Lunedì della IV settimana di Quaresima
Is 65,17-21 Sal 29 Gv 4,43-54: Va’, tuo figlio vive.
Testo del Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 4,43-54
In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.
Commenti
di Silvano Fausti
Il problema fondamentale del testo – come vedete – è l’essere infermi e il morire. Sono gli unici problemi che ha l’uomo: l’ammalarsi e il morire. E Gesù che risposta dà a questo? Dice solo la Parola: Tuo figlio vive! Seconda cosa che appare chiara in questo testo è che Gesù è assente, non è presente al figlio che sta male e muore; è assente e distante. È la nostra esperienza oggi dove Gesù è distante nel tempo – è vissuto duemila anni fa – ed è assente, io non l’ho mai visto! E come faccio allora oggi a vivere? Come opera la sua Parola oggi? Il problema del brano è come questa Parola oggi mi fa passare dall’infermità – che vuol dire non stare in piedi – allo stare in piedi e mi fa passare dalla morte alla vita, a distanza, nel tempo e in assenza della persona. È la potenza della Parola ascoltata con la fede, per cui il vero miracolo del testo è la fede nella Parola.
La fede o fiducia è il fondamento stesso della vita, se uno non ha fiducia non può vivere. Poi, se tenete presente, il testo parla di un uomo e di suo figlio, però nel testo ci sono tre parole per indicare questo padre, e tre per indicare il figlio.
Questo padre:
– è un funzionario del re, all’inizio è indicato così.
– quest’uomo diventa “uomo” quando crede alla Parola;
– quest’uomo diventa padre. Vuol dire che c’è stata una variazione nel racconto in quest’uomo che da funzionario del re diventa finalmente un uomo che si scontra coi problemi reali e diventa poi finalmente padre.
Così il bambino è descritto con tre termini in greco:
– è bambino, in greco vuol dire anche schiavetto,
– è ragazzo che vuol dire ancora servo,
– è, finalmente, figlio.
Vuol dire che avviene un cambiamento anche nel figlio, che da schiavo e servo diventa figlio e libero. Cioè, fuori immagine, cosa vuol dire? Vuol dire che per la fede del padre, per la fede di quest’uomo, cambia il rapporto padre/figlio:
– da funzionario del re col figlio schiavo,
– da uomo col figlio ancora servo,
– a padre col figlio che è figlio e lui che è padre.
Questa guarigione del rapporto padre-figlio è segno della guarigione più profonda, perché il nostro male originario, il nostro male di vivere è il nostro cattivo rapporto col Padre, che è la fonte della vita, è la mancanza di fiducia nel Padre; come può vivere uno se non ha fiducia in colui che gli ha dato la vita? È questo il principio dei nostri mali da Adamo in poi, fuggiamo dalla vita.
Allora questo segno è veramente un grande segno che ci fa vedere cosa significa la fede nella Parola, ci ridà quella fiducia nel Padre che ristabilisce i nostri rapporti che poi non sono più rapporti di schiavitù e di morte, ma rapporti di libertà e di vita. Questo avviene mediante la fede in quella Parola, in ciò che è avvenuto allora e accade ogni volta che uno ascolta la Parola.
da http://www.preg.audio
Luigi Maria Epicoco
La storia raccontata nel Vangelo di oggi potrebbe assomigliare a tante altre storie di guarigione narrate nel Vangelo. Eppure la disperazione di questo padre che cerca Gesù perché il figlio è in fin di vita, trova nel racconto dell’evangelista Giovanni alcuni dettagli interessanti:
“«Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli risponde: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino”.
Credere è mettersi in cammino proprio quando ci mancano prove evidenti su ciò che crediamo. La fede non è un convincersi un po’ alla volta ma bensì è un affidarsi un po’ alla volta. È in questa dinamica di graduale fiducia che la grazia di Dio opera cambiamenti:
“Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia”.
Molti di noi invece ragioniamo al contrario perché ricerchiamo prove per poterci affidare ignorando che solo la fede ci permette di vedere un cambiamento. Senza fede ci rimangono solo i fatti senza vie d’uscita, la fede invece è l’intuizione di un imprevisto che cambia tutto. Se non credi che possa esserci un imprevisto nell’ineluttabilità della vita, allora la vita rimane ineluttabile.
http://www.nellaparola.it
Meditazione di Papa Francesco
Lunedì della IV settimana di Quaresima
Is 65,17-21 Sal 29 Gv 4,43-54: Va’, tuo figlio vive.
Siamo noi il «sogno di Dio» che, da vero innamorato, vuole «cambiare la nostra vita». Per amore appunto. A noi chiede solo di avere la fede per lasciarlo fare. E così «possiamo solo piangere di gioia» davanti a un Dio che ci «ri-crea».
Come si cambia
Nella prima lettura, tratta da Isaia (65, 17-21) «il Signore ci dice che crea nuovi cieli e nuove terre, cioè “ri-crea” le cose». «Parecchie volte abbiamo parlato di queste “due creazioni” di Dio: la prima, quella che è stata fatta in sei giorni, e la seconda, quando il Signore “rifà” il mondo, rovinato dal peccato, in Gesù Cristo». E «abbiamo detto tante volte che questa seconda è più meravigliosa della prima». Infatti, «la prima è già una creazione meravigliosa; ma la seconda, in Cristo, è ancor più meravigliosa».
Mi soffermo «su un altro aspetto», a partire proprio dal passo di Isaia nel quale «il Signore parla di quello che farà: un nuovo cielo, una nuova terra». E «troviamo che il Signore ha tanto entusiasmo: parla di gioia e dice una parola: “Godrò del mio popolo”». In sostanza, «il Signore pensa a quello che farà, pensa che lui, lui stesso sarà nella gioia con il suo popolo». Così «è come se fosse un “sogno” del Signore, come se il Signore “sognasse” di noi: come sarà bello quando ci troveremo tutti insieme, quando ci troveremo là o quando quella persona, quell’altra, quell’altra camminerà…».
Ecco «una metafora che ci possa fare capire: è come se una ragazza con il suo fidanzato o il ragazzo con la fidanzata pensasse: quando saremo insieme, quando ci sposeremo…». Ecco, appunto, «il “sogno” di Dio: Dio pensa a ognuno di noi, ci vuole bene, sogna di noi, sogna della gioia di cui godrà con noi». Ed è proprio «per questo il Signore vuole “ri-crearci”, fare nuovo il nostro cuore, “ri-creare” il nostro cuore per fare trionfare la gioia».
«Avete mai pensato: il Signore mi sogna? Mi pensa ? Io sono nella mente, nel cuore del Signore? Il Signore è capace di cambiarmi la vita?». Isaia ci dice anche che il Signore «fa tanti piani: fabbricheremo case, pianteremo vigne, mangeremo insieme: tutti quei progetti tipici di un innamorato».
Del resto, «il Signore si manifesta innamorato del suo popolo» arrivando persino a dire: «Ma io non ti ho scelto perché tu sei il più forte, più grande, più potente; ma ti ho scelto perché tu sei il più piccolo di tutti». Di più, «si potrebbe dire: il più miserabile di tutti. Ma io ti ho scelto così, e questo è l’amore».
«Da lì questa continua voglia del Signore, questo suo desiderio di cambiare la nostra vita. E noi possiamo dire, se ascoltiamo questo invito del Signore: “Hai mutato il mio lamento in danza”», ossia le parole «che abbiamo pregato» nel salmo 29. «Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato» dice ancora il salmo, riconoscendo così che il Signore «è capace di cambiarci, per amore: è innamorato di noi».
«Credo che non ci sia alcun teologo che possa spiegare questo: non si può spiegare». Perchè «su questo si può soltanto riflettere, sentire e piangere di gioia: il Signore ci può cambiare». A questo punto viene spontaneo chiedersi: che cosa devo fare?. La risposta è chiara: «Credere, credere che il Signore può cambiarmi, che lui può». Esattamente ciò che ha fatto quel funzionario del re che aveva un figlio malato a Cafàrnao, come racconta Giovanni nel suo Vangelo (4, 43-54). Quell’uomo, si legge, a Gesù «chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire». E Gesù gli risponde: «Va’, tuo figlio vive!». Dunque quel padre «credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino: credette, credette che Gesù aveva il potere di guarire il suo bambino. E ha avuto ragione».
«La fede è dare spazio a questo amore di Dio; è fare spazio alla potenza, al potere di Dio, al potere di uno che mi ama, che è innamorato di me e che desidera la gioia con me. Questa è la fede. Questo è credere: è fare spazio al Signore perché venga e mi cambi».
«È curioso: questo è stato il secondo miracolo che Gesù ha fatto. E lo ha fatto nello stesso posto nel quale aveva fatto il primo, a Cana di Galilea». Nel passo del Vangelo di oggi si legge infatti: «Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino». Di nuovo «a Cana di Galilea cambia anche la morte di questo bambino in vita». Davvero «il Signore può cambiarci, vuole cambiarci, ama cambiarci. E questo, per amore». A noi «chiede soltanto la nostra fede: cioè, dare spazio al suo amore perché possa agire e fare un cambiamento di vita in noi».
L’Osservatore Romano, 17 marzo 2015