Ritiro sui Salmi (7)
P. Renzo Piazza
(riflessioni ispirate dal card. Martini)
Castel d’Azzano, 6-9 febbraio 2024
Confessio vitae, confessio fidei, confessio laudis (Salmo 50)
1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.
2 Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea.
3 Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
4 Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
5 Sì, le mie iniquità io le riconoscO,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
6 Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto:
così sei giusto nella tua sentenza,
sei retto nel tuo giudizio.
7 Ecco, nella colpa io sono nato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
8 Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo,
nel segreto del cuore mi insegni la sapienza.
9 Aspergimi con rami d’issòpo e sarò puro;
lavami e sarò più bianco della neve.
10 Fammi sentire gioia e letizia:
esulteranno le ossa che hai spezzato.
11 Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
12 Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13 Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
14 Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
15 Insegnerò ai ribelli le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
16 Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza:
la mia lingua esalterà la tua giustizia.
17 Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
18 Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocausti, tu non li accetti.
19 Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.
20 Nella tua bontà fa’ grazia a Sion,
ricostruisci le mura di Gerusalemme.
21 Allora gradirai i sacrifici legittimi,
l’olocausto e l’intera oblazione;
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.
Salmo 49 e salmo 50: un dittico
II Miserere è per ciascuno di noi una fonte di ricordi; sono diverse le emozioni che suscita in coloro che lo leggono. Questo salmo infatti ha una capacità straordinaria di penetrare nel cuore umano.
Nella stesura attuale il salmo 50, insieme al 49 che lo precede, sono come due momenti di un dittico, due momenti di una liturgia penitenziale.
Il salmo 49 esprime una grossa invettiva contro Israele, un rimprovero di Dio: “All’empio Dio dice: Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza? Ti siedi, parli contro il tuo fratello, getti fango contro il figlio di tua madre”.
I contesti del salmo
E il salmo 50 è la risposta, è l’uomo che accoglie queste parole e umilmente risponde, nella fede; così si spiega un po’ meglio qualche espressione del salmo 50, per esempio là dove dice: “perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio”. Il giudizio è quello del salmo 49, un giudizio che viene accettato e fatto proprio. Questo è il contesto nella collocazione attuale del salmo.
Evidentemente c’è anche un altro contesto storico che conosciamo ed è indicato nella introduzione antichissima: “Salmo di Davide quando venne a lui il profeta Natan, dopo che aveva peccato con Betsabea”.
Il Miserere viene connesso con il peccato di Davide ed ha alcune frasi che lo collegano in maniera molto significativa: “quello che è male si tuoi occhi, io l’ho fatto. Contro di te, contro te solo ho peccato” (v. 6).
Davide, nel segreto del suo peccato, non conosciuto, si accorge che ciò che ha fatto è sì contro un uomo, ma è contro Dio: “contro te“; quindi può essere letto come l’umile risposta di Davide e in questo senso è importante, perché il salmo è così pieno di fiducia, di tranquillità, di abbandono a Dio, che esprime veramente qualcosa di incredibile.
Noi tutti conosciamo bene cosa avviene nell’uomo dopo un peccato grave e sentito come tale: avviene una grande depressione, ordinariamente, una grande rabbia contro se stessi, una specie di rivolta contro di sé perché la propria immagine è stata svilita.
Si fugge dalla colpa, dal riconoscimento del peccato, si tenta di minimizzarlo, come se non fosse niente di importante. Di tutte queste cose certamente è stato tentato anche Davide; eppure il salmo è ricco di confidenza e di senso della potenza di Dio, è tutto sulla gratuità della salvezza divina del peccato.
Lectio del Salmo 50
Nella prima parte del salmo si ripete sei volte la parola peccato e sei volte i sinonimi della parola peccato: “lavami… cancella il mio peccato… lavami dalle mie colpe… mondami dal mio peccato… riconosco la mia colpa… il mio peccato mi sta dinanzi… contro di te ho peccato, quello che è male l’ho fatto… nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre… distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe”. Per sei volte c’è la parola ebraica fondamentale del peccato, dalla radice hata’, e altre sei volte termini sinonimi.
Dal v. 12 in poi la parola peccato non appare quasi più, se non come di passaggio: «Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno».
La seconda parte è tutta creativa: si parla di creazione, di novità, di libertà; di lode, di sacrificio, di animo generoso, di Spirito Santo.
Confessio vitae, confessio fidei, confessio laudis
Se esaminiamo ancora più a fondo la struttura del salmo, possiamo addirittura distinguervi una confessio vitae, una confessio fidei ed una confessio laudis: tutte e tre messe insieme come un grande insegnamento sul cammino dell’uomo reale, cioè peccatore, di noi uomini fallibili e poveri davanti al Dio dell’Alleanza.
Queste tre parti hanno una premessa, che è un po’ la tematica: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato, lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato“, sono i temi negativi e positivi – peccato, colpe, peccato, misericordia, bontà, pietà, lavami, mondami – che attraverseranno il salmo. L’uomo ha solo il peccato da presentare a Dio ma è certo che Dio è attivo su di lui, lo lava, lo monda, lo purifica, perché è buono, è pietà, è misericordia. È il Dio dell’Esodo che viene qui conosciuto e proclamato: “Avrò pietà di chi avrò pietà, avrò misericordia di chi avrò misericordia”, perché la mia misericordia nasce da me stesso, non è un comandamento che io debbo dare; è la mia natura, è il mio essere, è il mio amore.
Dopo l’introduzione, c’è la prima parte o confessio vitae (vv. 5-8): è l’uomo che, per così dire, si appropria del suo peccato, lo riconosce come parte di sé, della propria storia, della propria povertà. Invece di scusarlo lo accetta francamente: “Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato”; accetta la conoscenza della propria fragilità, della propria incapacità a portare a termine i suoi programmi operativi nell’ordine morale.
È l’uomo che si riconosce bisognoso di essere salvato.
Arriva addirittura ad una appropriazione ontologica, somatica: “Nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre”. Sono fatto così ed accetto di essere fatto così, ma: “Tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza”, e la sapienza è la povertà nostra, la certezza della inevitabilità della nostra fragilità (non la certezza dell’efficacia dei nostri propositi) francamente assunta, ricevuta con animo profondamente umile, con una verità che è insieme pacatezza e accettazione del poco, del niente che sono.
La confessio vitae è una certa pace con noi stessi, anche come difettosi, imperfetti, capaci di ricadere, capaci di qualunque cosa: una certa pace con l’uomo che riconosce davanti a Dio la propria povertà.
La confessio fidei è la seconda parte, dal v. 9 al v. 14 ed è la certezza ripetuta in mille modi che Dio è capace di fare qualcosa di nuovo. È un inno alla iniziativa creativa, salvifica di Dio che con la potenza dello Spirito cambia l’uomo.
Noi siamo molto scettici su questo punto, facciamo fatica ad accettare che l’uomo cambi, che sia cambiato, proprio perché ci è lontana questa forte confessio fidei. Ma questo uomo che ha sperimentato gravemente la propria insufficienza morale dice: «Lavami e sarò più bianco della neve». Anzi parla di gioia, di letizia: Fa‘ che le mie ossa esultino, che io mi metta a saltare, danzare, cancella le mie colpe in maniera che non esistano più, creami un cuore puro, uno spirito saldo, come un uomo che vive sempre alla presenza di Dio, generoso, pieno della gioia di essere salvato. Colui che si è appropriato umilmente della propria debolezza, riceve qui il dono di appropriarsi della potenza di Dio e di sentirsene rivestito.
Infine la confessio laudis che in questo caso non è per il passato ma per il futuro: “Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno; (…) la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode“.
L’uomo è reso capace di guardare al futuro in maniera creativa, anzi in maniera attiva; io aiuterò altri: “La mia lingua esalterà la tua giustizia”, io sarò predicatore della tua salvezza.
È ciò che viene detto a noi ogniqualvolta sperimentiamo la potenza di Dio: «Va’ e annuncia quanto Dio ha fatto per te, cioè sii testimone della salvezza ricevuta».
Una salvezza per tutti
Questa salvezza, nella finale del salmo, diventa una salvezza universale. “Nel tuo amore fa’ grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme”.
Mostra come il popolo di Dio recitando il salmo 50, desiderava che questa salvezza non fosse solo sperimentata dal singolo, dal credente, ma la viveva come una salvezza che sarebbe stata concessa a tutta una città, a tutto un popolo.
Testimoniare la misericordia
Alla fine del Salmo 50, viene espresso il proposito di missionarietà: “Insegnerò agli erranti le tue vie […] la mia lingua esalterà la tua giustizia […] apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”.
Colui che ha percorso il cammino della penitenza sente la missione come momento conclusivo di ciò che ha fatto e che ha vissuto.
Notiamo che il salmista esprime il suo impegno missionario in una maniera precisa: farò capire a chi è senza strada che una strada c’è, anzi che il Signore, gli sta venendo incontro.
L’esperienza del salmista
Chi ha percorso un genuino cammino penitenziale, può aiutare altri a capire che c’è una via d’uscita: Dio stesso viene incontro, in Gesù, come è venuto incontro a me. Più di una volta si verifica nella vita, infatti, che proprio chi è uscito da qualche tenebroso tunnel ha una singolare capacità di dire ad altri: “Coraggio! anche per te c’è sicuramente una via di uscita!”
Questa viene espressa dal salmista in modo aperto e libero, quasi gli fosse ridata la parola.
Le tre realtà che segnano la parola umana – la lingua, le labbra, la bocca – si aprono non per una imposizione o per dovere, bensì per una effusione che gli viene dalla pienezza che ha dentro di sé.
Com’è la mia testimonianza?
Una testimonianza a mezza bocca è poco efficace: quella invece che viene dall’esultanza della lingua, dalle labbra che si muovono con gioia, è veramente degna di essere rispettata e ascoltata.
Possiamo subito domandarci: “Com’è la mia testimonianza? È una testimonianza a mezza bocca, oppure, è una testimonianza spontanea, libera, gioiosa, in cui le parole vengono fuori da sole?”
In questo caso sta operando in me la tua grazia, Signore, è il tuo Spirito che mi apre la bocca perché io possa cantare le tue lodi con amore, perché io possa insegnare che c’è una strada a coloro che ritengono non ci sia più niente da fare.
L’esperienza della samaritana
Il Vangelo secondo Giovanni, al capitolo 4, ci presenta un altro esempio di una bocca che si apre alla testimonianza convinta e convincente: la donna samaritana.
“La donna intanto lasciò la brocca andò in città e disse alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”
Notiamo la finezza del particolare: “lasciò la brocca”.
Questa donna era venuta per attingere acqua, la brocca era la sua ricchezza, a essa era legata la sua vita quotidiana: eppure in questo momento tutto è dimenticato e la brocca slabbrata, abbandonata sul ciglio del pozzo, è come il segno di una esistenza da cui la donna è ormai uscita, è il segno di un incubo che ha lasciato dietro di sé.
Come i discepoli di Emmaus
A somiglianza dei due discepoli di Emmaus che interrompono la cena a metà, si alzano e corrono verso Gerusalemme, la samaritana rifà la strada, corre in città e va ad annunciare quello che le è accaduto.
Lo annuncia con parole piuttosto maldestre, in verità: “Che sia forse il Messia?” Di per sé non è un annuncio molto efficace, almeno da un punto di vista teologico.
Eppure queste parole sono una testimonianza efficacissima perché derivano da un’esperienza vissuta. La gente ha davanti una persona che non parla con parole imparate, che non ripete una lezione, ma che parla con il cuore e l’affanno di chi ha avuto un’esperienza formidabile, che a fatica si può comunicare.
Proclamare la misericordia
Alla samaritana si sono aperte le labbra e ha proclamato le lodi di Dio: con grande gioia e semplicità parla della misericordia di Dio verso di lei.
Di fronte all’esperienza del salmista e della donna samaritana, noi dobbiamo domandarci quale sia la nostra testimonianza missionaria di misericordia.
Un modo per rendere testimonianza alla misericordia di Dio è quello di accostarci al sacramento della riconciliazione, poiché proclamiamo che Dio è più grande del nostro peccato e la sua misericordia trionfa sulla fragilità dell’esistenza umana.
Conclusione
Ecco che cosa significa e che cosa comporta nella vita esser testimoni della misericordia divina: “Insegnerò agli erranti le tue vie”. Riconoscendo che siamo tutti molto lontani da questa testimonianza della misericordia, dobbiamo ritornare alla preghiera creativa del Salmo 50:
- “Crea in me, o Dio, un cuor puro” perché non l’ho e tu devi crearlo in me come cosa nuova;
- “Rinnova in me uno spirito saldo” là dove il mio spirito si adagia nella fatica e nella paura;
- “Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me uno spirito pronto” a essere testimone della tua misericordia di fronte a tanti miei fratelli e sorelle che aspettano questa testimonianza di te, Padre misericordioso, che mi hai amato, che mi hai chiamato, che mi hai fatto e mi fai camminare con i miei fratelli.