Castità, purezza, pulizia interiore: oggi questi concetti ci sembrano così desueti e, forse, tristemente inutili. L’immaginario collettivo li lega solo a una semplice continenza ma in realtà essi sono molto di più: sono un modo per guardare al mondo e agli altri. Sono valori controcorrente sui quali si può costruire la pace vera davanti a una violenza che oggi sembra essere l’unica modalità per gestire i rapporti. Questa fu l’intuizione di san Luigi Gonzaga, che fece di questi princìpi un vero programma di vita. Figlio del marchese Ferrante Gonzaga, nato il 9 marzo del 1568 a Mantova, fu educato alle armi dal padre: già a cinque anni gli fecero indossare una mini corazza e un elmo ma rischiò di rimanere schiacciato sparando un colpo con un cannone. All’età di 10 anni, però, Luigi aveva deciso che la sua strada era quella della pace e dell’umiltà, che passava dal voto di castità e da una vita dedicata al prossimo. A 12 anni ricevette la prima Comunione da san Carlo Borromeo. Poi si mise in animo di entrare nella Compagnia di Gesù ma trovò l’opposizione del padre e solo nel 1587, dopo aver rinunciato al titolo e all’eredità, entrò nel Collegio romano dei Gesuiti. Si dedicò agli ultimi e ai malati: durante l’epidemia di peste che colpì Roma nel 1590, trasportando sulle spalle un moribondo, si contagiò e morì. Era il 1591 all’età di 23 anni. Benedetto XIII lo canonizzò il 31 dicembre 1726. È sepolto a Roma nella chiesa di Sant’Ignazio di Campo Marzio.
Altri santi. San Mevenno, abate (VI sec.); san Giovanni Rigby, martire (1570-1600).

Matteo Liuz
Avvenire