«Pregherò per te». Ho mai udito parola umana che giunga da più lontano? Giunge dalla confluenza di Dio e dell’uomo. Tu rispondi di me davanti a Colui che è tutto e che è anche me stesso. La preghiera per il prossimo è come un aspetto inverso del martirio: la preghiera fa dell’uomo che prega un testimonio, la cauzione di un altro uomo davanti a Dio.
(Gustave Thibon)
Il ministero dell’intercessione, cuore della ministerialità (1)
P. Carmelo Casile
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Con i termini “ministero, ministro, ministerialità” la Bibbia allude qualche volta alla persona che esercita una funzione pubblica, oppure alla funzione stessa. In questo senso si potrebbero usare vocaboli più o meno equivalenti, come: cortigiano, funzionario, eunuco (Gn 39,1; 45,6; Es 7,10; Est 1,10; At 8,28). Tutte queste parole si riferiscono all’idea di servizio; per indicare un servizio di predominante carattere religioso è preferibile usare ministero (At 1,17-25; 2 Cor 6,3-4), mentre le persone che lo esercitano in una comunità come responsabili e animatori sono generalmente dette ministri (Is 61,6; Gl 1,9; 2 Cor 11,23). Nelle primitive comunità cristiane esisteva una grande pluralità di servizi e ministeri, che si adattavano alle necessità di ogni epoca (1Cor 12,4-30; 1Tim 3, 8-13; 5,17-19). Questa ampia gamma di servizi o ministeri costituisce la ministerialità della Chiesa.
La Chiesa del Concilio Vat. II ha avvertito la necessità e l’urgenza di riscoprire il pluralismo delle forme ministeriali, di cui era ricca e che per vari motivi erano cadute in oblio. La Chiesa si riscopre così tutta ministeriale, popolo sacerdotale, che esercita i ministeri in forza del sacerdozio battesimale-cresimale (cfr. Lumen Gentium 10). Nella Chiesa-comunione, tratteggiata dal Concilio, ogni “pietra vivente” concorre con il suo “specifico” alla costruzione del Regno di Dio già a partire da questa terra.
La ministerialità, per tanto, altro non è che la risposta ad una grazia particolare che ogni cristiano riceve per esercitare il suo servizio-ministero nella comunità: “A ciascuno di noi è stata data la grazia, secondo la misura del dono di Cristo” (Ef 4, 7).
Per noi Comboniani la grazia-ministero a cui siamo chiamati a rispondere nella Chiesa-comunione è l’evangelizzazione ad Gentes, assunta con radicalità sull’esempio di san D. Comboni, fino a divenire la ragione della nostra vita (cfr. RdV 2-5; 56).
In questa prospettiva, i partecipanti al 1500 Anniversario dell’Istituto, nel “Messaggio conclusivo ai confratelli”, sul tema della ministerialità annotano:
«I nuovi contesti sociali ci invitano con urgenza a rivedere la nostra ministerialità. Oggi abbiamo bisogno di essere meglio qualificati in diversi campi dell’evangelizzazione, lavorando in equipe con tutti i soggetti della famiglia comboniana e della chiesa locale. La ministerialità non basta se non è fondata sulla passione di Cristo per l’umanità» (Roma 26 maggio,1giugno 2017).
Per tanto, il missionario comboniano, consacrato a Dio per la missione, vive “a servizio di Dio e dell’uomo”. Così nella comunità comboniana “ciascun missionario, avendo liberamente accettato la chiamata del Signore, mette i suoi talenti ed energie e la sua stessa vita al servizio di Dio e degli uomini nella comunità, secondo le costituzioni” (RdV 41).
Il primo servizio o ministero missionario è quello che nasce dall’ “incontro con Dio”, mediante il quale il missionario testimonia e proclama l’amore del Padre, “esperimentato nella comunione personale con Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo” (RdV 46).
Tale incontro con Dio sfocia nella “preghiera missionaria”, cioè in una incessante intercessione: “Il missionario sente e vive la preghiera come espressione del suo impegno missionario. Come operaio a servizio del Regno implora incessantemente “venga il tuo Regno”; in spirito di solidarietà con la gente ne assume i desideri e i bisogni concreti, prega con essa e in comunione con tutta la Chiesa” (RdV 48).
Il missionario comboniano, per tanto, vivendo la preghiera come espressione del suo impegno missionario, aiuta a costruire la comunione dei credenti e intercede per il suo popolo convinto che la conversione dell’uomo non può realizzarsi senza l’intervento dello Spirito Santo: soltanto lo Spirito apre il cuore dell’uomo alla Parola”, Da questa preghiera scaturisce l’energia che sostiene e dà fecondità al “Servizio Missionario” o ministerialità dell’Istituto (cfr. RdV 48.1-2).
Sta qui la ragione per cui nella proposta del Piano Sessennale (2023 – 2028), elaborato alla luce delle indicazioni del Capitolo Generale del 2022, la Provincia Italiana nel determinare le “priorità ministeriali” (la spiritualità missionaria, la reciproca cura fraterna delle persone, la comunione dei beni), ha incluso Il Ministero dell’Intercessione, che per i Missionari Anziani e Ammalati viene evidenziato come ministerialità specifica che, come ci ricorda la Regola di Vita, si prolunga nell’eternità, dove “i fratelli defunti intercedono presso il Padre” (cfr.1 Introduzione; 6. CANAM, A 1.; RV 42.5; LG 49)
1. Il Ministero dell’intercessione
L’“intercessione” è un ministero, ossia un “servizio” reso ai fratelli al quale tutti siamo abilitati e chiamati in virtù del battesimo, che ci rende sacerdoti re e profeti. Tale intercessione, come un grande fiume, fluisce e si immerge nel grande oceano dell’intercessione di Cristo, che «vive sempre per intercedere» a nostro favore (cf. Eb 7,25; Rom 8,34). Così la piccola intercessione di ogni battezzato è parte di un grande oceano di preghiera in cui il mondo viene immerso e purificato.
Noi, in virtù della consacrazione a Dio per la missione, che è radicata i quella battesimale (RV 20.2) e per parecchi anche nell’ordinazione sacerdotale, assumiamo il ministero dell’intercessione come parte inerente al nostro carisma missionario e abbiamo quindi il dovere di sostenere le necessità dei fratelli con la nostra preghiera e il nostro sacrificio.
Il missionario si fa intercessore perché è consapevole che “Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,4) e quini sceglie di vivere secondo il progetto di Dio e si prende cura realmente dei suoi fratelli e delle sue sorelle e desidera che essi vivano secondo la volontà di Dio.
L’intercessione ha un fondamento nella stessa struttura dell’essere umano. Infatti, noi, esseri umani, siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, quindi come esseri-in-relazione con Dio e con gli altri uomini. Siamo membri della Fa miglia di Dio “Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6), proponendo a ciascuno di mettersi a servizio degli altri e così cooperare alla realizzazione del suo piano per la salvezza di questo mondo.
La preghiera di intercessione, per tanto, è una conseguenza della fraternità che ci lega agli altri uomini e donne e, per tanto, della mutua appartenenza e della mutua responsabilità, impressa da Dio nell’essere umano, e che si esprime nell’impegno storico. In essa, per tanto, il primato non è quello della persona che è preoccupata della propria identità e benessere, ma quello della persona-in-relazione, che ha a cuore il bene-essere degli altri.
Il ministero dell’intercessione, che accompagna tutta la vita del missionario, diviene per i Missionari Anziani e Ammalati il loro esercizio specifico di preghiera. Essi, infatti, pur incontrando difficoltà nel condurre una vita di preghiera regolare personale, comunitaria e liturgica, vivono in uno continuo stato di preghiera, in quanto stanno conducendo a termine, il proprio itinerario di discepoli missionari che riproduce quello di Cristo (cfr. RV 21), il quale “casto e povero (cfr. Mt 8,20; Lc 9,58), redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza spinta fino alla morte di croce (cfr. Fil 2,8). Così essi, animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei loro cuori (cfr. Rm 5,5) sempre più vivono per Cristo e per il suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). Quanto più fervorosamente, adunque, vengono uniti a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vitalità della Chiesa ed il suo apostolato diviene vigorosamente fecondo” (PC 1c; cfr. RV 22).
2. Dinamica della preghiera di intercessione
Dio stesso mostra nella Bibbia, sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento, quanto egli abbia a cuore la preghiera di intercessione, cioè lo stare davanti a Dio per altri.
«Se nell’Antico Testamento l’icona dell’intercessore la troviamo in Mosè che, ritto sul monte fra Aronne e Cur che lo sostengono, alza le braccia al cielo assicurando la vittoria al popolo che combatte nella pianura (Esodo 17,8-16), nel Nuovo Testamento l’icona è quella del Cristo crocifisso che stende le sue braccia sulla croce per portare a Dio tutti gli uomini. Il Cristo crocifisso pone una mano sulla spalla di Dio e una sulla spalla dell’uomo. Il limite dell’intercessione è dunque il dono della vita, la sostituzione vicaria, la croce! Lo esprime bene Mosè nella sua intercessione per i figli d’Israele: “Signore, se tu perdonassi il loro peccato”» (E. Bianchi).
2.1. Significato dell’intercessione
Intercedere non vuol dire solo “pregare per qualcuno”. Etimologicamente significa stare in mezzo, “fare un passo in mezzo”, “mettersi nel centro di una situazione, posizionarsi là dove il conflitto ha luogo, porsi tra le due parti, fare un passo presso qualcuno a favore di qualcun altro, indicando così di prender sul serio tanto la relazione con Dio, quanto quella con gli altri uomini.
Intercedere quindi è assumere un atteggiamento coinvolgente, è stare tra le due parti in conflitto, senza muoversi, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione.
Nell’ambito della fede, questo duplice movimento, questo camminare tra Dio e l’uomo, stretti fra l’obbedienza alla volontà di Dio su di sé, sugli altri e sulla storia, e la misericordia e la compassione per gli uomini nelle situazioni del loro bisogno di salvezza, viene espresso nell’anelito di Giobbe, quando dice: «Ci fosse tra me e te, Signore, uno che mette la sua mano su di me e su di te, sulla mia spalla e sulla tua spalla» (cfr. Gb 9,33), che trova la sua raffigurazione e realizzazione piena e totale in Gesù Cristo crocifisso, «unico mediatore fra Dio e gli uomini» (1Tim 2,5).
Nell’intercessione, per tanto, si impara a offrirsi a Dio per gli altri e a vivere concretamente nel quotidiano questa offerta. In questo modo nasce un sistema di relazioni attraverso il quale alcune persone possono portare i pesi degli altri e soffrire per essi.
Da questo modo di relazionarsi deriva anche la possibilità e il valore di un vero dialogo interreligioso, dove ciascuno accetta di riconoscere non soltanto il valore dell’altro, ma anche di soppesare con pace le critiche che vengono fatte alla propria tradizione.
Il significato di questa preghiera non è di ottenere un cambiamento della volontà di Dio, ma di far sì che tutti arrivino a desiderare quanto egli vuole donarci per il nostro vero bene.
Essa nasce da una fede/fiducia totale in Dio, nostro Creatore e Padre, credendo fermamente nella Sua bontà e nel Suo Amore infinito, credendo che vuole sempre e soltanto il vero bene per noi e per le persone che Gli presentiamo nella preghiera e che è pronto a darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno, indipendentemente dai nostri meriti (cfr.. Mt 21,22; Marco 11, 24).
Essa esprime la consapevolezza che, essendo Dio nostro Padre, noi siamo “tutti fratelli” e che quindi Dio ci vuole gli uni per gli altri e responsabili degli altri. Questa mutua responsabilità tra gli esseri umani, si esprime non solo attraverso l’interesse e la compassione per gli altri nelle varie situazioni dell’esistenza umana e la conseguente prestazione di servizio secondo le varie necessità delle persone o della società nella misura della propria possibilità di attuazione, ma anche per mezzo della preghiera insistente (cfr. Lc 18,1).
La preghiera di intercessione non consiste soltanto nel raccomandare a Dio le situazioni disastrose in cui si trova l’umanità e le intenzioni di molta gente, ma anche nel domandare il perdono dei peccati dell’umanità e di ogni singola persona.
È una preghiera urgente, perché la necessità dell’umanità di superare oggi la violenza è terribilmente pressante e chiama all’azione tutta la gente di buona volontà.
È vero che il Padre sa già di cosa abbiamo bisogno ancora prima che lo chiediamo (Mt 6, 8), e quindi, certamente, tutto ciò che ci serve è già pronto presso di Lui, ma dobbiamo chiedere per ottenerlo, perché l’esercizio responsabile della libertà è parte del piano di Dio e quindi siamo liberi di accettare o meno questi doni che il Padre ha preparato per noi: « Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sant’Agostino).
In modo particolare, della preghiera di intercessione, è importante considerare che ciò che conta è la fede dell’intercessore, a prescindere da quella di colui o coloro che sono oggetto della preghiera di intercessione, come si può constatare nell’episodio della Cananea, in cui Gesù le dice: «”Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri.” E, da quell’istante, sua figlia fu guarita». (Mt 15,21-28).
2.3. Intercessione è entrare nel cuore della situazione
Chi fa intercessione, deve mettersi in piena solidarietà con gli uomini peccatori e bisognosi di salvezza come lui ed entrare nel cuore della situazione in comunione con Dio, che in Cristo ha fatto il passo decisivo per la salvezza degli uomini.
Entrato così nel cuore della situazione, deve stendere le braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare. È il gesto di Gesù sulla croce: Egli, mosso dallo Spirito eterno, che gli ispira l’autodonazione in quanto Figlio di Dio (cf Eb 9,14), si è posto nel mezzo di una situazione insanabile, perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui stesso, che è Uomo-DIO.
Per questa duplice solidarietà ha messo in conto anche la morte, ha accettato la tristezza, l’insuccesso, la tortura, il supplizio, l’agonia e l’orrore della solitudine fino a gridare: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).
Il Cristo, dunque, l’Uomo-DIO, il Servo del Signore che intercede per i peccatori, portando le loro infermità e debolezze (Is 53,12), con l’Incarnazione e la Morte di Croce ha compiuto l’intercessione radicale, il passo decisivo tra Dio e l’uomo, andando oltre la morte, e ora, Vivente per sempre presso Dio, continua a intercedere per noi quale grande Sacerdote misericordioso (Eb 7,25). La sua mano sulla nostra spalla fonda la nostra fede/fiducia totale in Dio, il quale “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo” (GV 3,16).
Mentre siamo uniti al gesto supremo di intercessione di Gesù sulla Croce e ricordiamo a Dio i bisogni degli uomini, che egli già conosce (cfr. Mt 6,32), l’intercessione ci porta ad aprirci al bisogno dell’altro, a “far causa comune” con lui, facendone memoria davanti a Dio e ricevendo nuovamente l’altro da Dio come fratello.
Nell’intercessione, per tanto, si abbracciano fede in Dio e amore per gli uomini tutti; in essa c’è stretta reciprocità fra preghiera per l’altro e amore per l’altro, così che nasce una vita donata all’amore di Dio e degli uomini. Nell’intercessione nasce un vivere davanti a Dio nella posizione del crocifisso, a braccia stese nella fedeltà a Dio e nella solidarietà con gli uomini.
Così la preghiera di intercessione porta il cristiano ad aprirsi alla logica dell’amore e ad assumere l’atteggiamento di una duplice solidarietà: vuole poter abbracciare con amore e disinteresse tutte le parti in causa, anche se viene incompreso o respinto dall’una o dall’altra parte, anche se deve pagare di persona, fino a soffrire la solitudine e l’abbandono, rimanendo in questa posizione segnato dalla Croce, quando l’intercessione rimane l’unica possibilità di attuazione.
È, per tanto, indispensabile avere fiducia soltanto nella potenza di Dio, e rimanere saldi nella fede in Colui che risuscita i morti.
Per entrare nell’audacia e nella logica dell’intercessione o del mediatore ci può servire di esempio l’Omelia programmatica pronunciata da san Daniele Comboni a Khartum l’11/5/1873 come provicario dell’Africa Centrale:
«Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice de’ miei giorni sarà quello, in cui potrò dare la vita per voi. – Non ignoro punto la gravezza del peso che mi indosso, mentre come pastore, maestro e medico delle anime vostre, io dovrò vegliarvi, istruirvi e correggervi: difendere gli oppressi senza nuocere agli oppressori, riprovare l’errore senza avversare gli erranti, gridare allo scandalo e al peccato senza lasciar di compatire i peccatori, cercare i traviati senza blandire al vizio: in una parola essere padre e giudice insieme. Ma io mi vi rassegno, nella speranza, che voi tutti mi aiuterete a portare questo peso con allegrezza e con gioia nel nome di Dio». [S 3159]
A questo punto ci rendiamo conto che la preghiera d’intercessione che nasce dalla fede/fiducia in Dio Padre, è «fede che si rende operosa (ministeriale) per mezzo della carità» (Gal 5,5-6), e che è fondamento della nostra speranza in Dio, che nella sua Provvidenza onnipotente può trarre dai mali beni più grandi.
3. Si intercede “per” e non “contro”
L’intercessione non è mai contro qualcuno, si intercede sempre “per” e mai “contro” qualcuno.
Se l’orante intercede perché il Signore soccorra l’uno e distrugga l’altro, ignora il bisogno di salvezza di chi è nella malvagità e così rifiuta il fratello e forse anche Dio. Pregando così, l’orante abbandona chi è nella malvagità, non gli mette la mano sulla spalla per avvicinarlo al fratello e a Dio, dimenticando che “Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,3-4). Pregando ”contro”, l’orante nella sua preghiera deforma l’atteggiamento dell’intercessore cristiano.
Se facciamo scelte escludenti nel nostro cuore, se giudichiamo e condanniamo, non siamo più con Gesù Cristo, nella situazione che lui ha scelto sulla Croce, e dobbiamo dubitare dell’autenticità della nostra preghiera di intercessione.
Una preghiera di intercessione “per”, senza esclusione di persone, la troviamo in san Daniele Comboni. La fiamma dello Spirito, che ha impresso nel suo cuore il sigillo indelebile dell’amore di Dio, lo trasforma in un uomo-per-gli-altri, in pane spezzato per tutti, a partire da quelli che Dio gli ha affidato, dei quali si dichiara “Servo”e “vostro per sempre”, fino ai loro oppressori.
Comboni, infatti, aderisce intimamente alla richiesta di perdono che il cristiano fa nella Preghiera del Padrenostro: “Padre, rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”; ed è convinto che senza perdono l’uomo è privo di vita, perché è morto all’amore dell’altro, suo fratello. Perciò Comboni prega perché Dio accordi al peccatore “tempo di penitenza”.
Egli stesso è cosciente di essere “gran peccatore” e di aver “debiti da pagare con Dio”, perciò ha bisogno di perdono e di saper perdonare, per fare quello che il Padre fa.
Comboni sente “vivamente i latrati della natura” ed è consapevole che senza la protezione di Dio non può vincere la tentazione del maligno, che “passeggia su tutta la faccia della terra per abbattere le opere di Dio” e lo assale da ogni parte.
Per difendersi dagli attacchi del maligno, volge “gli occhi al patire che ha fatto Gesù Cristo e tanti apostoli e missionari”. È sicuro che il Cuore di Gesù, che è la sua forza, non permette che egli soccomba. Da qui nasce la sua costanza nella preghiera di intercedere per i peccatori.
Di essa ci lascia una significativa testimonianza in una lettera a suo papà in occasione del suo 78º compleanno, che gli ha inviato da Khartoum il 6 settembre 1881, quando Comboni è ormai vicino alla morte, avvenuta di fatti il mese successivo, il 10 0ttobre 1881:
«Stanotte alle 3 ho celebrato messa nel mio salone (non dormendo quasi nulla), alla mattina non ho fiato né di dir messa, né di ascoltarla, perciò la dico dopo mezzanotte, in cui ho fiato, nelle mie stanze, e la ho celebrata per voi, per celebrare il 78º anno, dacché siete venuto al mondo ad imbrogliare la terra, e ad essere d’intrigo agli altri
Ho pregato perché Dio vi santifichi, e vi dia molte grazie spirituali per assicurare il grande affare dell’anima vostra.
Non ho fatto alcuna preghiera, perché vi prolunghi gli anni, perché ciò è troppo terreno, e mondano, benché avrei un immenso piacere che viveste fino a cento anni, qualora ciò contribuisse ad aumentarvi la grazia ed i meriti. Ma del resto a che serve questo mondaccio!
Prego invece molto che prolunghi la vita a chi vive male lontano dalla grazia di Dio, perché Dio gli accordi tempo di penitenza, almeno quando il mondo è stanco di lui, e non sa di cosa farne.
Prego pei nostri parenti perché hanno famiglia etc.; ma né per voi, né per me non mi disturbo un ette (un nulla) a pregare per la vita.
Dobbiamo pregare invece di salvar molte anime, e di andare in paradiso non soli, ma con gran turba di convertiti» [S 7034 7035].
4. L’intercessione non dimentica le esigenze della GIUSTIZIA.
Nello stesso tempo la preghiera di intercessione non dimentica le esigenze della GIUSTIZIA.
Dio, infatti, non reagisce all’ingiustizia distruggendo il malvagio e neppure fingendo che il male non sia stato commesso. Il male rimane, non può essere azzerato, ma Dio può interviene per farlo servire alla realizzazione del suo disegno di salvezza dell’umanità. È significativo ciò che Giuseppe dice ai fratelli che lo avevano venduto agli egiziani: “Voi avevate pensato il male contro di me, ma Dio ha pensato di farlo servire a un bene: dare vita a un popolo numeroso” (Gn 50,20).
Perciò nell’intercessione non viene chiesto di mettere sullo stesso piano aggressori e vittime, oppressori e oppressi, ma solo di non provare odio auspicando una soluzione secondo giustizia, senza scegliere di stare dalla parte di chi soffre maledicendo chi fa soffrire. Gesù non maledice chi lo crocifigge, ma muore anche per lui dicendo: “Padre, non sanno quello che fanno, perdona loro” (Lc 23,34)
Seguendo questa logica, Gesù nella parte centrale della parabola dei “vignaioli omicidi” dice loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri? Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare”, (Mt 21,42-43)
Queste parole descrivono la morte e la risurrezione di Gesù, che i capi del popolo hanno portato fuori delle mura della città e giustiziato. Ma Dio, risuscitandolo, lo ha glorificato e costituito Signore, pietra angolare di un nuovo edificio, di un mondo nuovo, del Regno di Dio.
Per tanto, il risultato finale dell’intervento di Dio non è una reazione violenta, “facendo perire miseramente quei malvagi” capi del popolo (v. 41), ma il suo supremo gesto di amore e di salvezza universale. Neppure il rifiuto e l’uccisione del suo amatissimo Figlio riescono a rendere Dio nemico dell’uomo, che egli ha creato a sua immagine e somiglianza.
La lieta notizia, il nucleo del Vangelo, sta proprio qui: malgrado tutta la malvagità dell’uomo, che, nella sua cecità e ribellione ad ogni logica di amore, mette a morte l’autore della vita, alla fine Dio trova sempre e comunque il modo di andargli incontro, di raggiungere il suo scopo e di ottenere i frutti buoni che desidera.
5. L’intercessione è una preghiera nello Spirito
La preghiera di intercessione è un dono dello Spirito Santo, che ci rende partecipi dell’intercessione di Cristo: lo Spirito ci guida a pregare «secondo i disegni di Dio» (cfr. Rm 8,26-27), cioè conformando la nostra preghiera e la nostra vita a quella di Gesù, nostro Salvatore. Solo nello Spirito che ci strappa al nostro egocentrismo, noi possiamo pregare per gli altri, far inabitare in noi gli altri e portarli davanti a Dio, arrivando a pregare per i nemici, come ci insegna Gesù con la sua parola (Mt 5,44-46; 6,12), con la sua preghiera (Lc 23, 33-34) e con l’offerta della sua vita sulla Croce per l’umanità.
Una tale fede è difficile, per questo l’intercessione autentica è altrettanto difficile ed esige che vi tendiamo con una preghiera costante, fatta non tanto con ciò che noi sentiamo e pensiamo e ed esprimiamo con le labbra, ma con la vita, unendoci ai gemiti dello Spirito, che Dio ha mandato nei nostri cuori e prega in noi (Gal 4,6; Rm 8,15). rendendoci così possibile ciò che a noi uomini è impossibile realizzare con le sole nostre forze (cf Mt 19,26). Dio vuole rimediare all’incapacità radicale dell’uomo nel pregare, perciò nella nostra situazione di debolezza, ci dona il suo Spirito che “viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso e intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).
Lasciamo allora che sia lo Spirito a intercedere per noi e a suggerirci la preghiera giusta in un determinato conflitto.
Un meraviglioso esempio di preghiera di intercessione nello Spirito ce lo dà Paolo. Egli, infatti, dai suoi compatrioti non riceveva che opposizioni fortissime, vere e proprie persecuzioni, come lo vediamo molto bene negli Atti degli Apostoli e nelle sue stesse Lettere. Eppure non nutre sentimenti di rancore o di odio, ma soltanto il desiderio di condurre a salvezza questi suoi fratelli. «Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua» scrive, perché essi non credono in Cristo, sono separati da lui. E giunge veramente all’estremo, quando afferma: «Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli» Anatema, cioè maledetto: se queste parole non fossero scritte nel Nuovo Testamento, il sentimento che esse esprimono assomiglierebbe a un grave peccato. Paolo non dice “voglio” ma “vorrei”: se questo potesse essere utile, vorrei perfino essere separato da Cristo per facilitare la salvezza dei miei fratelli. In realtà un desiderio così profondo non separa da Cristo, ma unisce a lui ancora di più e accresce la somiglianza con lui, che ha accettato di sentirsi abbandonato dal Padre per salvare i suoi fratelli peccatori.
È una lezione profondissima: ecco dove giunge l’amore del cuore di Cristo, dove giunge la carità che lo Spirito Santo ha effuso nel cuore di Paolo.
Ecco dove può giungere la carità che lo Spirito Santo effonde nei nostri cuori (cfr. Rom 9,1-5; Albert Vanhoy, in “Il pane quotidiano della Parola”).
(continua)