MCCJ
Breve storia dell’Istituto Comboniano
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DANIELE COMBONI
Vescovo e missionario, fondatore dei Figli del S. Cuore e delle Pie Madri della Nigrizia, nato a Limone sul Garda (Brescia) il 15.3.1831, morto a Khartum (Sudan) la sera del 10.10.1881. Fu educato e ordinato sacerdote nell’istituto Mazza e con la spedizione mazziana raggiunse il cuore dell’Africa fin dal 1857. Con l’intuizione del Piano per la rigenerazione dell’Africa (Torino, 15.9.1864), divenne una figura di primo piano nella vicenda missionaria africana e portavoce della Nigrizia presso il Concilio Vaticano I. Dopo aver fondato a Verona l’Istituto delle Missioni Africane (1867) e quello delle Pie Madri della Nigrizia (1872), dalla S. Sede fu posto a capo della vasta missione dell’Africa centrale, prima come provicario (1872) e poi come vicario apostolico (1877).
Il suo processo di beatificazione e canonizzazione fu introdotto nel 1928. I resti mortali – pochi frammenti scampati alla furia mahdista scatenata perfino sulla sua tomba – sono custoditi a Verona nella cappella della casa-madre dell’istituto.
Alimentata alla “fiammata missionaria” accesa in Verona da don Nicola Mazza, la vocazione africana del giovane C. si precisò in un giuramento sacro, fatto ancora diciottenne, e si concretò partecipando alla missione mazziana in Africa (1857). Rimpatriò due anni dopo, a stento sopravvissuto all’assalto delle febbri tropicali. Ma il suo cuore restò conquistato per sempre alla Nigrizia. Era il momento in cui le tragiche vicende della missione decidevano per la sua sospensione (1862), a pochi anni dalla promettente fondazione (1846). La situazione nell’Africa abbandonata divenne in lui oggetto di impegnate riflessioni nella ostinata volontà di trovare una via di uscita per la salvezza della Nigrizia.
Con questi pensieri, mentre stava pregando sulla tomba di S. Pietro, intuì il suo Piano, punto chiave della sua vita e attività. In esso, la rinascita della missione centroafricana veniva prospettata nell’ambito di una programmazione graduale che investiva tutta l’Africa, valorizzando al massimo l’elemento indigeno e riducendo al minimo il rischio del personale europeo. E la missione rinacque proprio su queste basi, e a lui fu affidata dopo che aveva presentato al Vaticano I il Postulatum pro Nigris Africae centralis (24.6.1870). La sua attività, come provicario e vicario apostolico (1872-81) dell’Africa centrale, si può riassumere così: rinascita e riorganizzazione della missione sulle basi del Piano; scelta dei centri missionari di Khartum ed El Obeid nel Kordofan (Sudan) come punti base per la ulteriore penetrazione verso l’interno della Nigrizia; introduzione, per la prima volta, delle suore missionarie nel centro dell’Africa; studio e sperimentazione di nuovi metodi di evangelizzazione, fino alla erezione di villaggi cristiani in zona musulmana.
Quando fu posto a capo della missione dell’Africa centrale, C. aveva già fondato i suoi istituti missionari. Anch’essi nacquero sulle basi programmatiche del Piano, che prevedeva l’erezione di un “Comitato centrale” possibilmente in seno a Propaganda Fide, con il compito di coordinare le forze missionarie esistenti e di crearne di nuove per la conversione dell’Africa. Questo vasto programma si fondava sul presupposto che la “rigenerazione dell’Africa” era un’opera che oltrepassava le possibilità di un solo istituto o di una sola nazione, ed esigeva un impegno unitario di tutta la Chiesa. Ma non fu possibile realizzare tale “Comitato”. E allora C. pensò di attuare per conto suo un Opus regenerationis Africae – una versione minore del Comitato – che, all’atto di fondazione (1°.6.1867) in Verona, prese il nome di Opera del Buon Pastore. Ilsuostatuto prevedeva la fondazione di vari seminari missionari per l’Africa in diverse parti d’Europa, dopo il primo che era stato aperto a Verona sotto gli auspici del vescovo diocesano, Luigi di Canossa, nella stessa occasione e data.
Questo vasto programma, rispondente all’idea che tutta la cristianità doveva contribuire alla evangelizzazione del continente africano, non si poté attuare, benché i primi tentativi in tal senso fossero stati positivi. Il C. dovette limitarsi alle fondazioni di Verona: all’istituto delle missioni per la Nigrizia, che riorganizzò nel 1871, affiancandolo poi con quello delle Pie Madri della Nigrizia, fondato agli inizi del 1872.
Nella convinzione che era giunta ormai l’ora della salvezza per la Nigrizia e nella sensazione che ciò non fosse sufficientemente avvertito – preso, quindi, dal timore che si giungesse troppo tardi – sentì tutta l’urgenza e il dovere di agitare nell’opinione pubblica cristiana l’idea missionaria dell’Africa. Ciò corrispondeva a uno dei presupposti dottrinali del Piano, in base al quale tutta la Chiesa era solidalmente responsabile della conversione di un continente intero.
Il primo viaggio europeo di animazione missionaria avvenne in seguito alla formulazione del suo Piano per l’Africa, dietro suggerimento di Propaganda Fide, per interessare al problema personaggi e ambienti, in particolare le associazioni missionarie europee allora numerose (1865). E dopo aver nuovamente puntualizzato il problema missionario dell’Africa in una famosa circolare – accompagnatoria del Postulatum ai Padri conciliari del Vaticano I -, si trovò a ripercorrere le vie d’Europa, in un momento (1871) in cui sentì il dovere di consolidare la sua opera (istituti di Verona e del Cairo) in vista della riapertura della missione dell’Africa centrale.
Erano così segnati i punti di riferimento del suo itinerario europeo, ogni volta che la necessità lo richiamava dall’Africa: Roma, Verona, Vienna, Praga, Bamberga, Colonia, Bruxelles, Parigi, Lione, Torino, per citare i principali; ma fece puntate anche in Inghilterra, Polonia, Russia e avrebbe voluto recarsi in America. Aveva la tempra dell’animatore missionario: assillato dal problema di salvare la Nigrizia, sapeva affascinare i suoi interlocutori e suscitare ovunque interesse, vocazioni per l’istituto di Verona e aiuti per la sua missione. Fu così a contatto con quasi tutti i personaggi più ragguardevoli del suo tempo.
Il C. non scrisse opere spirituali, ma visse a fondo il suo carisma missionario, le cui caratteristiche vibrano con accenti forti e, insieme, familiari nel suo ricco epistolario. Non è facile però sintetizzare la sua complessa spiritualità. Una semplice frase può riassumere tutto quello che ha pensato e vissuto nella sua totale dedizione missionaria: “O Nigrizia o Morte!”. Era il suo motto preferito, il suo “grido di guerra”. Uomo di azione, lanciato in molteplici attività dall’urgenza della missione, era anche un uomo di Dio, che riponeva nella preghiera il primo fondamentale valore dell’apostolato: “L’onnipotenza della preghiera è la nostra forza”. Spinto dal suo carisma missionario ad avviare iniziative ardite e a inquietare le stesse autorità di Roma perché affrettassero i tempi della missione, era però di una fedeltà e devozione edificanti al Papa e alla Chiesa, di una obbedienza integrale a Propaganda Fide, sintetizzata in questa frase significativa: “Ho venduto la mia volontà alla S. Sede”. Una somma di sacrifici, una serie di dure prove – sofferte per lo più nell’isolamento nel silenzio – caratterizzò la sua vita. Dalla vita stessa imparò quindi l’amore della Croce, indispensabile per la salvezza della Nigrizia, come lo fu sul Calvario per la salvezza dell’umanità. Sembra questo l’aspetto più caratteristico e più eroico della sua spiritualità.
Un uomo di azione apostolica e non di studio, C. non ebbe mai la pretesa di essere uno scrittore o di affermarsi nella pubblicistica. Tuttavia scrisse molto e i suoi scritti sono lo specchio fedele della sua attività e della sua carica apostolica. Le pubblicazioni vere e proprie sono solo due, di piccola mole, ma di valido contenuto: Piano per la rigenerazione dell’Africa (1864, 4 ed. ital., più una francese e due tedesche) e Quadro storico delle scoperte africane (1880). Inviò interessanti articoli e relazioni missionarie a varie riviste europee: Museo delle missioni cattoliche (Torino), Annali del Buon Pastore (Verona), Missions Catholiques (Lione), Jahresberichte des Vereines zur Unterstiitzung der armen Negerkinder (Colonia) e altre. E soprattutto il vasto epistolario è l’espressione immediata e genuina del suo animo, della sua personalità. Rimasto a lungo inedito, venne pubblicato sistematicamente a cura dello Studium Conibonianum.
In San Pietro, a Roma, Giovanni Paolo II lo proclama beato il 17 marzo 1996 e santo il 5 ottobre 2003. Frutto del carisma comboniano in tempi recenti sono l’Istituto Secolare Missionarie Comboniane (1969) e, dal 1991, i Laici Missionari Comboniani
FIGLI del SACRO CUORE di GESÙ (FSCJ)
Istituto missionario, fondato a Verona da mons. Daniele Comboni il 1.6.1867, per la preparazione dei missionari destinati all’Africa centrale. Il decreto di approvazione diocesana è dell’8.12.1871, le regole vennero presentate alla S. Sede nel febbraio 1872 dallo stesso fondatore. Esse furono poi ristrutturate, pur mantenendo intatto il fine missionario, in seguito alla trasformazione dell’istituto in congregazione religiosa (ottobre 1885). Ebbe il decreto pontificio di lode il 7.6.1895, e l’approvazione definitiva delle sue costituzioni e regole, il 19.2.1910. Il titolo ufficiale Filii Sacri Cordis Jesu, conferito quando l’istituto assunse forma religiosa, fu affiancato, nelle zone anglofone, da quello pratico di Verona Fathers, mentre più tardi si fu affermando decisamente quello più significativo di “Missionari Comboniani”, seguito o meno dalla sigla ufficiale (FSCJ).
La destinazione originaria della finalità missionaria dell’istituto furono i popoli neri dell’Africa, o Nigrizia. Nelle sue regole fondamentali (1871), Daniele Comboni aveva scritto: “L’istituto, ossia Collegio delle missioni per la Nigrizia, è una riunione di ecclesiastici e di fratelli coadiutori, i quali… si dedicano alla conversione dell’Africa, e specialmente dei poveri Negri”. E tale rimase il campo di lavoro fino all’epoca del secondo conflitto mondiale. Nelle costituzioni e regole del 1910 si introdusse però una clausola nuova, che così precisava il fine dell’istituto: “l’evangelizzazione dei popoli dell’Africa e di altri popoli che venissero affidati da Propaganda Fide”. La clausola era peraltro ipotetica, in vista di situazioni di emergenza, per evitare che una eventuale chiusura del campo di lavoro – già sperimentata in Africa durante l’insurrezione mahdista – bloccasse l’attività missionaria dei FSCJ.
L’ipotesi divenne tesi, quando la direzione dell’istituto (1947) accettò di svolgere attività missionaria nell’America latina. Pur senza i caratteri di vera emergenza, la nuova variazione era motivata sia dall’urgente appello di operai evangelici per quel continente, di cui si faceva portavoce lo stesso Pontefice, sia dall’esuberanza di vocazioni nell’istituto in un momento in cui le missioni d’Africa subivano difficoltà e condizionamenti. Ma come giustificare questa variazione in rapporto all’ispirazione originaria del fondatore?
La questione fu posta e con una certa vivacità soprattutto in occasione del Capitolo speciale (1969), che così la definì: “Per fondazione, l’istituto è chiamato a svolgere un’attività evangelizzatrice in mezzo ai popoli africani di razza nera. Sarà tuttavia aperto ad altri campi affidati dalla S. Sede, purché vi sia richiesta vera attività missionaria. E in ogni caso, siano sempre preferiti i più poveri e i più abbandonati” (Documenti capit., p. 63). Per caratterizzare la fisionomia spirituale dell’istituto, il richiamo ai documenti del Capitolo speciale è ormai necessario, perché esso ha approfondito la storia spirituale dell’istituto. Nato dalla missione e per la missione, alla missione l’istituto deve continuamente riferirsi. La sua stessa spiritualità è strettamente legata al carisma della vocazione missionaria, che consiste nella generosa e autentica partecipazione alla vita e “missione” della Chiesa, nel modo caratteristico che ha qualificato la vita del Comboni e dei membri più rappresentativi dell’istituto (Documenti capitolari, p. 62). Il richiamo ai “membri più rappresentativi dell’istituto” e alla loro vita concreta dovrebbe favorire la soluzione di un problema che, nelle vicende storiche dell’istituto, ha trovato difficoltà: cioè l’integrazione della vita religiosa nella spiritualità missionaria. Mons. Comboni, che non aveva fatto i voti religiosi e non li aveva richiesti ai suoi missionari, andava alla sostanza del problema, quando esigeva da essi “tutte le virtù dei religiosi”, e una virtù più alta, “quella di essere disposti ogni istante a morire per la salvezza dei Neri”.
Pur invitando ad approfondire ulteriormente la spiritualità dei missionari comboniani, il Capitolo speciale, dopo l’enunciazione generale sopra riferita, esplicita alcune caratteristiche particolari: totale dedizione alla causa missionaria per cui “la fedeltà al carisma missionario deve essere la principale preoccupazione” sia dell’istituto come di ogni membro” (Documenti capitolari, p. 61-7); carità apostolica, considerata come il compendio di tutta la spiritualità missionaria, che “dovrà tradursi in stima, apprezzando i valori dei popoli da evangelizzare”, inserendosi il più possibile “nella loro mentalità, cultura e forma di vita” (ivi, p. 70-2); spiritualità del S. Cuore, ereditata dal fondatore ed entrata nel vivo della tradizione comboniana con l’assunzione del titolo ufficiale, per cui la professione religiosa è considerata “consacrazione al Cuore di Cristo per le missioni” (ivi, p. 72-7).
La problematica sopra accennata richiama tutto un contesto storico che è necessario delineare per avere un quadro completo dell’istituto. Le varie fasi del suo sviluppo sono suggerite dagli stessi problemi che via via sono stati imposti da circostanze non sempre prevedibili.
1. Fondazione e primi sviluppi – Fondato come istituto di missionari “senza vincoli di voti religiosi”, esso faceva parte di un’opera più vasta, che aveva allora la sua espressione più tipica negli istituti per la educazione dei Neri al Cairo; il tutto in vista della missione dell’Africa centrale. Esso sorgeva, quindi, sulla base programmatica del Piano per la rigenerazione dell’Africa (Torino 1864), “magna carta” del Comboni. Perciò alle origini del nuovo istituto – più marcatamente che in altri istituti simili – sta una profonda nota di missionarietà: esso “è nato dalla missione e per la missione”, dalla quale riceveva ispirazione, stimolo e forza per il suo sviluppo. Tanto più che mons. Comboni, dopo averlo riorganizzato (1871) e affiancato con l’istituto parallelo delle Pie Madri della Nigrizia, fu posto a capo della missione dell’Africa centrale (1872) rimanendo però superiore effettivo dell’uno e dell’altro. Di apertura universalistico-ecclesiale come il Piano a cui si ispirava, ebbe tra le sue file soggetti di provenienza internazionale. Risentiva allora vivamente della carica missionaria del fondatore, il quale, impegnato soprattutto in missione, non poteva essere presente, se non a brevi intervalli. Motivo questo di viva preoccupazione, specialmente quando avvertiva che i responsabili della formazione non erano all’altezza del loro compito. Per questo motivo avrebbe voluto mettere alla direzione i Gesuiti, pur conservando l’istituto sul modello della Società per le missioni estere di Parigi, cioè senza strutture religiose; ma il tentativo in tal senso non ebbe esito.
2. L’istituto assunse forma religiosa in un difficile momento di transizione – P. Federico Vianello, II superiore generale, affermava che l’istituto ebbe “umili i natali e tempestosa l’infanzia”. La morte improvvisa e prematura di mons. Comboni (1881) provocò inizialmente nell’istituto un disorientamento tale da far temere della sua sopravvivenza, con avventate proposte di assorbimento in altri istituti. Scongiurato questo pericolo, l’insurrezione mahdista (1882-99) travolse completamente le missioni dell’Africa centrale. Mons. Francesco Sogaro (1882-94), successore del Comboni, pensò di approfittare di questa forzata pausa imposta all’attività missionaria, per consolidare l’istituto dandogli forma religiosa sul tipo delle congregazioni moderne con voti semplici. Incoraggiato dallo stesso Leone XIII, invitò a questo scopo Gesuiti della provincia veneta, che così ebbero in mano, per una quindicina d’anni (1885-99), la formazione e la direzione effettiva dell’istituto. La scelta della forma religiosa – prospettata ai singoli membri come opzionale – fu provvidenziale e rimase definitiva, ma non senza conseguenze contrastanti. Infatti, mentre quasi tutti i giovani candidati di Verona accettarono di entrare in noviziato, facendo poi, i primi dieci di essi, la professione religiosa il 28.10.1887 col titolo di FSCJ, non altrettanto avvenne per i membri più anziani che erano in Egitto, impegnati a conservare in vita i superstiti elementi della missione.
Quando giunsero in Egitto i primi FSCJ, il loro stile di vita religioso troppo riservato e legato a pratiche minuziose urtò la suscettibilità dei missionari anziani, che vi scorsero addirittura una deviazione dallo spirito missionario. La tensione divenne inevitabile e giunse a tal punto da convincere mons. Sogaro ad adoperarsi per ridare all’istituto la forma precedente. Ma Propaganda Fide, che avocò a sé la questione, decise (22.1.1894) per il mantenimento della forma religiosa. A mons. Sogaro successe in quell’occasione il primo vescovo FSCJ, mons. Antonio Roveggio (1895-1902), il quale seppe sanare il contrasto fra i due gruppi missionari: i superstiti missionari non religiosi accettarono di collaborare con i FSCJ, ai quali era ormai affidato l’avvenire della missione. Tuttavia il problema della integrazione della vita religiosa con lo spirito missionario non fu ipso facto risolto dai provvedimenti seguiti alla decisione romana.
3. La decisiva ripresa. – La giovane congregazione, che aveva già fornito in mons. Roveggio il nuovo capo della missione in ripresa, era ormai in grado di governarsi da sé. E i Gesuiti pensarono che fosse giunto il momento di ritirarsi per cedere agli stessi FSCJ la direzione e la formazione. Ciò avvenne con il primo capitolo generale della congregazione (1899) che elesse p. Angelo Colombaroli (1899-1909) a primo superiore generale. I Gesuiti si ritirarono, ma i loro metodi di formazione – legati almeno in parte a una certa concezione di vita religiosa – rimasero radicati ancora a lungo, specialmente in noviziato, nella tradizione dell’istituto, con qualche difficoltà per la loro finalizzazione alla vita missionaria. L’anno 1899 resta comunque una data importante per la decisiva ripresa dell’istituto sia in patria sia in missione. La data coincideva con il sopravvento delle truppe anglo-egiziane sulla insurrezione mahdista, che riapriva così – pur tra notevoli difficoltà diplomatiche – la via alla missione dell’Africa centrale. E mons. Roveggio, con tenace iniziativa, riuscì a fronteggiare positivamente ogni difficoltà e a riavere in mano il campo missionario lasciato in eredità da mons. Comboni. E inoltre guidò personalmente i primi viaggi esplorativi verso l’interno del continente, che posero le basi di tutta la successiva ripresa missionaria comboniana.
Uno sguardo alle statistiche permette di misurare il progresso numerico dell’istituto dalla data della sua decisiva ripresa. Mentre, nel 1898, i membri erano ancora 72, nel 1907 erano già 156, e 205 nel 1927, per salire poi a 686 nel 1947 e oltrepassare i 1500 nel 1967. Tuttavia questi dati indicano che il ritmo di crescita non è stato sempre uguale: sorprende lo scarso aumento nel ventennio 1907-27. È in relazione a un fatto e a un problema, che ha aperto una parentesi dolorosa nella storia dell’istituto.
4. La separazione del ramo tedesco (1923) – L’istituto voluto da mons. Comboni era, per la sua stessa ispirazione originaria, di carattere sovranazionale, e in tal senso si era sviluppato. Ma in esso due gruppi si erano venuti particolarmente distinguendo: quello italiano più numeroso e quello proveniente dalle regioni di lingua tedesca. I missionari di origine tedesca potevano vantare una tradizione antica nella missione dell’Africa centrale, fin da quando l’imperatore Francesco Giuseppe (1850) ne aveva assunto la protezione con indubbi vantaggi per il suo sviluppo. Ma ciò ebbe come conseguenza che, nell’opinione pubblica e nel titolo stesso, la missione fosse considerata austriaca; e ciò creò svantaggi, resi più evidenti durante il primo conflitto mondiale. Un primo contrasto tra i due gruppi missionari si ebbe all’epoca della trasformazione dell’istituto in congregazione religiosa. La decisione romana contribuì a placarlo, tanto più che fu concordata la fondazione della casa di Bressanone (1895) per 12 regioni tedesche, come Verona lo era per quelle italiane. La nuova fondazione favori l’afflusso di numerose vocazioni. Ma l’amministrazione un po’ troppo autonoma della casa di Bressanone rispetto alla casa-madre tradiva nel contrasto – attenuato ma non spento – una punta nazionalistica che riemerse durante e subito dopo il primo conflitto mondiale. Il tentativo di creare una provincia tedesca urtò contro difficoltà che allora apparivano insuperabili. E allora Propaganda Fide si pronunciò per la proposta di organizzare i membri di lingua tedesca in congregazione autonoma col titolo di Missionari Figli del S. Cuore con missioni proprie. Per l’istituto originario, il fatto comportò una riduzione di personale e un rallentamento nel ritmo di crescita. P. Paolo Meroni, III superiore generale (1919-31), cercò di ovviare all’inconveniente rafforzando in modo considerevole la congregazione in Italia. Ma l’internazionalità dell’istituto ne rimase mortificata. La si ebbe più tardi, suscitando un desiderio sempre più esplicito di riunione con la parte tedesca.
5. Riapertura in senso internazionale. – Furono le stesse vicende storico-missionarie a ricondurre l’istituto verso il processo di internazionalizzazione. Innanzitutto la collocazione delle missioni in territori coloniali inglesi suggerì a p. Antonio Vignato, V superiore generale (1937-47), di stabilire la congregazione in Inghilterra (1938) e negli Stati Uniti (1947). E l’accettazione di una missione nel Mozambico (1946), che allargava molto opportunamente il campo di lavoro in Africa, ebbe come conseguenza l’apertura di un seminario comboniano in Portogallo (1947). Anche l’apertura missionaria verso l’America latina favori ulteriormente l’internazionalizzazione dell’istituto, che continuò decisamente anche sotto il successore p. Antonio Todesco (1947-59). Nuovi seminari comboniani furono successivamente fondati in Messico (1952), in Spagna (1955) e in Brasile (1959).
Con il generalato di p. Gaetano Briani (1959-69) fu nuovamente accentuato l’interesse missionario per l’Africa con l’apertura di nuove missioni in Burundi, nel Togo, nel Congo, nella Repubblica Centrafricana, in Etiopia e in Sud-Africa, favorendo il reimpiego del personale drammaticamente espulso dal Sudan meridionale (1964). Si giunse così alla fondazione di case di formazione comboniane nell’Africa stessa: in Etiopia (1963), in Uganda (1971) e, di seguito, in tutte le altre circoscrizioni in cui era presente l’istituto. Tutto ciò spiega l’intenso ritmo di crescita in quei decenni: i membri che, nel 1941, erano ancora 506, nel 1975 salirono a 1573.
La nuova chiara apertura internazionale ripropose il problema della riunione del gruppo comboniano tedesco: ne era buon presagio l’accettazione di collaborare con loro nelle loro missioni in Sud-Africa (1967). La cosa veniva pure favorita dal riaccostamento al disegno originario del comune fondatore, la cui figura fu più accuratamente studiata in seguito all’erezione dello “Studium Combonianum” (1959). Perciò il capitolo speciale (1969), su intesa dei missionari comboniani di lingua tedesca, propose l’erezione di una commissione mista (Reunion Study Commission), per studiare e promuovere il problema.
Tra i membri più ragguardevoli dell’istituto si ricordano: mons. Antonio Roveggio (†1902), II successore di mons. Comboni, p. Federico Vianello (†1937), primo p. maestro dell’istituto e, dopo un laborioso generalato (1909-19), p. spirituale dei chierici fino alla morte. Autentici continuatori della tradizione missionaria del Comboni e del Roveggio furono: p. Antonio Vignato († 1954), pioniere nelle missioni del Sudan meridionale e del Nord-Uganda, di cui fu prefetto apostolico (1924-33), e più tardi superiore generale (1937-47); p. Giuseppe Zambonardi († 1970), per 50 anni missionario successivamente in 5 Stati diversi dell’Africa. Tra i fratelli missionari merita di essere ricordata l’umile ed eroica figura di Giosuè Dei Cas (†1933); colpito da lebbra in terra d’Africa, volle terminare i suoi anni in un poverissimo lebbrosario di africani.
I due istituti comboniani FSCJ e MFSC riuniti: MCCJ
Il 2 settembre 1975 i Capitoli Generali dei FSCJ e MFSC, convocati in sessione congiunta ad Ellwangen/Jagst (Germania), decidono, in base ad un ordinamento giuridico speciale, la riunione delle due Congregazioni in un unico Istituto. La decisione è ratificata con un referendum dalla stragrande maggioranza dei membri dei due Istituti.
Il 22 giugno 1979, solennità del Sacro Cuore, si apre il II Capitolo Generale speciale. La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli sancisce ufficialmente la riunione delle due Congregazioni comboniane. Il nome dell’Istituto riunito è “Missionari Comboniani del Cuore di Gesù” (MCCJ).
Il XIII Capitolo Generale (29 giugno – 13 agosto 1985) decide definitivamente l’apertura dell’Istituto all’Asia. I primi Comboniani arrivano nelle Filippine nel 1988.