Comboni

Siamo qui radunati insieme dalla stessa passione, dalla stessa chiamata, a servire un unico carisma, quello di D. Comboni: “Quello che mi importa è unicamente ed è stata l’unica passione della mia vita è che si converta la Nigrizia e che Dio mi accordi e mi conservi quegli strumenti ausiliari che mi ha dato e mi darà”.

Noi siamo la continuazione della preghiera di D. Comboni, del suo sogno.

Pensiamo a tante sorelle e fratelli che hanno marcato la nostra storia e hanno lasciato un segno carismatico in questo senso. Noi non possiamo star qui seduti ad aspettare, il cammino è lungo, D. Comboni ha pregato e continua a pregare anche per noi. Egli ci svela un segreto per mantenerci fedeli:

  • Se con viva fede contempleranno e gusteranno un mistero di tanto amore. Contemplazione. Noi, nel sessennio scorso entrando nella riflessione sull’evangelizzazione abbiamo sentito l’esigenza di fermarci un anno per riflettere sulla contemplazione e ne è venuto fuori un fiume di acqua viva. Questo desiderio di contemplazione così radicato in noi, diventa anche passione per la missione. Ma a che punto siamo noi oggi come comboniane/i? Quel Cristo che ci ha conquistate è veramente il Signore della nostra vita? Chi contemplo? Non possiamo seguire D. Comboni se non siamo assetati. Ma di che cosa abbiamo veramente sete noi oggi? Che cosa ci interessa di più? La Parola, internet, i poveri?

La missione è questione di sete, desiderio di toccare il mistero, desiderio di far coincidere la nostra sete con quella di Dio. Qual è la sete di GC, e di DC, e la mia sete? Qual è la sete che ho in questo momento? E’ la passione e la sete di tutti i nostri confratelli/sorelle. Andando in fondo c’è molta sete. E’ questa contemplazione che ci consegna l’inquietudine per il Regno. La missione non è un lavoro, è un’inquietudine per il Regno, è una sete che ci mette in ginocchio di fronte a Dio e agli esclusi. Ci dà il coraggio di passare dal Volto ai volti, far nostre le sue attitudini, le sue scelte. Con quale sguardo guardiamo la nostra umanità? Quale scelte facciamo? E’una sete che ci porta continuamente al pozzo della donne del vangelo, degli apostoli, della sapienza dei popoli. Noi non siamo i protagonisti della missione, siamo i servi. Noi attingiamo alla fonte delle chiese, non con protagonismo ma con umiltà. D. Comboni è entrato nella sapienza dei popoli, ha fatto tesoro della sapienza delle chiese.

Impregnati di tutte queste cose arriviamo ad una mistica: impregniamo i nostri atteggiamenti con quelli di Gesù e di Comboni. Il prototipo è Gesù e Comboni. Con che linguaggio noi parliamo? Con che atteggiamento noi ci avviciniamo ai poveri? Quali priorità abbiamo durante la giornata? E’ una cosa molto sottile perchè molte volte noi non parliamo con il linguaggio di Comboni, il nostro stile di vita non è il suo.

  • Allora saranno beati di offrirsi e perdere tutto con lui e per lui.
    Beatitudine. E’questa l’ascesi missionaria che Comboni ha tratteggiato. E’ quando si ama davvero Cristo anche le privazioni, il martirio sono dolcezze. Molte sorelle e fratelli hanno vissuto questo. Ricordiamo Sr. Pat, una passione in ginocchio davanti a Dio e di fronte al popolo che serviva. Passione per Dio e per l’umanità.

Partiamo da due persone: Maria di Magdala e Daniele Comboni, con tutte le donne del Vangelo e quelle di Comboni.

Queste hanno vissuto una mistica particolare. La spiritualità implica la mistica cioè le ragioni evangeliche della nostra speranza. Che cosa spero io in questo momento con la congregazione? Noi abbiamo sottolineato molto la mistica delle nostre sorelle.

D. Comboni usa tre parole:

  1. E’ l’ora. Di osare come Comboni fino alle estreme conseguenze. Egli ci spinge ad avere la sua visione. Ma qual è la mia visione? Lui non si ferma di fronte alle difficoltà. Ci spinge a cercare i cammini di Dio, ad ogni costo. Egli non ha scelto un cammino facile, ha scelto la croce come sposa.
  2. Dobbiamo osare. Mistica dell’osare. Che cosa sono io per la congregazione oggi? Come sogno di entrare nella visione di D. Comboni? Come desidero condividere con i miei fratelli e sorelle oggi. E’ una visione che ho la responsabilità di portare avanti.
  3. Dobbiamo sperare.

Entriamo nella mistica dell’osare:

  1. Mistica della pazienza.
    Maria Maddalena è stata la prima a scoprire che il sepolcro di Gesù era incomprensibilmente vuoto, lei si incammina quando era ancora buio, fuori ma anche nel suo cuore perché il suo amico, colui che l’aveva capita era morto. Anche lei ha avuto un senso di disorientamento di fronte a questa tomba vuota. Lei aspetta, non torna a casa chiudendo la sua storia con delusione profonda, né sostituisce la chiamata profonda di Gesù con un progetto di vita alternativo.
    Dobbiamo ricordarcelo perché molte volte ci verrà la delusione, lo scoraggiamento e chiederemo “Dove hanno portato il mio Signore?” Anche Comboni ha vissuto molti di questi momenti. Ma non si è arreso. Fa sempre memoria nei momenti di buio della primigenia ispiratio. M. Bollezzoli alla morte di DC scrive una lettera: “Avanti, avanti, il nostro padre non è morto, mettete i vostri piedi sulle sue orme ed egli dall’alto vi guiderà. Questa donna che è stata chiamata da Comboni ed è stata nella sua missione, ha saputo dare speranza ai fratelli e sorelle, è stata il ponte tra la morte del fondatore e la mahadia. Rileggiamo questa lettera! Mistica dell’osare, con la pazienza. Osare compiere il primo passo verso la riconciliazione.
  2. Mistica del perdono.
    Maria Maddalena, da sola, ricorda Colui che l’aveva amata e perdonata. Comboni contemplando il crocefisso, perdona. Un atteggiamento che sorprende molto i suoi tanto che lo definiscono ingenuo. Come essere uomini e donne di riconciliazione oggi? Non soltanto dare ma anche concedere perdono nel profondo del nostro cuore. Ciò è molto difficile. In questo terzo millennio così dilaniato da guerre, il perdono è la prima parola da pronunciare.
  3. Mistica della pietra nascosta.
    Come le donne del Vangelo che si nascondono. E’ tipicamente comboniana. Mara Maddalena rimane sotto la croce, come il granello di senape. Osare essere quel grano che muore. Avere la capacità di rischiare, di dare tutta la vita. Chiediamo di entrare nella mistica del rischio: la croce. In passato il sacrificio ha sostenuto la missione. Oggi non sene parla più. Qual’è il senso di sacrificio: osare il rischio della fedeltà, di rimanere nell’ora, di dare la vita nonostante tutto, anche le nostre fragilità e debolezze. Questo ci porta a mettere la nostra fiducia in Dio. Cosa significa per noi oggi sacrificare tutto, come lo traduciamo in atteggiamenti comboniani? Comboni ci parla del servo inutile. Noi non siamo i protagonisti ma i servi della missione. Noi entriamo con umiltà, chiedendo il permesso di unirci ali cammini dei popoli. Dobbiamo osare il rischio di essere un piccolo gruppo, come Abramo, Mosè, Giuseppe, Ruth, Ester, T. Grigolini, G. Scandola, Roveggio, incontrano Dio. Osare anche il rischio dell’impotenza. Quante volte ci sentiremo impotenti! Questo ci mette sulla strada di tutti i popoli, ci fa sentire piccoli, ci fa provare quello che provano i poveri del mondo. Non diciamo forse di voler fare causa comune? I poveri sono obbligati ad osare la fiducia e l’abbandono in Dio. Il far causa comune ci fa sentire con i poveri,ci invita guardare alla loro accoglienza, intessere relazioni significative per una condivisione maggiore nell’umiltà e nella carità, con profondo senso di gratitudine. Entrare nella missione con lo stile del servo inutile, come il pastore che offre la vita per le pecore. Gesù dice “io sono il buon pastore” e Lui stesso si mette dalla parte degli agnelli che vengono calpestati e uccisi. Il Dio divenuto agnello ci dice che il mondo viene salvato dal crocefisso e non dai crocifissori. Per entrare nel mistero della redenzione dobbiamo diventare agnelli crocifissi con i crocifissi di oggi. Questo si realizza facendo causa comune con i poveri.
    Ecco la mistica della pietra nascosta, del seme che muore. T. Grigolini dice all’inizio “io vengo, eccomi”. Alla fine quando alla mahadia lei deve rimanere perché sposata, dice “io rimango schiava per sempre” (servo inutile). Come possiamo incarnare in noi questa mistica del seme che muore? Dobbiamo chiedere a Comboni di donarci il potere dell’umiltà, di colui che serve, il dono dell’umiltà è l’unica lente attraverso cui la verità può essere vista, una volta vista l’umiltà è l’unico modo per vivere la missione. I poveri sono beati perché danno spazio allo Spirito di Dio.
  4. Mistica dell’annuncio.
    Va dai miei discepoli e dì loro. Questa è la vocazione di Maria Maddalena e la nostra vocazione. Un annuncio che passa per l’umanità, ma ha il marchio dell’umiltà. Maria Maddalena và e annuncia e tutti corrono, hanno visto, contemplato e alla fine corrono. Scandola diceva “facciamo presto perché senò perdiamo la corsa.”
    Anche noi dobbiamo correre verso il compimento della promessa che ha fatto D. Comboni. Insieme a questa schiera che hanno portato avanti il messaggio di Comboni. Correre per dire al mondo intero: “Ho visto il Signore”. Ci sono molti fratelli e sorelle che continuano a pregare nella sofferenza per noi e con noi, accogliamolo come dono. Incamminiamoci anche noi, ma teniamo sempre fisso nel nostro cuore che Comboni è con noi. Lui che ha pregato per le prime/i discepole prega anche per noi e ci assicura che non ci deluderà.

Che cosa ha fatto vibrare il mio cuore? Qual è la parola di Comboni che ha fatto vibrare il mio cuore e lo fa vibrare più che mai oggi?

DOMANDE a sr. Adele

  1. Hai parlato di umiltà, di nascondimento, non pensi che questi atteggiamenti possano a volte essere un pò rischiosi perché potrebbero far nascere mancanza di entusiasmo, deresponsabilizzazione?
    Una cosa che mi colpisce quando vado in visita è che dopo 130 anni alla scuola di D. Comboni non abbiamo capito la sua metodologia. Siamo protagonisti, facciamo fatica ad entrare nel cammino della chiesa locale, fatichiamo ad inserirci nel cammino del popolo. Neanche me lo chiedo come inserirmi. La pazienza di entrare nei cammini è difficile perché io ne so molto di più. Che fatica ad aver fiducia nei nostri collaboratori. Il programma di Comboni è diminuire perché gli altri crescano. Non abbiamo la pazienza di Comboni, la pazienza di immergerci nella storia, noi abbiamo fretta. Come possono popoli che da anni sono sotto pressione entrare nel mio schema? Non si perde mai ad essere umile!
  2. Dio non vuole la povertà. E’ importante lottare perché questi poveri vivano con dignità. Noi come comboniani corriamo il rischio di non prendere sul serio questa riflessione. Fino a che punto riusciamo ad uscire dalla logica occidentale?
    Quando si parla di umiltà vuol dire che non siamo protagonisti di un cammino, lo facciamo insieme, non avanti come condottieri. Il protagonismo è avere certezze e non mettersi in dialogo. Noi manchiamo un pochino nel metterci in cammino con le chiese. Anche il clericalismo è irrompente, dove le donne non hanno spazio, e soprattutto tra i giovani. Se la chiesa è così, noi comboniani non possiamo esserlo. Noi dobbiamo camminare con i poveri per andare oltre.
  3. Qual è la definizione di sacrificio? Ciò che ci fa santi non è la croce ma quello che noi ce ne facciamo. Il sacrificio fino a che punto ci fa arrivare? E’ solo perché ci guardino? Noi imitiamo i poveri perché? Solo perché ci vedano?
    Cosa ha inteso Cristo e Comboni per sacrificio? Gesù intende donare se stesso, compiere la volontà del Padre. Le sue ultime parole sono “Tutto è compiuto”. Il sacrificio è dare tutto: il tempo, le mie preoccupazioni, le mie priorità. Sacrificio è avere dei bisogni e guardare prima di tutto a quelli degli altri. Oggi la missione è molto difficile, ci chiede molto. Tutto è compiuto. A Comboni hanno tolto anche la fama. La Grigolini si deve perfino sposare per salvare i fratelli e le sorelle. Il servo sofferente di Isaia, è l’immagine del sacrificio. Il sacrificio ci brucia dentro e assume volti nuovi. La collaborazione è un sacrificio. Facciamo molta fatica a collaborare: come comunità, tra le congregazioni, nella chiesa. Nella crisi non ci viene neanche in mente di chiedere consiglio, no decido io perché la vita è mia. Noi sappiamo i piani di Dio. Ehi! Manchiamo di umiltà. E la missione, il carisma? Questi incidenti possono venire ma come li gestiamo? Dio non ritira la sua parola! Noi non permettiamo a nessuno di aiutarci nel cammino, quando sei in crisi lascia una porticina che qualcuno entri e sieda alla tua mensa.
  4. Qualche volta siamo più esperti in altre spiritualità che non nella nostra. Quali sono i mezzi per raggiungere una vera spiritualità comboniana?
    Il carisma cresce sempre ed è una meraviglia. Prendete in mano gli scritti di Comboni, ci alimenta ci dà il fuoco. Abbiamo bisogno dell’oggi, vedere certi fratelli e sorelle che hanno incarnato il carisma, vedere quale spiritualità l’ha sostenuto. Abbiamo lo stesso vocabolario, la stessa passione. Celebriamo la spiritualità, nelle nostre liturgie, nella nostra preghiera personale, dal Volto ai volti. Cominciamo ad essere noi coloro che ravvivano il fuoco della spiritualità. Queste comunità diventano dei punti luminosi.
  5. Grazie per la nuova versione del fare causa comune. Grazie per aver detto che non abbiamo capito la metodologia di Comboni. Che consiglio potrebbe darci, che potrebbe essere di aiuto in questo desiderio di voler collaborare ma anche vivere secondo la metodologia di Comboni?
    Comboni quando ha preparato i suoi per la partenza, dice che c’è bisogno di un periodo di acclimatizzazione. Una delle regole di Comboni era preparare gradualmente all’inserimento: l’apprendimento della lingua. Oggi stiamo vedendo che si fa molta fatica ad imparare la lingua. Noi diamo poco tempo a questo e dopo pensiamo di sapere bene, invece parliamo molto male. La mistica della pazienza, è il rispetto di entrare in un popolo e imparare la lingua. L’ascolto, non giudico! L’ascolto delle sapienze dei popoli, renderci conto perché si fa in un modo oppure in un altro. Il mio consiglio è: Preghiera, lingua e un grande ascolto. Interroghiamoci sulle tradizioni locali. Non saremo mai stufe di ascoltare.
  6. La storia è ricca. Questa storia siamo anche noi e a volte ci troviamo nel cambiamento storico, antropologico, etc. leggendo i segni dei tempi è importante essere aperti per accogliere quello che ci viene. Come vedete la formazione di oggi, la sua qualità? Come vedete i giovani di oggi che devono affrontare domani la missione con un cuore che non sia diverso da quello di Comboni?
    Come formarci/e per essere donne del Vangelo, oggi. E’ una domanda che ci stiamo facendo perché forse non stiamo dando tutti gli strumenti per questo. C’è qualcosa che non va. Dovremmo cambiare diverse cose a livello di formazione. Ci sono intuizioni nuove che vanno ascoltate. Un punto su cui lavorarci è la multiculturalità, dove il dialogo nel rispetto reciproco è difficile. Siamo molto sgarbati, curare le relazioni umane. Il galateo delle relazioni nelle varie culture. Chiediamoci quali sono le tradizioni e le relazioni culturali, perché potremmo ferire le sensibilità.
  7. Adesso siamo qui tutti giovani, però pensando alla realtà della nostra congregazione in cui le vocazioni diminuiscono e l’età media avanza, c’è una riflessione su come i giovani vengono inseriti nella comunità?
    Noi adesso dobbiamo metterci in mente che rimarremo un piccolo numero. Comboni moriva e diceva ho due istituti e aveva sette persone al Cairo. Non immaginiamoci grandi cose. Com’è la metodologia del resto di Israele? Stiamo riflettendo su nuovi stili di vita, su nuovi inserimenti delle giovani nelle comunità.

Nella seconda parte della mattinata sr. Adele ha condiviso con noi un’altra riflessione sulla contemplazione partendo dal brano biblico del ROVETO ARDENTE. La riportiamo qui di seguito.

Ci accostiamo al volto di Dio ma anche a quello di D. Comboni. E’ stato un giorno molto decisivo nella vita di Mosè, quando suo suocero Ietro gli dice và in pace. Ciò che ha contribuito alla vocazione di Mosè sono state tante persone. Lui và e si spinge verso il deserto e osa (andando a casa prendiamo il piano e cerchiamo questa parola: osare). Mosè osa andare alla ricerca delle strade di Dio e vede il roveto ardente che brucia e non si consuma.

Proviamo a parlare con Comboni. E’ nostro padre e fondatore, e continua a pregare per noi! Il roveto non ha valore in se stesso. Mosè dice “Voglio capire”, accostiamoci a questo roveto volendo capire. Mosè abbandona la sicurezza di un cammino che stava facendo e comincia a salire, e Dio gli appare in questa debole cosa che è il roveto e lo trasforma. Mosè si lascia investire del fuoco di Dio e lui stesso diventa fuoco. Mettiamoci davanti a questo roveto che nasconde Dio. Mosè sente il suo nome e nel silenzio dice eccomi, senza sapere.

Dopo avrà bisogno di Aronne, Giosuè, Miriam, tanta gente per portare avanti la sua leadership. Noi non possiamo portare avanti niente da soli. Sentiamoci chiamare per nome da Dio, sentiamo l’eco di questo nome ripetuto da Comboni. Saremo ancora chiamati per nome diverse volte, e a noi è chiesta la risposta: Eccomi. Chi sono io, qual è il mio nome? In questo dialogo di Mosè troviamo le nostre situazioni di ogni giorno, anche Comboni ha dovuto ritirarsi in esercizi, e chiedere al suo direttore spirituale.

Ma Dio ci dice ancora di toglierci i sandali. Cosa rappresentano i sandali per noi che ci prepariamo alla missione? Deponi le tue sicurezze, incertezze, protagonismo. Dobbiamo presentarci a LUI scalzi. Comboni non ha avuto paura di mostrare la sua debolezza. I sandali non servono, è tempo solo di lasciarci investire del fuoco di Dio.

Le nostre incertezze sono le pietre di un edificio che ci siamo costruito. Sostienimi o Dio secondo la tua parola, e io vivrò, non venire meno nella mia speranza. E’ questo il carbone acceso che conserva il fuoco, è il carbone che anima e rinvigorisce perché altre generazioni possano attingere il sapore della vita dalla sorgente di D. Comboni. Quello che noi annunciamo è preparato per le prossime generazioni. Togliamoci i sandali per contemplare faccia a faccia il volto di Dio e il cuore del nostro fondatore.

Nel silenzio, andiamo a contemplare questo mistero.

Siamo stati, dunque, invitati a trovarci in gruppo e condividere su due domande:

  • Cosa rappresentano i sandali per noi che ci prepariamo alla missione?
  • Cos’è questo roveto ardente nella mia vita?

E riportare all’assemblea plenaria gli elementi fondamentali per la nostra vita missionaria comboniana.

Dai LAVORI DI GRUPPO è emerso quanto segue:

  • Umiltà come necessità di spogliarsi di se stessi davanti a Dio nell’atteggiamento di chi non sa tutto, senza lasciarsi contagiare dal protagonismo. E’ richiesta molta preghiera per capire questo atteggiamento e viverlo.
  • Contemplazione e incontro personale con Dio, scoperto come amore provvidenziale, incarnato nella storia dei popoli e nel nostro quotidiano. Questo ci converte, mettendoci in gioco e aiutandoci a fare discernimento e a spogliarci di noi stessi. E’ l’atteggiamento di tutta una vita.
  • Ricchezza dell’Inculturazione, con umiltà accettando i limiti nostri e altrui.
  • Essere strumenti di riconciliazione e di perdono.
  • Spirito di sacrificio. . Ci viene data da Cristo. La nostra vocazione ha la forma di una croce. Molti di noi lo vedono nella propria storia vocazionale. Un sinonimo potrebbe essere: donazione incondizionata, accoglienza del mandato di Dio ad incontrare un popolo rimanendo fedeli all’ora.
  • Superamento della sofferenza. Non quella che ci dà Cristo ma che ci diamo noi, soprattutto quella di certi mutismi tra di noi in comunità.
  • Stile di vita che favorisca la comunione e il dialogo. Cercare di entrare nel cuore dell’altro e cercare di capire chi è, non cosa fa.
  • Vita comunitaria
  • Rapporto personale con D. Comboni, nostro padre e aiuto nel cammino di sequela a Gesù. E’ per noi, oggi, una sfida crescere in un dialogo profondo con lui nella quotidianità.
  • Spiritualità missionaria comboniana.
  • Apertura al discernimento.
  • Passione per la missione nella consapevolezza del nostro carisma che comporta il rischio d’uscire dalle nostre sicurezze fino a togliere i sandali ed abbracciare la croce.
  • Perseveranza.
  • Necessità di integrare il nostro progetto personale e comunitario collaborando all’unico progetto di Dio.

Sr. Adele ha concluso facendoci l’augurio di:

Osare la contemplazione, osare essere appassionati come Comboni in una donazione nell’umiltà (è l’ora dell’umiltà per noi comboniani/e), osare perdere il nostro tempo con Dio e con Comboni.
Geremia, dopo tante vicissitudini, apre gli occhi e gli chiedono: “Cosa vedi?” “Vedo un ramo di mandorlo in fiore”. Siamo invitati/e a vedere questo. Siamo invitati/e a guardare alla nostra famiglia comboniana con occhi di speranza, la stessa speranza di Comboni.

Nel pomeriggio siamo stati invitati a riflettere sulla seguente provocazione e a condividere in gruppo: Quali sono, secondo la tua esperienza, gli elementi significativi della Spiritualità Comboniana?

Ciò che è emerso dai gruppi è stato:

  • Buon pastore
  • La profezia della croce
  • Cenacolo di apostoli/e
  • Favorire la crescita dei valori del Regno
  • Fedeltà alla croce
  • Collaborazione che nasce dalla passione comune
  • Passione donata che ti fa abbracciare la passione di Cristo.