Il 4 ottobre inizia la prima sessione del Sinodo dei vescovi e durerà fino al 28 ottobre (la seconda avrà luogo nell’ottobre 2024). Partecipano ai lavori sinodali 365 membri votanti, tra i quali 54 donne. Ci sono i rappresentanti dalle Conferenze episcopali del mondo (Africa 43, America 47, Asia 25, Europa 48, Oceania 5); i delegati delle Chiese orientali cattoliche (20); 50 membri di nomina pontificia; 70 fedeli non vescovi (tra cui cinque consacrate e cinque consacrati).

di PAOLA SPRINGHETTI
26 settembre 2023
http://www.vinonuovo.it

Il 4 ottobre inizia la prima sessione del Sinodo dei vescovi (https://www.synod.va/en.html). È importante, ma è altrettanto importante ricordare che continua anche il sinodo della Chiesa italiana, arrivato ormai al terzo anno e quindi alla fase sapienziale.

Molti se lo stanno dimenticando. Un po’ per stanchezza – non siamo più abituati a seguire percorsi complessi e lunghi – e un po’ complice l’informazione laica, che per due anni ha ignorato il sinodo della Chiesa italiana, ma visto che ora si riuniscono i vertici comincia ad interessarsi, soprattutto nella misura in cui può raccontare l’incauta dichiarazione di un cardinale o la rinuncia di un altro a partecipare. Come è noto, l’informazione in Italia si occupa solo dei vertici, e non della base, cioè di quel popolo da cui invece arriva la richiesta di cambiamento. E mette in cima alla classifica dei criteri di notiziabilità quello del conflitto: se non c’è, lo crea.

È ovvio che ci si aspetti che all’interno del sinodo dei vescovi un po’ di conflitto ci sia: altrimenti vorrebbe dire che non sono sinceri. Ma naturalmente si spera che sia un conflitto “sano”: quello che permette un confronto chiaro tra le diverse posizioni, ma nell’ottica di creare dialogo per individuare nuove prospettive. E lasciando spazio allo Spirito Santo, più volte invocato da Papa Francesco quando ammonisce che il sinodo non è il Parlamento, che non si decide a maggioranza, ma si cercano soluzioni attraverso il metodo della conversazione spirituale e un attento discernimento.

Fatto sta che, durante un corso di formazione per giornalisti organizzato da GreenAccord il 19 settembre scorso, è stato chiaramente detto che non tutto ciò che viene detto durante i lavori verrà reso pubblico: ogni giorno sarà comunicata solo una sintesi di quanto emerso. E forse – forse – non è del tutto sbagliato, pensando appunto ai meccanismi mediatici e alla loro insaziabile fame di conflitto, una fame che andrebbe a interferire con processi delicati di dialogo, forse rendendolo impossibile.

Partecipano ai lavori sinodali 365 membri votanti, tra i quali 54 donne. Ci sono i rappresentanti dalle Conferenze episcopali del mondo (Africa 43, America 47, Asia 25, Europa 48, Oceania 5); i delegati delle Chiese orientali cattoliche (20); 50 membri di nomina pontificia; 70 fedeli non vescovi (tra cui cinque consacrate e cinque consacrati). In questa sessione, che durerà fino al 28 ottobre, sono chiamati a confrontarsi – in assemblea e in gruppi di lavoro – sui problemi emersi dalle precedenti fasi del cammino sinodale: le soluzioni verranno individuate nella sessione successiva, da cui dovrà uscire un documento finale. I partecipanti vengono dunque da tutto il mondo e quindi da Chiese immerse in situazioni culturali, politiche, esistenziali profondamente diverse tra loro: essere una Chiesa universale non è mai stato facile, oggi ancora meno. E già riuscire a capirsi sarebbe un bel risultato, anche se non basta: bisogna, prima o poi, arrivare a delle conclusioni, e quindi a delle scelte.

Il documento di lavoro, l’Instrumentum Laborisnon nasconde i problemi, li mette sul piatto con sufficiente chiarezza: si va dall’accoglienza al problema del linguaggio, dalla formazione delle persone alla riforma delle strutture (tanto che il Cardinale Coccopalmerio, nel già citato corso di formazione, si è chiesto se il Sinodo universale stesso non vada riformato rendendolo un organo decisionale, e non solo consultivo) e così via.

Intanto, dicevo, le Chiese locali hanno ripreso il loro cammino: la fase sapienziale, accompagnata dalle apposite linee guida  dovrebbe essere una fase di «discernimento comunitario “realistico”, cioè operativo, orientato all’individuazione dei mezzi per costruire una Chiesa più aderente al Vangelo».

Credo non sarà facile per le diocesi vincere la stanchezza e lo scetticismo del popolo di Dio, mantenendo un alto livello di coinvolgimento. Ma molte ci stanno provando, e altre sono decisamente avanti. Come quella di Torino, che sta portando a termine la riforma della curia: non sarà più organizzata in uffici pastorali, autonomi e isolati tra loro, ma sarà gestita trasversalmente dagli operatori e dai “volontari di Curia”, insieme alle parrocchie e le realtà ecclesiali. Insieme lavoreranno attorno a quattro grandi aree pastorali: l’Annuncio e la Celebrazione; la Carità e l’Azione sociale; la Cancelleria; l’Amministrazione. Tre di queste hanno direttori laici.

È un segno che rinfranca: se si vuole, cambiare si può e una Chiesa rinnovata in senso sinodale non è solo un sogno, ma un progetto. Speriamo lo sappiano anche i 465 che il 4 ottobre cominceranno a lavorare.