Ritiro sui Salmi 4)
P. Renzo Piazza
(riflessioni ispirate dal card. Martini)
Castel d’Azzano, 6-9 febbraio 2024
La gioia: l’uomo che ringrazia di esistere
Salmo 8
2O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalzala sua magnificenza.
3Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza
contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
4Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
5che cosa è l’uomo perché te ne ricordi,
il figlio dell’uomo perché te ne curi?
6Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato;
7gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
8tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
9gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.
10O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
L’esperienza di Davide
Questo salmo è certamente un inno di lode. Gli atteggiamenti del lamento e della lode, sono quelli che danno il ritmo alla preghiera dell’uomo:
la lode per la vita e il lamento per la vita che viene meno.
Questa volta non siamo di fronte a una semplice esclamazione di lode a Dio per la grandezza del creato e neanche a una semplice contemplazione della grandezza dell’uomo. Quindi questo inno trova sì il suo parallelo nel Cantico delle creature di san Francesco, ma non completamente.
Il Cantico delle creature è una contemplazione di chi si guarda intorno e vede le opere di Dio nel sole, nella luna, nelle stelle e lo loda per frate vento, per sora acqua, per frate foco, per sora nostra madre terra, per quelli che perdonano, per sora nostra morte.
Mi sembra invece che il centro generatore di questo salmo, che pure è un inno di lode, sia un altro e vorrei cercare di esprimerlo quasi rivivendo il salmo in qualche personaggio biblico che probabilmente l’ha vissuto in prima persona.
È un salmo che certamente deriva da una contemplazione della notte, della notte orientale, in Palestina, ricca di stelle, col cielo luminosissimo. Ma non è semplicemente una contemplazione poetica della notte, mi sembra che sgorghi da uno stupore che parte da una vicenda umana drammatica.
Mi immagino la figura di Davide quando era ancora un guerriero al servizio di Saul, che a un certo punto si sente tradito dal re, si sente braccato dalle sue guardie e allora fugge nel deserto di Giuda (cfr. 1Sam 19ss). E in questo deserto, pieno di anfratti, di burroni, di precipizi, Davide fugge correndo e a un certo momento cade la notte. Davide allora si ferma, si sente solo; il nemico ha perso le sue tracce e tuttavia è pieno di spavento, pieno di paura; gli è successo qualcosa di irreparabile, ha perso la fiducia del re; gli sembra che Dio l’abbia abbandonato e si ritrova solo nel freddo del deserto e della notte.
Ed ecco che in questo momento alza gli occhi, vede il cielo sopra di sé, vede queste stelle meravigliose che ci stupiscono ancora oggi, con una chiarezza, con una limpidità che quasi trafiggono gli occhi.
E Davide incomincia a pensare: Ma come è grande Dio, come è immenso! E in fondo come è piccola la mia vicenda. Sì, io mi sono fatto importante, ho creduto di essere qualcuno, e ora tutta la mia fortuna è andata a rotoli. Ma che cosa sono io di fronte a questo immenso universo? Di fronte a questo tempo senza fine di Dio? Di fronte a queste ricchezze sterminate che le dita di Dio hanno intessuto nella volta del cielo?
E mentre Davide si immerge in questa contemplazione, si placa gradualmente, dimentica i suoi affanni, il suo passato; si perde in questo sguardo verso le opere di Dio e a un certo momento pensa: Ma io sono amato da Dio! In fondo tutto questo universo è per me, Dio si ricorda di me, Dio non può dimenticarmi, Dio mi visita.
Ed ecco lo stupore del salmo: l’uomo che sente la sua povertà, la sua fragilità e improvvisamente si scopre al centro dell’universo, al centro dell’amore di Dio, della sua visita. Il testo dice: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché tu venga a visitarlo?”. E con queste due espressioni – “ti ricordi dell’uomo, lo visiti” – l’autore del salmo ha in mente un po’ tutta la storia di salvezza: Dio che si ricorda del suo popolo.
Come dice la Madonna nel Magnificat: “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia”; e come dice Zaccaria nel Benedictus: “Ha redento Israele, ha visitato il suo popolo”.
Quindi l’uomo Davide – e l’uomo che prega con questo salmo – di fronte all’immensità dell’opera di Dio che per un momento gli ha fatto dimenticare se stesso, si accorge di essere molto amato, di essere in questo grande universo oggetto di una predilezione attenta; sente che la storia di salvezza si sta attuando in lui: questa storia di salvezza che si attua perché Dio si ricorda delle sue promesse. Dio non abbandona mai nessuno, anzi visita ciascuno, gli riempie il cuore al momento giusto.
L’uomo nel piano di Dio
Da questo stupore nasce gradualmente in Davide la chiarezza che, in fondo, il mondo è suo. All’uomo è stato dato potere sulle opere delle mani di Dio: “Tutto hai posto sotto i suoi piedi, i greggi, gli armenti, le bestie della campagna, gli uccelli del cielo, i pesci del mare”. E allora quest’uomo ritrova la sua libertà. Prima si sentiva fuggiasco, ormai schiavo delle circostanze; ora, con lo sguardo a Dio e con la certezza che Dio lo ama, ha ritrovato il suo giusto posto, che è quello di essere libero, capace di piegare la storia, di usare delle cose per crescere nella verità e nella giustizia.
Così il salmo diventa un salmo di lode, ma di lode a Dio che in questo universo immenso, ama tanto questo piccolo uomo e gli ha dato questa grande responsabilità. L’uomo si sente quindi molto amato e molto responsabilizzato da Dio: gli è messa nelle mani la storia.
L’esclamazione che apre il salmo e lo chiude, “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra”, non è semplicemente, come dicevamo, uno sguardo contemplativo sulla creazione, quasi distaccato, ma è un’esperienza profonda dell’uomo che si sente amato e quindi ritrova il suo giusto posto nel cosmo, nella storia, ritrova il suo cammino in mezzo alle cose e sopra le cose.
Mi sembra che il centro generatore del salmo sia quello stupore che è espresso nell’interrogazione centrale: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?” Stupore da cui tutto il salmo riceve un ordine, una configurazione precisa; è diviso in due grandi parti che hanno come punto centrale questa interrogazione.
Nella prima parte si procede dall’universo, opera di Dio, per giungere fino all’uomo, piccolo essere sperduto, e nella seconda parte si procede da questo uomo molto amato da Dio per riaprire lo sguardo su tutto l’universo, di cui l’uomo è il punto chiave. Abbiamo qui un altro esempio dell’antropologia che sottostà ai salmi, la quale ruota intorno a questi tre grandi concetti: Dio creatore, l’uomo sommamente amato, l’universo opera di Dio affidato all’uomo.
Tre parole semplicissime, ma che ci danno tutto un quadro di antropologia e di comportamento umano. L’uomo non è solo, nessuno di noi è solo; è oggetto dell’amore di Dio e ciascuno di noi è al centro di una realtà di cui è fatto, per amore e con fiducia, responsabile.
Questa è la lettura del salmo che propongo: l’esperienza dello stupore di essere tanto amati, al centro di questo universo così complesso e che ci potrebbe apparire così ostile, oppure sul quale saremmo tentati di mettere le mani come rapinatori, distruttori delle cose.
La visione del salmo invece ci riporta all’universo, opera di Dio, affidato all’uomo non perché ne usi a suo piacimento contro se stesso o contro gli altri, o a propria rovina, ma perché ne faccia un canto di gloria a Dio.
In questa visuale noi recuperiamo anche quella del Cantico delle creature di san Francesco, se pensiamo che non è il cantico di un uomo che nella tranquillità di una visione pacifica contempla l’universo, ma il cantico di un uomo cieco e moribondo, stremato dalla malattia, di un uomo ormai corroso dalle forze della morte, che ha ancora la forza di riconoscere la grandezza di Dio, la sua bontà, la presenza dell’amore nella sua vicenda di vita.
Mi sembra dunque che possiamo cercare di intendere questo salmo nella sua forza drammatica, perché scaturito non da una semplice contemplazione, ma da una esperienza vissuta. E allora, per aiutarvi a meditare su questo salmo, suggerisco tre piste di lettura, che potrete approfondire in questo momento di silenzio e che dovrebbero anche portarci a qualche conclusione pratica.
La prima pista è una rilettura antropologica del salmo; la seconda è una rilettura cristologica (con al centro Cristo) e la terza è una rilettura eucaristica.
Tre piste di lettura
1) La rilettura antropologica suggerisce di rileggere il salmo con la domanda: chi sono io? Chi sono io in questa vicenda mia personale? Chi sono io con tutta la mia piccolezza, la mia povertà? Siamo chiamati a riconoscere nella preghiera: Signore, io non sono nulla di fronte a te, ma come sei grande tu che ti ricordi di me! E quindi il povero che sono io si esprime nella lode, nella riconoscenza perché Dio ha fatto di me grandi cose, mi ha dato gloria, onore e quindi devo prima di tutto partire da un grande concetto dei doni di Dio su di me.
Guai a noi se ci sviliamo, se ci banalizziamo; ciascuno di noi è grande, fatto poco meno degli angeli. Il testo ebraico sembra dire addirittura “poco meno di un Dio”, coronato di gloria e di onore: questo sono io. Questa riflessione antropologica è una contemplazione riconoscente di ciò che sono; e ciò che sono io è ogni uomo: degno di gloria e di onore. Allora ecco la conseguenza di questa rilettura antropologica: onore all’uomo.
So onorare veramente ogni uomo? So onorare l’anziano, oppure c’è nel mio comportamento verso le persone anziane che mi stanno vicine, e forse in casa, un senso quasi di compassione, di commiserazione verso persone “che non capiscono nulla”, di cui posso fare a meno, il cui parere non mi interessa? So veramente dare onore all’anziano? Anzi, so vivere il comandamento: “Onora il padre e la madre”? So rendere onore a coloro che Dio mi ha messo vicino? So rendere onore a ogni uomo rispettando l’anima del prossimo, rispettandone il corpo?
Faccio quindi del prossimo, di colui che mi sta vicino, della persona che conosco o che amo, qualcuno che onoro, oppure faccio dell’anima, della vita, del corpo di chi mi sta vicino un oggetto di cupidigia, di avidità, di bramosia, di egoismo, di sensualità?
Il non dare onore all’uomo onorato da Dio è assumere l’atteggiamento possessivo che carpisce o ghermisce qualcosa per sé, per il proprio tornaconto, per la propria sensualità, per la propria pigrizia, per il proprio egoismo. Ecco la linea di lettura antropologica: onoro ciò che Dio mi ha dato e onoro la realtà dell’uomo che mi sta intorno?
2) La lettura cristologica di questo salmo è invece quella suggerita da alcuni brani del Nuovo Testamento e penso in particolare al primo capitolo della lettera agli Ebrei, dove vengono riferite queste parole: “L’hai fatto poco meno degli angeli, di onore e di gloria l’hai coronato“, riferite a Cristo.
Oppure al capitolo quindicesimo della prima lettera ai Corinzi dove si dice: “Tutto hai posto sotto ai suoi piedi“, ogni cosa Dio ha posto sotto i piedi di Cristo, anche la morte.
La lettura cristologica significa rileggere il salmo riconoscendo nel Cristo risorto questo figlio dell’uomo, fragile, ricolmato da Dio nella sua risurrezione di gloria e onore, e fatto Signore della storia e della vita. La lettura cristologica ci invita a onorare Cristo, ad adorare Cristo Signore della storia e della vita, figlio di Dio, a cui come uomo è stato dato potere in cielo e in terra, e quindi anche potere sulla mia vita, sul mio avvenire.
La domanda che nasce da questa lettura è: riconosco Cristo, Signore della storia e della vita? Come riconosco Cristo Signore della mia vita? Soprattutto ricevendo da Cristo la mia vocazione, riconoscendo Cristo come colui che mi chiama; che mi chiama a vivere la mia vita secondo il suo disegno.
Allora la preghiera, in questa rilettura cristologica, è: Signore, che cosa vuoi da me? Signore della mia vita, che cosa vuoi che io faccia di questa mia vita, che cosa vuoi che io faccia del mio avvenire?
Il Padre ha posto ai tuoi piedi, a te risorto, tutto il mondo. Io ti onoro, o Signore del mondo e della storia, e desidero con la mia vita esprimere la tua signoria sulla storia. Desidero farlo rispondendo alla mia vocazione; e nel mio ambiente, nella realtà che sta tra le mie mani, desidero esprimere che tu sei Signore di questa realtà.
3) C’è pure una rilettura eucaristica: chi è questo Dio che visita ciascuno di noi, uomini poveri, che si cura di noi, che si ricorda di noi? È il Cristo eucaristico, centro della vita della Chiesa. E come diciamo: “O Signore, non sono degno che tu venga dentro di me”, possiamo dire: Signore, che cosa siamo noi perché tu ci ricordi, che cosa siamo noi perché tu ci faccia la compagnia eucaristica in questa chiesa, nelle nostre chiese? Come posso io ricambiare questo tuo ricordo per noi? Adorandoti nel riconoscimento della tua presenza.
In questa rilettura eucaristica cogliamo Gesù risorto-eucaristia come Signore del mondo e della Chiesa. È proprio questa signoria del Cristo che nell’eucaristia è centro, fonte, sorgente della vita della Chiesa. Tutto è posto sotto i suoi piedi, tutto è suo, tutto a lui ritorna attraverso l’eucaristia e tutto da lui parte, nella vita delle comunità.
La buona novella
Voglio terminare con una citazione della prima enciclica di papa Giovanni Paolo II. Dice il papa: “Quale valore deve avere l’uomo davanti agli occhi del Creatore se ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore, se Dio ha dato suo Figlio affinché l’uomo non muoia, ma abbia la vita eterna”.
E continua: “In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la buona novella. Si chiama anche cristianesimo”. Dunque questo salmo può essere riletto come il salmo della buona novella, dello stupore riguardo all’uomo tanto amato da Dio.
Questo stupore – continua il papa – giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, nel mondo contemporaneo.
Possiamo quindi pregare questo salmo con tutta la Chiesa, per farci voce di ogni uomo e perché questo stupore nostro diventi lo stupore di ogni uomo che riconosce di non essere solo e sperduto in un universo cieco e senza direzione, ma sa di essere molto amato e di avere nelle mani una grande responsabilità per questo mondo e per questa storia.
Mi spiace d’aver scoperto la notizia solo oggi, lunedi 7. Sarei venuta molto volentieri. sr Giovanna da Cesiolo- Vr
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