MCCJ
“CON DANIELE COMBONI OGGI”
Commento biblico alla Regola di Vita
a cura di P. Carmelo Casile e P. Ramon E. Vargas
1. SPIRITUALITÀ COMBONIANA
“Coscienti del dono ricevuto attraverso la vocazione e consapevoli della nostra fragilità e della necessità di attingere alle fonti della spiritualità comboniana per poter rispondere adeguatamente alle esigenze della missione oggi, ci sentiamo sollecitati a rinnovarci alla luce del carisma e della missione.
Per vivere la missione oggi con e come Comboni, vediamo necessario riappropriarci della sua spiritualità. Essa scaturisce dal suo rapporto con Cristo Buon Pastore dal Cuore Trafitto, che porta a condividerne l’amore incondizionato ai popoli e sprona alla carità fraterna, come prova dell’autenticità della fede e ‘segno distintivo della comunità comboniana’ (RV 3.3)”: AC ‘91, 9.
Tra i mezzi fondamentali per la conoscenza e l’approfondimento del carisma c’é la Regola di Vita: AC ‘91, 15.
Per tanto, “si continui l’assidua lettura e meditazione della Regola di Vita, quale strumento qualificato per garantire la presenza viva del Fondatore”: AC ‘91, 17.
2. REGOLA DI VITA: ESPRESSIONE E SORGENTE DELLA SPIRITUALITÀ COMBONIANA
2.1 LA REGOLA DI VITA: CODICE DELL’ALLEANZA
L’alleanza fra Dio e il popolo ebreo è il risultato della profonda esperienza della presenza attenta e liberante di Dio esperimentata nella fuga dall’Egitto, nel passaggio del Mar Rosso e nel travaglio del deserto.
Da parte di Dio l’alleanza è intervento liberante; è accompagnamento nel deserto: “nube che dà ombra di giorno e che illumina la notte”; è “essere con il popolo” con incrollabile fedeltà nelle vicende dell’Esodo.
Da parte del popolo l’alleanza è accettazione delle “dieci parole”, che diventano “codice dell’alleanza” man mano che vengono applicate alle situazioni della vita. Nelle varie rinnovazioni dell’alleanza in occasione delle “crisi” causate dal cambiamento delle situazioni storiche (v. g. al tempo di Giosuè con il passaggio dalla vita pastorale-nomade a quella sedentaria-agricola), le “dieci parole restano, ma il “codice” si evolve per applicare le “dieci parole” alle nuove circostanze. Senza l’obbedienza al “codice dell’alleanza” l’alleanza diventa parola vuota, facciata senza contenuto, come denunciano i profeti. Anche l’unità del popolo di Dio si polverizza nei rivoli delle tribù e sottotribù, gruppi di interesse e congiure di palazzo.
La nostra vita comboniana corresecondo i paradigmi dell’Alleanza. Dio ci ha chiamato ad una “alleanza” (RV. 10) con Lui e tra di noi; ci consacra come sua “proprietà” (RV. 20), ci costituisce “comunità (RV 36), ci invia per attuare la missione evangelizzatrice della Chiesa (RV 13) secondo il carisma di Daniele Comboni.
La nostra risposta, vissuta prima di tutto nel e dal Fondatore, ora diventa concreta e comunitaria nella RV, nostro “codice dell’alleanza”. Infatti quando entriamo nell’Istituto con la professione (RV 91) ci impegniamo a vivere “secondo le costituzioni dell’Istituto dei MCCJ”. Se prescindiamo da questo punto di riferimento, cadiamo nell’individualismo, si frantuma la comunione, si appanna la finalità specifica dei nostro lavoro di evangelizzazione e animazione missionaria, e si svuota la “sequela Christi”, che è mistero di obbedienza (Fil 2,5-11).
2.2 REGOLA DI VITA: ESPRESSIONE DELLA SPIRITUALITÀ COMBONIANA DAL FONDATORE AD OGGI
Dall’esperienza vissuta alla Regola scritta. Non bisogna mai dimenticare che la RV emersa dai Capitoli speciali voluti dal Concilio, è la traduzione in parole della nostra esperienza missionaria nel contesto della Chiesa universale e locale. Analogamente alla Bibbia, la vita ha preceduto la parola nel testo; questa infatti è l’esperienza condensata in parola.
L’attuale “lettera” fiorisce dall’esperienza del Fondatore, della Congregazione, della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Ne fanno fede i numerosi riferimenti alla Bibbia, ai documenti della Chiesa, al Comboni, all’esperienza comboniana dell’evangelizzazione, animazione missionaria, formazione… Prima di essere Regola è stata vita, esperienza vissuta, talvolta sofferta e contorta per il peccato e i limiti umani. Di questa storia di salvezza la RV contiene brevemente fatti, intenzioni, motivazioni, conclusioni sapienziali e direttive. Storia vagliata attraverso la preghiera, studio, ricerca e riflessione di tre Capitoli speciali e con il coinvolgimento di tutti i confratelli. Il tutto portato avanti in un clima di fede nell’azione dello Spirito Santo, di obbedienza alle direttive del Vaticano 11, e di non poco sacrificio per impiego di tempo, persone e mezzi finanziari. Perciò la RV é pregna di vita, matrice quindi di spiritualità e attività missionaria.
2.3 REGOLA DI VITA: SORGENTE DI SPIRITUALITÀ COMBONIANA
L’esperienza missionaria comboniana non è divenuta “Parola” nel testo della RV per restare imbrigliata nella carta, ma per ridiventare esperienza storica concreta. Deve essere considerata ed usata come sorgente essenziale e insostituibile della nostra spiritualità anche se non l’unica. Ci aspetta l’esigente impegno di interiorizzarla e personalizzarla; èquesto un processo che esige pazienza e metodo. La RV stessa al n. 47.1 ci dà una pista chiara, in analogia con la Parola di Dio.
Leggere la Regola di Vita alla luce della storia del Fondatore e dell’Istituto, per percepire l’esperienza che la “lettera” ha condensato.
Meditare la Regola di Vita per applicarla alla nostra vita, per lasciarci giudicare e convertire, per trasformare la “parola” in sapienza, inatteggiamento, in visione di vita, in mentalità, in azione.
Pregare la Regola di Vita- cioè trasformarla in dialogo con il Padre, con il Comboni, per ciascuno di noi, per l’Istituto, per le varie attività che la RV presenta, in una sentita esperienza di comunione con i confratelli.
2.4 APPELLO Al SUPERIORI PROVINCIALI, LOCALI E FORMATORI
Carissimi confratelli, il Capitolo ha detto che alla prima entusiastica accoglienza della RV è seguita una fase di stanchezza, ancora perdurante (Relaz. del Cons. Gen., 2.2a e 2.2b). Abbiamo bisogno dì una forte spiritualità per essere significativi ed incisivi. La RV è la sorgente specifica di tale spiritualità.
Vi invito, con la forza dei Capitolo, a bere quotidianamente a questa sorgente. In particolare mi appello ai Superiori provinciali e locali e a tutti i formatori a farsi garanti di questa interiorizzazione della RV. Mi permetto un suggerimento pratico: perché non leggere un numero della RV dopo la Lettura Breve delle Lodi o del Vespro, integrando cosi la Parola di Dio con la RV, che è applicazione della Parola di Dio e del carisma al nostro quotidiano?
Comboni interceda perché la sua spiritualità, diventata parola nella RV, ridiventi esperienza nella nostra vita e nella nostra azione.
P. Francesco Pierli
Padre Generale
(Lettera del Superiore Generale in MCCJ Bulletin n. 149, Aprile 1986; cf. RF 218-219).
3. L’amore custodisce la legge e la legge custodisce l’amore
Che posto ha, in questa economia nuova. dello Spirito, l’osservanza dei comandamenti? à questo un punto nevralgico che deve essere chiarito, anche perché può aiutare a superare uno degli ostacolimaggiori che si incontrano nel dialogo con l’ebraismo, che non intende, Giustamente, rinunciare a ciò che rappresenta per esso “la Legge”. Anche dopo la Pentecoste sussiste la legge scritta: ci sono i comandamenti di Dio, il decalogo, ci sono i precetti evangelici; a essi si sono aggiunte, in seguito, le leggi ecclesiastiche, Che senso hanno il Codice di diritto canonico, le regole monastiche, i voti religiosi, tutto ciò, insomma, che indica una volontà oggettivata, che mi si impone dall’esterno’? Sono, tali cose, come dei corpi estranei nell’organismo cristiano? Si sa che ci sono stati, nel corso della storia della Chiesa. dei movimenti che hanno pensato così e hanno rifiutato, in nome della libertà dello Spirito, ogni legge, tanto da chiamarsi, appunto, movimenti “anomisti”, ma essi sono stati sempre sconfessati dall’autorità della Chiesa e dalla stessa coscienza cristiana. Ai nostri giorni, in un contesto culturale segnato dall’esistenzialismo ateo, a differenza del passato, non si rifiuta più la legge in nome della libertà dello Spirito, ma in nome della libertà umana pura e semplice.
Dice un personaggio di J.-P. Sartre:
“Non c’è più nulla in cielo, né Bene. né Male, né persona alcuna che possa darmi degli ordini. […] Sono un uomo, e ogni uomo deve inventare il proprio cammino” (J.-P. SARTRE, Les mouches, Parigi 1943, p. 134 s.)
La risposta cristiana a questo problema ci viene dal Vangelo. Gesù dice di non essere venuto ad “abolire la legge”, ma a “darle compimento” (cf Mt 5, 17). E qual è il “compimento” della legge? “Pieno compimento della legge – risponde l’apostolo – è l’amore!” (Rm 13, 10). Dal comandamento dell’amore – dice Gesù- dipendono tutta la legge e i profeti (cf Mt 22, 40). U amore, allora, non sostituisce la legge, ma la osserva, la “compie”. Esso è, anzi, l’unica forza che può farla osservare. Nella profezia di Ezechiele si attribuiva al dono futuro dello Spirito e del cuore nuovo, la possibilità di osservare la legge di Dio:
“Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò mettere in pratica le mie leggi” (Ez 36. 27).
E Gesù dice, nello stesso senso: “Se uno mi ama osserverà la mia parola” (Gv 14, 23), cioè sarà in grado di osservarla. Tra legge interiore dello Spirito e legge esteriore scritta non c’è opposizione o incompatibilità, nella nuova economia, ma, al contrario, piena collaborazione: la prima è data per custodire la seconda:
“È stata data la legge perché si cercasse la grazia ed è stata data la grazia perché si osservasse la legge” (Agostino, De Spiritu et Littera, 19, 34.)
L’osservanza dei comandamenti e, in pratica. l’obbedienza è il banco di prova dell’amore, il segno per riconoscere se si vive “secondo lo Spirito” o “secondo la carne”: “In questo sta l’amore di Dio, nell’osservare suoi comandamenti” (1 Gv 5, 3). Così è stato per Gesù stesso; egli ha tracciato in se stesso il modello sublime di un amore che si esprime nell’osservanza dei comandamenti, cioè in obbedienza: “Io – dice – ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15, 10).
Il comandamento non annulla, dunque. i comandamenti, ma li custodisce e lì compie. Non soltanto nel ‘senso che chi ama ha la forza di osservare ciò che la legge comanda, ma anche nel senso, più profondo, che chi ama – e lui solo – realizza lo scopo ultimo di ogni legge che è di mettere in sintonia con la volontà di Dio. Chi, per ipotesi, osservasse alla perfezione ogni legge, ma senza quell’interiore disposizione del cuore che è data dall’amore, in realtà non osserverebbe la legge, ma farebbe solo finta di osservarla. San Paolo perciò ha ragione quando dice che tutto il suo discorso non tende a “togliere ogni valore” alla legge, ma che, al contrario, tende a “stabilire” e “fondare” la legge (cf Rm 3, 31).
Per capire il rapporto positivo che si instaura, nel regime della grazia, tra legge e amore, ricorriamo all’esempio della donna incinta. Il medico, o la levatrice, o – a seconda dei luoghi e dei costumi – i parenti, trasmettono alla giovane donna delle regole da osservare durante la sua gravidanza; le dicono cosa, nel suo stato, deve fare e cosa non deve fare, ciò che può mangiare e ciò che non può mangiare, ciò che può indossare e ciò che non può indossare… La donna. tutta presa – specie se alla sua prima gravidanza – dal miracolo della nuova vita che sente sbocciare e crescere in grembo e che vive ormai solo per essa, al punto da intenerirsi al solo suo ricordo, osserverà certamente tutte quelle “regole” che le vengono imposte e sarà, anzi, grata dal profondo del cuore a chi gliele trasmette; ma ella non le osserverà perché “sta scritto” da qualche parte, o per farsi onore, o per evitare il biasimo della gente, ma unicamente perché ama la sua creatura. La sua legge è l’amore. Ella non agisce per costrizione, ma per attrazione e tuttavia nessuno potrebbe agire con più zelo e diligenza di lei. Ella ama la sua creatura, vuole solo il suo bene, ma, giovane e inesperta com’è, non conosce esattamente cosa giova e cosa invece danneggia la nuova vita e per questo si sottomette volentieri alle indicazioni che le vengono dall’esterno, dall’esperienza e dall’autorità. Questo è, esattamente, il posto e il senso della legge sotto la grazia! Comprendiamo perché l’Apostolo, dopo aver speso capitoli interi della sua lettera per dimostrare la fine della legge, nella seconda parte, dà, egli stesso, tante leggi ai cristiani: “la carità non abbia finzione”, “ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite”… È finito un certo modo di concepire la legge, ma se ne è aperto un altro. Queste leggisonoormai a servizio della nuova vita che si è accesa in noi nel battesimo; sono come le regole date alla donna che porta in grembo una nuova vita.
Tra legge e amore si stabilisce, come si vede, un mirabile scambio, una sorta di circolarità e di pericoresi. Se è vero infatti che l’amore custodisce la legge, è vero anche che la legge custodisce l’amore. L’amore è la forza della legge e la legge è la difesa dell’amore. In diversi modi la legge è a servizio dell’amore e lo difende. Anzitutto si sa che “la legge è data per i peccatori” (cf 1 Tm 1, 9) e noi siamo ancora peccatori; abbiamo, sì, ricevuto lo Spirito, ma solo a modo di primizia; in noi l’uomo vecchio convive ancora con l’uomo nuovo e finché ci sono in noi le concupiscenze, è provvidenziale che vi siano dei comandamenti che ci aiutano a riconoscerle e a combatterle, fosse pure con la minaccia del castigo. La legge è un sostegno dato alla nostra libertà ancora incerta e vacillante nel bene. Essa è per, non contro, la libertà e bisogna dire che coloro che hanno creduto di dover rifiutare ogni legge, in nome della libertà umana, si sono sbagliati, misconoscendo la situazione reale e storica in cui opera tale libertà.
Accanto a questa funzione, per così dire, negativa, la legge ne assolve un’altra positiva, di discernimento. Con la grazia dello Spirito Santo, noi aderiamo globalmente alla volontà di, Dio, la facciamo nostra e desideriamo compierla, ma non la conosciamo ancora in tutte le sue implicazioni. Queste ci vengono rivelate, oltre che dagli avvenimenti della vita, anche dalle leggi.
Ma c’è un senso ancora più profondo in cui si può dire che la legge custodisce l’amore. È stato scritto: “Soltanto quando c’è il dovere di amare, allora soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro ogni disperazione” (S. KIERKEGAARD, Gli atti dell’amore, I, 2, 40)
Il senso di queste parole è il seguente. L’uomo che ama, più ama intensamente. più percepisce con angoscia ilpericolo che corre questo suo amore, pericolo che non viene da altri che da lui stesso; egli sa bene infatti di essere volubile e che domani, ahimé, potrebbe già stancarsi e Don amare, più. E poiché adesso che è nell’amore vede con chiarezza quale perdita irreparabile questo comporterebbe, ecco che si premunisce “legandosi” all’amore con la legge e ancorando, in tal modo, il suo atto d’amore, che avviene nel tempo, all’eternità.
L’uomo d’oggi si domanda sempre più spesso che rapporto ci può essere mai tra l’amore di due giovani e la legge del matrimonio e che bisogno ha l’amore di “vincolarsi”. Così sono sempre più numerosi coloro che sono portati a rifiutare, in teoria e in pratica, l’istituzione del matrimonio e a scegliere il cosiddetto amore libero o la semplice convivenza. Solo se si scopre, attraverso la Parola di Dio, il profondo e vitale rapporto che c’è tra legge e amore, tra decisione e istituzione, si può rispondere correttamente a quelle domande e dare ai giovani un motivo convincente per “legarsi” ad amare per sempre e a non aver paura di fare dell’amore un “dovere”.
Il dovere di amare protegge l’amore dalla “disperazione” e lo rende “beato e indipendente” nel senso che protegge dalla disperazione di non poter amare per sempre.
Questa considerazione non vale soltanto per l’amore umano. ma anche, e a maggior ragione, per l’amore divino. Perché – ci si può domandare – vincolarsi ad amare Dio, sottoponendosi a una regola religiosa, perché emettere dei “voti” che ci “costringono” a essere poveri, casti e obbedienti, dopo che abbiamo una legge interiore e spirituale che può ottenere tutto ciò per “attrazione”?. È che, in un momento di grazia, tu ti sei sentito attirato da Dio, l’hai amato e hai desiderato possederlo per sempre, totalitariamente e, temendo di perderlo per la tua instabilità, ti sei “legato” per garantire il tuo amore da ogni “alterazione”. La stessa cosa si realizza, in maniera diversa, per chiunque si converte e decide di darsi sul serio i Dio…, anche nel corso di questo nostro cammino. Egli scopre. in un momento, chi è Dio, che danno irreparabile sarebbe perderlo; allora, finché è nella fortunata situazione dell’amore, si lega con una decisione, con una promessa, con un voto personale, o in altri modi che lo Spirito inventa e suggerisce. Si lega per lo stesso motivo per cui si legò all’albero della nave quel celebre navigatore antico che voleva giungere, assolutamentea rivedere la sua patria e la sua sposa, sapendo che doveva passare attraverso il luogo delle Sirene e temendo di fare naufragio come tanti altri prima di lui…
(da: R. Cantalamessa, La vita in Cristo, Ancora, 1997, 156-161.)