“PADRE, NELLA TUA MISERICORDIA A TUTTI SEI VENUTO INCONTRO”
P. Carmelo Casile
3. IL DIO DELLA MISERICORDIA È PADRE E MADRE1
A suo tempo suscitò ampia risonanza e parve cosa inaudita l’affermazione di papa Giovanni Paolo I all’Angelus del 10 settembre 1978: “Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile…
È papà, più ancora è madre”.
Si può commentare questa affermazione con una testimonianza visiva, quella della celebre immagine secentesca di Rembrandt, il pittore olandese, maestro nel dare forma e colore ai più intimi stati d’animo. Si tratta dell’abbraccio che il vecchio padre offre al figlio prodigo. Gli occhi si sono spenti nella lunga attesa e le due mani poggiate sulla schiena ricalcano rispettivamente fattezze femminili e maschili. Dio dunque esprime amore a un tempo paterno e materno verso le sue creature, soprattutto quelle che, allontanatesi da lui, risultano ancor più bisognose.
La raffigurazione di Rembrandt come l’affermazione di Giovanni Paolo I, sono eco di una convinzione che rimonta alla più remota antichità, si rifà al pensiero dei Padri e all’insegnamento dei Santi:
“Io non ho madre, tu sei mia madre; io non ho padre tu sei mio padre” (Gudea di Lagash, 2150-2130 a.C., re mesopotamico).
Dio “per la misericordia con cui ci circonda è madre. Amandoci, il Padre è come se rivestisse un ruolo femminile” (Clemente Alessandrino, +212).
Dio “si fa…e padre e madre insieme” ed è “più che padre e madre” (Sant’Antonio M. Zaccaria, +1539).
“E così io vidi che Dio è contento di essere nostro padre; e Dio è contento di essere nostra madre” (Giuliana di Norwich, inizio del sec. XV )
A fondare il duplice attributo della paternità e della maternità divine è l’antropomorfismo del linguaggio biblico, sul quale ha richiamato l’attenzione la Lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II: «Se c’è somiglianza tra il Creatore e le creature, è comprensibile che la Bibbia abbia usato nei suoi riguardi espressioni che gli attribuiscono qualità sia “maschili sia femminili”».
3.1. Dio è Padre2
Il legame paterno-filiale che si stabilisce tra Dio e l’uomo, emerge con tutta chiarezza dalle pagine bibliche ed è riassunto in un’espressione lapidaria: “Io gli sarò Padre ed egli mi sarà figlio”.
Ciò viene detto per l’intero popolo d’Israele, che quindi fonda la sua esistenza proprio nel fatto di essere il figlio primogenito di Dio: Es 4, 21-23; Dt 14, 1-2; viene ancora detto per i re di Israele: 1Cr 22, 10; 28, 6; e in fine per Gesù Cristo: Eb 1, 5 e per il nuovo popolo di Dio: Ap 21, 7.
Nell’Antico Testamento, per tanto, emerge in primo piano l’immagine di Dio come Padre d’Israele. Egli è per definizione il Padre, in cui spicca l’attitudine della tenerezza: Sl 103, 13; Is 63, 15-16.
Una tenerezza che non è novità assoluta, perché è già attributo inalienabile di Jahvè: Es 34, 6; Sl 25, 6; 40, 12; 51, 3; 79, 8; 116, 5; 119, 77.156.
In quanto figlio primogenito di Dio, il popolo è libero e, quando viene reso schiavo, il Padre suo ne reclama la libertà e viene a riscattarlo: per lui ferisce i primogeniti d’Egitto e lo fa uscire dalla schiavitù: Es 1-15.
Passano i secoli e il popolo d’Israele, a causa della sua infedeltà, viene condotto in esilio. L’infedeltà del popolo non invalida però la fedeltà paterna di Dio, il quale interviene di nuovo in favore del suo primogenito, per farlo uscire dall’esilio in cui si trova. È quanto annuncia ripetutamente il profeta dell’esilio, il Secondo Isaia: Is 43, 1-7.
A lui si unisce anche Geremia, annunciando che durante il ritorno, nel cammino attraverso il deserto, Israele esperimenterà la protezione paterna di Dio: Ger 31, 9.
In questo contesto, le profezie raccolte nel Libro del profeta Isaia ci parlano della gloria di Dio, che rivela la sua smisurata grandezza nell’immagine di un padre, in modo da allontanare ogni sentimento di sfiducia nei confronti dell’intervento misericordioso di Dio nella storia del popolo come pure nella storia degli individui. Soprattutto il Secondo Isaia annuncia con le sue profonde intuizioni la nuova era, che comincerà definitivamente con la Incarnazione del Figlio di Dio. I suoi vaticini, infatti, predicono il tempo in cui l’Alleanza tra Dio e il popolo non sarà più come quella conclusa con gli antichi padri, ma qualcosa di diverso, che riflette la pienezza dell’amore del Signore. Il profeta descrive questa Nuova Alleanza, servendosi delle più belle immagini, per convincere il popolo che Dio si è rivelato come Signore non soltanto nel primo Esodo dall’Egitto, ma che lo stesso Dio sarebbe tornato con segni e prodigi per creare un nuovo Israele, per restaurare un regno di amore e di giustizia.
Anzitutto si ascolta l’annuncio che il Signore, nella sua protezione paterna verso Israele, non dimentica nessuno. È sbagliato dire: “La mia sorte è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio” (Is 40, 27).
Dio nella sua infinita bontà non si stanca di beneficiare quanti confidano in Lui. Da essi esige soltanto di sperare sempre, mettendo da parte ogni pessimismo e ogni inutile preoccupazione: “Quanti sperano nel Signore, riacquisteranno forza” (Is 40, 31).
Infatti, Dio interviene con la sua protezione paterna e liberatrice e rinnova le forze di chi crede in Lui, e con la forza gli infonde nuova vitalità che si diffonde nel suo corpo e nel suo spirito (cf. Ez 37, 1-14).
L’amore paterno di Dio è annunciato anche dal profeta Osea: Os 11, 1-11.
Dall’immagine di Dio-Sposo il profeta passa all’immagine di Dio-Padre. L’esperienza della paternità è divenuta trasparente nel profeta ed in essa contempla l’amore di Dio per il suo popolo. L’amore nuziale di Dio per Israele è accompagnato dall’amore paterno dello stesso Dio. Dio-Sposo è nello stesso tempo Dio-Padre per Israele.
Il profeta Osea, ricordando le origini d’Israele come popolo, sottolinea come la protezione di Jahvè verso il suo popolo è stata realmente quella di un padre, che insegna a dare i primi passi al suo piccolo figlio, liberandolo dai popoli nemici e operando prodigi per introdurlo fino all’accesso nell’età piena di adulto. Israele è il figlioletto coccolato da Dio. All’inizio lo fece uscire dall’Egitto e d’allora continua a chiamarlo e cerca di attrarlo “con legami di bontà” (v.4) o manifestazioni affettuose di compassione. L’immagine dei legami di bontà (o legami umani) sembra alludere alle corde con cui la mamma lega attentamente il suo piccolo al suo corpo, affinché non cada.
Israele è stato portato in braccio, protetto da Jahvè e alimentato da Lui (“mi chinavo su di lui per dargli da mangiare”) in modo miracoloso nel deserto, affinché non soccombesse nella sua infanzia come nazione. Ma Israele si comporta come un figlio ingrato e comincia a darsi una condotta depravata.
Jahvè, precisamente perché è Padre, non rinuncia alla sua protezione paterna e, per questo, deve correggere suo figlio. Non lo distruggerà, perché l’amore mai è distruttore, ma per mezzo del castigo purificatore, lo condurrà alla sua vera patria.
Questa è la storia di ogni persona umana nello sviluppo della sua vocazione divina: Eb 12, 1-13.
L’amore paterno di Dio è annunciato da Geremia come invito alla conversione, in cui Dio rivela la sua intimità di Padre:
“Su, riconosci la tua colpa,
perché sei stata infedele al Signore tuo Dio;
hai profuso l’amore agli stranieri sotto ogni albero verde
e non hai ascoltato la mia voce. Oracolo del Signore.
Io pensavo:
Come vorrei considerarti tra i miei figli e darti una terra invidiabile,
un’eredità che sia l’ornamento più prezioso dei popoli!
Io pensavo: Voi mi direte: Padre mio, e non tralascerete di seguirmi”(Ger 3, 13.19).
3. 2. Dio ha cuore di madre3
L’immagine di Dio-Padre, nella dimensione della sua tenerezza, viene sviluppata nei testi biblici in direzione dell’immagine di Dio-Madre, sottolineando la caratteristica materna della tenerezza divina e facendo risaltare così il volto materno di Dio.
Sion, Gerusalemme, identificata con il popolo d’Israele, si era lamentata: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato” (Is 49, 14).
Certo, avrebbe meritato il rimprovero divino per la sua sfiducia. Ma Dio, conoscendo la debolezza della città prediletta, le si era avvicinato con infinita delicatezza, rivelando con tristezza, sotto forma di domanda, quanto gli riuscisse penosa la sua sfiducia:
“Si dimentica forse la donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non mi dimenticherò mai.
Ecco ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49, 14-16).
Dio mostra una vera delicatezza materna nei confronti dei propri figli in pena e li consola:
“Succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni…
Poiché così dice il Signore:
– Ecco io farò correre verso di essa, come un fiume, la prosperità…,
i suoi bambini saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati.
Come una madre consola un figlio così io vi consolerò;
in Gerusalemme sarete consolati” (Is 66, 1-13).
In diversi altri passi di Isaia, l’amore di Dio, sollecito per il suo popolo, è presentato a somiglianza di quello di una madre: così come una madre, Dio “ha formato, ha portato, ha aiutato, ha sorretto” l’umanità e, in particolare, il suo popolo eletto nel proprio seno, lo ha partorito nei dolori, lo ha nutrito e consolato: Is 46, 3-4; 44, 2.24; 42, 14.
Anche nei Salmi Dio viene paragonato ad una madre premurosa:
“Io sono tranquillo e sereno
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l’anima mia.”: Sl 131, 2-3.
“Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno”: Sl 71, 6.
“Sei tu che ha i creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre”: Sl 138, 13.
La paternità divina si esprime, per tanto, come vera e propria maternità, fonte di bontà e di tenerezza che costituiscono due attitudini con cui la madre continua, su un piano psicologico, l’azione procreatrice.
È interessante notare come in alcuni testi profetici l’amore paterno di Dio, -espresso dalla parola hesed: amore forte, tenero, fedele nelle prove-, è espresso anche con il termine rachamim, che incorpora i tratti di carattere fisiologico della tenerezza materna, che mettono in movimento le viscere4.
Infatti, rachamim è la “matrice, il grembo materno, luogo della cura, della difesa e della crescita della vita nel suo primo sorgere e dice l’amore viscerale della madre verso i suoi figli. Così, questo termine con l’immagine della “matrice”, sottolinea quasi la fisicità della misericordia di Dio, che è quindi un amore “matriciale”, “sviscerato”, cioè un sentimento profondo, spontaneo, intimo, fatto di tenerezza, comprensione, compassione, indulgenza e perdono come quello di una madre verso i propri figli.
Se si rileggono le immagini che Osea applica a Dio, si può chiaramente notare che sono quelle tipiche di una madre premurosa che si prende cura dei suoi figli più piccoli: insegnar loro a camminare tenendoli per mano, sollevarli per poi baciarli sulla guancia, chinarsi per dar loro da mangiare. Dio usa nei confronti del suo popolo la stessa pedagogia d’amore che ogni mamma adopera con i suoi figli:
“Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio…
A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano,
ma essi non compresero che avevo cura di loro!
Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?…
Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11, 1 -4).
Allo stesso modo si esprime Geremia:
“Non è forse Efraim un figlio caro per me, un fanciullo prediletto?
Infatti, dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente.
Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza”.
(Ger 31, 20).
Appare così l’infinita differenza tra l’amore di Dio e l’amore umano: l’amore di Dio è stabile, fedele, non si lascia condizionare da sentimenti superficiali o da recriminazioni. L’amore di Dio verso l’uomo è l’unico principio che dà senso a tutti i suoi interventi nella storia che, proprio per questo, è Storia di Salvezza, cioè, dell’amore paterno-materno di Dio per il suo popolo e per l’intera umanità.
Dio è fedele in questo suo rapporto d’amore con gli uomini: è più fedele di una madre. Come ha promesso di non dimenticare mai la sua città, così non abbandonerà mai nessuno dei suoi figli. Come Gerusalemme sarà ricostruita e rivestita di nuovo splendore, così ciascuno di noi, che si è creduto dimenticato da Dio, tornerà a nuova vita. La nostra situazione di persone dimenticate, senza nome e dignità, in una parola, tutto ciò che ci fa sentire orfani e ci toglie la gioia di sentirci amati, sarà cancellato dalla nostra vita. Dio colmerà il nostro senso di vuoto e di incompiutezza con la sua presenza materna e ci farà sentire quanto grande sia il suo amore.
Dio non è uomo né donna. Nell’Antico Testamento il titolo di Padre riferito a Dio e le immagini della madre a lui attribuite trascendono i riferimenti maschili e femminili ed esprimono l’intero arco luminoso dell’amore di Dio, che ama le sue creature con cuore di padre e di madre. Esprimono, per tanto, la potenza creatrice, la protezione, l’autorità, il sostentamento della vita da parte di Dio, che ha viscere di misericordia e le manifesta come “viscere di misericordia del nostro Dio” (Lc 1, 78).
Allora ecco: Dio si presenta all’uomo con cuore di padre, con tenero amore di padre. L’amore paterno è “amore fontale”, potenza creatrice, perché sta alle origini della vita che procrea e sostiene. Nell’amore paterno si fa presente la sicurezza, la provvidenza, la protezione, il solido rifugio. Dio è padre d’Israele, perché lo ha scelto, lo ha liberato dalle schiavitù, lo protegge e lo vuole libero, perché possa espandersi nella comunione d’amore con Lui, nutrita di fede e priva di ogni costrizione. Ci ricorda anche la nobiltà della stirpe, la grandezza del destino e la ricchezza dell’eredità.
Nello stesso tempo Dio va incontro alla creatura umana con cuore di madre.
L’amore materno è, forse, quello che più fortemente resta inciso nel cuore dell’uomo, fino a poter dire: ”Il mio cuore è il cuore della mia mamma”.
Dio ci vuole assicurare la sua capacità di amarci come una madre, anzi, molto più, infinitamente più di una madre. Come fa una madre con il suo bambino, egli ci dà la vita, ci dà il corpo e il sangue, ci dà il cuore. Poi ci nutre, ci tiene puliti, ci protegge. Ci bacia, ci abbraccia, ci porta in braccio. Ci insegna tutte le cose della vita.
Non si dimentica mai di noi; addirittura, -per non perderci mai di vista e per non dimenticarci- ci ha disegnati sulle sue mani!…
** Ancora la misericordia! Sia sempre benvenuta! Da sempre non c’è parola più adatta per definire Dio; essa esprime mirabilmente gli aspetti fondamentali del volto divino. E’ inoltre figlia prediletta dell’amore e sorella della sapienza; nasce e vive tra perdono e tenerezza..
“ Oh Dio della misericordia, io so che il Tuo cuore racchiude tutta la tenerezza e tutta la dolcezza. Il mio cuore ha fame della Tua tenerezza. Avvolgimi sempre con il manto della Tua misericordia, Amen.” (Ignacio Larrañaga) **
3. 3 Dio Padre-Madre nella persona, nei gesti e nelle parole di Gesù
Nel Nuovo Testamento, Gesù ci chiama a contemplare nel Padre d’Israele il Padre suo, il Padre dell’umanità, Colui che ci vuole figli suoi nel Figlio. È dalla parola di Gesù che noi arriviamo a conoscere il vero nome di Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Sulle labbra di Gesù la parola “Padre” svela il segreto intimo di Dio, che è comunione trinitaria: il Padre che ama e genera il Figlio; lo Spirito Santo, amore reciproco tra Padre e Figlio, che procede dal Padre e dal Figlio. Il nome “Padre” deriva dalla generazione del Figlio nella carità. Per questo solo Gesù, il Figlio di Dio incarnato, può rivelare in pienezza il Padre e il suo amore per noi.
Dall’esperienza, dai gesti e dalle parole di Gesù sorge l’immagine di un Dio Padre, con cuore di madre, un Padre dal volto materno. In realtà, il Padre rivelato da Gesù è amore che comprende, che accoglie, che dona, ricco di misericordia, di perdono e di grazia. La persona di Gesù è la realizzazione storica e definitiva del modo di essere e di comportarsi di Jahvè, che dona all’umanità “il suo Figlio unigenito (cf. Gv 3, 16) e in Lui si china sull’umanità intera, abbracciandola con la sollecitudine e la tenerezza del Padre e della Madre.
- La compassione e la misericordia del “samaritano”: Lc 10, 33-37;
- la longanimità di fronte all’ “amico importuno”: Lc 11, 5-8;
- l’ “intercessione del vignaiolo”: Lc 13, 6-9;
- l’ospitalità generosa verso i poveri, storpi, zoppi, ciechi: Lc 14, 12-14.21-23;
- l’attenzione e il trattamento riservato al povero Lazzaro: Lc 16, 19-31, ma anche al ricco capo dei pubblicani: Lc 19, 1-11;
- il perdono smisuratamente generoso del “fratello”: Lc 17, 3-4;
- la ricerca di ciò che era perduto da parte del Figlio dell’Uomo: Lc 19, 19…:
Questi gesti sono le abitudini di Gesù.
Egli paga del suo in favore dell’uomo assalito e lasciato mezzo morto sulla strada; egli, salendo a Gerusalemme, zappa attorno al fico sterile, che rappresenta Israele, e vi mette il concime con il suo stesso ministero e, soprattutto, con la sua Passione-Morte-Risurrezione.
Le tre parabole della misericordia del cap. 15º di Luca sono una proclamazione e illustrazione delle tenerezza di Dio, specialmente la parabola del Figlio prodigo, che dimostra “come è fatto il cuore del Padre” (vv. 11-12).
Inoltre esse costituiscono l’autogiustificazione che Gesù offre di fronte alle mormorazioni di qualificati rappresentanti della sua nazione a causa della sua condotta messianica (vv. 1-3). Gesù giustifica le sue abitudini, appellandosi a quelle del Padre, a ciò che succede nel cielo davanti agli Angeli di Dio. La sua sollecitudine e tenerezza verso “tutti i pubblicani e peccatori” è la rivelazione e la realizzazione storica definitiva della sollecitudine e tenerezza del Padre verso tutti i suoi figli, i maggiori e i minori, Israele e tutti i popoli del mondo (cf. Tito 2 1-3, 7).
Gesù ama gli uomini con la stessa sollecitudine e tenerezza paterna e materna di Dio. Sullo sfondo delle parabole della misericordia emerge la figura di Gesù-pastore, di Gesù-donna di casa, di Gesù-padre e la sua gioia e la festa per il ritrovamento avvenuto (vv. 5-7.9-10.22-32).
Gesù, per tanto, che pure ebbe altissima la considerazione di Dio come Padre, fa trasparire dai suoi gesti e parole anche il volto materno di Dio.
Egli afferma di sé che “il Figlio unigenito… è nel seno…, nel grembo del Padre” (Gv 1, 18 e 13, 25), là dove i termini impiegati indicano rispettivamente il petto (muliebre) e l’utero materno, e di qui è “uscito” (Gv 13, 3; 16, 27.28.30; 17, 8) per venire nel mondo.
Non pochi protagonisti di celebri parabole sembrano vibrare di tenerezza fisiologica, “matriciale”, che rimanda ai tratti materni di Dio già registrati nell’Antico Testamento. È il caso del padrone indulgente verso il servo indebitato (Mt 18, 27), del Samaritano (Lc 10, 33) e del padre del prodigo al suo ritorno (Lc 15, 20).
Nel suo rapporto con Gerusalemme, Gesù si presenta sotto l’immagine della chioccia:
“Gerusalemme, Gerusalemme,
che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te,
quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli
come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!”
(Lc 13, 34-35; cf. Lc 19, 41-44).
Gesù è per Gerusalemme ciò che la chioccia è per i suoi pulcini, cioè, Gesù ama Gerusalemme e consegna se stesso per lei come una madre, nonostante le infedeltà di Gerusalemme.
Nella tenerezza di Gesù verso Gerusalemme si riflette la tradita fedeltà di Dio al suo primo amore.
Gesù focalizza ancora lo stile materno del suo amore fino alle sue ultime conseguenze, quando è già in prossimità della morte: Gesù, nel mistero della sua morte, è la madre che dà alla luce l’uomo nuovo:
“Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora;
ma quando ha dato alla luce il bambino,
non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo.
Così anche voi, ora, siete nella tristezza;
ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà
e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16, 20b-23a.21).
Quest’immagine è in stretta relazione con quella del chicco di grano che cade in terra e muore: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12, 24).
Nei due casi l’immagine si riferisce direttamente a Gesù, e perciò si applica anche alla sua comunità. Gesù dona la sua vita come una madre per creare l’uomo nuovo, quello che possiede la vita nuova e definitiva, ed i suoi sono chiamati a partecipare di questi dolori di parto, che saranno i dolori di parto della nuova umanità.
In conclusione:
L’amore di Dio è un amore di padre con cuore di madre, che ha nel suo Figlio Gesù “il primogenito” e in noi figli adottivi, grazie al dono dello Spirito Santo effuso nei nostri cuori nel sacrificio redentivo di Gesù sulla Croce. L’effusione dell’amore di Dio nei nostri cuori ci costituisce “profeti dell’amore di Dio nel mondo”.
Perciò, siamo chiamati ad essere, l’uno per l’altro, causa di salvezza attraverso la testimonianza vissuta, passiva ed attiva del suo amore.
Passiva in quanto viviamo il fatto che è Dio ad amarci per primo; attiva in quanto la consapevolezza che Dio ci ama dell’amore più disinteressato, ci muove a ricambiarlo con altrettanto amore, amando i nostri fratelli e figli suoi come Lui ci ama: la “divina misericordia” trabocca dal cuore di Dio Padre-Madre al Cuore del Figlio Gesù e dal Cuore di Gesù al nostro cuore e dal nostro cuore al cuore del mondo.
PADRE
| Come ti chiamerò, Tu che non hai nome? Colui che uscì dagli abissi della tua solitudine, il tuo inviato Gesù, ci disse che tu eri e ti chiamavi Padre. Fu una grande notizia. | Anche se tentassi di sfuggire al tuo cerchio d’amore, anche se scalassi monti e stelle, anche se volassi con le ali della luce, tutto sarebbe inutile… Mi insegui ineluttabilmente, mi circondi, mi inondi, mi trasfiguri. |
| Nella tranquilla sera dell’eternità, mentre eri vita e fuoco in espansione, io vivevo nella tua mente, mi carezzavi come un sogno dorato, e portavi scritto il mio nome sul palmo della tua mano destra. Io non lo meritavo, ma Tu già mi amavi senza un perché, mi amavi come si ama un figlio unico. | Mi dicono che i tuoi piedi percorsero i mondi e i secoli dietro alla mia ombra sfuggente, e quando mi incontrasti il cielo si profuse in canti. Con una notizia così buona mi hai trasformato in un figlio prodigiosamente libero. Grazie. |
| Dalla notte della mia solitudine alzo le braccia per dirti: o Amore, Padre Santo, mare inesauribile di tenerezza, coprimi con la tua Presenza, perché ho freddo, e spesso ogni cosa mi fa paura. Dicono che dove c’è amore, non c’è timore; perché, allora, questi negri destrieri mi trascinano verso mondi ignoti di ansietà, di paure e di apprensioni? Padre amato, abbi pietà, e dammi il dono della pace, la pace di un tramonto. Io so che Tu sei la Presenza Amante, l’Amore Avvolgente, bosco infinito di braccia. Sei perdono e comprensione, sicurezza e certezza, giubilo e libertà. Esco per la strada e Tu mi accompagni; mi ingolfo nel lavoro e mi rimani accanto; nell’agonia ed anche oltre mi dici: sono qui, vengo con te. | Ed ora demolisci i miei vecchi castelli, le alte mura del mio egoismo, finché non resti in me nemmeno la polvere di me stesso, e così io possa essere trasparenza per i miei fratelli. Allora, passando per i mondi desolati, sarò anch’io tenerezza ed asilo, illuminerò le notti dei pellegrini, dirò agli orfani: “Io vi sono mamma”, darò ombra agli esausti, patria ai fuggiaschi, e quelli che non hanno un focolare ripareranno sotto la grondaia del mio tetto. Tu sei il mio Focolare e la mia Patria. In questo focolare desidero riposare al termine del combattimento. Tu veglierai per sempre il mio sogno, o Padre, eternamente amante ed amato. Amen5. |
1Cf. DIO PADRE e MADRE, Quaderni di Eupilio / 17.
2Cf. Alberto Doneda, E DIO CREÒ IL CUORE, Ed. Dehoniane, pp. 49-59.
3Cf. Angelo Amato, Il Vangelo del Padre, Ed. Dehoniane, pp. 26-30.
4C. Maria Martini, Ritorno al Padre di tutti, Centro Ambrosiano, pp. 29-32.
5Ignacio Larrañaga, Incontro. Manuale di preghiera, Ed. Messaggero Padova, p. 11
Grazie.
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