Lectio divina

SECONDA LETTERA AI CORINZI
(capitoli 8-10)
a cura di Mons. Morello Morelli

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Lectio biblica 6
La colletta per la chiesa di Gerusalemme
(8,1- 9,15)

È sorprendente che Paolo riservi ben due capitoli di questa missiva ad un problema apparentemente marginale come la raccolta di denaro a favore dei poveri della Chiesa di Gerusalemme, denominata “colletta”. Allo sguardo dell’Apostolo, tuttavia, quel problema non riguardava soltanto la sfera economica, ma rivestiva notevole importanza: le motivazioni teologiche addotte da Paolo, infatti, trasformavano un gesto di collaborazione pecuniaria in un pressante invito a riflettere in modo originale sul legame con Cristo e con i fratelli. La colletta non era una semplice raccolta di denaro, ma un evento decisivo di grazia divina, un evento di generosità, di condivisione, di servizio, di amore che avrebbe fatto innalzare nelle comunità cristiane un canto di ringraziamento al Signore. Per Paolo non esiste nulla che, per quanto marginale, possa esulare da una visione teologica complessiva.

■ Invito a portare a termine la colletta

L’esempio di generosità delle Chiese della Macedonia (8,1-15)

1Vogliamo poi farvi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia: 2nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità. 3Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente, 4domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi. 5Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio; 6cosicché abbiamo pregato Tito di portare a compimento fra voi quest’opera generosa, dato che lui stesso l’aveva incominciata. 7E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest’opera generosa. 8Non dico questo per farvene un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri. 9Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. 10E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dall’anno passato siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma a desiderarla. 11Ora dunque realizzatela, perché come vi fu la prontezza del volere, così anche vi sia il compimento, secondo i vostri mezzi. 12Se infatti c’è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che non possiede. 13Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. 14Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: 15Colui che raccolse molto non abbondò, e colui che raccolse poco non ebbe di meno.

Nell’esordio, con raffinato intuito psico-pedagogico, l’Apostolo presenta, come modello di generosità, le chiese della Macedonia, di cui fanno parte quelle di Tessalonica, di Berea e, in particolare, di Filippi, dimostratesi generose non soltanto nell’aderire all’iniziativa della colletta per i poveri di Gerusalemme, ma anche nel sostenere Paolo stesso nella sua opera di evangelizzazione. Da quanto l’Apostolo riporta in questa pericope emerge la condizione di ristrettezza economica e di povertà in cui versavano le comunità di Macedonia (v.2). Si trattava in prevalenza di comunità segnate dall’indigenza. Tuttavia, proprio a loro veniva data la grazia divina di trasformare la ristrettezza economica in gioia e la povertà in ricchezza.

Quella che a molti sarebbe apparsa un’organizzazione economica o una perequazione, diventa per Paolo “grazia”, espressione sincera di un dono gratuito e di un servizio di carità squisita, che aveva in Dio la sua radice e la sua fonte. L’esempio della generosità delle Chiese macedoni doveva servire, dunque, a far breccia nell’animo dei Corinzi sollecitando il loro spirito di emulazione.

L’argomentazione risultava particolarmente pertinente, assai efficace, ma ancora insufficiente per la sensibilità dell’Apostolo. Il vero criterio dell’agire cristiano non nasce dall’emulazione degli altri, pur necessaria, ma dall’imitazione di Cristo. Per questo Paolo aggiunge la motivazione teologica: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (v.9).

Questa frase, tra le più affascinanti dell’epistolario paolino, è ripresa ogniqualvolta nella storia della Chiesa sorgono carismi improntati all’ideale della povertà (si pensi al peso di questa citazione nelle “Fonti Francescane” a proposito di San Francesco). Riecheggia in queste parole la sintesi del mirabile inno di Fil 2,6-11 che condensa la professione di fede in Gesù Salvatore dell’umanità mediante una solidarietà radicale. Dalla sua Incarnazione,che si fa povertà fino alla morte di croce, viene il benessere salvifico a tutti gli uomini. Qui i termini ricchezza/povertà lasciano il significato economico per assumere quello complessivo di salvezza.

Alla sensibilità teologica si affianca un realismo sorprendente. Paolo non sogna un egualitarismo utopico o inconcludente, indica piuttosto un realistico traguardo di uguaglianza: “non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza” (v.13). Viene sollecitata un’uguaglianza economica, perché è già in atto un’uguaglianza di fede e di condivisione in Cristo. Con motivazioni teologiche, anzi, proprio in forza di quelle, viene presentato un ideale che sta alla base della convivenza civile e di ogni ordinamento giuridico moderno. Lungi dall’esaltare la povertà economica come un valore, Paolo sottolinea il corretto uso del denaro e la possibilità di servirsene per alleviare l’indigenza del prossimo.

I Corinzi, pur fortemente sollecitati, rimangono tuttavia liberi di aderire o meno alla proposta dell’Apostolo. La colletta ha senso solo all’insegna della massima spontaneità e libertà. In caso contrario verrebbe annullato il principio ispiratore fondamentale, che è quello dell’amore: “Non dico questo per farvene un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri”(v.8). Paolo ci tiene a precisare che questa sua direttiva pastorale non vuole essere un ordine, ma solo un consiglio. Del resto, a suo parere, un po’ di buona volontà da parte dei Corinzi e lo sforzo economico dell’intera comunità cristiana – certo, ciascuno secondo le proprie risorse (v.11) – sarebbero senza dubbio apprezzati da Dio, che gradisce chi dona con gioia.

■ Missione di Tito e di altri due delegati (8,16-24)

16Siano pertanto rese grazie a Dio che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore di Tito! 17Egli infatti ha accolto il mio invito e ancor più pieno di zelo è partito spontaneamente per venire da voi. 18Con lui abbiamo inviato pure il fratello che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo; 19egli è stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest’opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l’impulso del nostro cuore. 20Con ciò intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata. 21Ci preoccupiamo infatti di comportarci bene non soltanto davanti al Signore, ma anche davanti agli uomini. 22Con loro abbiamo inviato anche il nostro fratello, di cui abbiamo più volte sperimentato lo zelo in molte circostanze; egli è ora più zelante che mai per la grande fiducia che ha in voi. 23Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo. 24Date dunque a loro la prova del vostro affetto e della legittimità del nostro vanto per voi davanti a tutte le Chiese.

Esposto il principio dell’uguaglianza, ben consapevole che il maneggiare denaro, soprattutto il denaro degli altri, può ingenerare sospetti e facili critiche, Paolo affida l’incarico di raccogliere le offerte a Tito e altri due collaboratori, persone sagge e di specchiata onestà. Dichiara, infatti: “Intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata. Ci preoccupiamo infatti di comportarci bene non soltanto davanti al Signore, ma anche davanti agli uomini”.

– Missione di Tito.

L’Apostolo ricorda l’attività organizzatrice svolta da Tito e rende grazie a Dio proprio per la premura e lo zelo con cui questo discepolo si è impegnato e si sta impegnando per la buona riuscita della colletta. Per Paolo, anche la sollecitudine di Tito nei confronti dei Corinzi è primariamente dono di Dio (vv.16- 17).

– Missione del primo delegato (vv. 18-21).

Forse a motivo della notorietà di questo primo delegato (come del resto anche del secondo), Paolo non sente la necessità di menzionare il nominativo. Ricorda però, senza un pizzico di esagerazione, che è apprezzato da “tutte” le comunità cristiane per la sua predicazione del Vangelo. Prova ne è il fatto che sono state le stesse comunità cristiane a designarlo come collaboratore nell’organizzare la colletta, vista da Paolo come “grazia” divina e servizio ecclesiale svolto per glorificare il Signore e per prendersi cura dei fratelli. A causa del rapporto con il “Vangelo”, alcuni commentatori pensano che questo fratello sia l’evangelista Luca.

– Missione del secondo delegato (v. 22).

Viene citato nuovamente soltanto per la sua condivisione nella fede e non per nome. È lodato come Tito per la sollecitudine e la grande fiducia che ripone nei confronti dei Corinzi.

– Credenziali (vv. 23-24).

Le raccomandazioni ai delegati si concludono con alcune credenziali che confermano quanto è stato già evidenziato: Tito, che occupa un ruolo di primo piano in questa missione, è “suo compagno e collaboratore” per i destinatari; “i due fratelli” sono delegati della comunità e gloria di Cristo”. Dalle raccomandazioni per i delegati scaturisce l’esortazione finale, rivolta ai Corinzi, di dare prova concreta sia del loro amore, accogliendo benevolmente questi “inviati”, sia della legittimità del vanto che Paolo ha evidenziato nei loro confronti in tutte le Chiese.

■ Invito a contribuire con gioiosa generosità alla colletta (9, 1-15)

Paolo desidera ora affrontare il problema della Colletta da un nuovo versante: quello della qualità e della quantità. Di fatto non è sufficiente invitare i Corinzi a riprendere l’iniziativa dei fondi per i “santi” di Gerusalemme. Occorre far risaltare la qualità dell’iniziativa. In pratica Paolo intende dire che se la colletta è stata intrapresa, richiede pure di essere fatta bene, altrimenti è meglio rinunciare.

Esempio delle Chiese di Acaia (9, 1-5)

1Riguardo poi a questo servizio in favore dei santi, è superfluo che ve ne scriva. 2Conosco infatti bene la vostra buona volontà, e ne faccio vanto con i Macèdoni dicendo che l’Acaia è pronta fin dallo scorso anno e già molti sono stati stimolati dal vostro zelo. 3I fratelli poi li ho mandati perché il nostro vanto per voi su questo punto non abbia a dimostrarsi vano, ma siate realmente pronti, come vi dicevo, perché 4non avvenga che, venendo con me alcuni Macèdoni, vi trovino impreparati e noi dobbiamo arrossire, per non dire anche voi, di questa nostra fiducia. 5Ho quindi ritenuto necessario invitare i fratelli a recarsi da voi prima di me, per organizzare la vostra offerta già promessa, perché essa sia pronta come una vera offerta e non come una spilorceria. Sull’opera della colletta in quanto tale, Paolo dichiara che è superfluo aggiungere altro.

In realtà si tratta di un espediente retorico per enfatizzare l’elogio che sta per fare sulla prontezza dei suoi lettori a prendere parte all’iniziativa di solidarietà, pur non essendo stati obbligati a farlo. L’Apostolo afferma così di essere perfettamente al corrente della disponibilità data dai cristiani dell’Acaia, fin dall’anno prima, a partecipare alla raccolta di fondi a favori dei cristiani di Gerusalemme, fra cui numerosi erano i poveri. Anzi, l’Apostolo si è vantato di loro con i cristiani della Macedonia, che si sono lasciati subito contagiare dalla liberalità iniziale dell’Acaia.

Per evitare che sia smentito quanto egli ha detto ai Macedoni con una punta di orgoglio, ricorda di nuovo ai Corinzi di aver inviato loro “due fratelli” incaricati dalle comunità cristiane di organizzare una colletta insieme a Tito (8,23). Aggiunge, comunque, che è giunto il momento di concludere la raccolta. La somma di denaro deve essere pronta per la sua prossima visita a Corinto.

Facendo lèva ancora sull’amor proprio dei suoi destinatari, raccomanda loro di non essere inadempienti o tirchi. Altrimenti, egli finirà per vergognarsi di essersi vantato di loro con i cristiani della Macedonia; tra l’altro, alcuni di loro verranno insieme a lui a ritirare la somma di denaro raccolta.

È evidente che, in caso di inadempienza, a dover arrossire, di fronte a questa delegazione macedone, saranno soprattutto i Corinzi. Per evitare questo smacco comune, Paolo ripete, ancora una volta, di essersi fatto precedere a Corinto dai suddetti incaricati. Vuole insomma essere certo che i suoi lettori favoriscano in tutti i modi l’attività organizzatrice di questi delegati, così che la colletta sia conclusa al suo arrivo in città. Questa attività previa consentirà una raccolta di fondi non stentata, ma abbondante “come una benedizione”.

Principio di retribuzione (9, 6-10)

6Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. 7Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. 8Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene, 9come sta scritto: ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia dura in eterno. 10Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia.

La necessità di concludere la raccolta di fondi viene ora motivata da Paolo con una ragione più profonda di quella piuttosto superficiale del suo vanto presso i Macedoni. In questa iniziativa di solidarietà è in gioco lo stesso rapporto dei cristiani con Dio, perché coloro che donano con gioia sono da Lui amati e colmati di grazie (vv.7-8). Come prova scritturistica del fatto che “Dio ama un donatore gioioso”, Paolo riporta il passo dei Proverbi 11,24, dove si sottolinea che quanto più si semina, tanto più si raccoglierà. E viceversa: quanto più si è tirchi nella semina, tanto più scarso sarà il raccolto.

È fin troppo chiara l’analogia con le offerte per la colletta. D’altronde, non è forse Dio “che somministra la semente al seminatore e il pane per il nutrimento”? Non solo: ma è sempre Dio che favorisce anche la crescita dei frutti e consente la mietitura abbondante di chi ha seminato con generosità. Dunque, Dio dona sia i semi sia i frutti: è al contempo la fonte dei beni e il rimuneratore di chi li ha condivisi con i più indigenti.

L’Apostolo, inoltre, non si limita a raccomandare ai corinzi di contribuire alla raccolta dei fondi. Insiste soprattutto sugli atteggiamenti interiori con cui fare l’offerta. A dare valore e merito agli offerenti non è primariamente la quantità di denaro elargita, ma l’atteggiamento del loro cuore generoso. I Corinzi offrano, dunque, il loro contributo spontaneamente e con gioia. Si sentano liberi di dare quanto hanno deciso in cuor loro. Dio sicuramente non farà mancare il necessario per vivere a chi dona con gioia.

Ringraziamento a Dio per gli effetti della colletta (9,11-15)

11Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale poi farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro. 12Perché l’adempimento di questo servizio sacro non provvede soltanto alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per i molti ringraziamenti a Dio. 13A causa della bella prova di questo servizio essi ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti; 14e pregando per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria grazia di Dio effusa sopra di voi. 15Grazie a Dio per questo suo ineffabile dono!

A ringraziare per la liberalità delle Chiese di Corinto e dell’Acaia sono innanzi tutto i destinatari della colletta. Ma a questo coro di ringraziamenti contribuiscono, con la loro attività organizzatrice, anche Paolo e i suoi collaboratori. La raccolta di elemosine non è semplicemente una modalità concreta per soccorrere altri cristiani nelle loro difficoltà economiche: è essenzialmente una “liturgia”, un servizio sacro, un vero atto religioso. Prima che ai benefattori, la riconoscenza dei cristiani bisognosi di Gerusalemme è perciò rivolta a Dio. È Lui che essi glorificano nel constatare come queste comunità cristiane credono davvero nel Vangelo di Cristo e lo mettono in pratica. La colletta è prova tangibile che queste comunità aderiscono al comando evangelico dell’amore verso il prossimo, specialmente se sofferente e bisognoso.

Il ringraziamento elevato a Dio dai destinatari della colletta diventa pure una preghiera di intercessione per i benefattori. Ben al di là della semplice logica del do ut des, questa preghiera della Chiesa di Gerusalemme è animata da affetto autentico per i cristiani dell’Acaia ed esprime fervida gratitudine a Dio, che ha effuso la sua “grazia straordinaria” sulle chiese di Corinto e dell’Acaia, suscitando in loro tanta generosità. Ma questo stesso riconoscimento della grazia di Dio, che anima e sostiene la carità cristiana dei benefattori, stimola pure la carità in coloro che sono stati beneficiati. Alla preghiera dei cristiani di Gerusalemme si unisce anche quella di Paolo, che conclude le sue raccomandazioni sulla colletta, presentata come opera di solidarietà umana e come dono inenarrabile proveniente da Dio.

Lectio Biblica 7
LA LETTERA POLEMICA (Cap. 10)

In questi capitoli si registra un cambiamento di tono rispetto ai precedenti (7 e 8), nei quali l’Apostolo aveva sottolineato la grande gioia provata a motivo della sottomissione dei Corinzi a Tito e, più in genere, per la loro fede,la loro conoscenza della dottrina cristiana, il loro entusiasmo e la loro carità. Come spiegare, quindi,le minacce rivolte da Paolo ai Corinzi in questa ultima parte della Lettera? Come mai l’Apostolo interviene in maniera tanto severa nei confronti dei suoi destinatari? Paolo giunge persino a rimproverarli, constatando con amarezza la buona accoglienza da loro data ai suoi oppositori, i quali non solo li sfruttano economicamente, ma mettono pure a repentaglio la fede dell’intera comunità. Di fronte ai “falsi apostoli”, egli si sente in dovere di mettere in guardia i Corinzi con severità, difendendo la sua autorità per l’edificazione della Chiesa.

■ Replica alle critiche di debolezza e di condotta “carnale” (10,1-6)

1Ora io stesso, Paolo, vi esorto per la dolcezza e la mansuetudine di Cristo, io davanti a voi così meschino, ma di lontano così animoso con voi; 2vi supplico di far in modo che non avvenga che io debba mostrare, quando sarò tra voi, quell’energia che ritengo di dover adoperare contro alcuni che pensano che noi camminiamo secondo la carne. 3In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, 4ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, 5distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo. 6Perciò siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza, non appena la vostra obbedienza sarà perfetta.

– Audace da assente e debole di presenza?

Una prima critica rinfacciata all’Apostolo si evince dal v.1, dove Paolo scrive: “Io di presenza sarei “meschino e debole” in mezzo a voi, mentre “da lontano sarei animoso e audace con voi”. Pur essendo venuto a conoscenza di queste dicerie, messe in giro dai rivali, l’Apostolo esorta i Corinzi “per la dolcezza e la mitezza di Cristo”. Così risponde già implicitamente alle varie critiche dei suoi oppositori, assumendo lo stesso atteggiamento di Cristo, che “umiliò se stesso” e si fece povero a favore degli uomini. Nel caso di Cristo, non si trattava di meschinità, perché Egli era “ricco” della sua condizione divina. Eppure, la mitezza di Paolo, simile a quella di Cristo, è presa per meschinità dagli oppositori. Perciò, l’Apostolo minaccia di presentarsi in futuro a Corinto in modo molto più energico, specialmente nei rapporti con chi ora sta sparlando di lui alle sue spalle.

– Paolo non combatte “secondo la carne”.

Una seconda critica rivoltagli da “alcuni” è che egli si comporterebbe “secondo la carne”, cioè secondo criteri puramente umani, tendenzialmente dettati dall’egoismo. L’Apostolo nega categoricamente di agire così. Ammette di vivere “nella carne”, ovvero di condurre un’esistenza fragile, caduca e mortale, ma è cosciente di usare strumenti e metodi pastorali, che non sono per nulla “carnali”, perché fondati sulla potenza di Dio.

Descrivendo il ministero come un combattimento contro fortificazioni nemiche, specifica che le sue “armi” hanno un’efficacia sia distruttiva sia costruttiva. Da un lato, i mezzi pastorali da lui utilizzati sono capaci di annientare gli ostacoli che impediscono la conoscenza di Dio. Dall’altro, essi sono in grado di rendere l’intelligenza degli uomini obbediente a Cristo. In ogni caso, Paolo è consapevole che, grazie alla potenza divina, le sue “armi” sono così efficaci da sconfiggere tutti i “ragionamenti” contrari alla rivelazione di Dio, annunciata con la predicazione del Vangelo. Questa dichiarazione dell’Apostolo risulta tanto più significativa, dal momento che viene fatta nel contesto culturale greco – ellenistico di Corinto,in cui anche alcuni cristiani, affascinati dalla sapienza umana, probabilmente erano restii ad accettare l’apparente “stoltezza” della croce di Cristo.

Fra questi ostacoli alla rivelazione cristiana c’era soprattutto la predicazione di un “Gesù diverso”, di uno “Spirito diverso” e di un “Vangelo diverso” rispetto a quanto Paolo aveva annunziato a Corinto nel su soggiorno. L’Apostolo certamente alluda a queste eresie diffuse dai “falsi apostoli” e si dichiara pronto a punire coloro che gli disobbediscono. Si aspetta, tuttavia dalla Chiesa corinzia una pronta obbedienza a Cristo e, di conseguenza, anche a lui, “apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio”.

■ Replica alle critiche di distruzione e di ambizione (10, 7-18)

Paolo non distrugge la Chiesa (10,7-8)

7Guardate le cose bene in faccia: se qualcuno ha in se stesso la persuasione di appartenere a Cristo, si ricordi che se lui è di Cristo lo siamo anche noi. 8In realtà, anche se mi vantassi di più a causa della nostra autorità, che il Signore ci ha dato per vostra edificazione e non per vostra rovina, non avrò proprio da vergognarmene.

Confuta subito questa accusa, come pure respinge l’ingiuria,secondo cui egli non sarebbe altro che un debole, che solo nelle lettere si farebbe passare per forte e audace. Avendo chiesto ai Corinzi di obbedirgli, Paolo si sente in dovere di chiarire due tratti fondamentali della propria autorità apostolica, cioè la sua provenienza divina e la sua finalità ecclesiale.

Prima di tutto, ribadisce che l’autorità apostolica gli è stata data dal Signore Gesù, escludendo implicitamente un’origine umana del suo apostolato. Conferma ancora di appartenere a Cristo, per lo meno allo stesso modo degli altri che rivendicano per sé tale appartenenza (v.7). Si è congetturato che la rivendicazione avanzata da costoro di “essere di Cristo” potesse forse derivare da una conoscenza diretta del Gesù storico. Si è anzi giunti ad identificare questi tali con i fondatori della cosiddetta fazione “di Cristo” (1Cor 1,12). Comunque sia, davanti alla persuasione degli oppositori, Paolo precisa la propria appartenenza a Cristo, dichiarandosi, più avanti, superiore a loro nell’esercizio del ministero cristiano (11,23). La sua appartenenza a Cristo come il suo ministero apostolico si fondano primariamente sull’incontro del Signore Risorto sulla via di Damasco. In secondo luogo, per quanto concerne la finalità ecclesiale del suo apostolato, Paolo la descrive attraverso l’immagine dell’edificazione della comunità cristiana (v.8). Tema già ampiamente affrontato nella Prima Lettera ai Corinzi.

Paolo non è forte e audace nelle Lettere e debole di presenza (10, 9-11)

9Non sembri che io vi voglia spaventare con le lettere! 10Perché «le lettere – si dice – sono dure e forti, ma la sua presenza fisica è debole e la parola dimessa». 11Questo tale rifletta però che quali noi siamo a parole per lettera, assenti, tali saremo anche con i fatti, di presenza.

Se Paolo deve costruire e non distruggere la Chiesa, non ha senso che le sue lettere siano finalizzate semplicemente a spaventare i corinzi, come poteva sembrare loro o come verosimilmente sosteneva “quel tale”, che diffondeva false dicerie contro di lui. Paolo perciò si difende molto probabilmente da una serie di ingiurie diffuse dai suoi oppositori. Replica sia alle critiche di meschinità e di comportamento “carnale”(come abbiamo visto in 10,1-6) sia a chi lo incolpa ingiustamente di distruggere la comunità cristiana di Corinto, tacciandolo di debolezza. Avverte inoltre che nella futura visita a Corinto, regolerà i conti con i suoi avversari. Ma, data l’importanza dell’eloquenza in una città greca come Corinto, egli ritiene opportuno difendersi dalla critica sulla sua presunta incapacità oratoria, facendo lèva sui contenuti della sua predicazione del passato, su cui gli stessi corinzi potevano dire la loro (cf.11,6).

Difesa dall’accusa di ambizione (10,12-18)

12Certo noi non abbiamo l’audacia di uguagliarci o paragonarci ad alcuni di quelli che si raccomandano da sé; ma mentre si misurano su di sé e si paragonano con se stessi, mancano di intelligenza. 13Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la norma della misura che Dio ci ha assegnato, sì da poter arrivare fino a voi; 14né ci innalziamo in maniera indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché fino a voi siamo giunti col vangelo di Cristo. 15Né ci vantiamo indebitamente di fatiche altrui, ma abbiamo la speranza, col crescere della vostra fede, di crescere ancora nella vostra considerazione, secondo la nostra misura, 16per evangelizzare le regioni più lontane della vostra, senza vantarci alla maniera degli altri delle cose già fatte da altri. 17Pertanto chi si vanta, si vanti nel Signore; 18perché non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda.

Con amara ironia Paolo confessa di non riuscire a mettersi sullo stesso piano dei suoi oppositori, le cui argomentazioni gli appaiono insensate. Quelli che le propugnano, infatti, non fanno altro che assumere se stessi come criterio di valutazione, così da legittimare il proprio operato e delegittimare quello dell’Apostolo. Il vanto di Paolo è quello di aver agito “secondo la misura della regola che Dio gli assegnò come misura”. In concreto, egli dichiara, a partire da questi presupposti, di essere giunto ad evangelizzare Corinto, perché si è attenuto ai limiti che Dio stesso gli ha assegnato. Perciò non si vanta “oltre misura”(v.13), come invece fanno i suoi oppositori, sapendo che il campo della sua evangelizzazione, stabilito da Dio stesso, è costituito dalle “regioni più lontane”. Per questo evita di “vantarsi alla maniera degli altri delle cose già fatte da altri” (v.16).

Riconosce che la propria attività missionaria fra i pagani è dono di Dio, non merito personale di cui vantarsi. Sa pure che gli esiti pastorali positivi della propria predicazione sono dovuti al fatto che egli ha accolto la grazia divina e si è conformato alla “misura” stabilita da Dio (v.13). Di conseguenza, attribuisce al Signore ogni merito (v.17). D’altra parte, dato che il criterio divino di valutazione della evangelizzazione è stato assunto dall’Apostolo come proprio (v.15), spetta sempre al Signore raccomandare il suo inviato.

In sintesi: il messaggio di questa breve sezione letteraria (10,12-18) consiste nella difesa da parte di Paolo del proprio diritto di intervento nella vita della comunità cristiana di Corinto. Senza cedere all’orgoglio e senza ricorrere alla prassi di raccomandare se stesso, egli è convinto di avere sia il diritto sia il dovere di dirigere la Chiesa corinzia, perché essa rientra nel campo di azione pastorale indicatogli da Dio attraverso il discernimento della Chiesa madre di Gerusalemme.

Diocesi di San Miniato
Anno Pastorale 2017/2018
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