MCCJ
Testo PDF:
Centenario della divisione dell’Istituto Comboniano (1923-2023)
27/07/1923 – 27/07/2023. Cento anni sono trascorsi dalla divisione dell’Istituto comboniano in due Congregazioni separate e autonome. Molti potrebbero domandarsi: «Perché ricordare la ferita della divisione? Perché fare memoria di un evento doloroso?».Come Consiglio Generale, scegliamo di fare tale memoria, e invitiamo tutti a farla. Perché il 1923 è una data che ha segnato la storia del nostro Istituto, e riteniamo doveroso e onesto tornare a riflettere sulle cause di quell’evento amaro, interrogandoci anche sui fatti antecedenti che hanno potuto in parte spiegarlo, anche se non giustificarlo.Conveniamo tutti che dividersi è sempre un fatto doloroso, e anche un segnale di contro-testimonianza al Vangelo, soprattutto se tale segnale viene da consacrati alla causa del Vangelo. Nello stesso tempo, il fare memoria può – e deve – diventare un’occasione per consolidare le basi, equipaggiarci e attivarci per far sì che, nel presente e nel futuro, non si giunga mai più a una situazione in cui la separazione possa essere considerata un’opzione viabile. Fare chiarezza nel passato aiuta a vivere più serenamente l’oggi e ad affrontare il domani con speranza.
(dalla Lettera del Consiglio Generale MCCJ, 1 luglio 2023)
Centenario della divisione dell’Istituto Comboniano (1923-2023)
Appunto storico di P. Fidel González, mccj
APPUNTO SULLA DIVISIONE DELL’ISTITUTO
IN DUE CONGREGAZIONI “LINGUISTICHE”
1. NATURA E CRESCITA DEI CONTRASTI INTERNI
Non è lo scopo di questo nostro scritto scrivere la storia della divisione dell’istituto comboniano in due “rami” con basi linguistiche ed “etniche”, ma lungo questa storia dei Capitoli si è visto già emergere i segni chiari di un contrasto crescente nel seno del giovane e piccolo Istituto, basato precisamente su quegli schieramenti e vedute. Tale fatto iniziò già pericolosamente ad insinuarsi all’epoca della polemica fra Sogaro e l’Austria da una parte e i gesuiti (Asperti) e i religiosi dall’altra e più tardi all’epoca di Geyer nell’Istituto come religioso, la fondazione della casa di Bressanone e della sua candidatura come vicario apostolico dell’Africa Centrale o Sudan.
I contrasti emergono, anche se molto sottilmente, durante il primo Capitolo generale del 1899 e riaffiorano con più forza negli anni seguenti. Si mostrano già con chiarezza nel Capitolo del 1909. La difficoltà per raggiungere un accordo fra i due schieramenti presenti nel Capitolo si vide nell’elezione del nuovo padre generale. Soltanto nel sesto scrutinio, con l’astensione obbligata dei due candidati in gara, risultò eletto il p. Federico Vianello.
Una lettura attenta delle nomine ci porta a vedere come si stabilisce una chiara “politica” di equilibrio fra i due gruppi che ormai diventano anche sempre più evidenti nel loro operare. L’antico vicario generale diventava generale e l’antico padre generale diventava in suo vicario. Questo fu destinato all’Egitto come procuratore della Missione e superiore di quella comunità missionaria. Dal Cairo eserciterà la sua missione di vicario generale nella misura possibile. Il secondo assistente risultava il p. Bernabè, allora in Africa, che il p. Vianello aveva subito proposto come suo successore nell’ufficio di P. Maestro dei novizi. Per il posto di terzo assistente i voti si bilanciavano tra il p. Abbà, il p. Wilfling e il p. Raffeiner. Risultavano infine p. Abbà e p. Raffeiner. Tutto ciò indicava che esisteva una certa tensione nei rapporti tra tedeschi e italiani e il p. Meroni, Superiore di Khartoum, lamentava che non sempre ci fosse la dovuta unione e carità fraterna per via di un certo spirito di divisione e di critica. Il p. Vianello terminava appunto il Capitolo con un appello alla unione e carità dei sudditi tra loro e coi Superiori.
2. CRITERI NAZIONALISTICI E RESPONSABILITÀ DEL VESCOVO GEYER E DEL PADRE GENERALE MERONI
Questa unione sarà nuovamente messa alla prova pochi anni dopo. mons. Geyer pensava esser giunto il momento di dividere il Vicariato di Khartoum per affidare la parte meridionale ad un nuovo Superiore ecclesiastico che ne avrebbe potuto curare maggiormente lo sviluppo. Nello stesso tempo suggeriva che si approfittasse dell’occasione per separare i missionari di nazionalità italiana e tedesca; ai primi sarebbe stato affidato il Sudan meridionale, mentre i secondi sarebbero rimasti nel vicariato di Khartoum. Tale distinzione, osservava il Geyer, avrebbe giovato ad entrambi specialmente nella propaganda missionaria, in quanto che la gente di ogni paese dà più volentieri quando sa che un territorio è evangelizzato esclusivamente da propri connazionali.
Essa tuttavia non poteva piacere al p. Vianello, la cui virtù più caratteristica era una delicatissima ed universale carità. La Consulta Generale del 7 ottobre 1912 decideva di escludere la divisione del personale nell’accordo scritto da farsi con mons. Geyer. Questi però insisteva così pressantemente che nella convenzione firmata a Roma da mons. Geyer e p. Vianello (2 aprile 1913) e presentata a Propaganda veniva stabilito: il Sudan settentrionale verrà di regola generale provveduto di personale di lingua tedesca e il Vicariato del Sudan meridionale di personale di lingua italiana, senza pregiudizio della facoltà che il Superiore Generale ha su tutti i sudditi della congregazione in forza delle Regole della medesima.
Alle riluttanze di p. Vianello, mons. Geyer aveva fatto rilevare la reazione dei missionari tedeschi nel Sudan (nominando il p. Banholzer e il p. Lehr) i quali avrebbero considerato come un’umiliazione e come un tradimento verso di loro il rifiuto di una missione propria ed esigevano una casa al Cairo e Heluan per passarvi le vacanze e desideravano che a Khartoum non rimanesse alcun italiano. A tali proposte non era probabilmente estraneo lo stesso mons. Geyer.
La divisione veniva fatta e mons. Antonio Stoppani veniva nominato Prefetto Apostolico. Andavano contemporaneamente a vuoto le proposte di mons. Geyer per l’erezione del la Prefettura del Lago Ciad, che allora apparteneva al Camerun tedesco e di p. Vianello per l’erezione della Prefettura del Nilo Equatoriale, che già aveva preso uno sviluppo consolante benché assai recente (1910).
Verso la fine del Capitolo del 1919, il p. Wilfling aveva proposto la creazione di una provincia per le case di lingua tedesca. La proposta fu approvata dal Capitolo e il presidente, p. Meroni, assicurò che ne avrebbe trattato appena la situazione politica fosse chiarita. Le difficoltà di ordine politico consistevano nell’opposizione sempre più dichiarata del governo inglese (come d’altronde anche quella del francese e belga) all’attività dei missionari austriaci e tedeschi nei territori africani sotto il suo controllo, e quindi anche nel Sudan. Nel nostro caso per due anni si attese con speranza che il governo concedesse a nuovi missionari il permesso di entrare nel Sudan.
Nell’aprile del 1921 la Consulta decideva di porre un termine: se nell’agosto di quell’anno il vescovo Geyer non avesse ottenuto assicurazione di piena libertà per il lavoro dei missionari austriaci e tedeschi, l’Istituto avrebbe cercato altrove un altro campo di attività missionaria. Una testimonianza avuta personalmente da p. Crazzolara, uno dei missionari comboniani pionieri in Uganda, ma trasferito in Sudan dopo la Prima Guerra Mondiale e quindi testimone dei fatti, contraddice questa affermazione. p. Crazzolara era stato internato dagli inglesi in un campo in Egitto assieme ad altri missionari “tedeschi” come i pp. Pschorn, Ille, Angerer e Kohnen che andranno a Lull e p. Mohn a Tonga, tra gli Schilluk. Finita la guerra il p. Crazzolara fu destinato in Sudan nel 1919. Questi fatti non contraddicono la politica inglese come dimostra la storia missionaria di questo periodo nei diversi territori africani.
Secondo alcune testimonianze orali, sembra che il p. Meroni promise di trattare la questione della Provincia quando fosse arrivato l’assistente tedesco p. Lehr, che si trovava nel campo di concentramento inglese di Alessandria d’Egitto. Secondo le stesse testimonianze nel Capitolo del 1919 il p. Vianello avrebbe suggerito l’elezione del p. Meroni, “come uomo forte contro le tendenze tedesche”.
Tutti erano impazienti. Il gruppo “tedesco” era fortemente e nazionalisticamente compatto; ciò era dovuto a tanti fattori, non ultimi le forti misure restrittive esterne a loro riguardo in Sudan. Il vecchio progetto, vivo già fin dai tempi di p. Dichtl subito dopo la morte del Comboni, di svilupparsi come gli altri istituti e associazioni missionarie, che erano state assai fiorenti, in Austria e Germania, riprendeva di nuovo impulso. Volevano riprendersi da tanta inanizione e diffondersi missionariamente nelle terre “tedesche” centro-europee, in Cecoslovacchia, e nelle altre nazioni dell’antico ambito politico di quegli Imperi Centrali. Pensavano anche all’America Latina e altrove. Verona risultava loro di fatto troppo stretta.
Da parte sua Verona, e in concreto il p. Meroni, seguiva con una certa apprensione quelle situazioni e quegli atteggiamenti assai indipendenti. D’altronde, Verona stava sviluppando la presenza comboniana in Italia, fuori dal Veneto. Così si voleva portare il noviziato da Savona (caso isolato nella Liguria) ad un altro luogo, magari nella Lombardia e nella diocesi di Milano (da non dimenticare la presenza significativa in questo periodo di alcuni lombardi, compreso lo stesso generale). Le missioni comboniane in Africa si stavano sviluppando nel Sudan meridionale (Bar-el-Ghazal) e in Uganda. Mentre da una parte questi sviluppi si vedevano necessari, da l’altra la parte austriaca e tedesca vedeva tali azioni come una discriminazione. Per cui venivano così indirettamente anche alimentate le impazienze, le incomprensioni e i pretesti per la separazione.
3. FATTI E OCCASIONI CHE ACUISCONO I CONTRASTI
Nell’aprile del 1921 parve presentarsi l’occasione concreta di fare qualcosa per la parte austriaca e tedesca quando si trattò di eleggere un nuovo padre maestro per il noviziato di Bressanone. Ma le persone proposte dal padre generale Meroni non erano gradite all’assistente tedesco p. Lehr, per cui non si arrivava ad una soluzione. La cronaca della Consulta mette in evidenza esplicitamente la difficoltà di raggiungere un’intesa:
«La questione del Noviziato di Brixen mette in luce ancora una volta tutte la complessità e difficoltà della questione più generale, circa l’assetto da darsi alla parte tedesca della Congregazione. Si discute a lungo e con animazione. Ad ogni proposta si affacciano difficoltà che sembrano insormontabili. Vi sono alcuni che accusano Verona di trascurare la questione tedesca; ma a torto (è il p. Meroni che si difende), perché, come asserisce p. Heymans, altri dicono che anzi Verona ci si occupa anche troppo. Non si sa che cosa Verona potrebbe fare, se i due Assistenti tedeschi non si accordano prima sopra un piano concreto… Infine fa capolino l’idea che occorra un provvedimento radicale…”.
Venti giorni dopo quella tormentata Consulta, si ritrovarono di nuovo per varie nomine e dopo due giorni di discussioni arrivarono ad un accordo: come padre maestro a Bressanone il p. Ettl, vice-superiore di Bressanone il p. Wilfling e di Messendorf il p. Raffeiner. Una settimana più tardi arrivarono ad un’altra importante decisione: quella di chiedere un nuovo campo di lavoro per i “tedeschi”, se non veniva loro permesso di ritornare in Sudan prima di agosto. Fu l’ultima volta che troviamo la firma del p. Lehr nel Libro Capitolare dell’Istituto comboniano ancora unito. Il 29 dicembre 1921 il Consiglio generale celebrò un’altra Consulta. Il Libro Capitolare non ci lascia una traccia; però di essa parla il p. Meroni in una comunicazione ai Confratelli di lingua tedesca in data l gennaio 1922. Dovette essere una Consulta assai tormentata. Sembra fosse presente il p. Lehr che protestò per la mancata costituzione della provincia austro-tedesca.
4. LA QUESTIONE DELLA “PROVINCIA AUSTRO-TEDESCA”
Nel settembre-ottobre 1921 il p. Meroni aveva mandato a ciascun Padre di lingua tedesca in Africa e in Europa un formulario con tre domande:
– Crede sia giunto il momento di costituire una Provincia austro-tedesca?
– A quale delle due (austro-tedesca o italiana) preferirebbe appartenere?
– Quale sarebbe la persona più adatta per l’ufficio di Provinciale?
Le risposte pervenute davano i seguenti risultati: 20 favorevoli alla costituzione della Provincia, 5 contrari, 1 indifferente e 3 voti nulli. Le ragioni in favore erano: dare un maggiore sviluppo alla parte “tedesca”, cessare con le lagnanze contro la parte italiana, e favorire la concordia fra gli stessi “tedeschi”.
P. Meroni interpretò malamente quelle giuste esigenze, soprattutto la prima come un desiderio di indipendenza da Verona e come un peso troppo oneroso per l’Istituto di dover sostenere uno sforzo finanziario e di personale molto pesante con la fondazione di nuove case e opere. Meroni era convinto che l’erezione di una Provincia era un peso insopportabile per l’Istituto che egli identificava chiaramente, come dirà più tardi a Propaganda, con il nucleo italiano. Inoltre, “autoritario quale era non poteva sopportare opposizioni al suo governo. Perciò l’insorgere di un gruppo compatto di religiosi che reclamavano dei diritti e provvedimenti a loro favore, gli pareva un’aperta ribellione, una flagrante disobbedienza. Sentiva di non poter maneggiare a suo piacimento la parte tedesca e condannava questa opposizione come una mancanza di buono spirito, una violazione del voto di obbedienza. Pensò infine di aver trovato il rimedio radicale che si cercava: porre gli austro-tedeschi davanti all’alternativa di un completo assorbimento (soppressione delle Case di formazione già esistenti per dare a tutti i membri un’unica formazione nel comune noviziato) o della completa separazione”.
5. L’ATTUAZIONE DEL P. MERONI
Il resto dei passi compiuti da p. Meroni con la forza di tutta la sua energica, meticolosa e decisa autorità, sono logiche conseguenze della sua convinzione. Da un attento esame dei diversi passi compiuti e dei suoi interventi appare che egli ha voluto procedere per gradi e in modo che la separazione apparisse come il risultato di un processo ineludibile e di una richiesta da parte dei confratelli tedeschi. Risulta anche che la maggior parte delle persone coinvolte erano contrarie alla separazione o divisione dell’Istituto comboniano: era contrario il cardinale prefetto di Propaganda, Van Rossum, erano contrari i religiosi comboniani.
Quindi appare che il p. Meroni volesse veramente arrivare ad una separazione, prendere la decisione ultima, coscientemente assumere l’odiosità dei passi da compiere per portarla a termine. Non tocca a noi giudicare né le sue intenzioni né le sue responsabilità ultime; i fattori che l’hanno condotto e convinto su tale strada furono molti. Bisogna anche dire che egli mostrò buona fede nel suo operare e che tentò anche all’inizio strade di soluzione, ma la sua idea di fondo sull’Istituto, la sua composizione e la modalità della sua vita e governo determinarono la sua posizione. Egli voleva una unità totale e uniformità a tutti i livelli: da quello formativo a quello operativo o metodologico, e per questo considerava indispensabile l’unità di appartenenza. La soluzione era quindi, per lui, o l’assorbimento delle differenze o la divisione nel seguire la propria strada. Il Comboni, tante volte da lui invocato e ricordato e il suo carisma non entrano in tutto questo processo. Questa fu veramente una delle contraddizioni più significative in questo uomo di forte carattere.
Meroni giustificherà la decisione della consulta contraria alla costituzione della Provincia austro-tedesca per “la decisa diversità dei pareri”. Ma quella Consulta era composta da 5 membri (Meroni, Vianello, Vignato, Heymans, Lehr) in cui soltanto il tedesco Lehr era interessato al problema. Gli altri hanno seguito il parere del forte superiore generale in dura e controversa polemica con Lehr. Come dovette essere tempestosa quella seduta, lo dimostra il fatto che essa non fu mai ufficialmente registrata. Pacifico non fu neanche l’accordo fra quella maggioranza. Infatti l’olandese Heymans, travagliato fra due “fedeltà”, rimarrà in seguito nel “ramo italiano”, ma in seguito alla separazione, mosso da scrupoli di coscienza sul modo come la parte tedesca era stata trattata, chiese e passò al “ramo tedesco”, nella seconda parte degli anni 30.
Sembra che il p. Lehr abbia presentato ai confratelli “tedeschi” quelle discussioni e il loro esito come risulta in un “postscriptum” a mano in una copia della circolare del p. Meroni del 1 Gennaio 1922 in cui il Generale da parte sua ne dava notizia ufficiale e invitava i confratelli austro-tedeschi a sottomettersi con prontezza all’obbedienza. L’intervento di Lehr suscitò in Meroni “un forte malumore”, come appare in tale “postscriptum” citato. La decisione di Meroni discostava dalla decisione formale, anche se generica, dell’ultimo Capitolo riguardante la Provincia, dai risultati della inchiesta da lui compiuta sull’argomento con i confratelli di lingua tedesca, e deludeva quindi le speranze, ormai certe di molti, che la Provincia sarebbe stata costituita. Quindi le reazioni di alcuni confratelli “tedeschi” era comprensibile. Ma il p. Meroni la giudicò una vera ribellione e disubbidienza formale alla sua autorità, per cui arrivò alla conclusione che non potendo esercitare più, secondo la sua idea, l’autorità con i confratelli di lingua tedesca, per salvare il resto dell’Istituto o la parte “sana”, si doveva procedere ad· una rapida separazione.
Meroni elaborò così un lungo pro-memoria da presentare a Propaganda Fide a Roma nello stesso gennaio del 1922. In esso rifaceva la storia della Congregazione religiosa; rilevava ciò che egli considerava una anormalità, e cioè gli interventi del governo austriaco e in seguito ad essi lo sviluppo della parte “tedesca” senza un effettivo controllo dei Superiori di Verona. Meroni sostiene il suo punto di vista con gravi affermazioni antistoriche, ma anche contraddittorie e certamente fuori del senso della cattolicità ecclesiale nella loro espressione letterale come ognuno può vedere.
La Congregazione – egli scriveva – “fondata in Italia, da Gesuiti italiani, con elementi in gran parte italiani e in sostituzione di un istituto italiano è nella sua origine e nel suo spirito un istituto italiano, nel senso etnico della parola, non nel senso politico, nazionalistico ed esclusivista”. La fondazione di Bressanone era quindi qualcosa di innaturale e di violento. E, in contraddizione con le affermazioni precedenti e susseguenti, scriveva che l’Istituto pur aperto a tutte le nazionalità, per conservare la sua unità e fisionomia primitiva doveva procurare che tutti avessero un’unica formazione a Verona. Meroni rinfacciava ai “tedeschi” mancanza di spirito religioso: da qui scaturiva un motivo determinante che giustificava la separazione che velatamente viene accennato ai FSCJ italiani.
6. ATTEGGIAMENTO DEI MISSIONARI COMBONIANI “TEDESCHI”
Ma gli stessi confratelli “tedeschi” in parte condividevano a loro volta le vedute nazionalistiche del Meroni, specialmente i missionari che si trovavano a Khartoum e che con Meroni ebbero gran parte della responsabilità nella divisione. Infatti essi scrissero il 10 luglio 1923 al giurista claretiano spagnolo p. F. Maroto, Delegato da Propaganda Fide per trattare la questione, difendendosi dalle accuse di spirito separatista:
“Fin dal principio l’Istituto Veronese o Congregazione dei Figli del S. Cuore, aveva un’avversione tradizionale e profonda verso il propagarsi fuori del suo luogo, la quale avversione, se la si vuol chiamare spirito nazionalistico, lo si chiami pur così, ma non lo è: è un mezzo giusto per un fine buono, è la condizione essenziale per la propria esistenza e per il suo valore nell’operare. Del resto in un Istituto Missionario non si può fare tutto senza lo spirito di nazionalità. Non crediamo che in tutto ciò vi sia spirito non buono o contro l’idea cattolica”.
Lo scritto continua con la storia della Casa di Bressanone, imposta dal governo austriaco, in modo innaturale, secondo loro, e dice: “Noi che siamo entrati a Brixen, eravamo in errore: credevamo di entrare in una Congregazione religiosa universale – molti dei nostri la credono ancora universale – e siamo entrati nell’Istituto veronese, anzi neppur questo: la Casa di Brixen era un annesso indefinibile, essendo l’istituto di Verona e la Congregazione dei Figli del S. Cuore una sola e la stessa cosa. Se perciò adesso si parla di una divisione della Congregazione, questo non corrisponde alla realtà: è il distacco di un membro eterogeneo il quale falsamente e indebitamente portava il titolo del corpo.
I firmatari confessavano che erano giunti a comprendere così le cose soltanto dopo lungo tempo; però avrebbero desiderato che il p. Meroni avesse dichiarato loro fin da principio l’alternativa dell’assorbimento o della separazione.
Questa posizione così nitida del gruppo dei confratelli “tedeschi” di Khartoum esprimeva chiaramente il sentire di molti di loro e di altri confratelli “italiani”; esprimeva soprattutto la posizione fondamentale di Meroni. Meroni quindi rifiutava concedere alla parte “tedesca” la provincia che vedeva come un’ulteriore male, una divisione degli animi, una pesante responsabilità economica per l’Istituto dovendo sostenere, secondo lui, l’espansione esagerata di quella “provincia” e avrebbe anche compromesso la propria autorità mantenendo uno spirito poco religioso e potendo esercitare limitatamente il suo compito come Superiore generale. Per cui, Meroni, come i missionari “tedeschi” di Khartoum arrivava a sua volta ad una conclusione alternativa nel suo promemoria a Propaganda, che nel fondo partiva dalle stesse premesse, usate da lui in suo favore: “o unione completa o separazione completa”.
7. IL P. MERONI A ROMA
P. Meroni partì per Roma il 24 gennaio 1922 e vi rimase fino al mese di giugno, preoccupato di presentare a Propaganda il suo promemoria e le sue richieste di separazione, ma anche intento a risolvere alte piccole questioni controverse o difficili nella vita dell’Istituto nel suo rapporto con altri corpi missionari esterni e l’adattamento delle Costituzioni FSCJ al nuovo Codice di Diritto Canonico, entrato in vigore il 18 maggio 1918. Fra l’altro, il cardinale Laurenti, segretario di Propaganda incaricato di esaminare la questione, si mostrava favorevole al p. Meroni nella “questione della provincia”. Infatti, nelle Costituzioni fu soppresso il capitolo sulla “provincia”, e questo si accordava con i disegni del p. Meroni, come aveva scritto a p. Vianello, da Roma il 15 febbraio 1922: “Se però riusciamo intanto a far scartare dalle regole il Capitolo della Provincia, siamo già a buon punto”.
Nel frattempo, si prospettava la rinuncia al Vicariato di Khartoum da parte di mons. Geyer, già suggerita dallo stesso p. Meroni e dai suoi Assistenti nel 1921; per cui Propaganda già il 18 di luglio 192 1 aveva chiesto ai padri di Khartoum di compilare la terna dei candidati più idonei per succedere a mons. Geyer. I missionari “tedeschi” risposero al p. Meroni che non ritenevano opportuno dare alcun suggerimento a Propaganda sull’argomento in quanto che dovendo anch’essi ritirarsi per motivi politici non volevano presentare alcun nome e che in ogni caso ne avrebbero dato uno “tedesco”; per cui le cose si sarebbero complicate. Meroni trasmise la risposta dei missionari di Khartoum a Propaganda il 2 febbraio 1922 e proponeva allo stesso tempo di nominare come Amministratore Apostolico di Khartoum il Vicario Apostolico di Bar-el-Ghazal, mons. A. Stoppani, che avrebbe potuto delegare un padre come suo rappresentante a Khartoum. Propaganda accolse la proposta. Mons. Geyer voleva ritirarsi a tutti i costi. Mons. Stoppani venne quindi nominato e il 17 marzo egli inviava un telegramma a mons. Geyer invitandolo a comunicare le facoltà al p. Mlakic, un jugoslavo di nazionalità austriaca, ma che si era già espresso di voler rimanere in una eventuale provincia italiana FSCJ dell’Istituto. Ma tale nomina fu male accolta dai missionari di Khartoum i quali videro in essa una violazione del patto del 1913, che i missionari per il Sudan settentrionale (Khartoum) fossero di nazionalità tedesca.
8. CONSEGUENZE DI UNO SCRITTO DI P. D. KAUCZOR
Nel frattempo giungeva anche una lettera del padre Daniele Kauczor, datata a Khartoum il 18 febbraio 1922, nella quale riaffermava le tesi radicali già viste sull’origine anormale della parte tedesca nell’Istituto con tutte le tensioni covate lungo gli anni e proponeva semplicemente la divisione. Egli scriveva fra l’altro:
“Adesso propongo la mia idea che a prima vista può sembrare orribile, ma infatti è molto naturale. La Congregazione faccia una cosa simile a quella che facevano sempre e fanno ancora certi ordini religiosi, per es. i Benedettini, intendo dire che la Congregazione Madre partorisca una Congregazione figlia, infondendole la propria vita ed essenza, cioè lo stesso spirito, le stesse Costituzioni e Regole, e la metta nel suolo forestiero, dandole una individualità completa con nome e titolo speciale e la lasci con la benedizione materna: crescite et multiplicamini”.
Meroni ricevette con soddisfazione questa lettera che confermava le sue tesi e gli dava nuovi argomenti per portare avanti il suo disegno di separazione. Scrive a Vianello: “Questa volta ho una buona notizia da darle: quel movimento, che mi aspettavo spontaneo da Khartoum, è incominciato”. Meroni aggiungeva con durezza che la lettera di Kauczor era “la più convincente dimostrazione che essi (i missionari tedeschi) non possono più stare con noi”. Il suo giudizio pesante arrivava ad affermare: “Di fronte a simile improntitudine dubito in coscienza anche si possa pensare a fare con simili elementi un corpo religioso separato: voglia tranquillizzarmi, se lo può fare su questo punto. Quanto alla separazione, mi sembra che quelle parole ci diano il diritto evidente di chiederla noi stessi.
Si innescava così un processo inarrestabile verso la divisione, con corrispondenza fra Verona e Khartoum, dove l’opinione di uno solo (Kauczor) veniva presa da parte di Meroni come la posizione radicale e definitiva di tutti i “tedeschi” del resto (in questo parziale ed interessato) come di fatto i missionari di Khartoum rimprovereranno a Meroni. Nessuno si fidava dell’altro e gli animi fra Verona e Khartoum si esacerbavano sempre di più. Anche la proposta di mandare a Verona, per discutere la questione, uno di loro, il superiore della comunità di Khartoum p. Ipfelkofer, non fu accolta da Meroni con la scusa che mons. Geyer sarebbe ben presto rientrato in Europa e quindi avrebbe potuto avere da lui tutte le informazioni.
9. LA POSIZIONE DETERMINANTE DI MONS. GEYER
La posizione e gli interventi di mons. Geyer avevano sempre complicato e complicheranno ancora di più le cose sulla delicata questione. Geyer si ritirava totalmente dalla vita dell’Istituto e della missione africana, lasciando dietro di sé un movimento che in parte egli stesso aveva innescato tanti anni prima e che aveva sempre alimentato. Egli non vorrà impegnarsi nella vita dell’Istituto in Germania e nemmeno in Africa con la direzione della nuova circoscrizione ecclesiastica o missione che Propaganda intendeva affidare alla parte tedesca nel Transvaal (Sudafrica). Geyer presentava a Propaganda quattro candidati per tale direzione: Klassert, Kauczor, Ipfelkofer, Mohn.
Geyer, in una lettera scriveva “Io non do torto a chi lotta per i suoi diritti e per le sue aspirazioni. La via più sicura per calmarli (i padri di Khartoum…) sarà la soddisfazione delle loro legittime aspirazioni. Il p. Kauczor …. mi disse che non accetterebbe cariche né andrebbe nel Transvaal, se prima non venga creata la base europea … e vede in ciò una condizione sine qua non del buon andamento della missione. Gli altri gli danno ragione ed io nel cuor mio non gli do torto”. Geyer arrivava a Roma nell’aprile del 1922 ed egli ribadiva di fronte a Meroni che “ciò che veramente vogliono i missionari tedeschi di Khartoum è una piena autonomia ed indipendenza da Verona, in modo da poter costituire un Istituto proprio che possa vivere e svilupparsi secondo il loro spirito e le loro tendenze … Se essi chiedono una Provincia, lo fanno perché ritengono che Verona si opporrà ad una loro separazione”.
Rifletteva la posizione di Geyer fedelmente il pensiero dei missionari tedeschi in Sudan? Fu esso strumentalizzato da Meroni per perseguire i suoi fini? Certamente ognuno di loro due era chiaro nella propria posizione e scopo, e l’autorità morale di Geyer, capo storico della parte religiosa comboniana tedesca, era indiscutibile, e la sua autorità era tale “da scuotere anche i più tenaci oppositori. Sembra che queste due posizioni abbiano avuto un peso determinante, anche se Geyer era ormai in ritirata. Geyer ebbe anche un incontro col cardinale Van Rossum a Propaganda 1’8 aprile 1922 e in seguito, il 9 aprile, mandava a Propaganda un suo memorandum in cui riaffermava le sue note posizioni e giudizi sulla questione per concludere che la soluzione del problema, specialmente per la parte tedesca, non era la costituzione di una provincia autonoma, ma la completa separazione dei due gruppi. E concludeva il suo scritto con queste parole: “Se quanto esposi umilmente qui sopra avesse a contribuire ad una tale felice soluzione lo considererei come la più felice consolazione, che possa trovare al termine dei miei 40 anni di lavoro per le Missioni Estere”.
Nello stesso senso scriveva al suo fidato segretario a Khartoum, il p. Klassert, suo candidato per dirigere la nuova missione del Transvaal. Egli scriveva che la “provincia” non avrebbe risolto il problema, ma che lo avrebbe aggravato e che l’unica soluzione era o l”‘aufsaugung” (l’assorbimento) o la separazione; e cita la (supposta) posizione del p. Colombaroli prima di morire che “ogni parte faccia da sé e ciò sarebbe per ambedue le parti e specialmente per quella tedesca la più vantaggiosa”. In tal senso avrebbe parlato e scritto al cardinale prefetto di Propaganda. Egli quindi incoraggiava i missionari “tedeschi” di Khartoum a procedere sulla strada della separazione affermando che “quanto più membri e case desiderano la separazione o la implorano, tanto più presto e più facilmente la medesima sarà concessa”.
10. LA POSIZIONE DEI MISSIONARI COMBONIANI “TEDESCHI” DI KHARTOUM
Soltanto allora i missionari di Khartoum capirono che la separazione era una strada ormai ineludibile. Il gruppo, che non aveva condiviso la posizione radicale di Geyer e di Kauczor, scelse quella strada e seguendo l’invito di Geyer telegrafarono a Meroni il 25 aprile 1922: “Tutti contentissimi Congregazione indipendente – segue lettera – Ipfelkofer. In detta lettera, del 30 aprile 1922, quei missionari, informati da mons . Geyer, si dicevano di nuovo contentissimi della separazione e che avrebbero comunicato la loro posizione a p. Lehr perché rappresentasse gli interessi di tutti i missionari austro-tedeschi nella Consulta Generale. Geyer, tornado in Germania, passò per Bressanone e visitando anche altre case di lingua tedesca propagandò quella posizione, per cui il movimento suscitato, per motivi opposti, ma coincidenti nello scopo da Meroni e da alcuni padri tedeschi, fra cui il vescovo Geyer, si diffuse rapidamente fra i confratelli di lingua tedesca in Europa. Era ciò che Meroni attendeva.
11. LE CONSEGUENZE DI POSIZIONI RIGIDE E CONTRAPPOSTE
Il resto degli avvenimenti fu una conseguenza dolorosa di tale dure e contrapposte posizioni. Il cardinale prefetto di Propaganda Fide, Van Rossum, si opponeva fermamente alla separazione e lo stesso pensavano altri cardinali e consultori di Propaganda e propiziavano la creazione della “provincia” autonoma. Anche lo stesso p. Antonio Vignato, assistente, era dello stesso parere. E p. Vianello? L’uomo della carità, ma di carattere debole e timorato, che si era già in passato gravemente esaurito dovuto anche a questi problemi, sembra che scongiurasse il p. Meroni di fare un tale passo.
Il 6 aprile 1922 il cardinale Van Rossum mandava al p. Meroni una lettera da trasmettere a tutti i religiosi con quattro domande sull’opportunità della provincia, la necessità della separazione, la possibilità in questo secondo caso di autonomia per le due parti religiosi e per le missioni. I religiosi avrebbero dovuto rispondere direttamente a Propaganda.
Ma di nuovo qui troviamo un modo significativo di attuare la parte di Meroni: egli, ottenuto il consenso per telegramma dei due assistenti, si oppose a far pervenire il questionario alla parte italiana dell’istituto, all’oscuro di tutto.
Nel frattempo i missionari di lingua tedesca di Khartoum erano partiti per il Transvaal chiedendo di procedere senza perdita di tempo alla separazione, come scrive il p. Lehr a Meroni. Nessuno avrebbe ormai accettato altra soluzione. Secondo la lettera di Lehr i padri di Khartoum e quelli di Bressanone erano per la separazione; quelli di Messendorf l’avrebbero accettata quando Propaganda l’avrebbe deciso, e quelli di Ellwangen, che si erano pronunciati per l’unione completa fra italiani e tedeschi, avrebbero finito per ritrattarsi e accettarla.
E’ significativa la posizione del terzo assistente generale il p. Heymans fino allora sempre riluttante sulla separazione e che da Eindhoven, dove si stava rimettendo in forze, scrive a Meroni il 4 novembre 1922: “Quantunque per principio sono contrario alla separazione, pure sotto il presente stato di cose, dopo insistenza pure dei confratelli tedeschi, credo che l’unica e più opportuna soluzione sia quella di una intera separazione”. Heymans rimarrà però con la parte “italiana” dei FSCJ durante diversi anni.
12. LA DIVISIONE GIURIDICA DELL1STITUTO COMBONIANO IN DUE “RAMI”: I FSCJ E I MFSC SOLTANTO TOLLERATA DA PROPAGANDA
Arrivò, così, il triste decreto di separazione, deciso nella seduta della Congregazione di Propaganda Fide il 27 novembre 1922 di “separare completamente dalla parte italiana la parte austro-tedesca”, previa la sistemazione di tutte le questioni economiche e di altro tipo. Propaganda nominò il noto giurista claretiano p. Felipe Maroto, come suo delegato per tutti i problemi connessi.
Il p. Maroto indirizzò a tutti i membri dell’Istituto il 31 dicembre 1922 una lettera circolare con la quale avvertiva della decisione di Propaganda e invitava i membri dell’Istituto che lo desiderassero a fare domanda esplicita e formale di entrare in una delle parti diversa da quella della propria. Soltanto 8 su 62 membri austriaci, tedeschi, sudtirolesi e slavi chiesero di passare alla parte italiana. Di questi 7 erano in missione nel Sudan e desideravano continuare lavorando in quelle missioni, l’ottavo era l’olandese p. Heymans, assistente generale.
Il decreto di erezione della nuova Congregazione comboniana del “ramo tedesco, che prenderà il nome di Missionari Figli del Sacro Cuore (MFSC), fu firmato da mons. F. Marchetti-Selvaggiani, e non dal cardinale Prefetto Van Rossum, che sempre si era mostrato contrario alla divisione, e porta la data del 7 luglio 1923.
La convenzione finanziaria venne firmata il 26 giugno 1926 secondo quanto stabilito da Propaganda. Doveva essere definitiva. Il p. Heymans considerò ingiusta tale convenzione con la parte tedesca per cui egli farà ricorso per una revisione nell’aprile del 1932, che risultò inutile. Per ciò egli non si sentì più a suo agio a Verona e, chiesta la dovuta autorizzazione, passò ai MFSC.
Freddamente, a distanza di anni, uno storico non può non ritenere fra i maggiori responsabili di quell’infausto passo di divisione, che tanti danni porterà al giovane Istituto comboniano, persone come il p. Meroni, mons. Geyer, p. Kauczor, ed altri, che da altra parte avevano un vero amore alla Chiesa e alla missione, ma che erano malati di una visione ecclesiale e comboniana assai ristretta.
L’Istituto comboniano si trovava così diviso in due Congregazioni contro l’esperienza e il proposito del suo Fondatore Daniele Comboni, di cui una, composta in gran parte da membri italiani, mantenne il nome originario di “Figli del Sacro Cuore di Gesù” (FSCJ), e l’altra con membri in maggioranza di lingua tedesca, prese il nome di “Missionari Figli del Sacro Cuore di Gesù”.
La Congregazione MFSC iniziava i suoi passi con tre Case nell’Europa di lingua tedesca e un duro e difficile lavoro in una terra ostile ai cattolici, il Transvaal, dominato dagli antichi boeri calvinisti, con una cinquantina di membri e sotto la direzione del nuovo generale di questo “ramo”, l’antico assistente generale FSCJ, p. Jacob Lehr (1923-1932).
Gli altri generali dei MFSC furono i pp. Joseph Musar (1932-1938), Johann Deisenbeck (1938-1955), Richard Lechner (1955- 1967), Guenther Brosig ( 1967- 1973), Georg Klose (1973-1979).
Gli italiani FSCJ andavano avanti sotto i generali p. Meronì (1919-1931), Pietro Simoncelli (1931-1937), Antonio Vignato (1937-1947), Antonio Todesco (1947-1959), Gaetano Briani (1959-1969), Tarcisio Agostoni (1969-1979).
I due istituti si svilupparono autonomamente. La dimensione internazionale e “cattolica” di questi istituti venne praticamente eliminata delineandosi come due piccoli istituti praticamente a carattere nazionale, anzi a carattere regionale dentro una stessa nazione. Ciò nonostante sia la finalità che la vocazione missionario rimasero sostanzialmente immutate.
Circostanze storiche molto concrete spinsero gli istituti a partire dagli anni ’30 e ’40 a coinvolgersi in nuovi campi di lavoro apostolico, soprattutto in America Latina.
Dopo la divisione dell’Istituto comboniano in due rami: quello di lingua italiana e quello di lingua tedesca, la vita loro continuò parallelamente fino al 1975. La ferita della divisione rimase sempre aperta, almeno in alcuni, per cui il desiderio della riunione non si spense mai. La presenza crescente della memoria del Fondatore, il ritrovarsi sugli stessi banchi di scuola di alcuni studenti delle due Congregazioni nella Università Urbaniana, e soprattutto il fatto di ritrovarsi le due Congregazioni a fondare case in Spagna sotto la direzione di persone che sentivano profondamente il desiderio dell’unione come il p. Enrico Farè (+ 29.03.1989) e il p. Andreas Riedl (+ 09.01.1974) e altri confratelli come l’attuale mons. Olindo Spagnolo e i PP. Franz Xaver Kieferle e Alois Eder, cooperarono a mantenere vivo il desiderio della riunione. Ben presto le due comunità in Spagna iniziarono una cooperazione e persino una fusione nel settori dell’animazione missionaria e della formazione. Tale cooperazione comportò anche la celebrazione dei consigli provinciali insieme, per cui l’esperienza di comunione fra le due comunità comboniane si evolveva ogni giorno con legami più stretti.
Contemporaneamente iniziavano a Roma contatti a livello personale fra i confratelli dei due rami. In questi contatti si distinse il p. Chiocchetta. I generali dei rispettivi istituti si ritrovarono spesso durante la celebrazione del Concilio Vaticano II e ben presto si iniziò una non sempre facile cooperazione nel campo delle missioni in Perù, Sudafrica, Kenya e Uganda.
I capitoli generali dei due istituti, quello MFSC del 1973 e quello FSCJ del 1975 decisero la riunificazione dei due istituti. Così il 2 settembre 1975 i due capitoli generali, convocati in sessione congiunta ad Ellwangen/Jagst (Germania), decisero in base ad un ordinamento giuridico speciale la riunione delle due congregazioni in un unico istituto. La decisione venne ratificata dalla stragrande maggioranza dei membri dei due istituti attraverso un referendum. Il 22 giugno 1979, solennità del S. Cuore di Gesù, giorno dell’apertura del XII Capitolo Generale speciale, con un decreto della SCEP fu sancita ufficialmente la riunione delle due congregazioni comboniane. L’Istituto riunito volle allora chiamarsi: “Missionari Comboniani del Cuore di Gesù” (MCCJ). Dopo la riunificazione giuridica dei due rami, l’Istituto comboniano è stato diretto dai pp. Generali Salvatore Calvia (1979-1985), Francesco Pierli (1985-1991), David Glenday (1991-1997) e Manuel Augusto Lopes Ferreira (1997).
ARCHIVIO COMBONIANO – ANNO XXXVI (1998) 1-2. pp. 57-83
Le note del testo sono state tralasciate per rendere il testo più scorrevole (MJ)