Lunedì della XVII settimana del Tempo Ordinario
Mt 13,31-35: Il granello di senape diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami.
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
Commento
di Franco Mastrolonardo
Che cosa hanno comune il chicco di senape del contadino e il lievito della donna? Entrambi scompaiono! Il primo nel vasto campo di terra, il secondo nelle tre misure di farina. Certamente quello dello scomparire è un destino comune alla creazione. Prima o poi ogni cosa è destinata a finire sotto terra o chissà dove, ma il chicco di grano e il lievito sono di quei componenti che più di altri dicono di questo destino. Potremmo azzardare che trovano la loro vocazione nell’essere sparsi nella terra o nella farina. Non avrebbero senso da altre parti. Son fatti per scomparire. Ma attenzione! Non senza una ragione. Il granello e il lievito scompaiono far far nascere qualcosa di più grande. Diciamo che muoiono per un progetto più grande.E Gesù indica questi elementi come metafora per il Regno di Dio. Alla richiesta continua di poter vedere il Regno di Dio, Gesù risponde con continue metafore. E lo fa a ben ragione. Perché il Regno di Dio non è una realtà a se stante, ma è integrato nelle dinamiche umane, è seminato nei solchi della storia, è impastato dei dolori e delle gioie degli uomini. Il Regno di Dio non è qualcosa che sta in vetrina per essere ammirato, un soprammobile da salotto; è bensì nascosto nella sostanza di ogni cosa. in definitiva scomparso, proprio come il lievito e il chicco di senape.E noi cristiani, figli del Regno abbiamo questa vocazione comune: quella di mescolarci all’umanità e scomparire in essa come le tre gocce d’acqua dentro il calice nell’offertorio, affinché tutto un giorno risorga a vita nuova. Quindi niente vetrine o primi posti. Non siamo chiamati ad apparire, ma piuttosto a scomparire. La nostra identità non sta nello stare di fronte al mondo, distaccati, in una sorta di separazione rituale con tanto di segni e simboli che poco hanno a che fare con la cultura in cui viviamo, ma dobbiamo stare dentro il mondo affinché il mondo possa risorgere a vita nuova. E concludo facendo un accenno anche al mondo di Internet. Anche questo è terreno da seminare, anzi direi che oggi è fondamentale seminare qui, perché soprattutto i giovani abitano il mondo di Internet. www.preg.audio
di Paolo Curtaz
È poca cosa il Regno di Dio, come il seme polveroso della senape. Eppure, una volta cresciuto, diventa un albero alla cui ombra ci possiamo riposare. È un seme la presenza di Dio, perché dubitare della sua presenza? È un seme: necessita di una logica di attesa, di pazienza, di fiducia. E di lavoro. Il seme va accudito, irrigato, concimato, difeso dalle erbacce, protetto. Richiede un coinvolgimento da parte nostra, un minimo impegno, ma comunque un’attenzione. Non è magica la presenza di Dio, non è scontata, evidente, obbligata. Cresciamo nella pazienza, allora: verso noi stessi perché fatichiamo ad essere ciò che vorremmo, anche agli occhi di Dio. E verso la Chiesa: perché non sempre realizza ed esprime il Regno, diventando un albero che non porta frutti. Cresciamo nell’azione operosa, allora: prendiamo consapevolezza di quanto preziosa è la nostra fede, agiamo quotidianamente per realizzare la crescita del seme di Dio nella nostra comunità. E impariamo da Gesù che, attraverso la parabola, ha voluto raggiungere tutti, utilizzando un linguaggio accessibile e immediato. Smettiamola di usare un linguaggio per pochi adepti!