Di seguito alcune pagine stupende di quel profeta che è stato don Divo Barsotti sulla festa che celebriamo il 2 febbraio…

Nelle letture della festa di oggi si manifesta la continuità e insieme il contrasto veramente profondo fra Antico e Nuovo Testamento. A questo proposito la liturgia di oggi è esemplare; forse nessun’altra liturgia durante l’anno dice maggiormente questa continuità e questa differenza.

La continuità sta nel fatto stesso che abbiamo ascoltato l’ultima profezia di Israele – Malachia è l’ultimo profeta – e poi abbiamo visto l’adempimento di questa profezia. Ma proprio nell’adempimento si vede anche la differenza profonda fra Antico e Nuovo Testamento. «Chi potrà sopportare la sua venuta? Chi potrà sussistere nella sua presenza?», diceva Malachia. Ditemi un po’ se ci volevano queste parole così grandi per vederne poi l’adempimento in un bambino che non sapeva nemmeno parlare e veniva portato nel Tempio! «Egli è come la lisciva del lavandaio, come il fuoco dei fonditori». Vi sembra che sia proprio tutto vero? Se c’è uno che ha subito la lisciva, uno che ha subito il fuoco è stato proprio Lui, Lui che è morto sopra la croce! E la sua presenza ha lasciato il mondo qual era. Non vi sembra che sia molto strano questo connubio di termini, che sembrano così stranamente contrari? Eppure vogliono tutti e due significare lo stesso avvenimento.

È interessantissimo ed importantissimo meditare una simile continuità in tanto contrasto. Indubbiamente le parole del profeta si adempiono, ma si adempiono non come il profeta le aveva pensate. Quando gli scherani andarono per arrestare Gesù, bastò che Egli si presentasse e caddero tutti a terra mezzi morti. «”Chi cercate?”. “Gesù Nazareno”»: e tutti in terra! Ma ora, che cosa avviene? C’è qualcuno che si sorprende per il fatto che entra questo bambino? Non mi sembra; nessuno si accorge di nulla. Egli entra, ed è Egli stesso debolezza. Come potrebbe far cadere gli altri se Lui stesso ha bisogno di essere sorretto? E nemmeno da persone valide, ma da un vecchio che ha le mani tremanti e, diceva la liturgia prima della riforma, proprio nel giorno della festa: «Il vecchio reggeva il bambino, ma il bambino reggeva il vecchio». È vero che il bambino era Dio, era quello che donava la vita a questo vecchio, tuttavia apparentemente era il vecchio che reggeva il bambino, se no cadeva. Che contrasto fra le due letture! Ma il contrasto non può andare contro la verità dell’adempimento della profezia; dunque ci deve essere anche una continuità. È vero dunque anche che non si sostiene la presenza di Dio, è vero anche che la sua presenza può trasformare il mondo, ma lo trasforma in un certo modo, non come pensava il profeta, non come noi penseremmo.

La presenza del Cristo ci giudica

Ecco quello che dice san Giovanni nel suo vangelo e che si manifesta anche qui: ci giudica. Entra nel tempio e come giudica questi sacerdoti che stanno nel tempio? Per il fatto stesso che essi non lo riconoscono, ecco, sono giudicati. È terribile il giudizio di Dio; non è che ti mandi il fuoco, non è che con la lisciva ti purifichi, è il fatto che tu rimani estraneo a Dio. La presenza di Dio è già una tua condanna, non perché Egli ti condanna – è un bambino – ma perché tu non sai riconoscerlo, ma perché tu non sai accettarlo, perché, per accettare Dio, bisogna che tu abbia la stessa pietà di Anna la profetessa, la stessa umiltà di Simeone. Ci vogliono delle disposizioni interiori di preghiera, bisogna che lo Spirito Santo ci animi perché possiamo riconoscere il Cristo, altrimenti tutto sembra uguale e tutto invece è già giudicato. Chi l’avrebbe mai pensato? C’erano di quei vecchioni nel tempio: il Sommo sacerdote, altri pezzi grossi. Esclusi! Altro che lisciva, altro che fuoco che consuma! La presenza dell’umiltà di Dio, per usare il linguaggio di san Francesco d’Assisi, esclude già colui che confida in sé, che si crede buono, colui che vorrebbe giudicare Dio; lo esclude. È in questo modo che Dio giudica e anche che condanna, perché Dio non giudica né condanna nessuno – lo dice anche nel IV Vangelo san Giovanni – ma è l’uomo stesso, per il fatto che non sa riconoscerlo né accettarlo quando Egli viene, che rimane condannato, rimane nel buio. Se tu non sai vedere la luce, rimani cieco.

Il bambino, nella sua debolezza, nella sua umiltà, nella sua povertà giudica il mondo: il mondo che non è povero, il mondo che è orgoglioso, il mondo che crede nella forza. Salva invece Maria e Giuseppe, due poveri; salva invece Simeone e Anna, due vecchi cadenti, deboli, emarginati, si direbbe, dal mondo; questi sono salvi. Non ha bisogno Dio di grandi manifestazioni, di grandi avvenimenti per mostrare la sua gloria; la sua presenza ti giudica. Se tu sei simile a Lui, ecco, tu lo vedi e lo riconosci; se invece tu non hai nulla in comune con Lui, la sua luce ti esclude.

Convertitevi

Ed è proprio questo che avviene con il Cristianesimo e per questo anche oggi è difficile che gli uomini lo accettino, perché il Cristianesimo implica quello che Gesù dice come prima parola quando si rivolge a tutto il popolo di Israele: «Convertitevi e credete al vangelo». Se non ci si converte non si può credere al vangelo. La fede nel vangelo implica una conversione, ma che cosa è questa conversione? Una conversione di costume? Anche questa, ma non dice questo il testo evangelico. Nel testo originale, quello in greco perché i vangeli sono stati scritti in greco, la parola “convertitevi” vuoi dire “cambiate la mente”. La metànoia è cambiamento del nous, della mente; sono i nostri pensieri che dobbiamo cambiare, il modo di pensare, di valutare le cose, perché Dio non è come sono i nostri pensieri.

Vi ricordate quello che diceva Isaia? «I mie pensieri non sono i vostri pensieri, né le mie vie sono le vostre vie, ma come sono lontani i cieli dalla terra, così i miei pensieri dai vostri» Quello che diceva Isaia è proprio vero, lo si vede quando Gesù viene. Chi l’avrebbe pensato che proprio il Salvatore del mondo, colui che doveva essere il giudice dei vivi e dei morti, entri nel suo tempio, come un bimbo che ha bisogno di essere riscattato con due tortorelle? Chi l’avrebbe pensato? Si esige davvero una totale trasformazione dei nostri pensieri, perché se Dio non ci avesse dato la fede, non riusciremmo davvero a comprenderlo. E si capisce allora perché il mondo non crede nel Cristianesimo e si capisce anche perché la Chiesa è sempre tentata di trasformare il volto di Gesù, di volercelo presentare, anche lei, nel potere, nel successo, perché il mondo vuole questo; ma quando cerca il successo, il potere, in fondo la Chiesa tradisce la sua missione.

Dio si manifesta nella debolezza, nella povertà, nell’innocenza dell’infanzia, nella purezza e solo i puri di cuore vedono Dio. Quelli cioè che hanno cambiato la mente, quelli che hanno rinunciato al modo di vedere e di pensare umano, possono capire l’azione di Dio, quello che Dio compie, come Dio si manifesta nella vita degli uomini.

Ci facciamo un nostro “dio”

Di qui nasce per noi un grave problema, perché, in verità, siamo tutti un po’ pagani, siamo sempre tentati anche noi di vedere un Dio vestito con certi paludamenti, mica un bambino che ha bisogno della balia. Noi ci aspetteremmo che Dio fosse uno che ci salva davvero, mentre dobbiamo noi salvarlo e difenderlo, o almeno così appare, umanamente parlando. Anche noi siamo sempre tentati, siamo uomini; è difficile pertanto mantenere una fede viva, una fede pura. Sì, noi crediamo nel Signore e tuttavia sempre, sempre, siamo tentati di volerlo fare a modo nostro. Lo vedete anche nell’arte: il “Pantocrator” delle basiliche bizantine, quel Gesù che riempie tutto il catino dell’abside. Che cosa riempiva nostro Signore quando entrò nel tempio? Soltanto le braccia di un povero vecchio. Un bimbo che non sa parlare, un bimbo che tu devi reggere sulle tue braccia: la debolezza, la povertà, l’innocenza.

Noi siamo sempre tentati di fare un Dio a modo nostro e non di saperlo riconoscere come Egli è quando si manifesta. La manifestazione suprema di Dio è infatti questa umiltà e debolezza: un bimbo nel tempio, un condannato che pende dalla croce. Sapete che è terribile essere cristiani? Noi abbiamo addomesticato il Cristianesimo; è una cosa terribile ma è anche una cosa grande, perché se Dio si facesse presente per noi nella potenza, nella grandezza che noi vorremmo conoscere in Lui, chi ardirebbe accostarglisi? La vera grandezza di Dio è grandezza di amore, e siccome è tale, è proprio l’amore che lo spoglia, che lo fa vicino a noi. Ed ecco: tu lo puoi tenere sulle braccia, ed ecco tu lo puoi stringere al cuore. È il tuo Dio, Egli diviene tuo figlio.

Vivere questa fede, vivere questo Cristianesimo, che immensa gioia per l’anima! Perché davvero Egli non giudica se non coloro che vogliono essere giudicati. Egli vuole esser difeso da te; ti ama tanto che lascia a te di difenderlo, di sostenerlo sulle tue braccia. Sembra che non sia Lui che ti sostiene, come per Simeone il bambino; sembra che sia tu che lo sostieni e gli dai vita. Ecco il Cristianesimo! Che cosa immensa è mai la fede cristiana! Che il Signore ci doni davvero di cambiare la nostra mente.

Ecco, mi sembra che sia questo quello che noi dovremmo chiedere a Dio.

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