P. Manuel João, comboniano
Riflessione domenicale
dalla bocca della mia balena, la sla
La nostra croce è il pulpito della Parola

Anno A – 33a Domenica del Tempo Ordinario
Matteo 25,14-30: Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone!

Siamo alla penultima domenica dell’anno liturgico. Il vangelo ci propone la parabola dei talenti, che fa parte del “discorso escatologico”, il quinto ed ultimo discorso di Gesù secondo il vangelo di San Matteo. Il Signore ci dà le consegne sul comportamento del discepolo nell’attesa del suo ritorno alla fine dei tempi. Domenica scorsa, con la parabola delle dieci vergini, Gesù ci invitava alla vigilanza: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Questo invito è ripreso oggi da San Paolo nella seconda lettura:“Il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri”. Oggi, invece, con la parabola dei talenti l’accento è messo sull’operosità. L’attesa del cristiano si caratterizza dall’impegno nel mondo.

In questa domenica, inoltre, celebriamo la Giornata Mondiale dei Poveri, istituita da Papa Francesco. Il tema proposto nel suo messaggio per quest’anno è: “Non distogliere lo sguardo dal povero”. Questa Giornata è collegata con la Festa di Cristo Re, di domenica prossima, in cui il Signore ci rivelerà la presenza della sua misteriosa regalità nascosta nei poveri.

Prima di avvicinarci alla parabola vorrei accennare a tre malintesi che rischiano di travisare la sua comprensione.

1) Il primo è pensare che la parabola sia un incoraggiamento all’attivismo, alla produttività, all’efficienza e alla competitività, tanto promossi nella società attuale. Come se le “opere” potessero procurarci la salvezza. Certo, la parabola è una condanna della pigrizia, ma non un elogio alla attività frenetica. L’agire senza discernimento rischia di essere controproducente, inutile e perfino dannoso!

2) Il secondo è credere che parlando di “talenti” si intendano le nostre doti naturali, come quando diciamo che una persona “ha dei talenti”. Difatti la parola greca “talento” è stata veicolata nelle nostre lingue proprio da questa parabola. L’uomo della parabola, però, consegna i talenti ai suoi servi “secondo le capacità di ciascuno”, cioè suppone già queste doti naturali. Certo, anche i doni naturali, le nostre capacità, e soprattutto il dono della vita stessa, sono da sviluppare, ma la parabola parla di altro.

3) Il terzo malinteso è quello di leggere la parabola in chiave individualistica. Ognuno cerca di “darsi da fare” per conto suo, giustificando così l’individualismo e il mito del “self-made man” (l’uomo che si è fatto da solo). Gesù ha sempre incoraggiato la solidarietà e la condivisione. Purtroppo l’educazione che abbiamo ricevuto sottolinea spesso l’impegno individuale “per salvare la propria anima”, trascurando la dimensione ecclesiale. In realtà i tre servi – ai quali dobbiamo aggiungere la “donna forte” della prima lettura e la “donna feconda” del salmo responsoriale – rappresentano l’intera comunità ecclesiale.

1. COSA rappresenta il talento?

Il talento non era una moneta, ma una misura di peso (“talento” in greco significa “peso”). Si tratta, per così dire, di una specie di grosso lingotto d’argento, col peso di circa trenta chili, quindi un vero tesoro. Cosa rappresenta il talento nella parabola? Anche qui, come nel caso dell’olio delle dieci vergini di domenica scorsa, non c’è un parere unanime, ma si tratta dei tesori del Regno, che Gesù ci ha affidati: la sua Parola, la grazia, lo Spirito Santo… Io penso soprattutto al dono della fede, questa luce che non va messa “sotto il moggio, ma sul candelabro” (Matteo 5,15) per illuminare la nostra esistenza e la vita della Chiesa e del mondo!

Possiamo rimanere un po’ stupiti che Gesù impieghi il linguaggio degli affari per parlare del Regno (beni, talenti, investire, guadagnare, denaro, regolare i conti, banchieri, interesse). Questo ci fa ben capire che la fede non consiste in sentimenti pii, ma piuttosto nell’impegno generoso nella vita, assumendo anche dei rischi.

2. CHI sono i servi?

L’uomo ricco della parabola che parte per un viaggio è facilmente identificabile: è il Signore Risorto asceso al cielo. I servi sono i suoi “ministri” a cui Gesù ha affidato, con grande generosità e fiducia, i tesori del Regno. I tre rappresentano tutta la Chiesa! A noi, tramite la fede, è stato affidato il Tesoro del Regno che è la persona stessa di Gesù.

Un indizio in questa direzione, secondo noi, è nel numero dei talenti affidati: 5 + 2 + 1 il cui risultato finale è «8» che nella ghematrìa (la scienza dei numeri) è il numero del Messia. Scomponendolo al modo orientale, noi avremmo: «7+1» che indica la totalità del Regno identificato con la Persona del Messia (n. 8)” (biblista Paolo Farinella).

I servi della parabola agiscono in due maniere opposte. I primi due con il loro impegno e creatività raddoppiano i talenti ricevuti e sono entrambi lodati dal padrone con la stessa espressione: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone!”. “Bene”, esclama il padrone, come Dio gioisce davanti all’opera della creazione. Fedeli nel “poco” (!), entrano in possesso del “molto” e “prendono parte alla gioia del padrone”! Il tema della gioia è caro all’evangelista Matteo.

Il terzo servo che andò a nascondere il talento per timore è apostrofato come servo malvagio, pigro ed inutile! Egli crede di conoscere il padrone e lo ritiene un uomo severo e avido e dice di averne paura. Questo servo rispecchia colui che ha una visione distorta di Dio. Egli non viene punito perché ha fatto qualcosa di male, ma perché non ha fatto nulla. È il classico esempio di chi non si sporca mai le mani.

3. DOVE far fruttare i talenti?

La Chiesa non è una sala di attesa dove dormicchiamo aspettando il ritorno di Gesù. Il Signore ci ha inviati nel mondo per far fruttare il talento della fede, sia che ne abbiamo “poca” o “molta”. Ricordo un episodio della mia vita di giovane missionario. Destinato ad una nuova parrocchia (Adidogome), nella periferia della capitale del Togo, mi sono stupito e scandalizzato che ci fossero solo tre comunità cristiane, anche se c’erano diverse corali, associazioni e gruppi di preghiera. Ho detto loro: “Io sono venuto da lontano, ho fatto migliaia di chilometri per venire ad annunciarvi il vangelo e voi non siete capaci di fare qualche chilometro per annunciarlo nei villaggi vicini? Sappiate che nessun gruppo ha diritto di cittadinanza nella comunità cristiana, se non si impegna nell’apostolato!”. Ho assegnato ad ogni gruppo un villaggio. Alcuni anni dopo c’erano una ventina di cappelle e oggi diverse sono diventate nuove parrocchie!
Il cristiano che non annuncia la sua fede l’ha sotterrata e ha già celebrato il proprio funerale!

1) Ringrazia il Signore per i doni che ti ha fatto, specie per quello della fede. Domandati se c’è qualche “talento” che hai sotterrato per pigrizia, per comodità o per paura del rischio. E ricordati che “a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”.

2) Davanti alle difficoltà e alla tentazione di scoraggiamento nel tuo impegno cristiano, fa risuonare nel tuo cuore questa parola/promessa di Gesù: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

3) In quale campo concreto ti pare che il Signore ti invita a far fruttare i tuoi “talenti”? Forse vorresti farlo “altrove” o in altre condizioni. Anch’io mi sono lamentato con il Signore: “Perché non mi hai permesso di continuare a seminare nel vasto campo del mondo?”. E il Signore mi ha fatto capire che il terreno più fecondo è il piccolo orticello attorno alla mia carrozzina! Ricordiamoci, tuttavia, che un campo privilegiato per investire i nostri talenti è quello dei poveri di cui oggi celebriamo la Giornata.

Concludo con una aggiunta… “apocrifa”!
Venne il terzo servo, al quale il padrone aveva affidato un solo talento, e gli disse: “Signore, io ho guadagnato un solo talento, raddoppiando ciò che mi hai consegnato, ma durante il viaggio ho perso tutto il denaro. So però che tu sei buono e comprendi la mia disgrazia. Non ti porto nulla, ma so che sei misericordioso”. E il padrone, al quale più del denaro importava che quel servo avesse una vera immagine di lui, gli disse: “Bene, servo buono e fedele, anche se non hai niente, entra pure tu nella gioia del tuo padrone, perché hai avuto fiducia in me”. (Enzo Bianchi)

P. Manuel João Pereira Correia
Verona, 17 novembre 2023