Vangelo del giorno
Qual è il lievito della nostra vita? Cos’è il motivo per cui viviamo, il principio della nostra esistenza? Gesù dice: guardatevi da quel principio dell’esistenza che è l’ipocrisia.
Venerdì della XXVIII settimana del Tempo Ordinario
Lc 12,1-7: Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.
Lectio divina di Silvano Fausti
Da 12,1 a 13,20 c’è una forma di inclusione: il “lievito” dei farisei e il “lievito” del Regno. Il discepolo è chiamato a discernere il fermento che muove la sua vita: è la paura della morte, che porta all’ipocrisia e all’accumulo dei beni, o il timore di Dio, che porta alla verità e alla libertà nella misericordia? Il primo è il regno della morte, il secondo è il regno di Dio, la cui venuta chiediamo al Padre (11,2).
Il c. 11 distingueva lo spirito del Figlio da quello muto, la luce dalle tenebre. I cc. 12 e 13 applicano questo discernimento rispettivamente all’uso dei beni e alla comprensione della storia, in relazione alle cose stabili e al tempo che fluisce. Si tratta di una teologia del mondo e della storia.
In particolare nel c. 12 Gesù si rivolge alternativamente ai discepoli e alle folle. Dietro le folle è da vedere la schiera dei futuri discepoli, sempre aperta a tutti gli uomini ai quali bisogna annunciare la volontà di Dio. Si può quindi dire che il capitolo è destinato a tutti gli uomini di tutti i tempi, chiamati a vivere da figli di Dio. Gesù smaschera l’atteggiamento del mondo e dice per contrappunto quello del discepolo. Esso deve testimoniare con coraggio il suo Signore (vv. 1-12), libero dalle preoccupazioni e dagli affanni (vv. 13-34), in attesa vigile del suo ritorno (vv. 3559). L’attesa escatologica è il motivo del suo coraggio e della sua libertà, il fine che muove il cammino fin dal principio. Forza per superare le difficoltà, le contraddizioni e la morte stessa, essa dà il tono spirituale necessario per la lotta.
(dal commento di Silvano Fausti al Vangelo di Luca)
1 Intanto, accalcatesi miriadi della folla, sì che si calpestavano a vicenda, cominciò a dire ai suoi discepoli innanzitutto: guardatevi dal lievito dei farisei che è ipocrisia. 2 Ora nulla è velato, che non sarà svelato, o nascosto che non sarà conosciuto. 3 Pertanto tutte le cose che avrete detto nell’oscurità, saranno ascoltate nella luce; e ciò che avrete raccontato nella cantina, sarà proclamato sui tetti. 4 Ora dico a voi, amici miei: nulla temete da coloro che uccidono il corpo e dopo di questo non hanno più nulla da fare. 5 Ora vi mostrerò chi temere: temete chi, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, vi dico: questi temete! 6 Forse cinque passeri non si svendono per due soldi? tuttavia nemmeno uno di loro è dimenticato al cospetto di Dio. 7 Ma anche i capelli del vostro capo sono tutti contati! non temete: valete più di molti passeri!
L’introduzioneci presenta miriadi di folle che si accalcano e si calpestano: si può stare insieme accalcandosi e calpestandosi. E Gesù dice ai discepoli, perché questo problema riguarda i discepoli, noi possiamo stare insieme accalcandoci e calpestandoci. Allora dice che il principio del calpestarsi si chiama ipocrisia e staremo a vedere che cos’è. Ha già parlato prima dell’ipocrisia e dei farisei ipocriti. Adesso dà l’affondo ultimo: questa ipocrisia non è più dei farisei ma è dentro di noi.Vedremo che la radice dell’ipocrisia è la paura, per cui dice cinque volte “non temete”, “non temete”, “non temete”, “non temete”, “non temete” (vv. 1-12). Il contrario della paura, invece, è la fiducia, v. 8° ss, che ci fa confessare, testimoniare il Signore in questo mondo; mentre la paura ci fa diventare ipocriti e nasconderci.
Questo testo, che è appunto la raccolta di detti, è articolato in quattro nuclei. Primo nucleo: i primi tre versetti:
1 Intanto, accalcatesi miriadi della folla, sì che si calpestavano a vicenda, cominciò a dire ai suoi discepoli innanzitutto: guardatevi dal lievito dei farisei che è ipocrisia. 2Ora nulla è velato, che non sarà svelato, o nascosto che non sarà conosciuto. 3 Pertanto tutte le cose che avrete detto nell’oscurità, saranno ascoltate nella luce; e ciò che avrete raccontato nella cantina, sarà proclamato sui tetti.
Tutto questo discorso comincia con la Parola “intanto” o “nel frattempo”, in greco c’è la parola “in queste cose”, cioè in queste cose, quando cominciano a prendersela con Gesù. Così capita anche a noi, che c’è un “frattempo” dove capitano certe cose e noi viviamo sempre in un frattempo, perché aspettiamo sempre qualcos’altro e che passi questo tempo. Invece il problema è come vivere questo frattempo, questo momento che è fatto così con queste contraddizioni. Aspettiamo sempre un momento migliore! Invece il mondo è questo qui! Spesse volte ci si attarda sul passato oppure si operano delle fughe in avanti, al futuro. La fede urge sul presente.
Il vangelo parla del presente che é qui e ora. In questo frattempo si accalcano miriadi – miriade in greco vuol dire diecimila – miriadi delle folle: è per modo di dire un numero sterminato, che si calpestavano a vicenda. Evidentemente si accalcano intorno a Gesù. Quindi c’è un modo di stare intorno a Gesù che è un accalcarsi delle folle, adunate oceaniche, che si calpestano a vicenda. Che cosa vorrà dire? C’è uno stare insieme che è un calpestarsi.
Allora comincia a “dire ai suoi discepoli” innanzitutto, cioè questo discorso è fatto ai suoi discepoli di allora e di adesso, innanzitutto, ma vale per ogni uomo, perché c’è un modo di stare insieme che è un accalcarsi, un calpestarsi. Allora Gesù dice: guardatevi dal lievito dei farisei che è ipocrisia. Ora lo stare insieme che è un accalcarsi e calpestarsi è chiamato lievito. Abbiamo parlato finora dello Spirito del Figlio, poi dello spirito muto, lo spirito del divisore che ci divide dal Padre e dai fratelli; ora questo spirito è chiamato lievito, perché lo spirito non è qualcosa di vago che sta per aria, lo spirito è il modo concreto di vivere e che fermenta l’esistenza.
Qual è il lievito della nostra vita? Cos’è il motivo per cui viviamo, il principio della nostra esistenza? Gesù dice: guardatevi da quel principio dell’esistenza che è l’ipocrisia. La parola ipocrita in greco sarebbe quello che risponde sempre, quello che sa tutto. In concreto poi è il capocoro. Poi la stessa parola vuol dire anche recitare. Poi è venuta a significare ipocrisia perché vuoi sempre primeggiare, essere il primo, vuoi recitare, non importa quello che sei, l’importante è l’immagine. È il culto dell’immagine, oggi così importante. Quindi il lievito, ciò che fermenta la vita, è l’immagine di sé, il protagonismo.
Questo vizio dell’ipocrisia, per sé, non è una cosa eccezionale. Se uno esamina bene se stesso, qual è il movente delle sue azioni? Non è né l’amore della verità, né l’amore dell’altro, ma è l’amore del proprio io, della propria immagine, del non fare brutta figura, del riuscire, dell’avere rispettabilità, che non si veda tanto il mio interno se no povero me, però l’apparenza deve essere serbata. Una persona normale, insomma! Tra l’altro la parola persona voleva dire maschera, quella che serviva per coprire la faccia, per fare il volume più alto della voce perché non c’erano i microfoni.
Ecco, la nostra vita è lievitata da questa mania, che in fondo vuol dire non accettare se stessi, come siamo. È così bello essere ciò che si è! Gesù qui analizza molto semplicemente questo protagonismo, questa ipocrisia dicendo: ciò che è velato sarà svelato, ciò che è nascosto sarà conosciuto. L’ipocrisia ha bisogno di un velo e di nascondere, cioè non deve essere chiaro ciò che sei dentro. L’interno va nascosto. L’esterno, però, deve essere molto perfetto. L’origine di tutti i mali è la non accettazione di sé, il nascondersi, l’essere velati, nascosti, stare nell’oscurità, nella cantina. Contrapposto al lievito di cui si è detto – principio animatore sbagliato – è il principio che dà Gesù – e questo è il dono – il principio che deriva dallo Spirito; è il principio animatore vero che dà libertà e coraggio.
Secondo nucleo versetti 4-7
4Ora dico a voi, amici miei: nulla temete da coloro che uccidono il corpo e dopo di questo non hanno più nulla da fare. 5Ora vi mostrerò chi temere: temete chi, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, vi dico: questi temete! 6 Forse cinque passeri non si svendono per due soldi? tuttavia nemmeno uno di loro è dimenticato al cospetto di Dio. 7Ma anche i capelli del vostro capo sono tutti contati! non temete: valete più di molti passeri!
In questi versetti si dice cinque volte non temere. L’uomo teme, come prima cosa, fondamentalmente, perdere la vita, ai vari livelli. Quando non è in pericolo la vita quel che si teme di perdere è l’onore e la stima, la propria identità. Quando non è in gioco quella, magari, perdere economicamente, che è la cosa che vale meno della vita, che è quello che per la vita biologica si sacrifica tutto e vale anche meno dell’onore. Noi siamo sempre mossi dalla paura che ci manchi, o la vita, o la vita umana – la stima, l’affetto – o ciò che garantisce la vita, cioè i soldi. Viviamo sempre nella paura, perché abbiamo il desiderio di vita e abbiamo la paura che ci manchi la vita.
Se voi guardate bene questa paura della mancanza di vita a tutti i livelli viene a essere ciò che detta tutte le nostre azioni; in qualche modo, tutte le nostre azioni sono dettate dalla paura che ci manchi questa o quella cosa. Per cui noi viviamo tutta la vita schiavi della paura.
La radice dell’ipocrisia è la paura, è la paura di non sentirsi amati, di sentirsi nessuno, che la nostra vita non abbia alcun significato e allora devo darmi un’immagine. Una vita dominata dalla paura, che è il desiderio di vita capovolto, è veramente angosciante.
In Ebrei 2,14-15, in sintesi, si dice che Gesù, il Figlio, ha preso in comune con noi la nostra carne e il nostro sangue per liberare, con la sua morte, tutti quelli che erano schiavi, durante tutta la vita, della paura della morte. Noi siamo, per tutta la vita, schiavi della paura della morte ed è questa paura che ci fa aggredire gli altri, ci fa intraprendere relazioni negative, che ci fa attaccare, crea ingiustizie, crea accumulo, crea miseria, crea guerre: tutta questa paura! Paura che, va detto, di pari passo c’è una specie di ansia, avidità di vita; paura della morte non è tanto della morte semplicemente fisica, anche, ma questa diventa metafora di quello che è l’insignificanza, non riuscire, l’essere una nullità.
Questa paura è sconfitta solo se sappiamo che Dio ci è amico e l’amicizia vuol dire che si è uguali, che siamo come Dio, che lui ci ama e noi possiamo essere come Lui e amarlo.
Allora non temete neanche quelli che uccidono il corpo. Salvare la pelle non è il valore assoluto. Il valore assoluto è saper dare la vita, saper amare. Quindi non temete neanche di perdere la vita. Chi perderà la sua vita la salverà, perché la vita è un dono e se la dai la realizzi, se la trattieni la soffochi, la uccidi.
“E dopo che vi hanno ucciso non hanno più nulla da fare. Ora vi mostro chi temere. Temete chi dopo aver ucciso ha il potere di gettare nella Geenna”. Evidentemente un’allusione a Dio: abbiate il timor di Dio! Il timore di Dio ci libererà da ogni paura. Principio di Sapienza è il timor di Dio. Timore di Dio non vuol dire aver paura di Dio, ma tenere conto che solo Dio è Dio, che Lui mi ama, è il senso della mia vita; se tengo conto di questo non ho più paura di nulla. Non è un timore servile, ma è un prendere sul serio. Come dire: capire il peso specifico di Dio. Non un idolo, è Dio, è il Signore, il Signore della creazione, il Signore della storia.
Se non abbiamo questo timore, noi finiamo nella Geenna. La Geenna era la valle dove si bruciavano le immondizie, perché lì, prima, si sacrificavano le vite umane al dio Moloch, all’idolo, allora hanno pensato di profanarla bruciando le immondizie. Se noi non abbiamo il timor di Dio e abbiamo sempre paura di morire, noi non facciamo altro che buttare la nostra vita nelle immondizie, perché la paura ci fa fare ciò che temiamo. Ci fa ammazzare, ci fa morire. Guai a seguire le paure invece dei desideri positivi.
Per cui Gesù conclude: sì, vi dico, non temete. E poi dice: cinque passeri, che valgono due soldi, eppure Dio si ricorda anche dei passeri. I capelli del vostro capo, per esempio, anche di questi, che sono così insignificanti, Dio ne conosce il numero. Cioè, Dio tiene così conto di te in tutti i dettagli, come tiene conto dei passeri, tiene conto anche di tutte le tue cose, pensa se non tiene conto di te che sei suo figlio! Vali molto di più di due passeri!
La preoccupazione di Dio è abbastanza interessante: il Salmo 147-146 dice che conta il numero delle stelle (sapendo noi che sono infinite o quasi sta ancora contandole) e chiama ciascuna per nome, conta i capelli, per indicare, davvero, che Dio ama; sono figure, immagini molto belle, significative. Ama non in blocco. Ama ciascuno per il proprio nome, le proprie caratteristiche. Ama, proprio tipico dell’amore, il particolare.
Ecco: confidenza. Non ho bisogno di essere ipocrita, per essere qualcuno. Sono già figlio di Dio che è molto di più di tutto quello che posso inventarmi. Per cui conclude: non temete, dunque. E qui, in greco, c’è un imperativo presente. Vuol dire: smettetela, allora, di aver paura! È ora di smettere di avere paura di ciò che siamo! Siamo figli di Dio, Lui ha cura di noi! Valiamo molto più dei passeri!
Testi per l’approfondimento:
Matteo 6, 25-34;
Marco 8, 34-38; 3, 22-30; 13, 11 ss;
Atti 4,1-22; 5,17-42: è un po’ l’esperienza della comunità che si trova a vivere queste parole, questa rivelazione, questo dono e però è nella situazione impegnativa della persecuzione.
Dalle catechesi di Silvano Fausti (e di Filippo Clerici)
sul Vangelo di Luca (2004-2010)
www.gesuiti-villapizzone.it
Selezione degli estratti, sottolineature e titoli miei (MJ)