile dell’Incarnazione. Così che, a fronte di una predicazione astratta e di esperienze di fede poco corporee, si va a costruire la presenza “sensibile” del trascendente in queste forme.

Tutte le volte che noi non possiamo dire con Giovanni: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita”, creiamo uno squilibrio nella fede che poi produce questi corti circuiti spirituali, in cui il sacro finisce per essere alle nostre dipendenze, qualcosa da usare “pret a porter”, a costi relativamente accessibili.