Pregare per qualcuno è come aderire, al tempo stesso, a Dio e all’uomo, è come realizzare il perfetto equilibrio tra questi due amori.
(Gustave Thibon)
Il ministero dell’intercessione, cuore della ministerialità (3)
P. Carmelo Casile
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7. Il Ministero dell’Intercessione dei Missionari Anziani e/o Ammalati
«…felici di perdere tutto, di morire per Lui e con Lui per la salvezza delle anime».
«Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» [1Pt 4, 13].
«Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti (tribolazioni) di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» [Col 1, 24].
Il ministero dell’intercessione, che accompagna tutta la vita del missionario, per i Missionari Anziani e/o Ammalati diviene il loro ministero specifico. Essi, infatti, pur essendo impediti nel servizio missionario diretto e incontrando difficoltà nel condurre una vita di preghiera regolare personale, comunitaria e liturgica, vivono in un continuo stato di unione a Cristo Gesù, in quanto stanno portando a termine il loro itinerario di discepoli missionari, che riproduce quello di Cristo, che culmina nella sofferenza fino alla morte in Croce (cfr. RV 21). Essi, infatti, stanno vivendo la loro consacrazione a Dio per la missione con la testimonianza della vita e nella sofferenza, la quale “ha un significato profondo alla luce della croce e della risurrezione” (cfr. RV 55), e arriva al suo compimento, oltre che nei “missionari martiri”, negli Anziani e/o Ammalati.
Qui l’intercessione del missionario diventa uno stato di vita, un modo di essere del missionario fino all’ultimo respiro della vita terrena. .
Per entrare in questo stato di vita di intercessione, ci fa da guida San Paolo con il suo esempio e la sua parola, seguito in modo mirabile da san Daniele Comboni.
A questo riguardo è significativo il versetto di Col 1,24, che è normalmente tradotto: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa».
Questa traduzione sembra implicare l’idea che la passione di Cristo sia incompleta e insufficiente, che essa abbia bisogno delle sofferenze di Paolo (e dunque dei credenti) per essere condotta a pienezza, e dunque che le sofferenze dei credenti abbiano un valore redentivo. In realtà, se ci si attiene scrupolosamente al testo greco, rispettando l’ordine sintattico della frase, la traduzione del versetto deve suonare così: «completo ciò che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, per il suo corpo, che è la chiesa».
Non la passione di Cristo è insufficiente per la salvezza; non è ad essa che manca qualcosa; non è neppure che questo qualcosa possa esservi portato da Paolo o dai credenti, ma è alla partecipazione dell’Apostolo e dei credenti alle sofferenze di Cristo che manca ancora qualcosa. Non la passione di Cristo è deficitaria, ma è «nella mia carne», cioè alla «mia povera persona umana», come traduce Rinaldo Fabris, che manca qualcosa alla pienezza di partecipazione alle tribolazioni di Cristo. «Ciò che ancora manca, ciò che Paolo deve condurre a termine, è il proprio itinerario, che egli chiama “tribolazioni di Cristo nella mia carne”, e che riproduce quello di Cristo, nel suo modo di vivere e di soffrire per l’annuncio del Vangelo e a causa sua e per la Chiesa» (J. N. Aletti).
Questa esperienza dell’Apostolo Paolo è vissuta in maniera eminente da san Daniele Comboni. Per Comboni, infatti, il Crocifisso è come un Vangelo aperto, dove può leggere la Potenza e la Sapienza di Dio in ordine alla salvezza del mondo (cf 1Cor 1,17-25): la contemplazione del Trafitto polarizza il suo cuore e determina il suo stile di vita come missionario totalmente consacrato alla causa missionaria (RV 2-3).
Per questo egli propone ai suoi missionari la contemplazione di questo Mistero come fonte e sostegno della loro consacrazione missionaria. Per lui la dedizione totale alla causa missionaria nasce e si sostiene “col tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo, amandolo teneramente, e procurando di intendere ognora meglio cosa vuol dire un Dio morto in Croce per la salvezza delle anime. Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore, saràn beati a perdere tutto, e morire per Lui, e con Lui” (S 2720-2721).
Così contemplando Gesù Crocifisso, il missionario penetra nella profondità della “carità” del Cuore di Gesù e ne diviene incarnazione e prolungamento soprattutto in favore dei più abbandonati. Infatti il Gesù che si raggiunge nella contemplazione del Trafitto è il Gesù che vive “trafitto” nei poveri di ogni tipo e di ogni tempo fino ad oggi (RV 3-5).
La morte di Gesù è il coronamento di quella “forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò quando venne a questo mondo per fare la volontà del Padre, e che propose a quelli che lo seguivano” (LG 44a; PC 1c). Nell’atto di morire, Gesù esprime se stesso come Inviato del Padre, che “vergine e povero, redense e santificò il mondo con la sua obbedienza spinta fino alla fine di croce” (PC 1c).
Nel mistero della morte in Croce Gesù è il “Sì” totale al Padre e agli uomini, che sigilla la sua forma di vita di Apostolo del Padre in verginità, povertà e obbedienza. Lì il suo amore verginale per il Padre e per gli uomini raggiunge la massima intensità ed espressione; la sua povertà arriva allo spogliamento di tutto e la sua obbedienza fino al dono della vita (VC 23).
Il momento della morte in Croce è l’«ora» sospirata da Gesù (cfr. Lc 12,49-50), che coincide con la sua glorificazione, perché è l’«ora» della massima epifania o manifestazione della sua identità, della verità del Mistero del suo Cuore (Gv 13,31-32). Gesù con le mani stese sulla Croce è il religioso del Padre. È l’Agnello purissimo, povero e obbediente, che ha portato a termine l’impeto della sua carità di buon Samaritano di tutti i tempi. La sua kénosis, il suo annientamento (Fil 2, 5) si è compiuto. Si è spogliato delle sue vesti e della sua stessa vita umana. Si fa spogliare di tutto per farsi rivestire da tutti; per farsi Corpo offerto e Sangue versato per tutti.
Daniele Comboni, invitandoci a “ tener sempre gli occhi fissi in Gesù Cristo…, contemplando e gustando un mistero di tanto amore”, ci propone la contemplazione di Gesù in croce come mistero d’amore, d’immolazione e dono assoluto di sé. Con questa proposta ci mette sulla strada della consacrazione missionaria vissuta nella professione dei consigli evangelici; ci invita a vivere la nostra consacrazione missionaria nel dinamismo di un amore vissuto nella verginità, povertà e obbedienza, e così entrare nella logica del modo di donarsi di Gesù, che si spinge “fino alla fine” della sua vita e delle sue possibilità (cfr. Gv 13,1).
La contemplazione del Crocifisso svela al missionario che Gesù vive la sua solitudine radicale del morire come traguardo finale, in cui il dono di sé nella verginità, povertà ed obbedienza, si apre ad una dimensione universale, divenendo l’offerta agli uomini perché entrino nella Famiglia di Dio. In Gesù che muore casto, povero ed obbediente, c’è la manifestazione visibile della donazione incondizionata di tutto se stesso all’amore del Padre e degli uomini fino al martirio, realizzando la perfetta intercessione per la salvezza del mondo.
Solo così il missionario è seguace di quel Gesù che non si è tirato indietro nell’orto degli ulivi: stando là con Lui in pura passività, senza alcuna azione missionaria evidente, confidando solo nella forza della intercessione.
Stando là, come Maria ai piedi della croce, tenendo gli occhi fissi in Gesù Crocifisso, contemplando e gustando un mistero di tanto amore, il missionario viene raggiunto dalla forza di un Dio dal Cuore aperto sul mondo; da questo coinvolgimento impara ad amarlo teneramente, sarà beato di offrirsi a perdere tutto, a morire con Lui e per Lui in totale generosità fino al martirio e fino all’ultimo respiro del suo cammino missionario in questo mondo e per questo mondo (cfr. RV 16).
Si tratta di un autentico “martirio bianco”, che iniziato con la consacrazione missionaria con l’impegno di vivere una vita vissuta nella fedeltà all’amore casto, povero ed obbediente, di un dare la vita goccia a goccia, fa del missionario un Crocifisso installato sul mondo, così che può dire con Paolo: “Sono Crocifisso con Cristo (Gal 2, 20); sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti (tribolazioni) di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Per tanto, come comboniano consacrato a Dio per la missione, sono chiamato ad essere nella Chiesa e nel mondo una copia vivente di Gesù Crocifisso. Le mie mani, inchiodate mediante il voto di povertà, non lavorano per i miei interessi e per la mia sicurezza personale, ma sono a servizio esclusivo del Regno; i miei piedi, inchiodati per il voto di obbedienza, non possono dare un passo senza di Lui, anche quando si tratta di bere il calice della Passione fino all’ultima goccia; il mio cuore trafitto dal voto di castità non può che amare Lui ed in Lui le persone a cui mi invia, a cominciare dai membri della mia comunità.
I missionari comboniani, per tanto, “tenendo sempre fissi gli occhi in Gesù Crocifisso, contemplando con viva fede e gustando un mistero di tanto amore”, formeranno una vera comunità di crocifissi (non di crociati), costituiranno una “fabbrica di crocifissi”, cioè di persone “felici di perdere tutto, di morire per Lui e con Lui per la salvezza delle anime” (cf S 2720-21). Possiamo dire che con queste parole e con l’esempio della sua vita, san Daniele Comboni ha messo la prima pietra del suo “cenacolo di Apostoli”, che diviene una delle fabbriche più serie e benefiche del mondo, perché il mondo ha bisogno di incontrarsi con Gesù Crocifisso, per imparare da Lui la suprema lezione della carità che salva, che genera dalla morte la Vita senza fine.
Una comunità di missionari comboniani di Anziani e/o Ammalati è una di queste fabbriche benefiche, che vive in sommo grado il suo ministero specifico di intercessione missionaria e che continua la sua attività benefica nell’eternità, come ci ricorda la Regola di Vita al n. 42.5, dove dice che «la vita di comunione si estende anche ai confratelli defunti che intercedono presso il Padre».
Nella sua vita il missionario Anziano e/o Ammalato, come ogni cristiano, non è solo, ma vive nella grande comunione del popolo di Dio e di tutti coloro che sono «in Cristo». Egli, per tanto, mediante il ministero della intercessione, partecipa con i fratelli alla missione della Chiesa, che si esplica nella celebrazione della Liturgia, nell’annuncio del Vangelo e nel servizio della carità.
Così la linea WIFI del popolo di Dio è fatta anche di Missionari Anziani e/o Ammalati con la funzione decisiva del carisma dell’intercessione, che da questa vita presente si prolunga nell’Eternità, finché «Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28).
Il ministero dell’intercessione, praticato in tutte le fasi e circostanze della vita consacrata missionaria, diventa il modo di essere del discepolo missionario, che come operaio a servizio del Regno di Do implora incessantemente l’avvento del suo Regno di amore, di giustizia e di pace; è un atteggiamento del cuore che può essere espresso nella preghiera che segue:
Signore Gesù,
che hai voluto assumere un cuore d’uomo
per poter condividere in modo sensibile,
le miserie dell’umanità,
concedimi di non dimenticarmi neppure per un istante
di questa tua sensibilità.
Non ti chiedo che approvi e benedica
ciò che io stesso ho deciso vivere,
ma ti prego di darmi la grazia di scoprire e vivere
quello che tu hai sognato per me,
chiamandomi a far miei,
sotto la guida di san Daniele Comboni,
l’universalità del tuo amore per il mondo
e il tuo coinvolgimento nel dolore e nella povertà
dei più dimenticati della terra.
Concedimi che,
in ginocchio, adori negli altri,
specialmente nei più infelici e sofferenti,
il Mistero del tuo amore creatore e redentore;
che rispetti il tuo progetto su di essi
senza voler imporre il mio:
che li lasci percorrere il cammino che hai tracciato per loro,
senza cercare di farli miei seguaci;
che mai mi stanchi di tenere lo sguardo fisso in essi,
e con questo sguardo contemplativo sia arricchito
dai tesori che tu hai depositato nei loro cuori.
Signore Gesù,
concedimi di conoscere perfettamente la tua volontà
con ogni sapienza ed intelligenza spirituale,
per comportarmi nella maniera a te gradita
e piacerti in tutto;
quando apro la bocca,
dammi una parola mite ed umile, ma coraggiosa e franca,
per annunciare il Vangelo,
del quale mi hai fatto ambasciatore per vocazione.
Concedimi di esercitare il mio apostolato
con la stessa carità apostolica di Pietro e Paolo
e di Daniele Comboni.
P. Carmelo Casile
Castel d’Azzano, 11 Novembre 2023