Venerdì della I settimana di Quaresima
Ez 18,21-28 Sal 129 Mt 5,20-26: Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello.
Commento su Matteo 5,20-26
Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
Commento
di Silvano Fausti
Il comandamento “non uccidere” è chiaro: si vieta il male. Gesù aggiunge una cosa dicendo “ma io vi dico”, evidentemente non è che Gesù si contrappone…. Ma io vi dico: uccidete o fate la guerra santa. No, non dice così. Il “ma” di Gesù non è per negare il comandamento ma per dire qualcos’altro di più radicale e più profondo. Ma io vi dico: non basta non uccidere. Ci vuole qualcos’altro. Perché uno uccide? Ecco allora che Gesù va alle radici del male, la radice del male è l’ira e l’ira è il principio dell’omicidio, l’ira è un “movimento contro” che io sento, contro l’altro che suppongo sia contro di me. Quindi già l’ira è il vero omicidio, è contro l’altro. Ma non solo l’ira, anche dire “stupido”. “Stupido” è il disprezzo, tra l’altro per uccidere bisogna sempre disprezzare. Anche in politica gli avversari devono essere sempre stupidi, cattivi e in malafede, se no non sono avversari da eliminare e anche per fare le guerre sempre il nemico deve essere il perfido nemico, deve essere non-uomo perché se è uomo non puoi uccidere un tuo fratello. Il disprezzo è proprio alla base di ogni annientamento, perché prima lo annienti come persona, ne fai una maschera, uccidi in lui la dignità di figlio di Dio, una volta che lo disprezzi poi…basta…il resto segue… Quindi anche il dire “stupido”: sei indegno di giudizio. Come vedete allora sul comandamento “non uccidere” non è semplicemente “io non uccido e sono a posto”….e quali sono i tuoi sentimenti verso l’altro? L’altro non è il nemico? L’altro non è l’inferno? L’altro non è colui che consideri subito l’avversario, l’antagonista? È istintivo, è così. Quindi il problema è guarire il nostro cuore perché l’altro sia il fratello…lo dice varie volte….dice “al fratello” ecc…ecc…
È una cosa molto seria e molto grossa, come vedete il compimento della legge è qui, è tutt’altro che un insieme di norme sottili, di disquisizioni è realmente un cuore che sente verso l’altro gli stessi sentimenti che ha Dio.
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di Luigi Maria Epicoco
È troppo poco per il Vangelo essere giusti, noi dobbiamo essere molto più che giusti:
“Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”.
La giustizia di questo mondo coincide con il semplice stare alle regole. È una giustizia che salva innanzitutto la forma. Ma la verità è che la giustizia che ci viene dal Vangelo è una giustizia che supera anche le misure delle regole e della forma. È una giustizia che va alla sostanza delle cose, e molto spesso questa sostanza è nascosta a una lettura meramente superficiale della vita. Compiere il proprio dovere ci rende giusti, ma amare ciò che si fa ci rende cristiani. È l’amore che fa la differenza. Non basta non uccidere qualcuno con le proprie mani. Bisogna ricordarsi che ci sono tanti modi per uccidere il proprio fratello. Ad esempio ignorandolo, dimenticandoci di lui, denigrandolo, parlando male, mostrare agli altri le sue debolezze, ridicolizzarlo. Tutte queste cose non le troviamo nel codice penale, ma davanti alla Parola di Gesù ognuna di queste cose è grave come un omicidio. Può sembrare un’esagerazione, ma la verità è che il Vangelo vive di questa misura esagerata. Ecco perché c’è bisogno di un’intelligenza molto più profonda nel giudicare le cose. È quell’intelligenza che ci ricorda che non ha senso offrire a Dio qualcosa se si ha qualche conto in sospeso con il proprio fratello. Dio guarda la nostra capacità d’amare, non la nostra capacità di cadere in piedi.
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Meditazione di Papa Francesco
Venerdì della I settimana di Quaresima
Ez 18,21-28 Sal 129 Mt 5,20-26: Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello.
Anche la lingua può uccidere
Ricordandoci che San Giovanni dice a proposito di chi esprime risentimento e odio verso il fratello in realtà, nel suo cuore, già lo uccide, bisogna entrare nella logica del perfezionamento, quella cioè «di rivedere la nostra condotta». Evidentemente, si richiama il tema «dello screditare il fratello a partire dalle nostre passioni interiori. È in pratica il tema dell’insulto». D’altra parte, sappiamo quanto sia diffuso «nella tradizione latina» il ricorso all’insulto, con «una creatività meravigliosa, perché ne inventiamo uno dopo l’altro».
Finché «l’epiteto è amichevole, passi pure». Ma «il problema è quando c’è un altro epiteto» più offensivo. «Allora andiamo a qualificarlo con una serie di definizioni che non sono esattamente evangeliche». In pratica, l’insulto è un modo per sminuire l’altro. Infatti «non c’è bisogno di andare dallo psicologo per sapere che quando uno sminuisce l’altro è perché non può crescere, ha bisogno che l’altro vada più in basso per sentirsi qualcuno. Sono meccanismi brutti». Al contrario, Gesù con tutta semplicità dice: «Non parlate male degli altri, non sminuitevi, non squalificatevi. In fondo tutti stiamo procedendo per lo stesso cammino».
Questa riflessione trova ispirazione nel passo del vangelo del giorno, che è in continuità con il discorso della montagna. Gesù, ha detto, «annuncia la nuova legge. Gesù è il nuovo Mosè che Dio aveva promesso: darò un nuovo Mosè… E annuncia la nuova legge. Sono le beatitudini. Il sermone della montagna». Come Mosè sul monte Sinai aveva annunciato la legge, così Gesù è venuto a dire «che non viene a dissolvere la legge antecedente, ma a darle compimento, a farla avanzare, a farla maturare di più», per farla arrivare alla pienezza. Gesù «chiarisce molto bene che non viene ad abolire la legge fino a che l’ultimo punto e l’ultima virgola della legge siano compiuti». Anzi, è venuto per spiegare cosa sia questa nuova legge: «Evidentemente stava facendo un aggiustamento, stava adattandola ai nuovi parametri legali». È certamente una riforma; e tuttavia si tratta di «una riforma senza rottura, una riforma nella continuità: dal seme fino al frutto».
Quando Gesù fa questo discorso inizia con una frase: «La vostra giustizia deve essere superiore a quella che state vedendo ora, quella degli scribi e dei farisei». E se questa giustizia non sarà «superiore, si perderanno, non entreranno nel regno dei Cieli». Per questo, colui che «entra nella vita cristiana, colui che accetta di seguire questo cammino, ha esigenze superiori a quelle di tutti gli altri». E qui una puntualizzazione: «Non ha vantaggi superiori, no! Ha esigenze superiori». E proprio Gesù ne menziona alcune tra le quali «l’esigenza della convivenza», ma poi indica anche «il tema della relazione negativa verso i fratelli». Le parole di Gesù non lasciano via di scampo: «Voi avete ascoltato che è stato detto nel passato: non ucciderai. Colui che uccide deve essere portato in tribunale. Ma io vi dico che ognuno che si adira contro il suo fratello merita di essere condannato e ognuno che lo insulta merita di essere castigato dal tribunale».
Riguardo all’insulto Gesù è ancora più radicale e «va molto più in là». Perché dice che quando già «cominci a sentire nel tuo cuore qualcosa di negativo» contro il fratello e lo esprimi «con un insulto, con una maledizione, o con collera, c’è qualcosa che non funziona. Ti devi convertire, devi cambiare».
A questo proposito l’apostolo Giacomo dice che «una barca si guida con il timone e una persona la guida la lingua». Dunque, se qualcuno «non è capace di dominare la lingua, si perde». È un punto debole per l’uomo. È una questione che viene da lontano, perché «quell’aggressività naturale che ebbe Caino nei riguardi di Abele si ripete lungo la storia. Non è che siamo cattivi; siamo deboli e peccatori». Ecco perché «è molto più facile risolvere una situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione, che risolverla con le buone, come dice Gesù». D’altra parte, Gesù è chiaro in proposito, quando invita a mettersi d’accordo con il nemico e ad arrivare a una intesa per non finire in tribunale. E va anche più in là. «Se vai a lodare il Padre tuo e vai a presentare l’offerta all’altare e ti rendi conto che hai un problema con il tuo fratello, prima risolvi il problema».
In conclusione, chiediamo al Signore la grazia per tutti di «stare attenti un po’ di più alla lingua riguardo a quello che diciamo degli altri». È senza dubbio «una piccola penitenza, però dà buoni frutti». È vero che ciò richiede sacrificio e sforzo, perché è molto più facile gustare «il frutto di un commento saporoso contro l’altro»; alla lunga questa «fame fruttifica e ci fa bene». Da qui la necessità di chiedere al Signore la grazia di «conformare la nostra vita a questa nuova legge, che è la legge della mansuetudine, legge dell’amore, legge della pace», cominciando a «potare un pochino la nostra lingua, a potare un pochino i commenti che facciamo sugli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto, alla collera facile».
Messa a Santa Marta – Giovedì, 13 giugno 2013
(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 135, Ven.14/06/2013)