Vangelo del giorno
La porta è stretta (13,24). Tutti siamo troppo gonfi per entrarci! Queste parole sono una puntura che ci trafigge: sgonfiandoci di ogni presunzione, ci rende umili, poveri e mendicanti, perché gridiamo verso di lui, come il cieco di Gerico. La nostra unica possibilità di essere discepoli è la confessata impossibilità “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10): forte della forza di colui che mi conforta e mi rende tutto possibile (Fil 4,13).
Mercoledì della XXXI settimana del Tempo Ordinario
Luca 14,25-33: Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
NON PUÒ ESSERE MIO DISCEPOLO (14,25-35)
Lectio divina di Silvano Fausti
Nel brano precedente si dice che gli invitati al banchetto sono i poveri e gli esclusi. A loro spetta il Regno, perché sono come Gesù. Ora si dice al discepolo di vedere bene se si trova tra quelli, perché, per stare con lui, è necessario scegliere il suo stesso posto. Per questo a chi non lascia tutto, ripete per ben tre volte il ritornello: “non può essere mio discepolo”.
Il Regno è offerto gratis. Ci sono però delle condizioni per accoglierlo. Alla fine della parabola del banchetto, Mt 22,11ss richiede l’abito nuziale, la vita nuova nel Signore. Luca tocca qui lo stesso problema, esponendo le esigenze del discepolato.
La porta è stretta (13,24). Tutti siamo troppo gonfi per entrarci! Davanti alle richieste di Gesù nessuno è in grado di farcela. Luca vuol renderci coscienti della nostra incapacità, in modo che, disperando di noi, speriamo in lui. Queste parole sono una puntura che ci trafigge: sgonfiandoci di ogni presunzione, ci rende umili, poveri e mendicanti, perché gridiamo verso di lui, come il cieco di Gerico (18,35-43). La nostra unica possibilità di essere discepoli è la confessata impossibilità “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10): forte della forza di colui che mi conforta e mi rende tutto possibile (Fil 4,13).
Questo brano è una ripresa delle richieste che Gesù ha già fatto al discepolo in 9,23-26 e 9,57-62. Dopo la lunga sezione sul discernimento tra il lievito dei farisei e quello del Regno (cc. 12-13) e le tre istruzioni sull’umiltà (vv. 7-24), ora sappiamo di dover essere guariti come l’idropico (vv. 1-6). Nessuna pretesa o volontà di carne è in grado di farci discepoli. È solo un dono di grazia, che Dio concede all’umile e al povero. Però, se tutto è azione di Dio, tutto è anche libertà dell’uomo, che può accoglierla o meno. Il sazio e ricco è rimandato a mani vuote (1,53); ma la bocca aperta e vuota viene riempita (Sal 81,11; cf. Sal 104,27).
La povertà, che Gesù richiede, non è stoica; è motivata dall’amore per lui. Tocca tutti i livelli ed è l’unica virtù che, quanto più è materiale, tanto più èspirituale. Ma solo se è dettata dall’amore e non indurisce verso gli altri.
La povertà comporta umiliazione e porta all’umiltà. Pur essendo in sé maledizione e privazione, diventa scelta cordiale e necessaria per il discepolo che vuol stare col suo Signore.
Le esigenze del discepolato sono: odio verso ciò che è caro (v. 26) e amore verso ciò che è odioso al mondo, per andare dietro a Gesù (v. 27); prudente valutazione di chi non vuol restare a metà dell’impresa (vv. 28-30) o venire sconfitto (vv. 31-32) e saggia follia di uno che trova la sua forza nel perdere tutto (v. 33). Diversamente si è come sale sciocco: inservibile, irrecuperabile e da buttare (vv. 34-35).
Siamo al cuore della catechesi lucana, che si snoda nel viaggio dalla Samaria a Gerusalemme. Se le cose stanno così, chi salirà il monte di Dio (Sal 24,3)? Chi raggiungerà un’intimità tale con il suo Signore che per lui diventi padre, madre, moglie fratello, sorella e ogni bene? Chi decide evangelicamente di abbandonare tutto per scegliere il Regno? La forza di tale decisione è l’amore di chi è stato conquistato da lui, e giunge a un’unione appagante con lui, in cui si trova ogni delizia. Egli diviene l’unico, il solo; il resto non ha più sapore.
La vita cosiddetta “religiosa” propone a tutti il nocciolo della fede cristiana. Chi riconosce nel suo Signore il suo tutto, si fa profezia per tutta la chiesa, ricordandole l’essenziale. Se essa trascura la povertà, l’umiltà e la castità (ci sono tanti adulteri!), anche come mezzi apostolici, diventa sale insipido. Perde la luce di cui è testimone, abbandona il suo Signore povero, umile e libero. Oggi la chiesa è particolarmente tentata di usare, “a fin di bene”, strumenti di potere, entrando in concorrenza con il mondo. Cerca una rilevanza fasulla, senza sapere che la sua identità col Crocifisso è l’unica sua forza. I vecchi ordini religiosi sono nati, sempre, per testimoniare nella chiesa e al mondo la croce del Signore, proprio nei momenti in cui era più pericolosamente dimenticata. Anche se è naturale degenerare verso la ricchezza, il potere e l’onore, anche se è “ovvio” cadere in ciò che Gesù ha scartato come tentazione (4,1-12!), tuttavia questo ritarda la venuta del Regno più di ogni altro male. Che dire se nascessero organizzazioni religiose che si prefiggono di raggiungere privilegi e potere come strumenti di apostolato? Ben diversi sono i discorsi di Gesù al proposito (9,1ss; 10,1ss)! Il discernimento evangelico non è un genere che abbondi sul mercato; oggi certo non più di una volta!
A un fratello che desiderava fare il monaco, ma che aveva trattenuto qualcosa per sé, Abba Antonio disse: “Se vuoi diventare monaco, va’ al villaggio, compra della carne, legatela attorno al corpo nudo e poi vieni qui”. Così fece. Ma i cani e gli avvoltoi gli si precipitarono addosso. Tornò da Antonio tutto dilaniato. Questi lo guardò e gli disse: “Chi rinuncia al mondo, e tuttavia vuol conservare ricchezze, così viene dilaniato dai demoni che gli fanno guerra”.
Si dice che la povertà è “muro e difesa” della vita religiosa. Quando si sfalda o crolla, cade nelle mani del nemico e perde la sua essenza: non testimonia più la fiducia nel Padre. Per questo va amata come “madre”; ci genera suoi figli, perché ci fa riconoscere lui come unica fonte della nostra vita. Se il miraggio del mondo è diventare ricco, quello del discepolo è diventare povero. Il Regno è dei poveri, perché il Re stesso si è rivelato povero.
Commento di Luigi Maria Epicoco
Come si fa a far diminuire di botto l’orda dei followers? Ovviamente Gesù non poteva farsi questa domanda in questi termini perché i social ancora non esistevano duemila anni fa, ma il principio evangelico attraverso cui cercare in mezzo alla folla un popolo rimane valido: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”. Cerco di immaginare l’espressione dei volti delle tantissime persone che lo seguivano. Finché Gesù parla di amore, di rispetto, di perdono, tutte queste parole hanno sempre un sapore romantico, specie quando ragioniamo in astratto. Ma quando tutto diventa così tremendamente concreto fino al punto da richiedere la capacità di saper vivere una libertà radicale anche da ciò a cui teniamo di più, allora tutto cambia. Infatti dietro il verbo “odiare” non c’è la logica del disprezzo ma bensì la logica di non voler mai trasformare chi si ama nel proprio dio. A Cristo non fa problema se amiamo un padre, una madre, un figlio, un fratello, ma se questo amore diventa talmente tanto intenso da fermare la vita, da ingabbiarla, da non farla andare più avanti, da condizionarla fino al punto di non riuscire più a capire ciò che vale da ciò che non vale. L’idolatria è denunciata non come il fastidio di Dio che vuole l’esclusiva, ma come la preoccupazione di chi sa che solo Dio può salvarci, e che quando vogliamo farci salvare da altre cose che non sono Dio molto spesso rimaniamo male e con le ossa rotte. Ma ci vuole una grande fiducia per staccarsi da certe relazioni malate e recuperarle in maniera sana. Ciò è possibile se ti fidi di Lui fino al punto di saperti mettere anche contro te stesso, di accogliere ciò che c’è (che è poi il significato di croce) e andarGli dietro. Sicuramente però in un cammino del genere non possono più esistere le mezze misure. Infatti Cristo cerca discepoli non followers.