Vangelo del giorno

La prima maniera che ha lo spirito di operare nella vita di una persona è allargargli i desideri. L’affermazione del commensale all’inizio del brano del vangelo di Luca di oggi è un chiaro indizio che si sta smuovendo qualcosa in lui: “Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!»”. Ma Gesù interviene subito per non lasciare che questo desiderio rimanga solo un pio proposito, ma diventi davvero il principio di una rivoluzione.

In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”.
Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».

Si chiude la sezione del pasto (vv. 1-24): Gesù, invitato a mangiare dal fariseo, cerca di guarirlo dall’idropisia, perché accetti il suo invito al banchetto del Regno. L’insegnamento è rivolto al fariseo che si annida nel discepolo, perché il suo “mangiare pane” di sabato (v. 1) diventi un “mangiare pane nel regno di Dio” (v. 15). Tutto questo capitolo ha come sfondo ciò che Gesù ha fatto nell’ultima cena (cf. 22,24-27): lui ha scelto l’ultimo posto (vv. 7-11) e noi, scegliendo gli ultimi, scegliamo lui (vv. 12-14).

Ora si dice perché Dio sceglie gli ultimi: mentre i primi rifiutano, essi sono quelli che accettano l’invito. La porta del banchetto, stretta e chiusa per il satollo, è larga e aperta per il disgraziato che ha fame.

Qui si espongono le cause del rifiuto: il possesso, il commercio e il piacere (vv. 1-20).

Ma il banchetto è imbandito e deve essere goduto. Se il primo chiamato, l’Israele giusto della Legge, non viene, accetteranno gli ultimi e gli impediti (v. 21), ai quali Gesù rivolge le sue cure. Siccome c’è ancora posto (v. 22), l’invito sarà esteso ai pagani (v. 23). Nelle tre chiamate sono da vedere i tre momenti della storia della salvezza. Primo è il tempo della Legge che non salva nessuno, ma porta al Signore (Gal 3,24) mostrando il peccato. Secondo è il tempo di Gesù, molto breve (“veloce”, v. 21), che conduce alla salvezza gli impediti. Terzo è il tempo della chiesa, in cui gli esclusi, cioè i pagani, sono forzati a entrare. Così si rivela il mistero di Dio, Padre di tutti, che tutti vuole salvi.

È da notare come gli impediti non sono soltanto chiamati, ma addirittura “condotti” (v. 21); quelli poi che non hanno assolutamente diritto, sono “forzati a entrare” (v. 23). C’è come un crescendo nell’azione amorosa di Dio, che risponde al rifiuto con un’insistenza maggiore nell’offerta.

Il banchetto del Regno è la salvezza (cf. 13,22-30). Alla domanda se “pochi sono salvati” (13,23), Gesù risponde che tutti sono chiamati, e in tre tempi diversi. Nella casa del Padre c’è sempre posto, fino a quando tutti i suoi figli non sono a mensa. Egli non esclude nessuno: si esclude solo chi rifiuta. Per questo, rispetto ai primi che hanno rifiutato, saranno altri quelli che accettano. I primi entreranno nel banchetto quando si sentiranno impediti ed esclusi dal loro rifiuto, nella stessa condizione degli ultimi. La porta della salvezza è stretta, e vi passa solo chi ha lo spirito di umiltà (vv. 7-11) e di gratuità (vv. 12-14): è la medicina che sgonfia dall’idropisia il fariseo e concede il titolo a mangiare il pane del Regno.

Questo pane è una chiara allusione all’eucaristia, che la comunità dei poveri di Gerusalemme celebra con gioia e semplicità di cuore (At 2,46). È la beatitudine degli invitati alle nozze dell’Agnello (Ap 19,9). Essi, confessando: “Signore, non sono degno”, scoprono che il Padre si volge ai figli non secondo il loro merito, ma secondo il loro bisogno (cf. 5,27ss; 7,36ss; 15,11ss; 19,1ss; 23,41ss). Questa parabola ci lascia intravedere il dramma del Padre, origine della missione del Figlio e della chiesa: tre volte rifiutato, tre volte allarga l’invito. Fino a quando manca un figlio, la sua casa è vuota, perché manca il Primo che si è fatto ultimo di tutti. E vuole che la sua casa sia piena.

Sono estremamente convinto che la prima maniera che ha lo spirito di operare nella vita di una persona è allargargli i desideri. L’affermazione del commensale all’inizio del brano del vangelo di Luca di oggi è un chiaro indizio che si sta smuovendo qualcosa in lui: “Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!»”. Ma Gesù interviene subito per non lasciare che questo desiderio rimanga solo un pio proposito, ma diventi davvero il principio di una rivoluzione. E per fare ciò racconta una parabola mettendo in scena un banchetto a cui alcuni sono invitati. È un chiaro riferimento all’opera di Dio che ha pensato la vita come un invito e il regno di Dio come una festa. Ma quelli che ufficialmente sembrano avere le carte a posto per entrare e sedere a mangiare, rifiutano con dei “validi” motivi che potremmo sintetizzare in questo modo: il possesso, il commercio e il piacere. Se ci pensiamo bene queste tre grandi scuse sono ciò che solitamente tengono la nostra vita in ostaggio. Avere fede, infatti, significa smettere di trovare rassicurazione nel possesso delle cose, ma in realtà quasi mai siamo disposti a liberarci da questa latente idolatria. A noi piace usare le cose per sentirci sicuri e non per incontrare ciò che conta davvero, così alla fine sono le cose stesse a possederci e non il contrario. Allo stesso tempo preferiamo sempre una logica di vita commerciale a una forma di vita gratuita. Commerciare significa fare le cose sempre con un tornaconto, quando invece Dio ci chiede di imparare la gratuita delle cose. La ricerca del piacere è l’ultimo impedimento che potremo definire come il possesso delle persone. È sempre d’impedimento all’incontro con Dio chi usa le persone per star bene lui, riducendo l’altro a oggetto e non incontrandolo mai veramente. Allora gli unici che mangeranno di quella cena saranno quelli che per un motivo o per un altro sono affamati, e hanno smesso di sentirsi sazi di cose che non contano nulla.