Vangelo del giorno
Si parla quattro volte di voi, quindi è un discorso diretto agli ascoltatori e noi siamo questi voi. Noi abbiamo iniziato a star fuori da questa porta, la porta è Gesù stesso che si è destato; è strano il Signore che si desta per chiuder la porta, vuol dire il Signore è risorto e ha aperto totalmente la via della misericordia con la sua morte e resurrezione e noi siamo fuori da questa porta della misericordia. E star fuori della porta vuol dire non aver casa, vuol dire esser perduto, perché la casa è il luogo dell’affetto, della relazione, del padre, dei fratelli.
Mercoledì della XXX settimana del Tempo Ordinario
Lc 13,22-30: Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.
Lectio di Silvano Fausti
22 E camminava per città e villaggi, insegnando e facendo cammino verso Gerusalemme. 23 Ora un tale gli disse: Signore, sono pochi che vengono salvati? 24 Ed egli disse loro: Lottate per entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno d’entrare e non avranno forza. 25 Da quando sarà destato il padrone di casa e avrà chiusa la porta e voi avrete iniziato a stare fuori e a percuotere la porta dicendo: Signore, aprici! e allora rispondendo vi dirà: Non so voi da dove siete! 26 allora inizierete a dire: Mangiammo al tuo cospetto e bevemmo e nelle nostre piazze insegnasti. 27 Ed egli parlerà dicendovi: Non so [voi] da dove siete! Mettetevi lontano da me, voi tutti, operatori d’ingiustizia! 28 Là sarà il pianto e lo stridore di denti, quando vedrete Abramo e Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi gettati fuori. 29 E verranno da oriente e da occidente e da settentrione e da mezzogiorno e si sdraieranno (a mensa) nel regno di Dio. 30 Ed ecco: ci sono ultimi che saranno primi e ci sono primi che saranno ultimi.
CI SONO ULTIMI CHE SARANNO PRIMI
E CI SONO PRIMI CHE SARANNO ULTIMI (13,22-30)
Il c. 11 ci ha rivelato la nostra figliolanza di Dio, già sicura in cielo, presso il Padre. Ma noi siamo qui in terra, nella densità dello spazio e nel fluire del tempo. Il c. 12 ci ha insegnato a viverla in rapporto alle cose: sono un dono del Padre ai figli e dei fratelli tra di loro.
Ora il c. 13 ci insegna a viverla nel tempo: come il dono è il senso di tutto ciò che occupa lo spazio, così la conversione è il senso di ogni frazione di tempo. Il presente, unico tempo che ancora c’è e già non è scomparso, è l’occasione per convertirci. Ciò non significa diventare “più bravi”, ma volgerci dalla nostra miseria alla sua misericordia, dal male che facciamo al bene che lui ci vuole, dall’autogiustificazione all’accettazione della sua grazia, come fonte nuova di vita. Così viviamo in continua gioia e rendimento di grazie: siamo entrati nel sabato! Questo è già all’opera nel mondo e si celebra nell’“eucaristia”, il banchetto di gioia dei salvati. Il problema è come entrare nella sala dove si mangia il pane del Regno.
Questo brano parla della lotta per entrarci. Richiama per vari termini il bussare della notte per ottenere il pane (11,5-8) e la richiesta insistente per ricevere lo Spirito (11,9-13; cf. anche 18,1ss).
La porta è Gesù: attraverso di lui tutti gli uomini sono salvati, perché il suo cammino verso Gerusalemme va incontro a ogni fuggiasco. Ognuno può entrare, anche il disperato, l’immondo e l’incurabile. Unico biglietto d’ingresso è il bisogno. Resta fuori solo chi “sta bene”. La falsa sicurezza e la presunta giustizia sono l’unico impedimento. Per entrarvi basta riconoscersi peccatori davanti al perdono di Dio (18,9ss): nessuno si salva per propri meriti, ma tutti siamo salvati. Il tempo presente è l’anno di grazia che ci è concesso per convertirci dalla nostra (in)giustizia alla sua grazia. La porta è dichiarata stretta perché l’io e le sue presunzioni non vi passano. Devono morire fuori.
Inizia qui la seconda parte del viaggio di Gesù, tutta centrata sulla sua misericordia. Noi siamo invitati a identificarci con le varie persone che lui incontra e salva. La porta, stretta come la cruna di un ago per chi presume dei suoi beni (18,25), sarà aperta per chi riconosce la propria cecità (18,35).
(Silvano Fausti, dal Commento al Vangelo di Luca)