Vangelo del giorno

10 agosto
Festa di San Lorenzo, diacono e martire
Giovanni 12,24-26

Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».

Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo.” Io non me ne intendo di agricoltura e non saprei dire se un chicco di grano ha la possibilità di non morire, una volta caduto in terra. E ancora non so cosa intendesse Gesù quando parla della possibilità di un chicco di grano di rimanere solo. Sappiamo però che gli uomini quando sono chiamati a scegliere, difficilmente scelgono di morire, proprio perché ritengono la morte una estrema solitudine. Ciascuno di noi rigetta l’idea d’essere abbandonato. E la morte a tutti noi pare l’abbandono definitivo.
Eppure Gesù insiste: se non muori, rimani solo. Cioè, l’incapacità di morire ti porterà esattamente a ciò che rifuggi: il rimaner solo. Non c’è niente da fare. Ci dobbiamo fidare. Oggi penso a san Lorenzo, che piuttosto che inchinarsi all’imperatore Valeriano e consegnargli i beni della Chiesa, ha accettato di morire, bruciato sul fuoco. Ma per far questo, dobbiamo imparare a morire ogni giorno, altrimenti non accetteremo mai la morte definitiva. E allora concludo con alcuni passaggi di questa poesia di Pablo Neruda. Dice così:

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
Lentamente muore chi evita una passione,
chi vuole solo nero su bianco e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni;
emozioni che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbaglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti agli errori ed ai sentimenti!

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia e pace in sè stesso.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che
essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto
di respirare!

Questa poesia ci dice che chi non sa morire, non sa neppure vivere.

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Oggi la Chiesa celebra la santità di Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, luminoso esempio di martirio e di amore per i poveri. Sappiamo poco di Lorenzo. Ma quel poco basta. Vive in un momento di grande persecuzione della Chiesa, sotto l’imperatore Valeriano, che vieta le assemblee di cristiani, blocca gli accessi alle catacombe, anche se non obbliga a rinnegare la fede cristiana. Nel 258, però, Valeriano ordina la morte di vescovi e preti: fra i tanti muore papa Sisto II, ai primi di agosto del 258. È la volta di Lorenzo che, come diacono, amministra i beni della comunità di Roma. Il prefetto imperiale lo arresta intimandogli di consegnare i tesori della Chiesa. Già allora si vagheggia di ricchezze tenute nascoste scaltramente. Lorenzo chiede del tempo, si affretta a distribuire ai poveri le offerte di cui è amministratore. Infine compare davanti al prefetto e gli mostra una gran numero di malati, storpi, poveri che lo accompagnano, dicendo: ecco, i tesori della Chiesa. Sarà ucciso, ovviamente, forse ustionato sulla graticola. Ma lo ricordiamo per quel gesto, quella provocazione che ancora oggi ci interroga. Non gli ori, le opere d’arte, le meravigliose basiliche sono i tesori della Chiesa. Ma i poveri che serviamo, servendo in loro Cristo.

Risonanze della Parola del giorno

Le Letture di oggi sono “percorse” dal solito grido di aiuto, ma – al tempo stesso – evidenziano una “risorsa” di consolazione, affidata a ciascuno di noi, da “spendere” per gli altri.
E’ esperienza di tutti i giorni… andiamo cercando sempre qualcuno che abbia la pazienza di ascoltare il nostro dolore, qualcuno che sappia comprenderci, consigliarci, sostenerci, capace – anche – di donarci speranza. Non come “chiacchiera vuota”, ma come testimonianza di un’esperienza di “salvezza” già vissuta, come capacità di “saper leggere” tra le pieghe della vita, un soccorso – comunque – sempre presente, sempre attivo “Mi opprimevano tristezza e angoscia e ho invocato il nome del Signore… ero misero ed egli mi ha salvato”. Consolare – vuol dire provare a mettere a disposizione la nostra “forza” – quei “residui” di forza, quella “grazia” che ci sostiene, per condividere la sofferenza dell’altro, per sostenere la sua fragilità e debolezza. Se – a volte – riusciamo a fare esperienza di una sorta di “ricapitolazione” della nostra vita e – accanto alle tante sofferenze e problematiche – riusciamo anche a “registrare” quel “filo” che ha intrecciato gli eventi ed è riuscito, poi, a dare “senso” compiuto, significativo a tutto, ci rendiamo conto che in noi c’è una “forza”, la Sua forza, che ci sostiene, che ci ha sorretto. “… Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene…” (2Cor 9,8).
Questo Dio, “Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci ha consolato in ogni nostra tribolazione, rende ora capaci anche noi, di consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione, con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2 Cor 1, 3-5).

Tere Monaco