Vangelo del giorno

La storia va avanti con tutto il male che c’è e lui che cosa fa? Scava e getta letame fino a finire Lui stesso sotto terra e finirà Lui come letame, si fa maledizione e peccato, cioè porta su di sé tutto il nostro male.

Sabato della XXIX settimana del Tempo Ordinario
Lc 13,1-9: Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Lectio di Silvano Fausti

SE NON VI CONVERTITE, TUTTI COSÌ PERIRETE! (13,1-5)

1 Ora, in quello stesso momento, erano presenti alcuni che gli riferirono circa quei galilei il cui sangue Pilato mescolò con i loro sacrifici. 2 E rispondendo disse loro: Vi pare che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei perché hanno patito questo? 3 Proprio no, vi dico! Ma se non vi convertite, tutti così perirete! 4 O quei diciotto sui quali cadde la torre di Siloe e li uccise, vi pare che questi fossero più debitori di tutti gli uomini abitanti in Gerusalemme? 5 Proprio no, vi dico! Ma se non vi convertite, tutti così perirete!

L’inizio e la fine del c. 13 hanno un tema in comune: la morte. Essa dovrebbe colpire tutti gli uomini che sono peccatori (vv. 1-5), ma ricade su Gesù (vv. 31-35). Anche i vv. 10-17 e 22-30 si richiamano: parlano della salvezza che, pur essendo un dono, è insieme oggetto di fatica per ogni uomo. Al centro ci sono le similitudini del chicco di senape e del lievito (vv. 18-21). Il capitolo ha quindi una struttura a cipolla, il cui cuore sono le parabole del Regno. Queste ci aiutano a leggere la nostra storia alla luce di quella di Gesù. È quindi uno sviluppo del brano precedente, che ci chiama a riconoscere i segni del tempo per convertirci.

Questo passo ci presenta due fatti di cronaca: un’uccisione e un incidente con molte vittime. Nel primo caso è in gioco la libertà e la cattiveria dell’uomo, nel secondo l’ineluttabilità e la violenza del creato. Unico è l’orizzonte: quello appunto della morte, che l’uomo vive sempre come indebita violenza.

Questi due avvenimenti richiamano in modo esemplare ciò che maggiormente scuote la fede del credente: perché Dio permette i soprusi e le violenze, i disastri e i terremoti? La storia con le sue ingiustizie e la natura con la sua insensatezza sembrano dominate piuttosto dal maligno (cf. 4,6!) o dal caso. Nel primo episodio ci si aspetta da Gesù che giudichi tra cattivi e buoni. Nel secondo è implicita l’obiezione di fondo: che fiducia si può avere nel Padre, se gli innocenti soffrono? Gesù li prende come modelli di difficile discernimento, per dare al credente una chiave di lettura per gli avvenimenti storici e naturali (cf. Sal 136). Il male, che c’è sia nell’uomo che nelle cose, è misteriosamente connesso con il peccato; ma non sfugge di mano a quel Dio nella cui mano sono gli abissi della terra (Sal 95,4) e che raccoglie in un otre le acque del mare (Sal 33,7). È vero che tutti abbiamo peccato (Rm 3,23); ma il nostro male è ormai il luogo della salvezza: “là dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).

Tutti gli avvenimenti sono quindi da leggere, a un livello più profondo, in termini di perdizione e di salvezza: svelano la perdizione dalla quale ci salva la conversione al Signore. Si esclude una lettura manichea e semplificata, che divida i buoni dai cattivi. Si propone invece di vedere come il male è dentro di noi, in modo da convertirci. Bisogna andare alla radice, discernendo qual è il lievito che muove la nostra vita: è quello dell’avversario, che ci domina mediante la paura del bisogno e ci porta all’avere di più, o quello del Regno, che ci libera nella fiducia filiale e ci porta al dono?

Il male, ingrediente costante dell’esistenza, non è “un” problema, bensì “il” problema, inspiegabile razionalmente. Il tentativo di difendersi da esso è il motore della storia umana. Esso costituisce una sfida per la fede: la può far crollare o rafforzare, negare o cambiare di qualità.

Conoscere i “segni del tempo” significa vedere nel male il Signore che viene a salvarci chiamandoci alla conversione. Non si esclude la verità di altre interpretazioni intermedie. Sono però meno importanti, al di là delle apparenze. Ciò che conta è un discernimento alla luce del fine. La soluzione del male non sta in una sua analisi più corretta, ma nel cambiare il lievito: mutare il senso della vita, convertendosi al Signore.

In conclusione, davanti al negativo della storia e della natura, il cattivo discernimento divide i buoni dai cattivi in nome della giustizia, oppure considera il male come inevitabile e fatale. Il buon discernimento apre gli occhi e fa cambiare vita. Si noti inoltre che è un errore comune, oggi più che mai, credere che la sofferenza sia di per sé un male. Parlando di male, pensiamo ai poveri che muoiono di fame, ai bambini che sono vittime della violenza, agli innocenti che vengono sistematicamente uccisi. In realtà il male è un altro: ciò che spinge ad affamare, violentare e uccidere.

(dal Commento di Silvano Fausti al Vangelo di Luca)

LASCIALO ANCORA PER QUEST’ANNO! (13,6-9)

6 Ora diceva questa parabola: Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna e venne cercando frutto in esso e non trovò. 7 Ora disse al vignaiolo: Ecco, da tre anni vengo cercando frutto in questo fico e non trovo. Taglialo dunque via! A che scopo poi rende improduttiva la terra? 8 Egli rispondendo gli disse: Signore, lascialo ancora per quest’anno, finché gli scavi intorno e getti letame: 9 chissà che faccia frutto nel futuro! Se no, lo taglierai via.

I capitoli 12-13 sono una teologia della storia, che ci rivela come Dio vede lo spazio e il tempo dell’uomo: le cose sono un dono del Padre ai fratelli (c. 12), e il tempo è l’occasione per convertirsi (c. 13)

Con la venuta del Messia la storia ha raggiunto il suo fine, e il tempo avrebbe dovuto arrestarsi. Come mai invece va ancora avanti? È il problema che qui si affronta.

La parabola è trasparente. Il Padre e il Figlio si prendono cura dell’uomo e non si attendono altro che egli risponda al loro amore. Questa risposta è la sua realizzazione stessa, come per il fico far fichi. Ma come il fico è sterile, così l’uomo non si decide a fare frutti di conversione (3,8). Per sé, con la venuta di Gesù, il tempo dell’attesa sarebbe finito e il giudizio compiuto. Ma Dio accorda all’uomo “ancora un anno” e prodiga la sua ultima ed estrema cura perché fruttifichi e non debba esser tagliato. Dio non gode della rovina, ma della conversione (Ez 18,23-32; 33,11). Questo è l’unico motivo teologico per cui, anche se la scure già è alla radice (3,9), l’albero non è ancora tagliato.

È una risposta ulteriore all’interrogativo del Battista davanti a Gesù (cf, 7,19ss): come mai, se lui è il Messia, non è cessato il male e il tempo non si è fissato nell’eternità? Gesù risponde svelandoci il misterioso dialogo tra la giustizia – “taglialo” – e la misericordia di Dio: “lascia/perdona ancora per quest’anno”.

È il dramma del Padre e del Figlio nel loro reciproco amore che ingloba il mondo. Il tempo fluisce ancora per dar modo a tutti di incontrare la tenerezza di Dio! Egli infatti “vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). I tre anni del ministero di Gesù sono la venuta di Dio per il giudizio; ma egli, invece di giudicare, offre il perdono. Tutti gli anni successivi sono l’“ancora un anno” che si prolunga, per fare con l’annuncio la medesima offerta alle generazioni successive.

Questo è il senso profondo della storia: è l’“anno” della pazienza e della misericordia di Dio, una dilatazione della salvezza e una dilazione del giudizio, ancora sempre per un anno, da allora fino a ora e fino alla fine. Per questo bisogna annunciare il vangelo, per aprire a tutti l’amore del Padre in Gesù. Colui che ha detto che tornerà, “non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono: ma usa pazienza verso di noi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,9). Finché dura quest’oggi (Eb 3,13), urge convertirsi per non fare come quegli “empi che trovano pretesto alla loro dissolutezza nella grazia del nostro Dio” (Gd 4). Non ci si deve prendere gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ci spinge alla conversione (Rm 2,4)

Questa parabola sostituisce il racconto del fico seccato perché sterile (Mc 11, 12-14.20-25). Ha il medesimo significato di fondo. Solo che il fico non è tagliato! Si sottolinea quindi l’aspetto della storia come rinvio del giudizio e prolungarsi della fatica di Dio per chiamare tutti alla conversione.

Dio non taglia il fico, cioè l’uomo! Lo rispetta perché lo ama. Gli prodiga intorno tutta la sua opera, perché possa rispondere al suo amore.

Il tempo continua, perché eterna è la sua misericordia! Così canta il ritornello del Salmo 136, che dice il vero perché di tutte le cose e di tutti gli avvenimenti.

(dal Commento di Silvano Fausti al Vangelo di Luca)

Il fico produce frutto subito in primavera, prima delle foglie fa subito i frutti, non ha i primi fiori, sono frutti. Poi produce costantemente fino a tardo autunno e poi anche dopo c’è sempre almeno un fico secco rimasto sulla pianta (altrimenti si dice che non c’è un fico secco). Ci si aspetta sempre che sul fico ci sia qualcosa. Non c’è stagione che tenga infatti si nota “non era la stagione dei fichi”. Il fico che fa questo frutto dolce è proprio simbolo del comando dell’amore che è così dolce che Dio cerca solo questo dall’uomo. Si può produrre in tutte le stagioni, primavera, autunno e anche in inverno c’è ancora un fico secco che è ancora più dolce di quello colto d’estate.

7 Ora disse al vignaiolo: Ecco, da tre anni vengo cercando frutto in questo fico e non trovo. Taglialo dunque via! A che scopo poi rende improduttiva la terra?

Richiama i tre anni del ministero di Gesù, che è stata la sua venuta tra di noi. Da tre anni vengo, cerco frutto e non trovo. Se non trovi ciò che cerchi, se non trovi l’amore, la giustizia cosa deve fare? Se una pianta non produce bisogna tagliarla. Cosa ci sta a fare questo mondo se gli uomini non fanno il bene? È ciò che diceva il Battista: la scure alla radice…

8 Egli rispondendo gli disse: Signore, lascialo ancora per quest’anno, finché gli scavi intorno e getti letame: chissà che faccia frutto nel futuro! 9 Se no, lo taglierai via.

Questo è un dialogo interno a Dio tra la giustizia e la misericordia. Secondo giustizia dovrebbe tagliare, ma non può, perché Lui è Dio, non è uomo. La sua giustizia è amore, non può far male a nessuno. Allora la risposta è lascialo (che vuol dire anche “perdona”) ancora per un anno. La storia va sempre avanti ancora per un anno. Non sappiamo quando finisce, ma va sempre avanti ancora per un anno in attesa che si porti frutto, in attesa che ci convertiamo. È il tempo della pazienza di Dio che sta aspettando che noi ci convertiamo.

Allora se Dio è così misericordioso e ogni anno dice “ancora un altro anno, diamo una proroga” cosa dobbiamo fare? O facciamo quanto dice Ebrei 3, 13 e cioè affrettiamoci ad entrare nella salvezza oggi (perché la salvezza è oggi, quest’oggi di Dio!). O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà (Rm 2,6). La bontà di Dio è per chiamarci a nostra conversione, alla nostra responsabilità.

La storia va avanti con tutto il male che c’è e lui che cosa fa? Scava e getta letame fino a finire Lui stesso sotto terra e finirà Lui come letame, si fa maledizione e peccato, cioè porta su di sé tutto il nostro male.

“Chissà che in futuro porti frutto, chissà!”. Dio ha una fede infinita nell’uomo, “è mio figlio” pensa te! È anche un po’ ingenuo, forse, Lui ci spera sempre, ci prova, ci spera sempre, con una tenacia, una caparbietà proprio contadina.

Si apre allora lo spazio ad una grossa riflessione su questo mistero della misericordia di Dio, questo mistero di un amore che vince il male.

Dalle catechesi di Silvano Fausti (e di Filippo Clerici)
sul Vangelo di Luca (2004-2010)
www.gesuiti-villapizzone.it
Selezione degli estratti, sottolineature e titoli miei (MJ)