Vangelo del giorno
Giovedì della III settimana del Tempo Ordinario
Marco 4,21-25: La lampada viene per essere messa sul candelabro. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi
In quel tempo, Gesù diceva alla folla: «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha»
Commento
Maria Nicolaci
Il verbo avere viene usato in questo capitolo con questi riferimenti: avere terra profonda, avere radice, avere orecchi come qua al versetto 23, avere in senso assoluto e poi alla fine quando si parla della tempesta sedata avere fede… Allora il problema è la capacità di ricevere, accogliere, la capacità di percepire, la capacità di stare, di essere, cioè la capacità di presenza. Qua si insiste moltissime in questi versetti sulla percezione: vedere, udire, addirittura si dice “vedete quello che ascoltate” con un incrocio di percezioni, un intreccio di percezioni. L’avere di cui si parla è in fondo questa capacità di ricevere. A chi ha capacità di ricevere sarà donato, è già stato detto ai discepoli: “A voi è donato il Mistero del Regno di Dio”. A chi ha i sensi che non funzionano più, il problema di chi ha occhi e non vede, di chi ha orecchi e non ode, sarà tolto anche quello che ha, nel senso che non riuscirà a ricevere, sarà sterile, i sui sensi non funzionano più.
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Luigi Maria Epicoco
«Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? Non c’è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce».
La scelta di campo che fa Gesù è quella di parlare chiaramente, senza più nessun enigma. La parabola non è un modo per nascondere le cose ma per farle capire meglio. È importante tutto questo perché sovente nella nostra vita abbiamo difficoltà a giocare a carte scoperte. Non affrontiamo mai i problemi chiaramente, dando il giusto nome alle cose. Agiamo sempre sotto banco sperando forse di risolvere le cose senza mai affrontarle direttamente. Ma quello che ci è utile è agire alla luce del sole, mettendo in alto ciò che conta e smettendo di nasconderci dietro un diplomatichese che non porta davvero frutto. La fede, ad esempio, non può essere usata come qualcosa di intimistico da tenere nascosto in qualche cassetto delle esperienze personali. Chi crede deve poter lasciare che la luce della fede illumini ogni frammento di vita. Delle volte per paura di ostentare pecchiamo di un’eccessiva discrezione che non fa cogliere nessuna differenza tra noi e chi non crede. Il Vangelo non ci chiede proclami ma testimonianza. Non vuole che ostentiamo ma che mostriamo. Se Gesù è la luce, allora questa luce si deve vedere in qualche modo. Ma avere la fede non significa sentirsi migliori, ne tanto meno serve a sentirci autorizzati a giudicare gli altri. Ci fa allora bene ricordare quest’ulteriore insegnamento di Gesù:
«Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più. Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».
Se ci ricordassimo di tutto questo, daremmo un peso alle nostre parole e ai nostri giudizi completamente diverso. Si diventa spietati su gli altri e si spera misericordia su se stessi. Ma siamo noi l’ago della bilancia su come saremo noi giudicati a nostra volta da Colui che è l’unico che può davvero farlo.
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