Vangelo del giorno

Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno».

Provate a dare ad un bambino un bel gioco e poi subito dopo a chiederglielo indietro. A meno che non sia un novello san Luigi Gonzaga, difficilmente ve lo restituirà. Ora lo stesso accade agli uomini. Dio ci fa il dono della vita e noi subito la facciamo nostra e ce ne guardiamo bene dal restituirla. Il corpo è mio e me lo gestisco io, gridavano le femministe negli anni Settanta. La vita è mia e me la gestisco io, sostengono i sostenitori dell’eutanasia. Ma di chi è questa vita? Di chi è questo corpo? E siamo così sicuri che tenendocela stretta, la vita la gestiamo al meglio? O forse, non è come dice Gesù, che è nel donarla che la salviamo? Questo è il segreto della vita: solo lasciandola andare essa vive. E’ nel donarla che si genera. E’ nel lasciarla morire che risorge. La vita, contrariamente alle tabelline, nel momento che si sottrae si moltiplica. Esattamente come dice Gesù: chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà per causa mia, la troverà.

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Termina il vagabondaggio libero e fe­lice sulle strade di Palestina, lungo le sponde del lago, e all’orizzonte si sta­glia Gerusalemme. Per la prima volta si pro­fila la follia della croce. Dio sceglie di non assomigliare ai potenti, ma ai torturati e uc­cisi del mondo. Potere vero per lui è amare, è la supremazia della tenerezza e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno risorgerò.
È una cosa tanto inedita e sconvolgente che Pietro la rifiuta: nella logica umana sce­gliere di stare dalla parte delle vittime, dei deboli, significa esautorarsi di ogni potere. Gesù allora lo invita a entrare in questa ri­voluzione, ad aprirsi al nuovo che irrompe per la prima volta nella storia: «Pietro, tor­na a metterti dietro di me, riprendi ad es­sere discepolo».
Non è solo Pietro a seguire questa logica, ma tutti i discepoli. E allora Gesù allarga a tutti lo stesso invito: Se qualcuno vuole ve­nire dietro a me… e detta le condizioni. Con­dizioni da vertigine. La prima: rinneghi se stesso. Parole pericolose se capite male. Rin­negare se stessi non vuol dire mortificarsi, buttare via i talenti. Gesù non vuole dei fru­strati al suo seguito, ma gente dalla vita rea­lizzata. Rinnega te stesso vuol dire: non sei tu il centro dell’universo; impara a sconfi­nare oltre te. Non una mortificazione, ma u­na liberazione.
Seconda condizione: Prenda la sua croce e mi segua. Una delle frasi più celebri, più ci­tate e più fraintese del vangelo, che abbia­mo interpretato come esortazione alla ras­segnazione: soffri con pazienza, accetta, sopporta le inevitabili croci della vita. Ma Gesù non dice «sopporta», dice «prendi». Non è Dio che manda la croce. È il discepo­lo che la prende, attivamente.
La croce nel Vangelo indica la follia di Dio, la sua lucida follia d’amore, amore fino a morirne. Sostituiamo croce con amore, ed ecco: se qualcuno vuole venire con me, pren­da su di sé il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui è capace e mi segua. Quindi la parola centrale del brano: Chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l’accento sul perdere la vita. Ma se l’ascolti bene, senti che l’accento non è po­sto sul perdere, ma sul trovare.
Seguimi, cioè vivi una esistenza che asso­migli alla mia, e troverai la vita, realizzerai pienamente la tua esistenza. L’esito finale è «trovare vita», Quella cosa che tutti gli uomini cercano, in tutti gli angoli della terra, in tut­ti i giorni che è dato loro di vivere: realizza­re pienamente se stessi. E Gesù ne possiede la chiave. Perdere per trovare. È la legge del­la fisica dell’amore: se dai ti arricchisci, se trattieni ti impoverisci. Noi siamo ricchi so­lo di ciò che abbiamo donato.

Cosa è essenziale nella nostra vita? Su cosa stiamo investendo? Cosa rappresenta per noi un bene assoluto? Gesù pone con forza queste domande con parabole ed allegorie, con una sottigliezza psicologica che ci affascina e ci stupisce. Ma la sostanza resta la stessa: e se dopo tanta fatica ci trovassimo a scoprire di avere perso la nostra vita dietro mille inutili cose? In mille inutili preoccupazioni? Prendere la croce, per Gesù, non ha nulla a che vedere con l’atteggiamento autolesionista con cui, troppe volte leggiamo queste parole. Dio non ci manda nessuna croce (perché dovrebbe?) ma, al contrario, ci insegna ad accogliere le difficoltà che la vita ci pone davanti (non Dio!) con spirito positivo e costruttivo. A non caricarci le spalle con croci che noi stessi ci siamo procurati ma, al contrario, a vivere con amore anche le situazioni di difficoltà. Abbandoniamo le croci inutili e teniamo solo quelle necessarie, se riescono a tirare fuori da noi stessi il bene e l’amore che Dio ha messo nei nostri cuori. E seguiamo con gioia il Cristo che perde la sua vita donandocela.

Risonanze della Parola del giorno

“Mi opprimevano tristezza e angoscia e ho invocato il nome del Signore: « Ti prego, Signore, salvami ». Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso… protegge gli umili: ero misero ed egli mi ha salvato. Ritorno alla pace, poiché il Signore mi ha beneficato; ha liberato i miei occhi dalle lacrime, ha preservato i miei piedi dalla caduta…” (salmo 114).
Colui che ha fatto esperienza – nella propria vita – di perdono, di misericordia, di provvidenza – anche a “piccole dosi” – difficili da rintracciare, ma inequivocabilmente presenti… non può sottrarsi dal testimoniare. La testimonianza non assume toni ufficiali, non cerca pulpiti per essere comunicata. E’ “presente” nella persona che ha vissuto queste esperienze, e – ne “modifica” – anche, in qualche modo, il suo “carattere”. Non più disperazione, non più pessimismo, non più vuoto esistenziale, non più resa.
E’ un’esperienza che parte dalla costatazione della propria debolezza, dei propri errori, ma sa cogliere la presenza di una “Mano” provvidente, che non abbandona, come “ombra che ti copre per proteggere la tua vita” (salmo 120). Ogni esperienza – diventa “maestra” di sapienza. “Il Signore Dio è la mia forza, egli rende i miei piedi come quelli delle cerve e sulle alture mi fa camminare…” (Abacuc 3,19).

Tere Monaco