Parola di Dio e Scrittura

Qual è il ruolo della relazione con la Scrittura nella vita di un credente? Come configurare un approccio non fondamentalistico alla Parola di Dio? Per tentare una risposta a simili domande, è necessario comprendere in maniera adeguata il rapporto tra Scrittura e Parola di Dio. La Parola di Dio non coincide con la Scrittura, ma piuttosto è presente nella Scrittura stessa. Questo libera da ogni tentazione di identificare il testo scritturistico con un oggetto posseduto nel quale sia contenuta sic et simpliciter la Verità. La Parola non si identifica tout court con le parole che compongono il testo biblico, ma è custodita tra di esse, con una particolare modalità di presenza che si può paragonare a quella del seme. Il seme non produce frutto senza il contatto con un terreno che lo accolga e gli permetta di crescere e sviluppare dei germogli. La Parola è viva nella misura in cui è accolta e produce frutti in chi vi si accosta.

Forme di presenza della Parola

Molteplici sono i modi in cui la Parola si rende presente: non solo nella Scrittura, ma anche nel mondo, creato da Dio, e nella storia, in cui l’azione di Dio entra in dialogo con la libertà degli uomini. Queste forme di presenza sono distinte, ma bisogna al tempo stesso riconoscerne l’impronta unitaria. Questa è data dal riferimento a Gesù di Nazareth, verbum abbreviatum [Verbo abbreviato]: Egli è l’Evento centrale in relazione al quale decifriamo tutte le altre forme di presenza della Parola divina nella realtà. Come insegnano i Padri, Egli rappresenta al tempo stesso il punto di partenza e il punto di arrivo. L’incontro con Cristo è l’evento primo e fondamentale che consente un’adeguata comprensione di tutto il resto, aprendo gli occhi a quella dimensione che è propriamente spirituale, consentendo cioè il passaggio dalla lettera allo spirito. Senza questo passaggio, si rischia di incorrere nell’idolatria della lettera del testo: e non va dimenticato che la lettera uccide, e che l’idolatria è in fondo l’unico vero peccato.

Dalla storia al testo: la mediazione di Cristo

Prima di accostarci al testo biblico, dobbiamo avere cura e consapevolezza profonda di quelli che sono i problemi della storia. Infatti, risulta determinante per la comprensione il genere di domande che poniamo al testo: e queste domande vengono dalla storia, e dal nostro modo di viverla. Il testo, poi, non risponde direttamente a queste domande della storia, bensì mediatamente, attraverso il verbum abbreviatum, attraverso il Cristo. Questo è quanto Origene chiamava il “fuoco”, che purifica il nostro approccio alla Parola di Dio. Tutto va riferito alla persona di Cristo. L’animale si ciba direttamente di alimenti naturali; l’uomo invece li lavora e li cuoce. Ebbene: questo vale anche per gli alimenti spirituali. L’uomo vi si accosta non determinato da un istinto, ma orientato dalla sua libertà. La libertà stessa definisce l’uomo e la sua dignità spirituale: in questo Origene recupera un’idea stoica. Lo specifico dell’uomo è la sintesi di logos ed eleutheria [ragione et libertà]. Il primo senza la seconda conduce ad un astratto razionalismo; la seconda senza il primo degenera in uno sfrenato libertinismo. L’uomo vive del tentativo di armonizzare questi due poli, la ragione e la libertà; questa sintesi ha raggiunto la sua perfezione nel Cristo, ed è nello Spirito di Cristo che a tale sintesi si può attingere. Questo, in fondo, è il vero significato della polemica contro i monofisiti: è il rifiuto di ridurre a una dimensione sola la complessa polarità che abita l’uomo e la ricchezza che è contenuta nella persona di Cristo.

La via della conoscenza di Dio: la kenosis

Perché dunque la lettura della Scrittura sia feconda, deve passare attraverso lo Spirito di Cristo. Icona di questo criterio di lettura è l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus (Lc 24), in cui la storia e i suoi drammi vengono raccontati al Maestro, il quale ne svela il senso profondo, spiegando e interpretando le Scritture. La Parola si lascia comprendere realmente soltanto da chi si pone in sintonia con essa: per questo Gesù, l’unico ad aver accettato radicalmente l’amore della kenosis (cfr. Fil 2,7), è in grado di comprendere a fondo e rivelare la natura dell’amore del Padre. Lo strumento della conoscenza di Dio è proprio questo vuoto, questo svuotamento: la kenosis. Questa è la autentica chiave di lettura della Parola di Dio: il passaggio attraverso il moto della kenosis. Qualunque altra lettura, certo, può essere utile nel contribuire a rivelare aspetti parziali, ma non potrà consentire l’accesso al senso autentico e profondo della Scrittura, che non può consistere in altro che nella conformazione a Cristo crocifisso.

Comprendere la Parola: amore e libertà

L’amore vero e totale viene dalla libertà, si nutre di libertà, sfocia nella libertà. Qualunque altro amore implica invece calcolo ed egoismo. Ebbene: comprendere la Parola significa entrare nel circolo del vero Amore, quale è rivelato da Dio. Come diceva infatti Agostino: il Padre è l’amante, il Figlio è l’amato, lo Spirito è l’amore. Il Dio trinitario si rivela come una comunione d’amore. Comprendere autenticamente la Parola di Dio contenuta nella Scrittura non può che voler dire sintonizzarsi con questo amore vivente. Il testo – amava dire Filone – è come un organismo vivente: non lo si potrà mai comprendere a fondo se si pretende di aggredirlo, o di dissezionarlo facendone l’anatomia. Al contrario, se il testo biblico contiene la Parola di Dio, lo Spirito della vita, bisogna riuscire a pervenire al suo nucleo intimo, nella libertà e nell’amore. Perciò, nessuno potrà mai possedere il testo e la sua verità in maniera definitiva. Perfino i dogmi, per i Padri, non fissano la verità, ma sono piuttosto delle frecce, dei segnali indicatori, che indicano la direzione del cammino verso la verità – ma nulla può esonerarci dalla fatica di percorrere quel cammino di amore e di libertà. I dogmi sono dunque delle indicazioni, per far sì che non perdiamo la strada smarrendoci nel labirinto delle mille possibilità che mai come oggi si dischiudono davanti a noi. Ma la verità è poliedrica e simbolica, mai riducibile a un oggetto fissato una volta per tutte. Gregorio di Nissa diceva: proprio perché l’hai capito tu, non è vero! La nostra comprensione illumina sempre degli aspetti parziali della ricchezza della verità divina, che è una verità dinamica: e questo dinamismo non può che rappresentare uno spazio di libertà.

Interpretare la Scrittura, tra unità e molteplicità

San Gregorio Magno ci ha lasciato un aforisma fondamentale per comprendere la dinamica dell’interpretazione della Scrittura: divina eloquia cum legente crescunt [le parole divine crescono insieme con chi le legge]. I significati che il testo biblico può dischiudere sono potenzialmente infiniti, perché è come se i testi stessi venissero accresciuti dal fatto che dei lettori vi si accostano nella fede, li leggono e li interpretano. In questo senso, Gregorio di Nissa parlava di una epekstasis [estensione], di una tensione continua e infinita, che esclude un punto di arrivo definitivo. Non si può mai costringere la Parola di Dio una volta per tutte negli angusti orizzonti di una determinata cultura o di un particolare modo di comprensione. Clemente Alessandrino diceva che se Dio è Padre di tutti, a tutti ha dato in qualche modo la possibilità di arrivare a Lui, rispettando la cultura e le condizioni di ciascuno. Ebrei ed elleni perciò hanno la loro propria strada verso Dio: ma questi vari percorsi non possono che convergere verso quello che rappresenta l’autentico punto centrale, ovvero Cristo. Qualcosa di simile era implicato nella dottrina dei logoi spermatikoi [semi del verbo], ovvero delle rationes seminales, dei vari semi dell’unico Verbo diffusi in qualche modo nelle differenti culture. Un approccio pluralistico quindi non conduce alla dispersione delle interpretazioni, se è temperato dal principio ermeneutico dell’unità e della non-contrapposizione: così come non è opportuno contrapporre il Dio creatore e il Dio salvatore, non è nemmeno auspicabile contrapporre tra di loro le varie strade umane che possono condurre a Lui: anche perché la Verità resta, in ultima analisi, nascosta nel segreto stesso di Dio.

Fede, ricerca della verità, penetrazione della realtà

Gregorio di Nissa, nel De vita Moyses, alla domanda su come sia possibile raggiungere la perfezione, rispondeva: essere perfetti significa rendersi conto di non poterlo diventare mai. Rimane quindi sempre essenziale, contro ogni approccio di tipo fondamentalistico, la consapevolezza della nostra limitatezza nella comprensione della Verità, che non cessa di nascondersi – sempre secondo il Nisseno – dietro una spessa caligine. Dopo un vero incontro con il testo, cadono tutte le false certezze umane, e rimane solo l’essenziale, ovvero – come insegna il Cantico dei Cantici – il desiderio dell’amato. Bisogna pertanto andare al testo con vera semplicità di cuore, purificando sia la mente sia gli affetti. Chi non vive nell’amore e chi non è pacificato in se stesso non potrà mai comprendere davvero la Parola contenuta nella Scrittura. In questo senso, avere il cuore ferito è il primo segno di una lettura autentica. Non una pseudo-certezza da sbattere in faccia agli altri è il punto di arrivo del confronto con il testo biblico, ma piuttosto quell’abbandono al mistero che per Gregorio di Nissa definisce l’essenza della pistis, della fede. Al tempo stesso, la lectio non può non proseguire nella contemplatio, che non significa una fuga dal mondo, ma al contrario implica la capacità della theoria, ovvero di uno sguardo in grado di penetrare in profondità la realtà stessa.

Guido Innocenzo Gargano

Monaco Camaldolese di San Gregorio al Celio (Roma)

Nota

Questo testo, non rivisto dall’autore, è la trascrizione dell’intervento al Consiglio Centrale della FUCI svoltosi a Roma il 14 giugno 2008, che porta con sé tutte le imprecisioni legate alla forma di appunti (redatti da Emanuele Bordello).

Per una esposizione più ampia e precisa si veda G. I. GARGANO, “La lectio divina nella vita dei credenti”, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008.