La misericordia di Dio si manifesta anzitutto come azione liberatrice, accolta con un atteggiamento interno di adorazione di Dio, espressa e alimentata attraverso il culto, che sfocia nella conversione del cuore.

Per rendercene conto basta soffermarci a considerare l’itinerario biblico dell’Esodo, che narra come Dio si preoccupò di liberare il suo popolo, e come la fede in Cristo Gesù rende possibile l’autentica libertà.

L’itinerario biblico dell’Esodo ci dà la carta d’identità del Dio della Bibbia, presentandocelo come “Il Dio Liberatore”.

Per tanto, il Dio della Bibbia non è il Dio dei filosofi, l’Altro, il Trascendente, che vive lontano e solitario senza prendersi cura di noi, ma è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe…. che interviene nella storia per liberare e salvare.

Per questo, l’Esodo è per Israele il Libro dei libri, l’epicentro della Scrittura, giacché da testimonianza sia dell’origine della sua storia sia della sua obbedienza al Dio Liberatore. La celebrazione della Pasqua farà memoria ogni anno di questa liberazione. Lavori forzati perpetui, sottomissione, vita senza un futuro …. da tutta questa schiavitù saranno strappati i figli d’Israele.

La nascita del popolo comincia con un esodo, cioè una “uscita”. Già nel deserto, esperimenteranno la libertà. D’allora in avanti staranno “in piedi”, invece di dover piegare il collo sotto il giogo del Faraone. Sono uniti per formare un popolo, invece di combattersi gli uni contro gli altri (cfr. Es 2,13). Impareranno il nome del loro Salvatore, invece di servire idoli e dei stranieri.

Il Dio della Bibbia sarà eternamente “colui che ci ha liberato dalla mano degli Egiziani”. Senza dubbio, il Dio di Mosè è Padrone e Signore; in questa storia spesso fa “esplodere il suo potere”. Ma l’Esodo fa risaltare il fatto che Dio è Dio perché libera. Il suo nome fa storia, e la sua azione si concentra in un gesto di liberazione. Dio ha visto la miseria del suo popolo e interviene in suo favore: “Venne fra la sua gente”. Esodo straordinario di un Dio che condivide la sofferenza di un popolo che chiama suo.

“Sono il Signore” potrebbe essere la rivelazione di un qualunque Dio, di un Dio che non libera, ma che riduce in schiavitù: un Dio onnipotente, Signore e padrone. Il Dio dell’Esodo dichiara: “Io  sono il Signore tuo Dio” D’ora in avanti il volto del vero Dio sarà inconfondibile, perché è Colui che si coinvolge nella storia, facendo sua la storia degli uomini. Dio si fa prossimo e afferma:” Ho deciso di prendermi cura di voi!”. Dio strappa l’uomo dall’oppressione che lo manteneva schiavo e, anno dopo anno, la notte di Pasqua sarà notte di speranza. Il Dio dell’Esodo rivela il suo Nome nello stesso tempo in cui agisce. “Io  sono colui che sono”. La rivelazione si compie quando gli uomini si trovano di nuovo in piedi, liberi.

Dio parla, Dio salva, Dio crea un popolo. Ma non è facile essere uomini e donne liberi … I figli d’Israele sanno questo fin dallo stesso giorno della loro uscita dalla schiavitù. Le lampade sono spente, la festa è finita. Agli accenti gloriosi del Canto di Mosè succedono le lamentele e le mormorazioni.

Ormai niente è sicuro per Israele, che sente subito la mancanza delle false sicurezze dell’ambiente strutturato del Faraone e degli alimenti d’Egitto. Ai figli d’Israele non sono sufficienti i 40 anni di peregrinazione attraverso il deserto per realizzare la loro vera Attraversata, imparando il cammino che porta alla Liberazione. Infatti questo è il vero Esodo: non dire mai “la nostra Salvezza è nelle nostre mani”. Si tratta di scoprire le nuove relazioni che Dio ha stabilito rivelandosi come “il Signore, tuo Dio”.

Il passaggio dalla schiavitù alla libertà è un passaggio nel quale si manifesta il Mistero di Dio. Infatti, non dipende dalla forza dell’essere umano, abbandonato a se stesso, passare dall’Egitto al deserto. Questo passaggio è presentato dalla Bibbia come una “azione creatrice” di Dio.

Così si può affermare che, mentre il Libro della Genesi narra la creazione del cielo e della terra ad opera di Dio, il Libro dell’Esodo narra la creazione che Dio ha fatto di un “essere libero”. Sia la creazione dell’universo e dell’uomo sulla terra, sia la creazione dell’uomo da schiavo a libero, sono opere divine.

Per questo, nella Sacra Scrittura Dio è presentato come creatore sia nel Libro della Genesi, dove si narra la creazione del cielo e della terra, sia nel Libro dell’Esodo, dove si narra la storia della liberazione dell’uomo.

Queste due opere sono eminentemente divine e la potenza di Dio che scende nel mondo, forse ha più difficoltà nel convertire l’uomo da schiavo in libero che dal creare dal niente il cielo e la terra. È vero che questo modo di parlare non esprime adeguatamente la realtà; tuttavia rimane il fatto che per descrivere la creazione, la Bibbia si serve di un capitolo, mentre per descrivere la liberazione dell’uomo, ha bisogno di ben 14 capitoli dell’Esodo, e solamente nel capitolo quattordicesimo l’uomo passerà, con grande fatica, dall’Egitto al deserto in cammino verso la Terra Promessa.

Quanto più meravigliosa ed immensa sarà   sotto il punto di vista spirituale  l’opera divina di far raggiungere all’uomo la libertà interiore!

Ecco il grande compito dell’uomo, per questo la Mishna afferma:
“In ogni generazione, ogni uomo deve considerarsi come se fosse uscito dallo Egitto personalmente. Infatti è scritto (Es 13,8): “Questo è in memoria di ciò che ha fatto Jahvè, perché con la sua mano potente ti ha fatto uscire Jahvè dall’Egitto” (Pesahim,10).

Forse si trova qui la ragione per cui l’ultima parte del Libro dell’Esodo, dopo la conclusione dell’Alleanza (Es 24), si dilunga con insistenza sulla descrizione della pratica del culto divino (Es 25  31; 35  40).

Considerando con attenzione la narrazione, l’Esodo non si conclude con la entrata di Israele nella Terra Promessa attraverso il Giordano che è narrata nel Libro di Giosuè, ma con l’entrata nel Tempio (cfr. Es 40).

Seguendo questa logica, il libro del Levitico viene immediatamente dopo il libro dell’Esodo, interrompendo la trama storica dei due libri che lo precedono, ed ha carattere quasi esclusivamente legislativo liturgico. Descrive, infatti, dettagliatamente ciò che riguardava i sacerdoti d’Israele, i quali appartenevano alla tribù di Levi, e le prescrizioni che regolavano il culto all’unico Dio da parte del popolo eletto.

Il popolo (e nel suo seno ogni individuo) rimarrà libero nella misura in cui dà il primo posto all’adorazione di Dio. Il Tempio è segno che Egli è presente e che la sua azione liberatrice continua e garantisce la conservazione delle mete umane raggiunte nel cammino di liberazione.

Il popolo di Dio rimarrà sotto questo influsso benefico e sarà libero, se dà il primato ad un atteggiamento interno di adorazione di Dio, espressa e alimentata attraverso il culto.

Infatti, il culto è un modo regolare e sistematico di realizzare ed esprimere la relazione dell’uomo con Dio secondo “il modello” rivelato all’uomo dallo stesso Dio in tutti i suoi dettagli, per sottolineare la trascendenza divina e la continuità dell’azione salvifica di Dio. Attraverso il culto il popolo celebra e vive il fatto che Dio è sempre il primo impegnato nella liberazione del suo popolo, che quindi guarda con fiducia al futuro.

1.1. L’uscita dall’Egitto

La liberazione d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto è un avvenimento fondamentale che sta alle origini del popolo eletto: Es 1  15. Fu una liberazione vittoriosa, nella quale Jahvè non pagò alcun riscatto agli oppressori di Israele. Gli Israeliti, schiavi in Egitto, erano oppressi e maltrattati: “Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù sali a Dio” (Es 2, 23).

In questa terribile disgrazia, “Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. Dio “guardò la condizione degli Israeliti e se ne prese pensiero” (Es 2, 24-25; 3, 7-9).

Dio ascoltò e guardò. Il testo non dice che i gemiti e le grida degli Israeliti erano espressamente diretti a Dio. E questi gemiti e grida di lamento, che forse non furono espressi in termini di una supplica esplicita, salirono a Dio, perché la sofferenza per se stessa è già preghiera e verità, che determina l’azione liberatrice di Dio, servendosi della mediazione di Mosè (Es 3 e 4).

È questo intervento liberatore che fa scoprire agli Israeliti il significato profondo del primo comandamento ricevuto nel deserto:

“Non avrai altri dei di fronte a me”, perché “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla condizione di schiavitù” (Es 20,3.2).

Questo comandamento garantisce la libertà d’Israele e di ogni uomo:
“Soltanto nella misura in cui io ho Dio per mio Assoluto, un Assoluto che mi supera infinitamente e dal quale non mi sentirò mai limitato, io non avrò nessun altro idolo, nessun mito che mi faccia suo schiavo” (D.M. Turoldo).

1.2. Dio, il “Gô’êl” d’Israele

Dopo che le infedeltà del popolo di Dio causarono la distruzione di Gerusalemme e l’esilio, la liberazione dei Giudei deportati a Babilonia fu una seconda redenzione, la cui buona novella costituisce il messaggio principale di Is 40  45: Jahvè, il Santo d’Israele, è il suo “liberatore”, il suo Gô’êl: Is 43, 14; 44, 6.7.24; 47, 4;cf. Ger 50, 34.

La funzione di Gô’êl è una istituzione familiare dei nomadi dell’Oriente. Il “Gô’êl” è un liberatore, un redentore, un difensore, un protettore dei diritti dell’individuo e del gruppo. L’obbligo più grave è quello di vendicare il sangue. Il canto di Lamech (Gn 4, 23-24) esprime questo dovere in forma selvaggia e violenta. Anch’oggi, tra gli Arabi, quando muore uno di loro, si dice: “Il nostro sangue è stato versato”.

“Nell’antico diritto ebraico, il Gô’êl è il parente prossimo a cui incombe il dovere di difendere i suoi, sia che si tratti di mantenere il patrimonio familiare (Lv 25, 23ss), di liberare un “fratello” caduto in schiavitù (Lv 25, 26-49),di proteggere una vedova (Rut 4, 5), oppure dì vendicare un parente assassinato (Nm 35, 19ss). L’uso del titolo Gô’êl in Is 40  55 suggerisce la persistenza di un legame di parentela tra Jahvè e Israele: per l’alleanza contratta al tempo del primo Esodo (cf. già Es 4, 22), la nazione eletta rimane, nonostante le colpe, la sposa di Jahvè (Is 50, 1). Tra le due liberazioni il parallelismo è manifesto (cf. Is 10, 25ss; 40, 3): come la prima, anche la seconda è gratuita (Is 45, 13; 52, 3), e la misericordia di Dio vi è ancor più manifesta, dato che l’esilio era il castigo dei peccati del popolo” (Léon-Dufour).

Per tanto, Jahvè è Liberatore (“Gô’êl “) del popolo israelita. È liberatore di individui (schiavi ed oppressi) dalla morte, dall’oppressione, dalla malattia; è vendicatore del sangue, come si dichiara in Es 4, 22-23 e in Dt 32, 41-43. Ma c’è di più: il Deutero-Isaia concepisce “il Gô’êl ” come un titolo tipico di Jahvè: Is 44, 6.7.24; 49, 26; 60, 16; 63, 16; Os 13, 14; Gb 19, 25; Sl 19, 15; Sl 103, 4.

Dio, che è liberatore d’Israele, lo è principalmente nell’Esodo dall’Egitto e nell’Esilio di Babilonia. La grande festa della LIBERTÀ, che ha luogo ogni anno, si celebra nella PASQUA.

Secondo la Bibbia, dalla Genesi fino ai Vangeli, il genere umano e dentro di esso Israele è famiglia di Dio e l’uomo suo consanguineo. E Dio, che progettò l’uomo come un suo consanguineo, non potrà mai tollerare che siano sfruttati e sfigurati coloro che sono sua “immagine e somiglianza”, suoi familiari e figli. Offendere i suoi figli è offendere Lui; sfruttare i suoi figli è sfruttare Lui.

L’autentica liberazione nasce dall’iniziativa di Dio, che fin dall’eternità non dubitò di sommergersi, senza confondersi, nella storia degli uomini. Essere l’Emmanuele, il Dio con gli uomini: condividendo la loro vita e camminando con loro.

Ma, prima della Liberazione definitiva, numerose altre prove dovevano ancora abbattersi sul popolo eletto, che nelle tribolazioni non cesserà d’invocare il soccorso di Dio (cf. Sl 25, 21; 44, 47) e di ricordarsi della prima redenzione, pegno sicuro e figura di tutte le altre: “Non trascurare quella porzione che ti sei liberato dalla terra d’Egitto”. Cosi prega Mardocheo: Ester 4, 17g.

Lo stesso tema appare nelle parole di Giuda maccabeo prima di affrontare il nemico Gorgia presso Emmaus: 1Mac 4, 8-11.

Gli ultimi secoli precedenti la venuta del Messia sono contraddistinti dall’attesa della “Liberazione definitiva”: “Israele sarà salvato dal Signore con salvezza perenne. Non patirete confusione o vergogna per i secoli eterni” (Is 45, 17).

Le preghiere più ufficiali del Giudaismo chiedono al “Gô’êl ” d’Israele di affrettare il giorno. L’autore della Lettera agli Ebrei vede compiuta questa preghiera nella persona di Gesù, che con il suo proprio sangue “entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna” (Eb 9, 12).

1.3. Prolungamenti personali e sociali

Su di un piano personale, la liberazione operata da Dio in favore del suo popolo si prolunga e si rinnova in certo modo nella vita di ogni fedele: “Per la vita del Signore che mi ha liberato da ogni angoscia” (2 Sam 4, 9).

È questo un tema frequente della preghiera dei Salmi. Talvolta il salmista si esprime in termini generici senza specificare cui è o è stato esposto (Sl 19, 15; 26, 11); altre volte dice di essere alle prese con avversari che attentano alla sua vita (Sl 55, 19; 69, 19), oppure la sua preghiera è quella di un malato grave che sarebbe morto senza l’intervento di Dio (Sl 103, 3s). Ma già si notano i segni precursori d’una speranza più profondamente religiosa (cf. Sl 31, 6; 49, 16).

Sul un piano sociale, la legislazione biblica è anch’essa contrassegnata dal ricordo della prima liberazione d’Israele; lo schiavo ebreo doveva essere lasciato libero il settimo anno, in onore di quanto Jahvè aveva fatto per i suoi (Dt 15, 12-15). La legge non era sempre rispettata (Ne 5, 1-8); tuttavia “rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo”, è una delle forme del “digiuno che vuole Jahvè” (Is 58, 6).

1.4. Dalla liberazione socio  politica alla libertà dei Figli di Dio

Senza dubbio, la liberazione dal giogo imposto dalle Nazioni alla Terra Santa era il grande dono atteso da molti Giudei come frutto dell’intervento di Dio, e forse anche i pellegrini di Emmaus pensavano che questa fosse la missione di “colui che doveva liberare Israele” (Lc 24, 21). Ma ciò non esclude che l’élite spirituale (cf. Lc 2, 38) potesse infondere in questa speranza un contenuto religioso più autentico, conforme era già espresso nella conclusione del Salmo 130, 8: “Jahvè redimerà Israele da tutte le sue colpe”. Infatti, la vera liberazione implicava la purificazione del resto, chiamato a partecipare alla santità del suo Dio (cf. Is 1, 27; 44, 22; 59, 20).

Dio è la roccia della nostra salvezza, il nostro liberatore (Sl 18, 3), è la grande bontà che ci purifica dai nostri peccati (Sl 51). Il Dio liberatore scende anche nell’intimo del nostro spirito per creare un cuore puro.

Ogni uomo, per entrare in un autentico processo di liberazione personale, ha bisogno di un punto di riferimento stabile, che gli serva da bussola che gli indichi la meta da raggiungere.

L’unica fonte di stabilità per il cuore umano è Dio: “Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, e pongono la speranza nei cavalli, confidano nei carri perché numerosi e sulla cavalleria perché molto potenti, senza guardare al Santo d’Israele e senza cercare il Signore” (Is 31, 1).

Geremia, dopo aver sottolineato che è “maledetto l’uomo che confida nell’uomo che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal Signore”, presenta una bellissima immagine per definire l’uomo che si àncora in Dio:
“Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti” (Ger 17, 5-8).

In quanto liberatore che purifica il nostro cuore, Dio non è “il seno materno” che ci libera (aliena) dai rischi e difficoltà della vita, ma il Dio che taglia il cordone ombelicale e ci lancia nel cammino verso l’età adulta della fede, insegnandoci a non evitare le prove ma ad affrontarle come opportunità di purificazione del cuore e di crescita nella libertà creativa e responsabile.

Dio vuole figli adulti e semplici come bambini ma non infantili; perciò non ha paura di lasciarci soli e di mostrarsi a noi come il Dio che risponde alle nostre domande, ma soprattutto questiona, interviene e sfida (cf. Sl 95).