MCCJ
P. Tarcisio Agostoni
STORIA dei MISSIONARI COMBONIANI DEL CUORE DI GESU
PARTE TERZA
Gli Istituti dal 1881 al 2003
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CAPITOLO QUARTO
Nuove prospettive nell’Opera Missionaria e la risposta dei nostri Missionari
UNA NUOVA ENFASI NEI DOCUMENTI DELLA CHIESA 1919-1995
“Maximum illud” (30 novembre 1919) di Papa Benedetto XV (1914-1922)
I danni causati dalla Prima Guerra Mondiale ebbero ripercussioni anche nelle missioni.
Il personale fu richiamato e mai rimpiazzato. Questo fatto mise in luce la grave mancanza di sacerdoti e vescovi nativi del posto. Il nazionalismo di alcuni missionari, specialmente in Oriente aveva tenuto il numero di sacerdoti locali molto basso e stabilito la tradizione che essi non sarebbero mai stati presi in considerazioni per posti di responsabilità. Dopo centinaia di anni di lavoro missionario in Cina, un solo sacerdote cinese, Gregorio Leo (Lopez) OP, consacrato nel 1685, era diventato Vescovo, ed anch’esso in circostanze veramente strane.
Benedetto XV nel suo “Maximum Illud” si accinse a mettere fine a questa ingiustizia, che era in effetti una deviazione dalla tradizione missionaria della Chiesa.
Questo stato di fatto aveva diverse ragioni.
In Africa era l’interferenza della Spagna e del Portogallo in quanto sia i loro governi che gli stessi missionari non vedevano di buon occhio la consacrazione di aborigeni, meticci o mulatti nei vasti territori che gestivano tramite il “Patroado” fino a quando gli indigeni non avessero raggiunto un livello culturale pari al loro. Non capivano le buone qualità dei nativi con un livello culturale differente del loro, e non consideravano neanche quelle civiltà culturalmente avanzate, anche se non Cristiane, come quella cinese o indiana. In generale, poi, non avevano in simpatia gli indigeni.
Un nazionalismo esagerato, principalmente da parte di missionari francesi, fu parzialmente responsabile in quanto li portò a trascurare le aspirazioni e i sentimenti di coloro che gli erano stati affidati.
Il programma educativo per i sacerdoti indigeni era talmente vecchio ed inadeguato che essi erano comunque impreparati a diventare leader.
Da qui le recriminazioni di Benedetto XV:
“È triste pensare che ci sono ancora nazioni dove la Fede Cattolica è predicata da secoli ma dove non si trovano sacerdoti indigeni eccettuati coloro di qualità inferiore; che ci siano nazioni, profondamente penetrate dalla luce della Fede che … hanno raggiunto un grado altissimo di civilizzazione tale da avere uomini che si distinguono in ogni sfera del sapere secolare … ma non sono ancora in grado di dare Vescovi che regnino su di loro, o sacerdoti che li guidino.”
“Maximum illud” è stata chiamata la “Magna Carta “del movimento missionario contemporaneo”. Il Papa disse che “Il lavoro Missionario è obbligatorio per ogni Cattolico. Non viene fatto abbastanza: devono essere fondati nuovi seminari per le missioni all’estero”. Il Papa inoltre parlò contro l’intesa di missionari con i loro governi nazionali e inequivocabilmente affermò che i sacerdoti indigeni sono “l’unica grande speranza delle nuove missioni, ma devono essere considerati alla pari, destinati, un giorno a prendere in mano l’opera della Chiesa nella loro terra natia”.
“Rerum Ecclesiae” (26 febbraio 1926) di Papa Pio XI (1922-1939)
Papa Pio XI, il Papa delle Missioni. Operò per lo sviluppo sia dei sacerdoti nativi sia dell’apostolato dei laici nelle missioni, per dissociare la Fede dalle accuse che fosse una religione dei bianchi basata sulla cultura europea e per enfatizzare altresì, che la spiegazione del Dogma Cattolico e del culto sia adattato alla cultura locale. Il Papa chiese che il Vangelo “quando viene introdotto in una nuova terra non deve distruggere o estinguere quello che quella gente possiede di naturalmente buono, giusto e bello… ovunque vi siano usanze locali che non siano inesorabilmente legate alla superstizione o errori, queste verranno sempre prese in benevola considerazione e se possibile, preservate intatte.”
Seguendo queste direttive la Congregazione per la Propagazione della Fede presentò una nuova politica per le attività missionarie che fu approvata l’8 dicembre 1939. La vecchia controversia sui “Riti Cinesi” (n. 39) fu finalmente chiusa, e la Santa Sede approvò quanto già espresso da Padre Matteo Ricci, e cioè che le cerimonie cinesi erano solo atti civili di reverenza nei confronti degli antenati e che essi dimostravano l’amore per la propria patria o cortesia verso i vicini. Riferendosi a queste responsabilità per le missioni nella “Rerum Ecclesiae”, il Papa scrive: “Proponiamo alla vostra attenzione l’importanza di aumentare il numero di sacerdoti indigeni. Se non lavorate con tutte le vostre forze a questo scopo, noi asseriamo che il vostro apostolato non sarà soltanto mutilato, ma diventerà un ostacolo, un impedimento all’istituzione e organizzazione della Chiesa in quelle nazioni …”.
Pio XI stesso iniziò a mettere in atto questa politica consacrando i primi sei Vescovi cinesi, un Vescovo indiano ed uno giapponese, preparando, inoltre la strada per la consacrazione del primo Vescovo africano dei nostri tempi, mons. Giuseppe Kiwanuka, ugandese. Papa Pio XII ebbe il piacere di consacrarlo nel 1939 in San Pietro assieme al primo Vescovo Malgascio Mons. Ignazio Ramarosandratana. Pio XI incoraggiò i Vescovi a mandare seminaristi e sacerdoti a Roma a seguire studi universitari.
Per facilitare questo progetto:
- Diede una nuova ed ampia sede all’Ateneo ed all’Università Urbaniana sul Granicolo (1931);
- Collegio russo di S. Teresa del Bambin Gesù sull’Esquilino (1929);
- Russicum: centro di studi per la Russia (1930);
- Pio Rumeno (1930);
- Nuova sede al Pio Rumeno-Ucraina (1930): gli ultimi due sul Granicolo;
- Nuova sede al Collegio Etiopico nei Giardini Vaticani (1930);
- Pio Brasiliano (1934), sulla via Aurelia:
Ordinò che una Giornata Missionaria si celebrasse in tutto il mondo. Raccomandò caldamente la vita religiosa a tutti i Cristiani nelle terre di missione e la fondazione di Istituti Religiosi.
“Evangelii praecones” (2 giugno 1951) di Papa Pio XII (1939-1958)
Pio XII chiamato pastore e maestro fra i Papi, seguì le orme dei suoi predecessori. Sottolineò ai missionari la necessità di insegnare e mettere in pratica i principi della giustizia e della pace secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, ed insisté sulla necessità di istruire laici per lavori socio – politici. Una delle ragioni per questa scelta era legata al progresso del Marxismo – Leninismo nelle nazioni del terzo mondo come movimento di liberazione.
“Fidei Donum” (21 aprile 1957) di Papa Pio XII)
In questo documento il papa sottolinea il dovere missionario di tutti i Vescovi, i sacerdoti, i laici e i religiosi. In particolare, incoraggia i Vescovi a sostenere le vocazioni missionarie, anche se la loro stessa diocesi avesse necessità di vocazioni sacerdotali.
Ancora oggi preti diocesani che intraprendono l’opera missionaria vengono chiamati “Fidei Donum” a causa di questa lettera.
Gerarchie
Fu durante il papato di Pio XII che la maggior parte delle missioni in ogni nazione furono dotate di una Gerarchia. Questo significa che gli Istituti Missionari sono adesso al servizio delle Gerarchie che diventano, perciò responsabili per l’apostolato missionario e pastorale. Lo “Ius Commissionis” accordato agli istituti missionari lasciò il passo a poco a poco ad un contratto fra un vescovo che invita e l’Istituto che a certe condizioni accetta l’invito. Lo “Ius Commissionis” accordava esclusiva responsabilità ad un Istituto in un certo territorio.
“Princeps Pastorum” (28 novembre 1958) di Papa Giovanni XXIII (1958-1963)
Il Papa sottolineò:
- La necessità di avere laici Cattolici ben formati, capaci di prendersi le loro responsabilità come cristiani nel campi socio-economici e politici delle loro nazioni;
- La necessità che i preti locali si prendano responsabilità per la formazione dei loro sacerdoti;
- La necessità per le organizzazioni cattoliche internazionali di assistere studenti provenienti dai territori missionari che si recano all’estero per studio, per dar loro la possibilità di continuare nella loro vita cattolica.
“Ad gentes”
Questo Decreto approvato durante l’ultima sessione del Concilio vaticano Secondo (7 dicembre 1965) riassume la dottrina della Chiesa sulle missioni e le Encicliche moderne. In particolare enfatizza l’ordine del lavoro missionario:
- La necessità della testimonianza cristiana;
- La Proclamazione della Buona Novella;
- La formazione di comunità Cristiane;
- La responsabilità dei missionari nelle Chiese particolari;
- La preparazione tecnica, morale e spirituale dei missionari da attuarsi per quelle nazioni dove dovranno poi recarsi e dove continueranno la loro formazione permanente.
- Gli Istituti di vita contemplativa devono stabilire le loro comunità nei territori missionari.
NB. Per “Evangelii Nuntiandi” vedere il periodo 1969-1975
“Redemptoris Missio” (1990) Papa Giovanni Paolo II)
Questo è l’ultimo documento che focalizza le attività missionarie ed è indirizzato in modo specifico “alle nazioni” (Ad gentes). Il Papa intervenne perché sembrava che l’interesse in questa particolare vocazione missionaria della Chiesa si stesse smorzando.
Papa Giovanni Paolo II ha voluto riaffermare la missione universale della Chiesa:
- Incoraggiare i missionari “Ad gentes”;
- Promuovere l’impegno delle chiese locali a favore delle missioni “Ad gentes”;
- Riassicurare i non Cristiani ed in particolare le autorità delle nazioni che ospitano i missionari, che tutti gli sforzi della Chiesa hanno un solo scopo: illuminare le persone rivelando loro l’amore di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo.
Il Papa confuta gli argomenti che provocano l’indebolimento dell’impegno missionario “Ad Gentes”
a. Gesù morì per la salvezza di tutti, anche di quelli che non lo conoscono.
Questo è vero:
“Lo Spirito Santo offre a tutti la possibilità di condividere il messaggio Pasquale in una maniera conosciuta solo a Dio” (n. 10)
È vero che la salvezza è nelle mani di Dio, ma Gesù raccomandò ai suoi discepoli: “Andate nel mondo e proclamate il Vangelo a tutte le nazioni” (Marco 16:15). Coloro che sono redenti da Cristo hanno il diritto di conoscere il loro salvatore. Perciò il papa scrive:
“la Chiesa non può non proclamare che Gesù venne a rivelare il volto di Dio e meritare la salvezza per tutti gli esseri umani tramite le sua croce e resurrezione.. “ L’amore di Cristo ci spinge “ (2 Cor. 5:14) … La missione è un problema di fede, anzi un indice preciso della nostra fede in Cristo e il suo amore per noi.” (n. 11)-
b. Secondo alcune tendenze sorte dopo il Concilio Vaticano II, il lavoro dei missionari dovrebbe essere soltanto quello di dialogare con le altre religioni e lasciare che ognuno professi la propria religione.
“Il dialogo inter-religioso fa parte della missione di evangelizzazione della Chiesa”. Ciò nonostante, questo è possibile “senza toccare in alcun modo la verità che la salvezza proviene da Cristo e che il dialogo non ci dispensa dall’evangelizzazione” Inoltre:
“Il dialogo dovrebbe essere fatto e illuminato dalla convinzione che la Chiesa è il mezzo normale per arrivare alla salvezza e che soltanto Lei possiede la pienezza dei mezzi per arrivarci” (id.)
Per capire appieno quest’ultima affermazione si deve ricordare che oltre al Battesimo la Chiesa offre altri sei sacramenti incluso: la Santa Messa che ci porta Gesù in modo sacramentale e misterioso, senza dimenticare la Chiesa e il Vicario di Cristo con il suo magistero normale e straordinario fino all’infallibilità esercitata a nome della Chiesa, il vero soggetto dell’infallibilità.
c. Il regno di Dio: per alcuni teologi il dialogo sembra essere uno scambio di e comunione nei valori di un Regno aperto a tutti e le di cui frontiere sono molto più estese di quelle della Chiesa.
I Papa risponde nel seguente modo:
“Secondo questo punto di vista il Regno diventa qualcosa di totalmente umano e secolarizzato: quello che conta sono i programmi e le lotte per una liberazione che è socio-economica, politica ed anche culturale.
Pur non negando che anche a questo livello ci siano valori da promuovere, tale nozione nondimeno, rimane entro i confini del regno dell’uomo, priva di dimensioni autentiche e profonde. Tale punto di vista si traduce in una ulteriore ideologia di semplice progresso umano. Il Regno di Dio, però “ non è di questo mondo … non è da questo mondo” (Giovanni 18:36) n. 17.
I Primi Cristiani, proclamarono inoltre “Il Regno di Cristo e di Dio” (Eph. 5:5; cf. Riv. 11:15; 12.10, ed anche “ Il Regno di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2 Pt. 1:11) La predicazione della giovane Chiesa era incentrata sulla proclamazione di Gesù Cristo, con il quale il Regno si identificava.
Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina o un programma soggetto ad essere liberamente interpretati; è prima di tutto una persona, con un volto ed un nome: Gesù di Nazareth, l’immagine del Dio invisibile. Se il Regno fosse separato da Gesù esso non sarebbe più il Regno di Dio che Egli ha rivelato. Il risultato è una distorsione del significato del Regno, che corre il rischio di essere trasformato in una meta puramente umana o ideologica e porterebbe ad una distorsione di Cristo, che non sarebbe più il Signore al quale tutti un giorno dovranno assoggettarsi (cf 1° Cor. 15: 27)
Allo stesso modo non si deve separare il Regno dalla Chiesa. È vero che la Chiesa non è fine a se stessa, in quanto essa è orientata verso il Regno di Dio del quale è il seme, segno e strumento. Però mentre rimane distinta da Cristo e dal Regno di Dio, la Chiesa è indissolubilmente legata ad ambedue. Cristo dette alla Chiesa il Suo Corpo con la pienezza dei benefici e mezzi per addivenire alla salvezza. Lo Spirito Santo dimora dentro di Essa, la fa gioire con i suoi doni e i suoi carismi, la santifica, la guida e costantemente la rinnova. Il risultato è una relazione unica e speciale la quale, mentre non esclude l’azione di Cristo e lo Spirito al di fuori dei confini visibili della Chiesa, le conferisce un ruolo specifico e necessario; da qui lo speciale rapporto della Chiesa con il Regno di Dio e Cristo che ha “la missione di annunciare e inaugurare fra la gente” (n. 18)
d. Redemptoris Missio non accetta che la missione della Chiesa “ad gentes” escluda “conversioni”. La proclamazione della parola di Dio ha come finalità la conversione Cristiana: una aderenza sincera e completa a Cristo ed al Suo Vangelo. (n. 46)
“Al giorno d’oggi, il richiamo alla conversione che i missionari indirizzano verso i non cristiani viene messo in discussione o passato sotto silenzio. È visto come un atto di proselitismo; si afferma che è più che sufficiente aiutare le persone a diventare più umane o più fedeli alla loro religione, che è sufficiente costruire comunità capaci di lavorare per la giustizia, la libertà, la pace e la solidarietà. Quello che si ignora è che ogni persona ha il diritto di ascoltare la “Buona Novella “ di quel Dio che si rivela e si dona in Cristo, di modo che ognuno possa vivere appieno la sua chiamata”(n. 46)
e. Prima di andare in Paradiso Cristo disse ai suoi discepoli:
“Ogni potere mi è stato dato in cielo e terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.” (Matteo 28:18)
f. Altri punti importanti di questa lettera non sono così controversi:
- L’importanza dei mezzi di comunicazione sociale nel “Villaggio Globale” del mondo. È necessario integrare il messaggio (il Vangelo) nella “nuova cultura” creata dai nuovi mezzi di comunicazione (n. 39)
- Il Nord tende verso una povertà morale e spirituale causate da “ sovrasviluppo”
“Questo è un “modello di sviluppo” che il Nord ha costruito e che si sta propagando verso il Sud, dove il senso della religione come pure dei valori umani sono in pericolo di essere sopraffatti da un’onda di consumismo. Ma uno sviluppo senz’anima non può essere sufficiente per gli esseri umani, ed un eccesso di ricchezza è pericoloso quanto un eccesso di povertà.” (n. 58)
“Lotta contro la povertà cambiando il tuo modo di vivere” (id)
L’ultimo, ma non meno importante capitolo della lettera, riguarda il missionario e la sua spiritualità:
- Questa spiritualità deve essere caratterizzata da una vita di completa docilità verso lo Spirito (87)
- Iniziare la comunione con Cristo, il nostro modello di “Colui che fu mandato” (88)
- Amando la Chiesa e l’Umanità; una spiritualità contrassegnata da carità apostolica, un amore ardente per le anime e per la Chiesa come fu per Cristo (89)
- Santità “una chiamata alla missione deriva da una chiamata alla Santità. Il vero missionario è un santo” (90)
Infine il Papa affida il missionario alla mediazione di Maria che è totalmente orientata verso Cristo(92)
NB:
1. Fare proseliti o proporre le Buone Nuove che portino alla conversione di una persona, è sbagliato se la conversione è in qualche modo imposta sia fisicamente che moralmente. “La Chiesa – scrive il Papa – propone, non impone” (n. 39) C’è imposizione morale quando il Vangelo viene proposto tramite lusinghe, inganni, danaro, cultura o la promozione nella vita sociale o politica. Per evitare qualsiasi interpretazione errata nel fare proseliti, il Papa insiste sul fatto che la vera conversione è opera dello Spirito Santo, il quale è l’agente primario della missione e che è presente ed attivo in ogni luogo e tempo. (Ch. III, 21-30)
2. Ho scelto di sottolineare dei punti controversi della lettera in quanto ritengo sia necessario conoscere il magisterium ordinarium della Chiesa sia che ci piaccia o no.
LA RISPOSTA DEI MISSIONARI COMBONIANI
Preparazione dei Catechisti
Non c’era bisogno che Papa Benedetto XV insistesse sul ruolo e l’importanza dei catechisti. Il successo della penetrazione Missionaria nei territori a noi affidati è dovuto principalmente al semplice e generoso lavoro dei catechisti. Essi hanno stabilità, conoscono la lingua e la mentalità della gente. Avamposti, cappelle e Centri Eucaristici sono affidati a loro.
I loro compiti sono i seguenti:
- Essi dirigono l’assemblea domenicale, durante la quale possono essere nella condizione di spiegare le letture della liturgia.
- Sono responsabili dell’insegnamento ai bambini e ai catecumeni;
- In casi di emergenze, possono battezzare ed esaminare i candidati al matrimonio.
- Visitano i malati e assistono i moribondi;
- Possono presenziare a funerali para – liturgici:
- Curano gli interessi delle parrocchie e tengono aggiornati i registri;
- Tengono informati i missionari su ciò che accade.
Spesso viene loro chiesto di gestire delle piccole scuole in campagna dove ai ragazzi viene insegnato il Catechismo oltre che a leggere e scrivere.
Di recente è stato loro permesso di distribuire la Santa Comunione nei Centri Eucaristici che essi custodiscono.
All’Inizio dell’Evangelizzazione non c’era molto bisogno di incoraggiare i catechisti a diffondere la fede. Nell’Uganda, per esempio, alcuni catechisti operavano nel nostro territorio da soli ancora prima del nostro arrivo. In una regione dell’Uganda del Sud, Kigezi, la Chiesa cattolica fu fondata dal catechista Joanna Kitagame con l’aiuto di un impiegato del Governo, Joanna Sebalijia.
Abbiamo visto come catechisti dell’Uganda meridionale di origine e lingua Bantu si recarono nel nord del paese fra gente di origine etnica e lingua differenti. I più conosciuti fra di loro furono Lajari Bagenda, Martino Misoke, Mama Cecilia e Mama Pudenziana.
Abbiamo avuto dei martiri come Daudi Okelo e Jildo Irwa fra gli Acholi, come abbiamo già detto. Anche di recente fra il 1985 e il 1995, catechisti ugandesi rimasero ai loro posti nonostante ripetute vessazioni nei loro confronti, 67 di loro, furono anche uccisi.
Nei primi mesi del 1913 p. Beduschi dette vita ad una vera e propria scuola per catechisti che fu portata avanti da p. Fornasa. Adesso di scuole per catechisti ce ne sono diverse. Quando il Vescovo Geyer si recò in Uganda rimase colpito dal lavoro svolto dai catechisti. Nel suo rapporto a Propaganda Fide, nel 1919, Mons. Stoppani, Vicario Apostolico del Bahr–el-Ghazal fu lieto di riferire che la metodologia di usare i Catechisti era stata finalmente capita e che veniva promossa in quasi tutte le missioni.
Più tardi, negli anni venti, scuole per Catechisti furono fondate dai nostri missionari nel Sudan. Nel 1922, il primo Congresso dei Catechisti si tenne nell’Uganda con notevole successo dovuto principalmente all’entusiasmo di Martino Musoke di Gulu, di Aleni di Moyo e di un santo uomo di Kitgum, Jakobo Kinyang.
Attualmente scuole per catechisti si trovano in tutte le località dove ci sono missioni e tutti noi missionari apprezziamo molto il loro lavoro. La loro remunerazione è ancora discussa; in alcuni posti non vengono addirittura paganti, in altri la comunità locale decide quanto dar loro, ed in altri luoghi vengono pagati con un salario fisso.
Ogni anno Propaganda Fide stanzia una certa somma per le diocesi che sono ancora legati ad essa per la preparazione ed il mantenimento del Catechisti.
Preparazione per il sacerdozio
I primi due sacerdoti diocesani dopo p. Daniel Sorur, furono ordinati il giorno di Natale del 1938. I padri Donasyano Bala e John Ongom furono ordinati nella cattedrale di Gulu dal Vescovo A. Negri. P. Vignato che li aveva accolti nel Seminario minore, presenziò alla cerimonia.
Fedeli al motto di Comboni “Salvare l’Africa con gli africani”, i nostri missionari iniziarono ad istruire giovani per il sacerdozio sin dai primi anni della loro permanenza in quei territori.
- Nel 1920 p. Bernabè iniziò ad istruire due ragazzi a Wau, ma nessuno dei due ce la fece. Nel 1929 p. E. Mason si prese cura di cinque ragazzi della scuola media fra i quali si trovava il futuro Vescovo Ireneo Dud il quale dal 1930 seguì le lezioni di latino. Il 21 dicembre 1944 egli fu il primo sacerdote proveniente dal Sudan ad essere ordinato e nel 1955 il primo Vescovo delle nostre missioni.
- Nel 1924 Mons. Vignato mandò cinque ragazzi al Seminario minore di Nyenga, nella diocesi di Kampala che era affidata ai padri di Mill Hill. Nel 1927 p. Vignato tenne i seminaristi presso di se a Gulu.
- Nel 1928 a Okaru (Juba orientale) p. Todesco divenne il primo rettore del Seminario minore della Prefettura di Bahr–el-Gebel che era stato fondato da p. Zambonardi.
- Nel 1932 a Gulu iniziò un corso di filosofia e nel 1936 uno di teologia.
- Nel 1933 a Bussere nel Bahr-el-Ghazal, fu aperto il Seminario minore, con l’intenzione di aprirne poi un Seminario maggiore nel 1939.
- Nel 1937/39 un grande Seminario viene fondato a Lacor vicino a Gulu che fu il Seminario minore dell’Uganda e maggiore per il Sudan e per l’Uganda.
- Nel giugno del 1940 quando tutti i nostri padri erano agli arresti domiciliari a Katigongo. nella Diocesi di Masaka (Uganda meridionale) il Seminario di Lacor fu preso dal governo inglese e trasformato in ospedale per i soldati. I seminaristi furono trasferiti ad Arua e poi al Seminario maggiore di Lodonga. A cinque missionari fu revocato il decreto d’arresto domiciliare per permettere loro di continuare l’insegnamento ai seminaristi. Entro il 1944 tutti i seminaristi poterono tornare a Lacor.
- Nel 1947 il Seminario minore dell’Uganda fu trasferito a Okaru, ma i seminaristi tornarono a Lacor nel 1948.
- Nel 1956 il Seminario maggiore inter – vicariale per il Sudan fu aperto a Tore sulla strada che da Yei porta a Meridi. Dopo l’espulsione dei missionari, il Seminario fu trasferito a Rejaf. Gli attacchi da parte dei soldati governativi costrinse i seminaristi a darsi alla macchia per una settimana per poi arrivare al Seminario di Lacor nell’Uganda. Nel 1968 unirono tutti i Seminari maggiori dell’Uganda per formare i nuovi Seminari nazionali: Katigongo (Uganda meridionale) per lo studio della filosofia e Ggaba vicino a Kampala per lo studio della teologia. I seminaristi sudanesi tornarono in Sudan, dove sono tutt’ora.
Anche in altri territori missionari i padri insegnavano e insegnano tuttora o dirigono i seminari diocesani. Spesso questa attività fu dichiarata prioritaria, ma non sempre questa priorità è stata veramente osservata nella preparazione e distribuzione del personale dell’Istituto.
Tutti i primi Vescovi sudanesi, assieme a quattro ugandesi, provenivano dai nostri seminari. Quattro di essi sono deceduti.
Nelle chiese da noi fondate nel Sudan ed in Uganda ci sono attualmente circa 300 sacerdoti.
In generale i Padri professori di filosofia e teologia sono laureati dell’Università Urbaniana a Roma, altri dell’Università Gregoriana.
L’insegnamento impartito nei seminari segue tuttora il modello tradizionale della Chiesa. Questo modello è spesso messo in discussione ma né i Vescovi diocesani né il clero hanno ancora deciso se effettuare cambiamenti in qualche modo fondamentali.
La Fondazione di Istituti Religiosi e affini
Le Suore di Maria Immacolata di Gulu
Quando negli anni trenta, p. Vignato chiese alla Suore Comboniane di seguire la scuola per ragazze di Gulu, aveva già in animo di sceglierne alcune affinché prendessero i voti. Mons. Angelo Negri (1935-1949) si dedicò a questo compito.
Nel 1939 chiese ed ottenne dalla Santa Sede il benestare per l’istituzione di una Congregazione. Le candidate iniziarono il loro noviziato il giorno di Natale del 1942 e fecero la loro prima Professione il giorno dell’Epifania del 1945. Il loro scopo principale è l’insegnamento, ma si dedicano anche alla cura dei malati ed alle attività pastorali. Attualmente sono circa 300. Scrissero la biografia di Madre Angioletta Dognini (+ 1990) che esse considerano co-fondatrice. La maggior parte delle suore proviene dalle province settentrionali e operano nello stesso territorio. Esse hanno tre comunità in Kenya e tre in Italia.
La Congregazione delle Figlie del Cuore Immacolato di Maria (DIHM)
La Congregazione fu fondata dal Vescovo J. Reigler, MFCS. Mons. Riegler stava facendo la sua prima visita ufficiale alla parrocchia di Glen Cowie, Vicariato di Lydenburgh (adesso Diocesi di Witbank) e presenziò alla cerimonia di fondazione della nuova congregazione il 2 Febbraio 1949. Ebbe a dire allora “La Festa della Purificazione della Madonna del 1949 sarà sempre ricordata nella storia del Vicariato di Lyndenburgh. Questo è un giorno, un’occasione per la quale io ed i Religiosi del nostro Vicariato abbiamo pregato per tanti anni: La nascita di un Istituto di Suore nella nostra comunità locale. È desiderio del Santo Padre che la vita religiosa sia curata e promossa in tutti i territori di missione. Le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa indicano sempre la forza e la stabilità della nostra fede.”
Il vescovo fece un’analogia fra la vita religiosa e le candele tenute in mano dalle candidate durante la Santa Messa. “Voi brillerete innanzi al vostro Dio mentre vi consumerete per Lui”.
La Reverenda Madre Consiglio, una delle Suore di Loreto (IBVM) che operavano a Glen Cowie, fu la prima Superiora e Maestra delle Novizie e si prese il compito e la responsabilità di aiutare il giovane Istituto a crescere. Madre Consiglio aveva molti anni di esperienza alle spalle sia in Kenya che nell’Unione, (Sud Africa). Aveva studiato il Sepedi, la lingua locale, e conosceva le usanze e la mentalità locale. Era perciò all’altezza del compito che avrebbe dovuto svolgere.
Suore del Sacro Cuore
Mons. Mlakic, prefetto Apostolico di Juba dal 1951, iniziò questo Istituto. Il suo successore, Mons. Sisto Mazzoldi, Vicario Apostolico di Juba, aprì il loro Noviziato nel 1952. a Juba e affidò le novizie a suor Domitilla, Comboniana. Il loro sviluppo fu buono, ma la guerra civile nel Sudan Meridionale portò alla loro fuga a Moyo, nella Diocesi di Arua: Qui la loro maestra fu Suor Elisabetta Coggi. Esse si dedicano a svariate opere, e sono circa 150. Operano principalmente nel Sudan ed in Uganda dove hanno diverse case e noviziati. La loro casa madre si trova a Juba nel Sudan Meridionale.
Fratelli di San Martino de Porres
Anche questo Istituto deve la sua nascita nel 1953 a Mons. Mazzoldi con l’aiuto di P. Giuseppe Gusmini (+ 1980) e fratel Alessandro Pelucchi. Il loro scopo principale è di preparare insegnanti qualificati per poter dirigere scuole Cattoliche. Il loro sviluppo ha avuto alti e bassi, ed anche loro dovettero cercare asilo in Uganda nel 1965 dove aprirono un Noviziato. Il loro apostolato è diversificato e la loro spiritualità e attività è come quella dei fratelli Comboniani.
Hanno dovuto affrontare molte difficoltà sia per quanto concerne l’amministrazione interna sia per quanto riguarda le loro relazioni con i Vescovi e il clero locale. Sono circa 40. La maggior parte di essi opera nel Sudan. Hanno aperto una Scuola Superiore e dato vita ad alcune comunità anche in Uganda.
Fratelli del Cuore Immacolato di Maria (Marian Brothers)
La loro fondazione avvenne nell’attuale Diocesi di Arua dove si trova la loro Casa Madre. L’Istituto fu fondato dal vescovo G. B. Cesana nel 1954 ed affidato a p. Gino Albrigo (+ 1995). Più avanti P. Giuseppe Volpetti (+ 1994) li seguì per molti anni. Essi ora hanno la loro propria Direzione Generale, eletta regolarmente dai Capitoli generali. Si dedicano a svariate attività ed hanno scopi molteplici.
Attualmente contano circa 50 membri. Non è facile accogliere la chiamata e diventare fratelli in Africa a meno che siano Fratelli Insegnanti.
Fratelli di San Giuseppe di Wau
Fondato da Mons. E. Mason il Vicario Apostolico di Wau nel 1955 con lo scopo molteplice che contraddistingue la vocazione a diventare fratelli alla maniera voluta dal Comboni. Quando i nostri missionari che si occupavano della loro formazione furono espulsi dal Sudan, i fratelli si trovarono allo sbando. Sembra che non stiano crescendo e sono solo 7 nella Diocesi di Wau.
Suore della Santa Vergine Maria del Sudan
Mons. Edward Mason aveva fondato un Istituto nel 1956 chiamato “Suore di Nazareth”, mentre Mons. Ferrara di Mupoi – Tombora ne aveva fondato un altro chiamato “Nostra Madonna delle Vittorie” nel 1957. A causa di grosse difficoltà incontrate nel Sudan, tutte queste Suore si rifugiarono nella Repubblica Centro Africana. Ambedue gli Istituti languivano. La Santa Sede, dietro proposta dei Vescovi del Sudan, amalgamò i due Istituti con il nome sopra indicato nel 1977.
Attualmente hanno una comunità ed un Noviziato in Uganda e tre comunità a Khartoum, nel Sud Sudan. Ci sono 25 suore, più novizie e postulanti. Alcune Suore Comboniane si occupano della loro formazione e dell’amministrazione e fanno capo a Suor Giuseppina Tresoldi, che fu Superiora Generale delle suore Comboniane (1986-1997).Ci sono alcune suore in due piccoli gruppi dei due Istituto originali che vivono da sole e sono molto apprezzate per il buon lavoro che svolgono.
Suore dell’adorazione Perpetua della Santa Trinità
Una Suora Comboniana, Anastasia Fumagalli (+1992) per anni sentì il desiderio di dedicarsi ad una vita di contemplazione. Quando Mons. Angelo Tarantino (+ 1990) che era suo direttore spirituale quando era a Lira, divenne Vescovo di Arua, la Suora trovò un patrono ed uno stato giuridico (1960). Trovò 12 suore che la seguirono e si consacrarono alla contemplazione, alla penitenza e al lavoro. La loro vita di preghiera è offerta al Signore per la santificazione dei sacerdoti e dei religiosi di tutto il mondo, ma principalmente della Diocesi dove si trova la loro comunità. Esse hanno una comunità e una loro superiora.
Gli Apostoli di Gesù
Questo è il primo Istituto Religioso in Africa che sia esclusivamente missionario. Fu fondato nel 1968 da P. Marangoni, sotto la responsabilità ecclesiastica di Mons. Mazzoldi, allora Vescovo di Moroto. L’Istituto divenne presto internazionale con candidati provenienti da più di 6 nazioni africane. Iniziarono a Moroto e aprirono case di formazione in Tanzania, Uganda Occidentale, (Bukinda–Kabale), a Nairobi e Kiserian. Nel 1983, il fondatore p. Marangoni lasciò la Direzione Generale ai membri africani. I preti sono circa 200, i fratelli 20. La Direzione Generale è a Nairobi, Langata. Essi hanno comunità in Kenya, Tanzania, Uganda e nel Sudan. La loro spiritualità si accentra principalmente sul Cuore di Gesù.
Suore Evangeliste di Maria
L’Istituto ha lo stesso fondatore degli apostoli di Gesù e fu iniziato nel 1975 con il nome ufficiale di “Congregazione Missionaria delle Suore Evangeliste di Maria”. La Costituzione del 1975 fu revisionata secondo il Diritto Canonico del 1983 ed approvata da Mons. Davies, Vescovo di Ngong, nella cui Diocesi si trova la Casa Madre. La Costituzione sottolinea il loro principale scopo: “la prima evangelizzazione tramite l’insegnamento del Catechismo” principalmente in Africa. Comunque, la loro meta finale è sempre di testimoniare Cristo e i valori spirituali propri della consacrazione religiosa.
Suore Missionarie di Maria Madre della Chiesa
L’Istituto non fu fondato da missionari Comboniani ma da Mons. Cesare Asili delle nostre missioni e precisamente di Moyo della tribù Madi, Dati i 17 anni di permanenza nel seminario, Mons. Cesare Asili aveva assorbito lo spirito Comboniano di dedizione e zelo missionario. La loro Casa Madre si trova a Lira (Uganda) dove Mons. Asili fu Vescovo dal 1968. Fondò l’Istituto nel 1972 come un “bouquet” per la Madonna. Era profondamente devoto alla Madonna in quanto tramite la sua intercessione era riuscito a diventare sacerdote nonostante molte difficoltà.
A differenza di altri Istituti locali, Mons. Asili iniziò subito a reclutare membri provenienti da tutta l’Uganda. Ebbe molti seguaci, anche se non sempre furono all’altezza e ciò procurò non poche difficoltà all’Istituto sia al suo interno che all’esterno. Morì nel 1988. Le Suore sono adesso circa 200 e lavorano in Uganda, in Sudan, in Kenya e Tanzania. Molte delle Suore sono veramente degli ottimi elementi ed alcune sono specializzate. Una di esse è professoressa nell’Università statale dell’Uganda, sul colle di Makerere.
I piccoli fratelli del Vangelo (Les Petit Freres de l’Evangile) Lomè
Il nome di questo Istituto è quello nato dalla fusione di due Istituti: “I Fratelli di San Giovanni Battista” fondato nel 1968 da Mons. Dossey Anyron, Arcivescovo di Lomé (Togo) e i “Discepoli di Gesù” fondato nel 1971 da uno di nostri padri Francesco Grotto. Nel 1974, di comune accordo, i due Superiori unirono i due Istituti in uno, del quale sono direttamente responsabili i Fratelli dell’Istruzione Cristiana di Ploermel.
I loro scopi principali sono:
- Catechizzare i fedeli in qualsiasi modo, per ricevere i sacramenti e celebrare la Liturgia.
- Promuovere le associazioni e i movimenti laicali;
- Favorire l’istruzione e l’educazione cattolica.
Oggi i fratelli che sono circa venti, hanno alcuni problemi, ma ci auguriamo che li possano superare presto.
Ancelle della Chiesa
La congregazione, fondata dal Vescovo A. Gasparini, MCCJ, Vicario Apostolico del Vicariato di Awasa nel Sidamo, Etiopia Meridionale, il quale affidò la formazione dei membri alle Suore Comboniane. Ebbe un inizio alquanto lento con un gruppo di giovani ragazze, le quali furono aiutate innanzi tutto, a raggiungere un livello di istruzione tale da poter poi seguire un programma di formazione religiosa adeguato.
Nel 1989, ebbe inizio il noviziato e le prime cinque suore presero i voti il 15 agosto 1992. Qualche Suora Comboniana si prende cura di questa Congregazione.
L’Istituto Secolare delle Missionarie laiche Comboniane
Padre Ramponi, (morto nel 1982), nell’anno 1950 stava seguendo gruppi di aiutanti laici che si dedicavano alla promozione ed animazione missionaria. Assieme a lui, un certo numero di questi, ebbe l’idea di organizzarsi in un gruppo chiamato “Ausiliarie Comboniane”. Ottennero il Decreto di erezione canonica l’8 settembre 1968, e fu celebrato nel gennaio del 1969 dal Vescovo di Rimini.
Nel 1971 il nome fu cambiato in “Istituto Secolare Missionarie Comboniane” che gli da un aspetto giuridico più chiaro. Così, esso non è più un gruppo di laiche che aiutano il missionario, ma un vero e proprio Istituto missionario indipendente che mira alla “cooperazione nell’apostolato missionario, secondo lo spirito di Daniele Comboni, Apostolo d’Africa.” Siccome non sono legati dalla vita della comunità, il primo e più importante compito di ciascun membro è l’animazione missionaria della gente e dei luoghi dove esso lavora e dà una testimonianza specifica.
Comunque, l’Istituto offre l’opportunità, a coloro che lo desiderano, di recarsi nei territori di missione avendo prima seguito una specifica preparazione. Attualmente hanno 7 membri in Brasile e 2 nell’Ecuador. In totale sono circa 150. Il loro centro di riferimento e sede della Direzione Generale è a Carraia (Lucca – Toscana).
La società delle ausiliarie laiche
La Società non è un Istituto secolare: è soltanto una associazione laica i cui membri fanno promessa di fedeltà alle regole dell’associazione e al suo scopo. La promessa viene fatta dopo due anni di formazione spirituale e specifica per l’apostolato al servizio della Diocesi o Parrocchia. La Società fu fondata da p. Antonio Lasalandra nel 1970 a Maracha nella Diocesi di Arua (Uganda).
Movimento dei Piccoli Fratelli di Maria (Pequenos Hermanos de Maria)
Il movimento fu iniziato nel 1971 da P. Antonio Piacentini (+2002) che una forte esperienza dello Spirito Santo spinse a far conoscere il Vangelo. Pensò che da solo non avrebbe potuto fare giustizia alla ricchezza racchiusa nel Vangelo ma poteva condividerla con il maggior numero di fedeli possibile.
Naturalmente l’evangelizzatore deve, innanzitutto vivere lui stesso il Vangelo ed essere testimone di Cristo con i fatti e le parole. Così fu per P. Antonio. La natura del movimento è scritta nel Decreto di approvazione del Consiglio Pontificio dei Laici che riconosce che il “Movimento dei piccoli fratelli di Maria” è una associazione privata internazionale composta da fedeli Cristiani di Diritto Pontificio, che ha personalità giuridica secondo i Canoni 298- 311, 321-329, del Codice di Diritto Canonico”. Nello stesso Decreto datato 2 luglio 1991, la Costituzione è approvata “ad experimentum”, per un periodo di tre anni. Il movimento si e diffuso in Messico e nelle Filippine, in modo particolare, ed in altre 16 nazioni. Può adesso vantare circa 16.000 membri.
La Base per l’approvazione è:
- L’approvazione dell’Ordinario dalla Prefettura di La Paz nel 1974
- La raccomandazione del Superiore generale dei Missionari Comboniani:
- Le lodi da parte di molti ordinari diocesani;
- La conformità della Costituzione alla dottrina e alle Leggi della Chiesa;
- Lo stile di vita evangelico fondata sulla spiritualità di p. Charles de Foucauld e p. René Voillaume;
- La chiara ispirazione missionaria e le conseguenti attività.
Missionarie Diocesane del Sacro Cuore
Questa istituzione fu iniziata come Pia Associazione da mons. Bartolucci (+1995) e Suor Cecilia Davila, ex membro dell’Ordine della Visitazione. Fu approvato dal Vicario Apostolico di Esmeraldas ed il suo Consiglio Presbiteriano il 9 giugno 1983.
Inizialmente le aspiranti erano principalmente giovani donne che non erano state accettate in vari altri Istituti a causa della loro poca scolarizzazione. Lo scopo dell’Istituto era di servire le diocesi secondo le loro diverse necessità. Nel 1996 le suore professe erano otto, due le novizie, sette le postulanti e due le aspiranti.
Le suore sono responsabili di diverse attività: del centro di Santa Croce per Ritiri, del centro Madonna della Speranza per ragazze, della Nazareth School per ragazze provenienti dalla campagna ma che vivono in città; della Procura Diocesana di Quito, e della catechesi in diverse parrocchie. La Superiora Generale è la co-fondatrice Suor Cecilia Davila.
Evangelizzatori Contemplativi del Sacro Cuore di Gesù (CECC – 1990)
P. Giovanni Marengoni, fondatore.
Natura – Scopo- Attività del CECC
L’Istituto CEEC è per sua natura:
a. Contemplativo: in quanto promuove la preghiera contemplativa nei suoi membri tramite la preghiera comunitaria e personale: messa solenne giornaliera, l’intero Ufficio Divino, due meditazioni contemplative al giorno, mezz’ora di Lectio Divina, il Rosario Biblico, la Via del Mistero Pasquale (Via Crucis).
b. Evangelizzatore: giornate di preghiera, esercizi spirituali e missioni popolari; ministero sacerdotale nelle loro chiese (che si trovano preferibilmente nelle città). Scrivono opuscoli, specialmente sulla preghiera.
c. Missionario: opera nei paesi considerati strettamente missionari, ed aiutano nell’animazione missionaria e nel processo di conversione secondo la sua identità.
d. Consacrato al Cuore di Gesù: il CECC mira ad imitare le attitudini interiori fondamentali del Cuore di Cristo, cioè la Sua consacrazione al Padre, affinché i suoi fratelli possano, anch’essi, essere consacrati nello Spirito e nella verità. I membri pregano in modo particolare per la santificazione dei missionari, di tutti i sacerdoti e religiosi, in special modo nei paesi di missione.
e. Clericale: però è sia per sacerdoti che fratelli. I fratelli sono i veri contemplativi però danno anche una mano nel lavoro di evangelizzazione, specialmente per quanto riguarda i lavoratori.
Breve Storia
L’Istituto CECC fu canonicamente creato come associazione pubblica da Sua Ecc. Ndingi Mwana a’ Nzeki, Vescovo di Nakuru, con decreto datato 15/04/1986. Egli scrisse:
“Prego Dio che attraverso l’intercessione della Beata Vergine, Madre di Dio, di San Giuseppe, di San Giovanni l’Evangelista (di San Carlo Lwanga, noi aggiungemmo), i protettori e patroni celesti del CECC, esso possa avere abbondanti grazie e benedizioni, assieme a tutti i suoi membri e sostenitori.”
Nel 1995 fu raggiunto un accordo di cooperazione fra il CECC, la Diocesi di Nakuru e i Missionari Comboniani della Provincia del Kenya, per far sì che il fondatore, p. Marengoni, ed alcunialtri collaboratori potessero continuare il loro operato “ad personam”.
Nel 1998, il Nunzio Apostolico, Arcivescovo Giovanni Tonucci, organizzò una visita canonica dell’Associazione. A seguito della visita, due padri Comboniani furono nominati a revisionare la vita interna dell’Associazione per un anno: p. Carlo Pasinetti (Superiore Generale) e p. Luigi Girardi (Direttore Spirituale) Questo mandato fu esteso, di comune accordo per altri tre anni fino all’agosto del 2002. Alla fine del 1999, p. Marengoni lasciò Rongai per permettere agli altri di avere più libertà di azione. Tuttavia, nel 2002 gli fu ufficialmente richiesto di organizzare il Primo Capitolo Generale dell’Associazione e preparare la prima stesura delle Regole per la fondazione di una congregazione religiosa. Nel frattempo il CECC aveva costruito una casa per i Teologi a Langata (Nairobi) e aperto una sussidiaria o comunità missionaria, nella diocesi di Isiolo.
All’inizio del 2002 i membri erano: 42 professi con voti perpetui (23 sacerdoti, 3 diaconi, 16 studenti di teologia), 22 professi di voti temporanei, 8 novizi, ed un buon numero di postulanti.
Progetto Missionario “Maria Stella Maris”
Responsabile di una grande “Favela” chiamata Guasmo, a Guayaquil in Ecuador, P. Olindo Spagnolo, ora Vescovo, si rese presto conto del caos morale, legale e spirituale in cui si trovavano i suoi abitanti. Si prefisse di fondare comunità missionarie che avrebbero vissuto fra i poveri ed abbandonati. Così, nel 1991, egli diede vita al suo progetto che doveva realizzarsi in quattro settori:
- Un Istituto per sacerdoti che doveva diventare “La Società di Vita Apostolica ‘ad Gentes’ Maria Estrella del Mar”. Attualmente c’è una casa di formazione con sacerdoti, diaconi, studenti di teologia e di filosofia. L’Istituto fu approvato dall’Ordinario di Medellin il 30 gennaio 1995.
- Una Congregazione Missionaria di Donne Religiose. “Maria Estrella del Mar”. Essa fu approvata il 1 maggio 1995 dall’Ordinario di Ibarra. Attualmente le suore professe sono nove, le Novizie diciotto, le Postulanti dodici.
- Una Fraternità Sacerdotale che ha 20 membri al momento.
- Una Fraternità Laica con 40 membri.
Inculturazione
Conoscere e capire la lingua
Il primo elemento per una vera inculturazione è quello di conoscere e capire la lingua. È pura illusione pensare che si possa penetrare nella cultura della gente senza la conoscenza sostanziale di almeno una lingua (dialetto), che viene parlata nelle case e nei villaggi. I nostri missionari ebbero come loro primo scopo quello di studiare le lingue locali. Nelle nostre prime missioni in Uganda e nel Sudan, questo compito non fu facile a causa delle numerose lingue parlate dagli indigeni, alcune hanno una radice comune, come le lingue Bantu e Lwo, altre sono totalmente differenti sia da queste due che fra di loro.
Autorevoli Confratelli in questo campo furono i seguenti:
P. PASQUALE CRAZZOLARA (1884-1976) Linguista e Etnologo con animo profondamente missionario Esso fu uno dei primi missionari ad arrivare in Uganda a Omach nel 1910. Iniziò immediatamente ad imparare la lingua Acholi, Lwoo e quando fu trasferito nel Sudan meridionale imparò anche la lingua Nuer.
Frequentò corsi di fonetica e antropologia all’Università di Vienna e Londra. Pubblicò una grammatica ed un dizionario della lingua Acholi, nonché un dizionario della lingua Lugbara (Madi), corredato da alfabeto fonetico e accenti. Essi sono diventati due opere classiche. Scrisse anche due volumi sulle migrazioni Lwo, i primi nel loro genere. Gli fu conferita la Medaglia della Royal Society of Lodon, l’M.B.E. (Membro dell’Impero Britannico) e la nomina a Commendatore della Repubblica Italiana.
All’età di sessant’anni iniziò lo studio particolareggiato di una piccola tribù della diocesi di Arua, gli Okebo. Già ottantenne iniziò a scrivere una grammatica in Ngakarimojong, che purtroppo non finì. L’opera fu completata dai padri Bruno Novelli e Mario Mantovani.
Alla base della vita e degli studi di p. Crazzolara era l’ideale missionario: far conoscere Dio agli africani. Questa fu la sintesi della sua vita fino alla fine. Un uomo di intelligenza superiore, egli anelava ad insegnare e spiegare il catechismo ai piccoli ed agli illetterati perché li amava. Era consapevole delle loro difficoltà, delle loro limitazioni, condivise i loro problemi e fu capace di indicare le possibili soluzioni. Il Vescovo Cesana, che visse con lui, testimoniò nel suo necrologio “Noi lo amavamo e lo guardavamo con una certa venerazione”.
PADRE FILIBERTO GIORGETTI (1902 –1978) Etnologo e musicista con l’anima africana. Imparò il linguaggio del tamburo Azande, il “gugu”
Padre “Jero” come veniva chiamato, era un genio musicale, per quanto ne sappia, a tutt’oggi il migliore dei nostri missionari. Ebbe l’intelligenza e l’interesse di studiare il tamburo Azande, perché l’originalità della musica africana non è la melodia, e neanche l’armonia, ma il ritmo dato dal tamburo, gli intervalli fra toni maggiori e minori come messaggi che vengono trasmessi dallo stesso tamburo. Inoltre secondo le diverse occasioni o manifestazioni si usano tamburi differenti. Fu dopo aver studiato il tamburo che p. Jero divenne conoscitore e supremo suonatore della musica Azande.
Se teniamo a mente il ruolo del tamburo e delle canzoni nella musica africana moderna, possiamo capire il ruolo di pioniere avuto da p. Jero.
Dal necrologio di p. Santandrea, suo amico e collega raccogliamo:
“Da tempo p. Giorgetti si era reso conto che la nostra lingua latina, quella che usavamo per le preghiere e trapiantata in Africa, non piaceva molto alle popolazioni locali. Quello che mancava era la loro musica e specialmente le loro danze, naturalmente ridimensionate. Così furono composte canzoni originali che furono immediatamente imparate e cantate a squarciagola dall’intera assemblea. Poi vennero le danze para-liturgiche che rappresentavano scene della Natività, e della Via Crucis. Infine anche canti per divertimento che piacevano a tutti e che attiravano grandi folle: piccoli balli Zande che entusiasmavano sia i negri che i bianchi. I bianchi di Juba, la capitale delle provincia continuavano a chiederne altri.
Non dobbiamo dimenticarci che grazie a Jero, la musica divenne un fattore importante nella formazione religiosa. Le sue canzoni, con ritornelli in impeccabile lingua Azande che esprimevano lodi al Signore, a Dio, alla Vergine, o le verità fondamentali della nostra fede accompagnavano le melodie Zande. Esse passavano di bocca in bocca istruendo ed edificando la gente. Non furono solo i cattolici a cantare queste canzoni, ma anche i pagani ed i protestanti. Spesso si sentivano cantare durante i balli mondani, magari con versi osceni. Divennero patrimonio degli Azande che nelle canzoni trovarono la loro lingua e la loro vera musica. Non poche di queste canzoni furono ispirate da cantanti Zande, un motivo sentito qua e la, dal sempre attento Jero”1
Come etnologo p. Giorgetti è internazionalmente conosciuto per la sua profonda conoscenza degli Azande. Tre dei suoi libri lo testimoniano “La Superstizione Zande”: il titolo non è appropriato in quanto il libro contiene materiale che non ha molto a che fare con il titolo. “La Morte fra gli Zande del Sudan” con testo in inglese che ebbe miglior fortuna del primo. “Non siamo cannibali”, il suo ultimo lavoro pieno di interesse antropologico e storico che stava scrivendo in inglese negli ultimi giorni della sua vita. I tre libri assieme costituiscono un monumento significativo alla cultura del popolo Azande.
Oltre a vari articoli pubblicati in Nigrizia, tre articoli furono pubblicati in riviste di fama internazionale come “Africa” e “ Gli Annali Lateranensi”2
PADRE STEFANO SANTANDREA (1904-1990) Un’enciclopedia vivente. Per festeggiare il suo ottantaseiesimo compleanno, il 16 febbraio 1990, il bibliotecario della Direzione Generale, p. Alessandro Trabucchi (+1997), preparò una mostra di tutte le sue pubblicazioni e la bibliografia di tutti i suoi scritti. La mostra fu visitata dai Superiori Maggiori, confratelli e scolastici e fu un tributo, che meritava fosse fatto prima di allora.
I visitatori rimasero sbalorditi del lavoro svolto da quell’umile, silenzioso e semplice p. Santandrea. Scrisse 150 libri e opuscoli, tutti riguardanti argomenti di etnografia. Tutto questo senza contare gli innumerevoli articoli scritti per riviste specializzate, la maggior parte dei quali in inglese, nonché le relative traduzioni. Valutare tutti i suoi scritti non è facile.
Fu ritenuto una grande autorità per tutto quello che riguardava l’Africa le sue opinioni erano richieste ed apprezzate da studiosi di tutto il mondo.
Ebbe modo di approfondire le sue conoscenze quando fu nominato bibliotecario della Congregazione a Roma. Agli ammiratori delle sue opere lui rispondeva sempre: “La cosa non ha molto valore. Spero che Gesù Cristo abbia pietà di me e dei miei trent’anni di lavoro Egli dia la priorità alla mia preferenza per i vecchi e gli abbandonati e per i lebbrosi ed in particolare per gli anni trascorsi a Khor–Malang con Fratello Giosuè e quando ero solo.”
Il suo lavoro nel campo dell’etnologia e la linguistica è apprezzato anche dagli stessi africani. Un certo Luis Omodo, suo vecchio studente ha scritto un libretto dopo 35 anni che p. Santandrea non era più nel Sudan:
- Ci insegnò la Vita evangelica come modo di vivere e ci incoraggiò a camminare lungo la strada della bontà, dello sviluppo e del progresso.
- Con le sue ricerche ha salvato la cultura africana.
- Scrisse molte cose utili per il nostro benessere e la nostra crescita.
- Egli fu il nostro pioniere ed animatore in ogni campo.
- Sarà sempre ricordato nel Bahr-el-Ghazal: si consumò per noi, quindi egli è nostro, è uno di noi.
- Fu sempre fedele e preciso in tutti i suoi compiti: possa Dio ricompensarlo con la vita eterna.
- Si prendeva cura di noi con affetto e serenità. Possa egli continuare ad essere il nostro custode e protettore anche dal Cielo.
- Non lo piangiamo, lo invochiamo come padre e protettore del Bahr-el-Ghazal.
- Possa il Signore Gesù essere benedetto per avercelo mandato. Amen. 3
Altri missionari scrissero semplici grammatiche e piccoli dizionari: p. Maccagnan (1905-1978) nella lingua Lugbara. P. Malandra nella lingua Acholi (1905-1973) Mons. A. Tarantino (1908-1990) in lingua Lango. P. Nebel (1888-1981) nelle lingue Dinka e Didinga, ecc.
MONS. A. GASPARINI (1913) – una Pentecoste di lingue. Ex Vicario Apostolico di Awasa, Sud Etiopia. Egli deve essere menzionato per il suo grande interesse nello studio delle lingue locali. Egli studiò le lingue per capire e conoscere la mentalità e la cultura di quei popoli. Egli imparò anche il russo per capire la liturgia orientale. Imparò l’inglese, il francese ed il tedesco, usando queste lingue nelle sue lettere ai benefattori; il greco e l’ebraico moderno lo aiutarono a capire meglio la Bibbia. Iniziò a studiare l’arabo nelle scuole superiori: ciò gli permise di imparare a memoria i versetti del Corano che studiò con tre commenti differenti. Con tale preparazione linguistica, egli imparò, non senza difficoltà la lingua etiope più antica – Ge-ez. La sua grande mente approfondì anche l’Amharico e la lingua del Tigrai.Nel 1960 scrisse la storia dell’Etiopia nella lingua Amharica.
I seguenti scritti testimoniano la sua inculturazione:
- La grammatica della Lingua Sidamo. Awasa 1978 (ciclostilata).
- Grammatica Gujj, Awasa (ciclostilata)
- Dizionario Sidamo/inglese, pagine 362, EMI Bologna.
- Grammatica Pratica della lingua GedÈo con esercizi. Prima parte, Awasa 1985 (ciclostilata)
- Grammatica GedÈo: parte seconda; proverbi, Pagine del Vangelo, racconti folcloristici, Awasa 1985 (ciclostilata)
- Grammatica GedÈo: LINT università di Trieste, 1994 Ciclostilata.
Tradizioni ed Usanze
Oltre ai Padri Crazzolara, Giorgetti e Santandrea, molti altri missionari hanno scritto saggi sulle tradizioni ed usanze africane: p. Zambonardi, p. Molinaro, p. Pedrana sulle tribù sudanesi e Ugandesi. Altri libri sono stati scritti da Mons. A, Negri (+1949) p. Pellegrini (+1988) e p. Zanoner (+2000) sulle usanze degli Acholi dell’Uganda Settentrionale.
Proverbi
Per penetrare nei cuori e nelle menti della gente e per poter lavorare e vivere con essa non basta conoscere la lingua e le usanze, è altresì necessario conoscere quei valori che tendono ad avere priorità nella vita e nella società.
Per esempio, gli occidentali tendono a dare molta importanza a valori come l’efficienza e la puntualità ma per i popoli del Terzo Mondo le priorità riguardano più le relazioni interpersonali e gli eventi della vita di tutti i giorni. Gli occidentali tendono ad essere più individualisti nel loro modo di vedere la vita, mentre gli abitanti del mondo preindustriale tendono a condividere e vivere molto di più le loro esperienze con la comunità.
Si tratta di due stili di vita differenti fra di loro, ambedue sono buoni a patto che non diventino esclusivi. I valori che gli africani credono siano importanti sono per la maggior parte contenuti nei loro proverbi. Leggiamo i proverbi della Bibbia; dobbiamo conoscere i proverbi dei popoli con i quali viviamo e gli africani li “vivono” in modo particolare. I nostri padri si sono adoperati anche in questo campo d’interesse. P. Bruno Carollo ha raccolto e pubblicato circa 800 proverbi Acholi e Lango, P. A. Dalfovo raccolse 904 proverbi Lugbara (Uganda Settentrionale), mentre P. Mario Cisternino ne raccolse addirittura 2.719 provenienti dai popoli Kigezi e Ankole (Uganda Occidentale). Questi sono ottimi contributi alla cultura africana.
Dobbiamo incoraggiare i nostri missionari, ovunque essi si trovino, ma specialmente in Africa a dare la massima importanza ai proverbi, perciò cito una parte dell’introduzione del Libro dei Proverbi che si trova nella Bibbia Africana (Edizioni Paoline Nairobi).
L’importanza dei proverbi in Africa.
“Un proverbio viene definito come un’affermazione che mostra il significato intrinseco o il valore di una cosa.
Gli africani fanno largo uso dei proverbi nella loro vita quotidiana sia oralmente che quando scrivono. Se nei Proverbi troviamo il detto “Una lingua gentile è come l’albero della vita”, nella società africana ne troviamo uno simile: “Se una moglie ha la lingua gentile, il marito non si rifiuterà mai di mangiare il suo cibo.” I proverbi sono lo specchio della vita, hanno la caratteristica unica di non invecchiare mai, sono validi per qualsiasi età. Sono rilevanti a tutto quanto è basilare nella vita. Aperti ad ogni cultura, ci insegnano come vivere bene da buoni cittadini, genitori, lavoratori, insegnanti o artisti e anche come vivere con Dio. Benché il libro non abbia forza teologica, dà però l’idea che tutti gli sforzi umani sono garantiti da Dio.
Molti scrittori africani esplorano ogni sfaccettatura delle fatiche alle quali sono sottoposti gli uomini che imparano e combattono con il loro ambiente. Uno di questi scrittori, Chunua Achebe, ha fatto conoscere in modo intenso la cosmologia, la filosofia, la religione e le tradizioni della vita vissuta in un tipico villaggio rurale degli Igbo (est Nigeria). La vita agreste dei suoi abitanti ha influenzato i loro pensieri psicologici e filosofici come pure le loro caratteristiche umane. Achebe dice che per gli africani il proverbi sono come “Le spezie con la quale gli africani masticano la Kola”
Molti scrittori teologi, e filosofi africani hanno fatto studi approfonditi sui proverbi, essi sottolineano come i proverbi riflettono il mondo africano nel trasmettere i valori fondamentali della vita. Se il lettore presta attenzione al confronto fra i Proverbi della Bibbia e i proverbi africani, si vedranno molte similitudini. I proverbi africani riguardano l’educazione, l’insegnamento morale, il concetto di Dio, ecc. Questo ci suggerisce che non c’è contrasto fra la saggezza Biblica e quella africana in quanto ambedue si basano sull’esperienza umana e sono ispirati da Dio stesso.
Nella proclamazione del Vangelo, i cristiani non devono temere di vedere i proverbi africani affiancati a quelli biblici. Dovremmo unire la saggezza di ambedue”.
1 Vedere Bollettino n. 123 pag. 78
2 vedere Bollettino, ib.
3 Vedere Bollettino n. 170. pagine 34-53.