MCCJ

P. Tarcisio Agostoni
STORIA dei MISSIONARI COMBONIANI
DEL CUORE DI GESU

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CAPITOLO TERZO
Commenti sul periodo 1847–1862,
i primi 15 anni in retrospezione

L’aspetto geografico

Nella loro ricerca per un luogo idoneo alla fondazione di stazioni permanenti, i missionari si spostavano continuamente da un posto all’altro: si spostavano in aree lontane, rimanevano più a lungo e di conseguenza conoscevano i popoli che abitavano quelle terre meglio della maggior parte dei non indigeni.
Il loro obiettivo era, ovviamente, non l’esplorazione come fine a se stessa, né avevano gli strumenti o i finanziamenti degli altri esploratori, tuttavia erano consci di essere dei pionieri. Osservavano metodicamente il clima, la vegetazione, e gli aspetti delle varie etnie, generosamente condividendo le informazioni raccolte con altri. Questo è un significativo aspetto collaterale della evangelizzazione sebbene non sia stata mai molto pubblicizzata. “Alla fine della nostra inchiesta ci parve ormai impossibile valutare i risultati delle esplorazioni sul Nilo senza far riferimento al ruolo svolto dai Missionari” (vedere Hill pag. 18)

L’aspetto culturale – Le Lingue

I missionari che si recarono nel Sudan furono i primi a mettere per iscritto le lingue che vi si parlavano. I Missionari che andavano alla Santa Croce, come Comboni, avevano preparato nel giro di due anni una grammatica Dinka corredata da un dizionario di circa 2000 parole, una grammatica Bari, ed un testo di religione elementare di circa 300 pagine. Furono anche i primi a stampare libri nelle lingue indigene del posto di modo che gli stessi indigeni potessero trarne profitto e saper leggere e scrivere. Fecero grandi sforzi per aprire scuole e dare un’istruzione tecnica: ovunque si fermassero essi insegnavano agli indigeni nuovi metodi nelle costruzioni, nell’agricoltura, falegnameria, ed anche la semplice cura della vita di famiglia. Con il passare degli anni i Missionari hanno speso enormi somme nel Sudan proprio a questo scopo. A differenza degli esploratori, i quali si rivolgevano ad un pubblico europeo come le Società geografiche o i loro governi, lo scopo dei missionari era lo sviluppo delle popolazioni locali. È giusto quindi ricordare che la maggior parte di loro morì e fu sepolto là, nelle tombe della missione, come segno della loro dedizione agli Africani, molte di esse sono ormai perdute.

L’aspetto esistenziale

I missionari erano spesso mal equipaggiati per affrontare L’Africa. All’inizio non avevano l’esperienza necessaria, e molti non vissero sufficientemente a lungo per averla. Inoltre, alcuni missionari (specie I Francescani austriaci) non tennero in nessun conto le esperienze dei loro predecessori. Benché i loro leader fossero a conoscenza della necessità di istruire i missionari e di condurli nel Sud del Sudan a tappe per abituarli al clima, il numero delle morti era talmente alto che ambedue i suggerimenti venivano spesso ignorati. Dal momento che desideravano stare vicino alla gente, si stabilivano in luoghi insalubri dove avevano poche probabilità di sopravvivenza. Ad ogni buon conto, la scienza medica allora aveva pochi rimedi efficaci contro le malattie che causavano la morte dei missionari.

Preparazione

I Volontari (spesso laici) venivano accettati con il minimo di discernimento e addestramento e così venivano mandati velocemente alle missioni. Questo era in parte dovuto al fatto che c’era un disperato bisogno di sostituire i morti nelle varie missioni. L’ambiente missionario richiedeva una vasta gamma di conoscenze e capacità che nessun corso poteva mai dargli: i missionari speravano di avere uomini adattabili piuttosto che altamente qualificati, e quindi facevano a meno di qualsiasi corso preparatorio. Infine i missionari erano sovente delle persone che vivevano alla giornata, intrepidi pionieri che si affidavano alla provvidenza: davano la possibilità di lavorare in Africa a chiunque avesse abbastanza coraggio di accettare la sfida.
Conoscevano comunque le avversità che avrebbero dovuto affrontare (con le loro stesse mani seppellivano i loro amici uno dopo l’altro!) e perseverarono perché credevano di compiere il lavoro di Dio, e che un giorno un’Africa libera e una fiorente Chiesa sarebbe cresciuta dal seme che essi stavano piantando. Erano radicati nella speranza Cristiana e, nonostante il loro ridottissimo successo, guardavano speranzosi verso il futuro.

I missionari e gli Africani

I missionari rispettavano gli africani e qualsiasi cosa essi scrissero degli africani – possiamo forse trovare alcune loro espressioni scioccanti – deve essere soppesato tenendo conto di quanto essi fecero per gli indigeni se vogliamo capire appieno la misura di questi uomini e donne. I missionari credevano nella dignità delle popolazioni e attendevano pazientemente che si decidessero ad abbracciare la fede con pieno convincimento.
I missionari trovarono i locali intelligenti, abili nell’ottenere il massimo rendimento dal loro habitat, molto cortesi, e rendevano omaggio alla loro forza e salute.
Capivano il loro modo di vestire e di lavorare, anche se molto differenti da quello dei missionari. La maggior parte di essi, scrisse P. Vinco nel 1851, erano ben disposti e ricevevano affabilmente i missionari i quali, senza pensare al pericolo o alla sicurezza personale, erano disposti a recarsi presso di loro per istruirli. Un esempio di educazione superiore data abbastanza rapidamente agli africani è P. Pio Hadrian, il primo sacerdote sudanese: fu battezzato nel 1863, ordinato prete nel 1872 morì nello stesso anno ad El Obeid (vedere Hill pagine 64-66; 88-89).

Salvezza integrale

I missionari credevano e tenacemente lavoravano per la salvezza degli africani. Che cosa significava la salvezza per loro? Il Vescovo Comboni stesso fece notare che dopo 15 anni di lavoro avevano battezzato solo circa cento adulti e bambini. Molti missionari non ebbero mai l’opportunità di battezzare per niente, altri si astennero dal battezzare del tutto. Ma nessuno mai ebbe il minimo dubbio di continuare ad attendere la conversione. Non si arresero mai a quelli (inclusa Roma) che dicevano che il gioco non valeva la candela: Qual era questo gioco per il quale giocavano anche la loro vita?
Possiamo prendere Comboni stesso come loro portavoce; la sua visione crebbe sin dalla prima esperienza che ebbe in quelle terre: gradatamente chiarì a se stesso e più tardi lucidamente lo sillabò in migliaia di lettere che cosa significava la salvezza per lui.
L’ora dell’Africa (Nigrizia) è arrivata, dice Comboni. Cristo è in procinto di dissipare le tenebre che hanno avvolto il continente. Il cuore di Gesù vuole essere circondato dalla gente africana; i missionari sono i suoi apostoli che portano questo messaggio all’interno del continente, i suoi testimoni che Lo rendono presente fra la gente dimenticata dell’interno africano facendo e dicendo fra di loro ciò che Cristo fece e disse in Galilea.

Testimoni

È in questo contesto che Comboni spicca fra altri missionari fondatori suoi contemporanei, e riflette la necessità dei suoi predecessori nella Missione dell’Africa centrale: essi scelsero di vivere con gli africani. Non solo scrivendo di loro o far loro da insegnanti, ma diventando uno con loro, condividendone la sorte adattandosi ai loro usi e costumi per quanto possibile e andando oltre ciò che la prudenza suggeriva. Questo è ciò che per loro significava essere testimoni di Cristo.
Un viaggiatore scrisse nel 1857: “Sia fra i turchi che fra gli arabi, Abuna Suleiman, come viene chiamati il Dottor Knoblecher, è tenuto nella più grande considerazione; ovunque ho sentito parlare di lui con rispetto. Questo è di per sé un grande successo, in quanto aiuta a infrangere i pregiudizi di colore e religione. Coloro che sono stati abbastanza a lungo nel paese da farsi conoscere hanno lasciato dietro di loro un ricordo venerato da tutti, anche i pagani, ed il canto funebre di uno di loro che morì l’anno scorso nella sua missione a monte del fiume, (Don A. Vinco, un gentiluomo da Verona), viene ancora cantato nelle assemblee: fu composto dagli stessi africani”.
Un altro diplomatico e viaggiatore scrisse nel 1854 di Knoblecher ed i suoi amici:
“Quegli uomini che immolano se stessi si sono spontaneamente sacrificati ad una vita – se ciò si può chiamare, perché è poco meglio di una morte vivente – nel cuore più remoto dell’Africa. … Sono uomini dalla condotta la più pura ed animati dalle migliori intenzioni. Abuna Suleiman, come viene chiamato Dr. Knoblecher, e già conosciuto da molti e stimato in tutto il Sudan” (vedere Hill, pagine 12-13).
Quella gente che non aveva ancora avuto niente a che fare con i trafficanti e mercanti divenne ben presto amica dei missionari; P. Vinco scrisse dei Bari: “Iniziavo ad essere tenuto in grande considerazione; parlavano bene di me in tutte le occasioni mi trattavano con il più grande rispetto e mi consultavano riguardo ai loro affari, sia pubblici che privati. Arrivarono sino a chiamarmi Jouc, il nome di uno dei loro dei”.
A loro annunciò tutto il Vangelo, così che il viaggiatore francese Lejean scrisse di lui nel 1860: “P. Vinco era il tipo perfetto di missionario nel Sudan … era avventuroso, impavido, sereno, ed un eccellete tiratore; era tenuto in grande considerazione dai Bari la di cui lingua parlava correntemente”. (vedere Hill, P.7).
Per Comboni, la Croce, soprattutto, è la garanzia di vera testimonianza, il contrassegno del vero apostolo: quando i missionari lavorano per gli africani, e sono perseguitati per averli difesi, allora sono come Cristo. Nel mentre soffrono e muoiono, essi rendono Cristo eminentemente presente e portano la salvezza, rendendo accettabili tutte le traversie che devono essere sopportate da Cristo per il Suo Corpo, la Chiesa (Col 1: 24). È un onore essere stati prescelti per essere apostoli fra questo popolo, il più derelitto della terra. L’ora della sua salvezza è finalmente giunta; è un privilegio morire nel portare a termine questa missione.

Una contro testimonianza

Ed in quanto missione significa essenzialmente testimonianza, una delle grandi problematiche che i missionari nel Sudan dovettero combattere fu la contro testimonianza di una presenza sfruttatrice di esteri, presenza totalmente diversa da quella dei missionari con la quale però i missionari venivano associati, I mercanti d’avorio, con i quali i missionari dovevano viaggiare, i trafficanti di schiavi che avevano preceduti i missionari e che avevano rivoltato le popolazioni locali contro tutti gli stranieri. Interi territori furono del tutto abbandonati dai primi missionari perché tali individui li avevano preceduti. Essere scambiati per agenti governativi, o emissari di qualche potenza straniera, o trafficanti, era una maledizione costantemente in agguato per i missionari (vedere Hill, pagine 81-82, 74-75).
I missionari fecero fatica a convincere la gente che non erano come i mercanti che mettevano a fuoco e fiamme le loro terre in cerca di avorio e schiavi. I mercanti non amavano i missionari, li tenevano costantemente sotto sorveglianza e a volte li insultavano brutalmente. I missionari non erano ben accetti e si cercava di mettere gli indigeni contro di loro. Vico raccontò di un turco che aveva fatto visita ad un capo locale di notte dicendogli che i missionari “erano dei maghi che avrebbero fatto sì che la pioggia non cadesse sulle loro terre, privandoli dei loro raccolti e pascoli, e quando fossero rimasti a corto di cibo gli uomini bianchi si sarebbero cibati dei loro figli” (vedere Hill 73, 88-89).

Ulteriori difficoltà

Le condizioni erano terribili, specialmente quando i missionari si inoltravano in terre dove non erano conosciuti, o dove si combattevano guerre intestine. Essi dipendevano essenzialmente dai loro ospiti per cibo e se c’erano carestie anch’essi pativano la fame (vedere Hill, pagine 88-89).
“Avevo già fatto un po’ di strada quando vidi delle donne che prendevano acqua da un pozzo. Siccome avevo una tremenda sete, mi avvicinai a loro, e nelle loro lingua chiesi di darmi da bere in scambio di qualche perlina. Non avevo neanche pronunciato queste parole che mi fissarono e velocemente si incamminarono verso le loro capanne. I miei compagni ed io gridammo, ma inutilmente, e l’unico risultato delle nostre urla fu che avevamo ancora più sete. Tormentato dalla sete, mi riposavo ogni tanto all’ombra degli alberi, e continuammo il nostro viaggio in questo modo” (Diario di P. A. Vinco, vedere Hill, pag. 81).
Oltre alla vita austera che avevano scelto, essi si ammalavano a causa dell’acqua sporca che bevevano e delle punture delle zanzare. Il chinino che prendevano regolarmente fluidificava il loro sangue.
Dal punto di vista religioso, le popolazioni locali in particolare non gradivano una religione che insegnava il perdono e la monogamia. Knoblecher si era reso conto che la gente andava alla missione più per ottenere aiuti materiali immediati che per motivi religiosi o il desiderio di imparare. Nonostante tutto, i missionari fondarono quattro missioni, battezzarono circa 100 persone (sia adulti che bambini), tradussero nella lingua locale alcuni brani della Bibbia e prepararono dei semplici catechismi.

Coraggio e speranza nella Provvidenza

I missionari comunque non si dettero per vinti e rimasero. Avevano in animo di istruire alcuni sacerdoti locali in Europa ed educare molti più laici nei Collegi del Cairo. Poco tempo dopo cercarono di far arrivare delle suore per istruire le donne.
Una delle ragioni principali per cui non ebbero migliori risultati era dovuta alla loro poca preparazione; veniva loro insegnano l’arabo, ma poco altro a parte la lingua.
I missionari avevano anche idee ambivalenti circa il loro scopo principale: dovevano dare priorità allo sviluppo o alla evangelizzazione? Fino a che punto era corretto adottare la cultura locale? Molti dei missionari nel loro entusiasmo corsero troppi rischi: ma solo un tale entusiasmo poteva aprire le porte di una nazione.
Si rende necessario leggere una pagina del diario di P. A. Vinco per percepire lo stile delle loro prediche.

“Al termine di una cerimonia, dei buoi furono uccisi come sacrificio per ottenere la pioggia.
P. Vinco parlò loro così: “Bari, siccome siete stati tanto buoni da ricevermi fa di voi, e mi avete onorato invitandomi a presenziare ad una delle vostre cerimonie più sacre, datemi l’opportunità di parlarvi liberamente. Non intendo offendere nessuno, ma semplicemente di dirvi la semplice verità: è proprio per questa ragione che sono stato inviato fra di voi dal Cielo. Quel Dio che ha creato sia me che voi, creò anche il sole, la luna, le stelle, il vostro bestiame, gli alberi ed i fiumi. Lo stesso Dio fa sì che l’erba ed i semi crescano – è lo stesso Dio che dal niente creò tutto in cielo ed in terra. Benché questo Dio vi sia ancora sconosciuto, e quindi non onorato e servito dalla vostra gente, Egli, nonostante ciò vi ama e vi aiuta in migliaia di modi differenti. Questo è il Dio che fa cadere la pioggia, che evita che i vostri campi diventino aridi; vi tiene in buona salute, moltiplica il vostro bestiame, Vi da la forza di vincere i vostri nemici; in poche parole, il Suo amore per voi è più grande di quello di qualsiasi padre o madre per il più dolce e più amato dei figli. Allora, se desiderate che la pioggia cada sui vostri campi, dovete desistere dai litigi e guerre che continuamente fate fra di voi, dovete smettere di uccidere i vostri simili. Non dovete rubare e non dovete soccombere alla lussuria; in altre parole non dovete fare agli altri ciò che non vorreste essere fatto a voi”. La popolazione rimase stupita dell’inaspettato tenore del sermone, non avendo mai sentito niente di simile prima di allora. Nonostante ciò, tutti, inclusi i capi, la gente e lo stesso Jubek, mi applaudirono calorosamente, dicendo che il mio ragionamento era logico e di conseguenza doveva esser per forza vero. Il mio discorso fu particolarmente ben accetto dalla popolazione, la quale mi ammirò per aver parlato in quel modo al cospetto di Kubek stesso, perché ogni anno dovevano dare molti buoi a lui che faceva piovere.” (Vedere Hill, pagine 82-83).

Padre Vinco era talmente ben voluto che anche molti anni dopo la sua morte i Bari continuarono a cantare una canzone in suo onore. Ecco una traduzione dei primi versi.

Angelo Angelo, Vai a Belania
Qui ci sono troppe malattie
“No, No, qui sto bene.”
Vai a Belania
Non ci sono zanzare là
“No, no, sto bene qui”
Viva, Viva Angelo.

Nonostante tutto i missionari aprirono una cammino segnato, una dopo l’altra, dalle loro tombe. Lungo questo cammino gli africani si recarono nei collegi di Malta, Napoli, Verona e Vienna. I missionari continuarono ad arrivare e Comboni fu colui che riaprì il percorso promettendo di mai farlo chiudere di nuovo: “Nigrizia o morte!”