Una metafora che tutti capiamo per interrogarci su come essere chiesa e parrocchia oggi
di VEZIO ZAFFARONI
7 febbraio 2024
http://www.vinonuovo.it
Chiesa/Parrocchia autogrill! Ma che definizione strana e “irriverente” è?
Ho sentito questa affermazione ad una recente assemblea di Azione Cattolica da parte di un partecipante, mentre si stava parlando della Chiesa oggi, di cosa può dare agli uomini e alle donne del XXI secolo, in parallelo con la definizione data da papa Francesco della Chiesa come “ospedale da campo”, che cura le ferite dell’anima e del cuore, quindi attiva sul versante della misericordia.
Chi faceva questa affermazione si riferiva a quelli che, nella Chiesa o nell’approcciarsi ad essa, “vanno e vengono”: come noi, quando facciamo un viaggio, dopo un po’ di chilometri abbiamo bisogno di una sosta, all’autogrill appunto, per un caffè, per mangiare o bere qualcosa… così ci sono persone che, nel loro percorso di vita, forse nella frenesia della vita di oggi che tutto divora, hanno bisogno di una sosta per “ricaricare le pile”, per riflettere e capire dove sta andando la loro vita e, nel nostro caso, questa sosta può essere la Chiesa/Parrocchia/comunità cristiana.
Proviamo ad approfondire la questione che non è così strampalata.
Innanzitutto perché “vengono”? Perché, come si diceva poc’anzi, ci sono persone lontane dalla fede o persone che hanno “timbrato” i sacramenti dell’iniziazione cristiana, anche forse con il matrimonio in chiesa, che poi se ne sono andati, ma esse ad un certo punto della loro vita avvertono un smarrimento di senso, un’insoddisfazione del cuore e trovano così nella Chiesa/comunità cristiana quell’ancora di salvezza, quell’oasi di pace, quel “punto della situazione” che li può rimettere in carreggiata (visto che parliamo di autostrade e autogrill!).
Sicuramente la pandemia ha lasciato il segno, ha destabilizzato tanti, quel “siamo tutti sulla stessa barca, nessuno si salva da solo” ha aperto gli occhi, ha fatto pensare che il “delirio di onnipotenza” e l’individualismo non portano da nessuna parte; mettiamoci anche l’incertezza economica che stiamo vivendo (non possiamo far conto solo sulle cose materiali) e la forte preoccupazione per le guerre in corso (Ucraina, Palestina, senza dimenticare le altre sparse per il mondo) e il quadro generale diventa alquanto fosco. Ci sono poi quelli che “vengono” perché il loro percorso di vita ha preso strade sbagliate, ha subito brusche e/o drammatiche vicende e trovano, o sperano di trovare nella Chiesa un aiuto, un appiglio per una via d’uscita alle loro problematiche: questo approccio comunque assomiglia di più “all’ospedale da campo” che all’autogrill.
Perché allora gli stessi o altri se ne vanno? Su questo credo che la Chiesa/comunità cristiana debba interrogarsi seriamente sulle ragioni che portano a ciò. Forse “se ne vanno” perché non trovano le risposte ai loro bisogni o meglio non trovano l’interlocutore giusto e adatto che, innanzitutto, prima di dare consigli, indicazioni, prima di fare discernimento (spirituale), sa ascoltare chi gli sta davanti, sa mettersi in sintonia, sa entrare in empatia, sa fraternizzare con la persona in ricerca. Forse “se ne vanno” anche per il linguaggio, in particolare quello della liturgia, per le modalità di comunicazione della fede che dicono poco o nulla alla gente di oggi.
Perché nella liturgia, che deve comunque celebrare e comunicare il Mistero, si usano testi banali, datati nel linguaggio (per esempio, come capita in certe parrocchie, si insiste su preghiere e canti in latino come il “Tantum Ergo” dell’adorazione eucaristica) che lasciano indifferente o addirittura irrigidito chi ascolta e partecipa ad un determinato rito?
Anche il capitolo della “catechesi degli adulti” o “formazione cristiana dei laici” credo che debba essere rivisto e aggiornato, perché non raggiunge tutte le condizioni e le situazioni dell’uomo di oggi, in questo scorcio del XXI secolo.
Per queste ragioni sarà compito della Chiesa/Parrocchia/comunità cristiana, con buone proposte e azioni, far rimanere “quelli che vengono” affinché non se ne vadano, far loro percepire e gustare il senso e la bellezza di essere “casa” e non solo “autogrill”: casa che accoglie, ascolta e si prende a cuore le esigenze, le domande, le preoccupazioni di tutti, casa che cammina con l’umanità di oggi come Gesù con i discepoli di Emmaus.
Mi pare, allora, che possa starci la definizione di “Chiesa autogrill” che non deve essere vista come un “mordi e fuggi”, ma un primo passo, un primo approccio per assaporarne l’atmosfera, per capire che “aria si respira”, per trovare le prime risposte alle domande di senso, per costruire poi qualcosa di grande e di bello nel cammino della vita di ciascuno.